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SALICETO ALL INTERNO NON È POSSIBILE CONSUMARE CIBI E BEVANDE È CONSENTITO SCATTARE FOTOGRAFIE. scarica la brochure sul tuo telefono

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SALICETO

S C O P R I S A L I C E T O

Indice

Storia

La grande nicchia La natività

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Castello di Saliceto

ALL’INTERNO 

NON È POSSIBILE CONSUMARE CIBI E BEVANDE È CONSENTITO SCATTARE FOTOGRAFIE

Indice

Storia

Caratteristiche In giro per Saliceto

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Chiesa di San Lorenzo

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Il castello di Saliceto, monumento nazionale di grande interesse storico artistico, è molto antico.

Le sue origini non sono note. È sempre appartenuto alla nobile casata dei Marchesi Del Carretto. Dalle origini fino al 1450 residenza del ramo originario della casata, passa nel 1462 ai Marchesi Del Carretto di Finale e dal 1588 ai Marchesi Del Carretto di Zuccarello, divenuti Marchesi di Saliceto e Bagnasco. A metà del 1850 fu venduto a privati e alcuni decenni fa acquistato dal Comune di Saliceto.

Nel territorio sono noti 4 antichissimi castelli e questo, il più importante, è l’unico rimasto.

Il castello presenta un massiccio corpo centrale delimitato da 4 torri. Quella di Nord-Est, abbattuta dagli Spagnoli nel 1639, è stata recentemente ricostruita in legno per evidenziare l’estraneità all’antica costruzione.

Fino al 1450 e all’introduzione della polvere da sparo nell’arte bellica, questo castello era ritenuto inespugnabile. Tra i più sicuri sulle Langhe e nell’entroterra ligure, similmente al borgo;

poiché dotato di possenti mura, alte torri e circondato da profondi fossati colmi di limpida e fresca acqua per la presenza di numerose sorgenti sotterranee. Per questo motivo residenza privilegiata dai marchesi.

Il castello fu trasformato da fortezza medioevale in residenza rinascimentale negli ultimi anni del 1400 e nei primi decenni del 1500 da Carlo Domenico Del Carretto, signore del luogo, all’epoca arcivescovo laico di Cosenza, nel progetto di un generale rinnovamento edilizio di Saliceto.

Furono allora abbattute le dirimpettaie chiese di Santa Maria e del Santo Spirito, per erigervi le nuove chiese di San Lorenzo (gioiello rinascimentale nazionale) e la retrostante chiesa di Sant’Agostino (anch’essa monumento nazionale). Fu allora che il ponte levatoio fu sostituito dall’attuale ponte in pietra dalla lunga rampa d’accesso e con portale rinascimentale. Della struttura originale medioevale restano le mura esterne dai tipici elementi decorativi architettonici romanici e gotici, il salone romanico al pianterreno, detto "degli armigeri", con due grandi camini, e il sottostante “cantinone”; mentre la stanza “di rappresentanza”, ora salone delle conferenze, è di chiara impronta gotica, caratterizzata da alte volte. Il grazioso cortile interno dal doppio loggiato è rinascimentale, come le finestre che vi si affacciano. 

CASTELLO DEL CARRETTO

DI SALICETO

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Questa nicchia, attribuita a maestranze dell’imperatore del Sacro Romano Impero e re di Sicilia Federico II, risalirebbe alla pima metà del 1200. Qui probabilmente la figlia naturale dell’imperatore il 1° maggio 1247 sposò il marchese Giacomo Del Carretto, signore di un territorio esteso ininterrottamente dal mare di Finale e Pietra Ligure alle vigne del Barolo.

Questa nicchia fu murata in epoca sconosciuta, probabilmente in seguito alla damnatio memoriae di Federico II o dei Templari, e il grande affresco sullo sfondo fu scalpellato. Quarant’anni fa il maestro Augusto Pregliasco di Saliceto ebbe sentore di questi affreschi e rimosse il muro che li occultava.

Alla base di questa nicchia vi sono gli stemmi della casata Del Carretto.

Trattasi di affreschi allegorici, gnostici, esoterici unici e di non facile interpretazione.

A sinistra il raffinatissimo volto monocromo di una donna con sul capo una coroncina gotica, inserito in un rombo delimitato da una squadra sul lato destro. Una virtù? La Bellezza? Una sibilla? Una musa? Sui lati quattro cerchi racchiudenti l’esalfa (da non confondere con la stella di Davide all’epoca non ancora nota) con al centro un fiore a otto petali, tipico dell’iconografia federiciana.

Al centro del cortile si trova un pozzo tipico salicetese, a forma di grande anfora, profondo circa 7 metri, accessibile anche da un sottostante cunicolo dal lato del cantinone, protetto da un parapetto interno. Alla base di questo pozzo c’è una porta segreta, ora murata, che permetteva l’accesso a un sotterraneo.

LA GRANDE NICCHIA

La presenza di una cisterna colma d’acqua sorgiva sottostante l’ingresso al “cantinone” e di una stanza interrata non ancora rinvenuta, ma documentata in atti del 1400, lascia intendere la possibilità di svuotare rapidamente il pozzo per consentire l’accesso alla porta segreta e subito dopo riempirlo d’acqua.

Sul lato sud del cortile interno sorgeva l’antica chiesa castellana di Santa Maria (da un documento del 1556 quando vi fu celebrato il matrimonio della figlia del marchese di Gorzegno), della quale restano pochi ma preziosi affreschi; unici nel panorama pittorico non soltanto nazionale, ma internazionale.

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Attorno 12 foglie di vite raffinatissime che alludono agli apostoli e al passo evangelico “io sono la vite e voi i tralci”. 13 gelsomini bianchi e altrettanti rossi, di questi rossi uno è seminascosto a destra sotto una foglia (poco visibile).

Di fronte, altrettanto raffinato, un altro volto femminile con coroncina gotica inserita in un cerchio, tre semicerchi sulla circonferenza, e un triangolo sullo sfondo. Simbologia fortemente esoterica.

Questo volto monocromo presenta l’occhio destro “pesto” collocato al centro del triangolo (il rimando alla simbologia sulla moneta da 1 Dollaro è inevitabile).

L’agnello mistico ha le stimmate, versa il sangue nel Santo Graal, è inserito in un grande cerchio con 4 cerchi concentrici minori “ai lati”, racchiudenti l’esalfa al cui interno si trova il fiore a 8 petali. Due croci: la principale con 7 gemme dorate grandi e 10 gemme azzurre piccole, e alle estremità quattro fiori di loto, altro simbolo federiciano. 

L’agnello mistico con la grande croce corrisponde al sigillo dei Templari d’Inghilterra, mentre con la piccola croce bianca, richiama il sigillo dei Templari di Provenza. Tra le zampe un libro:

probabilmente l’Apocalisse.

Sulla volta della nicchia “l’agnus Dei” o “agnello mistico”:

tra i più belli e antichi al mondo.

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Sul lato destro della nicchia, la natività “giottesca” databile alla metà del 1300; così raffinata che finora risulta impossibile l’attribuzione. Da notare le aureole in rilievo dorate, la posizione di Gesù a letto, non nella mangiatoia, posto in secondo piano come nelle natività più antiche. Gli angeli tipicamente giotteschi. Peculiarità straordinaria, forse unica nel panorama pittorico internazionale, il libro aperto sulle ginocchia della Madonna (raffigurata con il libro se non due, uno aperto e l’altro chiuso, nell’Annunciazione; mai nella Natività).

LA NATIVITÀ

Sul lato destro l’Annunciazione attribuita a Taddeo Di Bartolo, pittore senese attivo in Liguria sulla fine del 1300. Interessante la colonna tortile a sinistra, che ne determina l’attribuzione. Da notare la mano di Dio in alto a sinistra al posto della colomba, come negli affreschi pisani.

In alto l’annuncio dell’angelo non a un pastore, ma un viandante, con il bastone sulle spalle e il fagotto (ormai poco visibile), seguito da un dinamico cane bianco con collare anti lupo.

Straordinaria la suggestione che rimanda all’arcano del Matto dei Tarocchi; in tal caso sarebbe la prima raffigurazione storicamente nota.

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Al piano nobile (primo piano) gli affreschi liberty raffiguranti iris o gladioli, tipici fiori che crescono spontanei sulle colline di Saliceto, e i due grandi camini rinascimentali in entrambe le sale principali, con varie raffigurazioni caratteristiche dell’epoca. Da notare infine gli affreschi dei soffitti, con un particolare riferimento al soffitto al primo piano nella torre di Sud-Est, probabilmente il più antico, con grottesche classiche settecentesche.

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Planimetria di Saliceto del 1911, dove si può constatare chiaramente l’antico impianto urbano del paese, unico in Valle Bormida: un quadrato fortificato, un tempo circondato da fossati profondi colmi d’acque sorgive, ora corrispondenti a Via dei Fossi e a Via Venti Settembre (localmente detta drè dai fòsci: dietro ai fossi).  

La planimetria denota a destra una scacchiera che si va restringendo verso Sud, risalente probabilmente a un accampamento romano (già oggetto di tesi di laurea: il decumano corrispondeva a Via Vittorio Emanuele e il cardo a Via Umbero I°); mentre a sinistra è evidente un ricetto medioevale che pare un proseguimento del castello.

In questa mappa sono presenti tre chiese contrassegnate da croci: la parrocchiale di San Lorenzo, Sant’Agostino retrostante e Santa Elisabetta sul lato opposto del borgo antico. Una quarta chiesa era ubicata all’interno del castello, consacrata a Santa Maria (come da un documento del XVI secolo). 

Il direttore dell’Osservatorio astronomico di Brera ha evidenziato che le tre chiese sul lato Nord del borgo: Santa Maria in Castello, San Lorenzo, Sant’Agostino corrispondono alle tre stelle della cintura di Orione; mentre la chiesa di Santa Elisabetta, sul lato opposto, coincide con la stella di Orione. Chiese sorte probabilmente su templi antichissimi, disposti come le tre grandi piramidi di Egitto nella piana di Giza e la Sfinge.

CHIESA DI SAN LORENZO

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Questa chiesa è uno dei più bei monumenti rinascimentali in stile toscano in Europa. Come si può ben notare, la facciata presenta numerose e raffinate sculture a bassorilievo che la caratterizzano come una pagina “dalle pietre parlanti”. Simboli che alludono a un percorso alchemico, evidenziato da una rosa dai 5 petali a spirale, e un percorso esoterico con la rosa di San Giovanni a 5 petali, e un percorso esoterico con la rosa di San Giovanni situata al centro della lesena sul lato opposto della facciata. Inoltre, vi sono palesi riferimenti templari, simboli zodiacali riferiti al divenire delle stagioni, ed è persino presente un lato magico.

Questa chiesa, voluta dal cardinale laico Carlo Domenico Del Carretto, che per pochi voti non divenne papa nel conclave dei 1513, fu eretta quand’era arcivescovo di Cosenza e signore di Saliceto (con Paroldo, Camerana e parte della Rocchetta di Cengio), tra il 1489 e il 1505. È stata datata tramite i suoi stemmi arcivescovili sulle lesene laterali della facciata e all’interno della cupola; in alto, nel timpano, spicca il suo stemma cardinalizio posto successivamente.

LA PARROCCHIALE DI SAN LORENZO

A più di due metri di profondità, cocci di ceramica lasciano supporre la presenza in origine di un tempio pagano. 

 

San Lorenzo sorge su due chiese precedenti: una romanica, più grande dell’attuale, e un’altra paleocristiana, probabilmente bizantina;

entrambe evidenziate da recenti risanamenti perimetrali.

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Il nome di Carolus de Caretto card. De Finario, distanziato da triangoli, è scolpito sull’architrave centrale d’accesso, a indicare come questa chiesa sorse inizialmente con funzione di mausoleo.

Dettaglio che s’accompagna a un piccolo mistero: la chiesa ultimata all’inizio del 1500 e ampliata in epoca barocca con cappelle laterali, rimase sconsacrata per 240 anni, nonostante vi si svolgessero le santi funzioni religiose. Fu consacrata alla vigilia di san Lorenzo, il 9 agosto del 1740.

Sotto al grande architrave del portale centrale sono scolpite tre facce dai capelli ritti tra grappoli, rose e spine, quasi a intimorire chi entra. Una di queste teste ha gli occhi ma non ha le pupille, un’altra ha gli occhi e soltanto una pupilla e la terza ha occhi con entrambi le pupille, quasi ad esortare che in questa chiesa bisogna vedere e non soltanto guardare. 

La facciata poggia sui quattro elementi: acqua, fuoco, terra e aria, raffigurati nelle lesene dei portali laterali. Partendo da destra (come gli scritti di Leonardo da Vinci) riscontriamo il rospo alato, simbolo egizio dell’acqua  e le salamandre notoriamente simbolo del fuoco. Nelle lesene del portale di sinistra i frutti della terra e la simbologia dell’aria corrosa nei secoli dagli agenti atmosferici, essendo l’angolo più esposto alla tramontana.

Sul timpano del portale di destra il pellicano che nutre i propri figli:

importante simbolo eucaristico, che nell’alchimia allude all’opera al bianco, esattamente come fu rappresentato all’epoca da Leonardo da Vinci e da Hieronymus Bosch.

Sul timpano del portale di sinistra l’araba fenice che risorge dalle proprie ceneri: inequivocabile simbolo di resurrezione, che nell’alchimia conclude l’opera al rosso: il terzo e ultimo passaggio.

Questi simboli sono ripetuti nel portale centrale, su entrambi i lati, sopra all’athanor, il crogiolo dell’alchimista: l’acqua dell’anfora, il fuoco della torcia, l’aria raffigurata da un grazioso uccello e infine le melagrane a simboleggiare la terra.

Dal basilisco, corrispondente all’opera al nero nell’alchimia, comincerebbe il percorso alchemico, evidenziato dall’athanor.

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In realtà l’alchimia non è in antitesi con il messaggio cristiano, poiché allude al passaggio del nostro cuore dal piombo all’oro; una maturazione interiore in sintonia con il famoso verso dantesco: “Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”. Gli stessi doni dei Re Magi: mirra, incenso e oro sottointendono questa maturazione interiore, che porta alla salvezza.

Già Cicerone e Sallustio s’interrogavano duemila anni fa se questo misterioso filosofo fosse veramente esistito. Era considerato il più sapiente tra gli uomini, tre volte grande (trismegisto):

personaggio leggendario che ebbe un indiscusso successo in età ellenistica, quando veniva additato come il più grande dei sapienti, dispensatore di conoscenza, autore del “corpus hermeticum” e dell’“Asclepius”. In seguito, fu attribuita alla sua “sapienza segreta” l’origine dell’ermetismo; ed ebbe vasta diffusione tra gli intellettuali del Rinascimento.

Da Ermete Trismegisto la via iniziatica continua a salire. Dapprima attraverso la chiave di Ankh:

la chiave egizia della vita e della conoscenza che i faraoni erano soliti tenere in mano. Poi tra due rose, simbolo di purificazione. Quindi tra due ramarri, simbolo di metamorfosi interiore;

per approdare alle seduzioni del mondo, le tre belve incontrate da Dante nella selva oscura: le Sirene a seno scoperto, che alludano alla lussuria; le trombe della gloria, che rimandano all’orgoglio, e la borsa colma di denari, ovvero l’avidità.

Sopra due elmi, rivolti verso l’esterno nella lesena di sinistra, e verso l’interno nella lesena di destra. Le armi appese, simboli di pace, soprattutto interiore. Nella colonna di destra il cammino approda in una testa barbuta di filosofo, che non è un santo poiché manca dell’aureola.

Probabilmente Socrate, come raffigurato nel coevo pavimento del duomo di Siena, nell’intarsio della salita al colle della Conoscenza attribuito al Pinturicchio.

Nelle grandi lesene ai lati del portale principale, adornate di melagrane come le colonne dell’antico tempio di Salomone, si snoda la “via iniziatica”. Questo percorso si diparte dall’armonia universale di Pitagora, raffigurata da 4 strumenti musicali: la zampogna, il flauto, la viola e la cornamusa. Da qui, passando tra due caducei, simboli tipici delle farmacie, approda alle tre teste di Hermes Mercurius Trismegistus.

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Una divagazione è necessaria. Come non ricordare che sulla tomba di papa Innocenzo VIII nella basilica di San Pietro c’è una scritta enigmatica? “Novi orbis suo aevo inventi gloria”. “Durante il suo regno la gloria della scoperta del Nuovo Mondo”.

Papa Innocenzo VIII morì il 25 luglio 1492 e Cristoforo Colombo salpò dal porto di Palos nove giorni dopo: il 3 agosto 1492. Sta scritto: “novi orbis” e non c’è cenno alle Indie! Dove credeva d’andare Cristoforo Colombo.

Il riferimento ai Templari sta nel Baffometto con zampe di rana nel capitello in alto a destra, dai grandi baffi.

Infine, in entrambe le lesene, le arpie di Omero nell’Odissea: il cammino non è finito, occorre affrontare la prova finale, le seduzioni del mondo profano.

Ai lati esterni delle lesene del portale centrale 13 roselline a sinistra, tutte uguali; 14 a destra, tutte diverse, con la prima racchiudente la testa di un bimbo e l’ultima seminascosta da foglie di accanto. Ancora un fiore nascosto come nei gelsomini in castello, nella nicchia attribuita a maestranze di Federico II di Svevia, risalente alla prima metà del 1200.

A destra del portale centrale il mais degli Aztechi e dei Maya. Immagine curiosa, poiché quando fu edificata questa chiesa, Cortes non era ancora arrivato in Messico, nell’impero degli Aztechi.

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Apparve un’unica volta nella storia, nell’arringa accusatoria del gran cancelliere di Francia Guglielmo da Nogaret nell’anno 1309, che consentì la distruzione dell’Ordine Templare: “I frati della milizia del Tempio sono lupi nascosti sotto un aspetto da agnello. Sotto il sacro abito dell'ordine, con cappucci sul capo, insultano in modo sciagurato la religione della nostra fede.

Questi infami, che si atteggiano a nobili cavalieri, sono accusati di rinnegare Cristo, di sputare sulla croce, di lasciarsi andare ad atti osceni al momento dell'ammissione all'ordine. Tale è la loro perversione che assecondano i più bestiali istinti, propensi a concedersi l’un all’altro per rinsaldare la loro fratellanza, senza timore di contravvenire alle più elementari leggi umane. E adorano un idolo con volto baffuto, noto come il Baphômet, per gli enormi baffi…”

Da notare in alto, sui lati del portale centrale, la rosa e la spina, simbologia templare, sotto aquile imperiali.

E ancora. Le stagioni con i loro simboli zodiacali.

L’inverno nel capitello della lesena di sinistra, laterale al portale d’ingresso: le due facce di Giano con le corna del Capricorno, sottostante a due pesci. Giano, il dio del capodanno, che ha dato il nome al mese di gennaio. Quale migliore raffigurazione dell’inverno che comincia sotto il segno zodiacale del Capricorno e finisce con il segno dei Pesci?

Il capitello contrapposto con le chele del granchio: il solstizio d’estate che comincia sotto il segno del Cancro, anticamente del Gambero, a indicare il cammino a ritroso del sole nel cielo.

Infine l’architrave sul portale sinistro, dove sono scolpiti gli arieti alati simbolo della primavera, esattamente com’erano raffigurati a Babilonia.

E il lato magico? In cima all’ultima lesena di sinistra, nel capitello contrapposto al Baffometto, ecco la radice della mandragora, alla quale Niccolò Machiavelli nel 1512 dedicò una commedia, capolavoro teatrale del Rinascimento; con le sue infiorescenze maschili e femminili sopra e sotto la rossa croce dell’ordine mauriziano di sinistra.

Da notare infine le conchiglie di San Giacomo di Compostela sulla facciata della chiesa, poiché per secoli Saliceto costituì un’importante tappa sul percorso dei pellegrinaggi romei e iacopei.

Nella chiesa venivano esposte 14 reliquie, tra cui un pezzo della vera croce, probabilmente portato dai Templari, con tanto di rara autentica ecclesiastica.

Il capitello dall’elaborata bilancia con cavallucci marini, per alludere all’autunno.

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Anche l’interno della chiesa è rinascimentale.

Da annotare il mistero della via Crucis rubata, a eccezione di una tela volutamente distrutta;

ripristinata con copie delle tele originali. 

Da segnalare il pulpito, quanto resta della preesistente chiesa romanica: un magnifico calice esagonale di pietra finemente lavorato; raffigurante un frate e nei due panelli laterali Dioniso:

mascheroni con i virgulti che gli escono dalla bocca a sinistra e dalle orecchie a destra.

Metà del 1400, raffigurante Saliceto:

Chiesa di Sant'Agostino.

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L’antichissimo portico in curva: angolo suggestivo all’estremità Sud-Est del borgo antico, situato sotto la Torre delle Fontana risalente probabilmente all’Alto Medioevo. Questa torre, così chiamata per il pozzo tuttora esistente, in epoche remote una fontana, era ridossata all’ospedale per pellegrini corrispondente al numero 2 di Via dell’Ospedale, prossimo alla Porta della Marina. Da qui cominciava la strada della Marina, verso la chiesa di San Sebastiano, che portava in Liguria. Questa porta fu murata nel 1588, quando il marchese Scipione Del Carretto prese possesso del feudo di Saliceto, dopo averlo scambiato con quello di Zuccarello. Le porte del borgo erano tre, tutte dotate di una torre:

la succitata Porta della Marina o di Savona sul lato Sud, la Porta della Galera sul lato Est della cinta di mura, tuttora visibile da Via dei Fossi, e la Porta Cunea, sul lato Ovest, all’altezza del castello.

Antica pietra medioevale a metà di Via Cavour, emersa durante il restauro di questa antica casa del ricetto, che era pertinenza del castello. 

Raffigura un paiolo da muratore con lo stemma dei marchesi Del Carretto, due martelli ai lati e il triangolo per manico. I martelli sono rivolti verso l’alto: allusione alla capacità di queste maestranze d’edificare opere insigni. Lo stemma nobiliare sottintende che i Liberi Muratori, collegati ai Templari, operavano sotto la protezione dei marchesi Del Carretto.

Sulla destra una pietra anonima d’eguale dimensione; forse più intrigante ancora. La pietra levigata! Indispensabile per costruire qualsiasi edificio. Ma con una peculiarità: il numero 5 tracciato dai fossili milioni d’anni fa, in altro a sinistra, difficile da scorgere. Il numero simbolo della perfezione pitagorica, che ha dato origine al pentagono o pentagramma.

La pietra degli “Onesti Compagnons”

o dei “Francs-Maçons”

.. per chi volesse farsi un giro in paese

Un tempo Saliceto aveva molte torri, come Noli e Savona, almeno una dozzina se non il doppio. Ora tutte livellate all'altezza dei tetti. La più alta era la torre dell'Ocrio, mai individuata.

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Un progetto del Comune di Saliceto in collaborazione con

Associazione Note e Natura

Testi a cura di Guido Araldo

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