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Roma 19.3.2018 Spett.le FNOPI

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S T U D I O L E G A L E N A P P I - N A R D O I A N N I

A V V . F R A N C E S C A N A P P I

P A T R O C I N A N T E I N C A S S A Z I O N E

A V V . R A F F A E L E N A R D O I A N N I

P A T R O C I N A N T E I N C A S S A Z I O N E

A V V . L U C I A C A R O C C I

A V V . A L E S S A N D R A T A R A S O

Roma 19.3.2018 Spett.le FNOPI

Via email

Alla cortese attenzione della dott.ssa Stefania Gastaldi

Oggetto : richiesta parere legale sul regime di pubblico impiego e cariche elettive

Con riferimento alla questione relativa la eventuale preventiva autorizzazione da parte della propria amministrazione di appartenenza per ricoprire cariche elettive all’interno della Federazione Nazionale FNOPI ed al disposto dell’art. 53 del D. Lgs 165/2001 si fa presente quanto segue.

La fattispecie riguardante lo svolgimento di incarichi da parte dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni trova la sua fondamentale regolamentazione nelle disposizioni di cui agli artt.1, comma 60, della legge 662/96, 58 del d.lgs. 29/93 così come modificato dagli artt. 26 del d.lgs. 80/98 e 16 del d.lgs. 387/98, nonché dall’art.

53 del d.lgs. 165/2001 come modificato dal cd Decreto Brunetta e dalla legge 190/2012 e dal D.Lgs 39/2013.

L’art. 1, comma 60, della legge 662/96, per i dipendenti pubblici con rapporto di lavoro a tempo pieno o a tempo parziale con prestazione lavorativa superiore al 50% di quella a tempo pieno, stabilisce il divieto di “svolgere qualsiasi altra attività di lavoro subordinato o autonomo tranne che la legge o altra fonte normativa ne prevedano l’autorizzazione rilasciata dall’amministrazione di appartenenza e l’autorizzazione sia stata concessa”.

Sullo stesso tenore della suddetta disposizione l’art. 58 del d.lgs. 29/93, come

modificato dall’art. 26 del d.lgs. 80/98 e successivamente dall’art. 53 del d.lgs. 30

marzo 2001 n. 165 e ss.mm.ii., nel dettare la disciplina specifica relativa alle modalità

di conferimento e autorizzazione degli incarichi, esclude per le PP.AA. la possibilità

di conferire ai dipendenti di cui sopra incarichi “non compresi nei compiti e doveri di

ufficio, che non siano espressamente previsti o disciplinati da legge o altre fonti

normative, o che non siano espressamente autorizzati”.

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Tale divieto, come precisato dal comma 6 dello stesso articolo 53, riguarda “tutti gli incarichi, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, per i quali è previsto, sotto qualsiasi forma, un compenso”.

Alle due richiamate disposizioni normative si aggiungono, nell’ambito della disciplina generale relativa al regime degli incarichi dei dipendenti delle PP.AA., sia le previsioni dell’art. 60 del D.P.R. del 10.1.1957 n. 3, riguardante i casi di incompatibilità assoluta, sia lo stesso citato art. 53, riguardante gli eventuali incarichi per i quali è esclusa ogni situazione di incompatibilità.

La ratio e l’interpretazione più attenta della richiamata normativa esprime chiaramente l’intenzione del legislatore di imporre limiti assai rigorosi allo svolgimento di incarichi esterni da parte del dipendente pubblico che presta attività lavorativa a tempo pieno, e ciò al fine di impegnare in via esclusiva il pubblico dipendente a favore della P.A. per la quale lavora, a fronte di una maggiore concentrazione e auspicata valorizzazione delle risorse umane e per il conseguente raggiungimento di una migliore efficienza dei servizi erogati dall’Amministrazione medesima.

L’interpretazione rigorosa della disciplina delle incompatibilità e dei divieti allo svolgimento di incarichi esterni risulta ancora più evidente e necessaria in conseguenza delle disposizioni in materia di part-time dei pubblici dipendenti introdotte dalla l. n.

662/1996, e successive integrazioni, e sempre dallo stesso art. 53 del d.lgs. n.

165/2001, che hanno escluso l’applicazione delle disposizioni sopra indicate e il divieto dello svolgimento di attività professionali per i dipendenti delle PP.AA. con rapporto di lavoro a tempo parziale e con prestazione lavorativa non superiore al 50%

di quella a tempo pieno, per i docenti universitari a tempo definito, e per quelle categorie di dipendenti pubblici ai quali è consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività libero-professionali.

Tale disciplina comporta dunque per il pubblico dipendente la possibilità di evitare di dover sottostare al regime dei divieti riguardanti il conferimento degli incarichi esterni, operando una scelta a favore del rapporto di lavoro part-time con prestazione lavorativa sino al 50% di quella a tempo pieno.

Avuto riguardo a quanto sopra rilevato, il rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti che prestano attività lavorativa a tempo pieno, ovvero a tempo parziale con prestazione lavorativa superiore al 50% di quella a tempo pieno, deve ritenersi incompatibile con l’esercizio dell’attività professionale e con lo svolgimento di ogni attività di carattere continuativo e non occasionale (con esclusione degli incarichi retribuiti riguardanti le attività espressamente indicate dall’art. 53, comma 6), in quanto tali attività, per la loro natura e per le modalità di svolgimento, certamente si pongono in contrasto con il dovere di esclusività, che è proprio del rapporto di lavoro con orario maggiore al 50%

di quello a tempo pieno, la cui generale efficacia è stata confermata e rafforzata dalla richiamata disciplina relativa al part-time.

La correttezza e la conformità di una tale interpretazione alla ratio e alla lettera della

normativa in questione trovano ulteriore conferma nella circolare n. 3/97 emanata in

data 19 febbraio 1997 dal Dipartimento della Funzione Pubblica.

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50% "continuerà ad essere rilasciata nei limiti e alle condizioni ricavabili dalla consolidata prassi applicativa della disciplina generale (risalente all’art. 60 del D.P.R.

n. 3/57 e confermata anche dall’art. 58 del D.Lgs. n. 29/93), ovvero da quella speciale esistente per particolari categorie (per esempio, il personale medico e il personale docente)”. La circolare poi espressamente sottolinea, al successivo punto 6 comma 8, in risposta alle richieste di chiarimenti avanzate da numerose amministrazioni, che “le attività extra istituzionali sono da considerarsi incompatibili quando: 1) oltrepassano i limiti della saltuarietà e occasionalità; 2) si riferiscono allo svolgimento di libere professioni”.

Tale precisazione è importante e significativa perché esprime, in relazione all’individuazione dei criteri e delle attività riguardanti la compatibilità del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti con il conferimento di incarichi esterni, una posizione chiara e precisa che può consentire una più semplice e univoca interpretazione del dettato normativo, in perfetta linea, peraltro, con l’esigenza, sottolineata dal comma 5 del richiamato art. 53, di eventualmente consentire l’autorizzazione all’esercizio di incarichi secondo “criteri oggettivi e predeterminati” che tengano conto della specifica professionalità e siano tali da escludere casi di incompatibilità, sia di diritto che di fatto, nell’interesse del buon andamento della pubblica amministrazione.

A conferma del dovere di esclusività del rapporto di lavoro di cui sopra, la circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica sottolinea ulteriormente che “le attività consentite sono, comunque, un’eccezione rispetto al prevalente e generale principio di incompatibilità. Per questo, il potere di autorizzazione delle amministrazioni deve essere esercitato secondo criteri oggettivi e idonei a verificare la compatibilità dell’attività extra istituzionale in base alla natura della stessa, alle modalità di svolgimento e all’impegno richiesto”.

L’opportunità per le Amministrazioni Pubbliche di predisporre appositi regolamenti alle cui disposizioni, ispirate a criteri oggettivi e predeterminati, subordinare l’eventuale rilascio dell’autorizzazione all’esercizio di incarichi esterni, appare del tutto evidente.

D’altra parte lo stesso art. 53 del d.lgs. 165/2001, al comma 3, prevede espressamente, per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari e per gli avvocati e procuratori dello Stato, che si provveda all’individuazione degli incarichi consentiti e di quelli vietati attraverso l’emanazione di specifici regolamenti.

In assenza di una regolamentazione esplicativa dei principi generali fissati dal legislatore, e dunque di una puntuale determinazione di specifici ed oggettivi criteri operativi da parte dell’Amministrazione, la valutazione dell’autorizzabilità o meno di ogni incarico esterno diventa spesso difficile e incerta, con il rischio di non adottare soluzioni uniformi e non garantire ai dipendenti un trattamento univoco ed imparziale.

Operata questa necessaria premessa in termini generali vediamo ora nello

specifico la questione relativa alla applicazione del regime autorizzatorio -

previsto dall’art. 53 del TU - ai dipendenti pubblici a tempo pieno che vengano

eletti quali componenti degli organi direttivi di Ordini e Federazioni professionali

che ha ripetutamente interessato la Federazione ed è particolarmente delicata per

i risvolti di carattere “politico” che necessariamente implica.

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Per valutare correttamente la questione occorre inquadrare da un punto di vista normativo l’attività cui si fa riferimento.

L’attività posta in essere dal Consigliere dell’Ordine professionale è a tutti gli effetti una carica elettiva prevista da una legge dello Stato ( il DLCPS n.233/1946 prevede espressamente all’art. 2 che ciascuno degli Ordini e dei Collegi “elegge in assemblea, fra gli iscritti all’albo, a maggioranza relativa di voti e a scrutinio segreto il Consiglio direttivo ……” parallelamente l’art. 13 prevede l’elezione dei membri del Comitato Centrale elle Federazioni Nazionali e la norma è ribadita dalla recente legge n. 3/2018 con cui è stato riformato l’Ordine delle professioni infermieristiche ).

L’attività svolta dal Consigliere, liberamente eletto da tutti gli iscritti è, quindi, a tutti gli effetti una funzione pubblica elettiva prevista e disciplinata da una legge dello Stato il cui espletamento è garantito dalla stessa Costituzione della Repubblica Italiana che all’art. 51 prevede espressamente che “Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro”.

Sempre in termini generali si ricorda che in ottemperanza a quanto disposto dalla Costituzione della Repubblica Italiana il legislatore ha previsto, inoltre, all’art. 31 dello Statuto dei lavoratori - applicabile anche alle amministrazioni pubbliche a prescindere dal numero dei dipendenti in virtù del disposto dell’art. 55 del d.lgs. n. 29/ 93 - che “I lavoratori che siano eletti membri del parlamento nazionale o del parlamento europeo o di assemblee regionali, ovvero siano chiamati ad altre funzioni pubbliche elettive possono a richiesta essere collocati in aspettativa non retribuita per tutta la durata del mandato…..”.

La norma dello Statuto dei lavoratori è norma di carattere generale ed ha la funzione primaria di garantire a tutti i lavoratori il libero esercizio dell'irrinunciabile diritto di partecipare all'organizzazione politica e sociale del paese.

Esistono, poi, una serie di disposizioni particolari che disciplinano alcune cariche elettive sia per i pubblici dipendenti che per i lavoratori privati che nell’immediato non ci serve esaminare, ma che ci limitiamo a citare (Legge n. 1078/66; Legge n.816/85;

Legge n.265/99 e D.lgs. n. 267/00) .

Nel caso di specie, quindi, l’attività svolta dal dipendente pubblico eletto quale componente dell’organo di indirizzo dell’Ordine/Federazione Nazionale di appartenenza è una funzione pubblica elettiva (prevista da una legge dello Stato), pertanto tale attività è certamente fra quelle previste espressamente dalla legge e come tali non soggette ad alcuna autorizzazione.

Tale attività non rientra, quindi, tra quelle disciplinate dall’art. 53 del TU

pubblico impiego, al contrario l’attività esercitata quale consigliere di

Ordine/Federazione è evidentemente tra quelle costituzionalmente garantite ed

escluse dal regime di incompatibilità in quanto si tratta di incarichi elettivi

previsti dalla legge.

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Giova sottolineare che tale conclusione è stata confermata dal Consiglio di Stato che, con sentenza n. 718 del 14 febbraio 2012, è intervenuto sul tema della legittimazione processuale degli Ordini Professionali a proporre autonoma impugnazione avverso il parere con cui si ritenga ineleggibile un dipendente pubblico (a causa del suo rapporto di lavoro dipendente nei confronti della pubblica amministrazione) a consigliere di un Ordine professionale.

La questione trattata dal Consiglio di Stato ha riguardato anche la natura direttamente lesiva che un tale parere abbia nei confronti dell'interesse dell'Ordine professionale alla legittima costituzione del proprio organo consiliare.

Nella sentenza de quo il Consiglio di Stato afferma espressamente “ …il parere 7 ottobre 2009, stabilendo l’ineleggibilità del dipendente regionale, in quanto titolare di lavoro alle dipendenze di una pubblica amministrazione, in seno al Consiglio dell’Ordine (preordinato ad un generale diniego di autorizzazione nei confronti di chiunque ne faccia richiesta) assume carattere direttamente lesivo dell’interesse alla legittima costituzione del proprio organo consiliare dell’ente, che è, pertanto, legittimato ad impugnarlo….. Nel merito, i motivi riproposti dall’Ordine di violazione di legge e di regolamenti in materia di eleggibilità di dipendenti pubblici come componenti del Consiglio dell’ordine provinciale sono fondati. …. All’amministrazione regionale, che conserva ed esercita i propri poteri riguardo all’autorizzazione del pubblico dipendente ad assolvere funzioni estranee ai propri compiti istituzionali, non è dato, quindi, impedire la costituzione dell’organo consiliare secondo le regole stabilite dalla disciplina sulla composizione degli organi degli ordini professionali.”

Anche alla luce di quanto espresso dal Consiglio di Stato, quindi, una diversa impostazione intepretativa volta a ritenere l’incarico di Consigliere di Ordine o Federazione Nazionale come un incarico lavorativo retribuito ed in quanto tale soggetto ad autorizzazione preventiva da parte dell’amministrazione di appartenenza dell’eletto porterebbe all’assurdo giuridico di vedere sottoposta la libera scelta elettorale esercitata dai numerosi iscritti all’Ordine ( attraverso il meccanismo elettorale previsto e regolamentato da una legge dello Stato) al controllo successivo ed eventualmente orientato anche politicamente di un terzo soggetto che sarebbe posto nella condizione di invalidare il risultato elettorale semplicemente negando l’autorizzazione prevista dall’art. 53 del TU sul pubblico impiego.

L’ipotesi non ha pregio giuridico ed evidentemente confligge con la stessa Costituzione e con lo Statuto dei lavoratori, ritengo, pertanto, che la carica elettiva e la conseguente attività consiliare non debba assolutamente essere preventivamente autorizzata dalla amministrazione di appartenenza dell’eletto.

Per evitare inutili problemi mi sentirei comunque di consigliare all’eletto di inviare alla propria amministrazione di appartenenza una comunicazione dell’avvenuta elezione.

Avv. Francesca Nappi

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