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PROTETTO DA COPYRIGHT TUTTI I DIRITTI RISERVATI Pagina 1

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Premessa una breve descrizione degli effetti del fallimento

1. Descrivere in particolare il cd. effetto dello spossessamento per il debitore e risolvere il seguente caso:

Tizio in data 28.08.2017 da ordine alla sua Banca di effettuare un bonifico di euro 50.000,00 a favore di Caio.

L’operazione viene contabilizzata, con accredito sul conto di Caio in data 29.08.2017.

In data 28.08.2017 viene dichiarato il fallimento a carico di Tizio e la sentenza viene depositata in cancelleria il 29.08.2017 e pubblicata nel Registro delle Imprese il 30.08.2017

Dire che sorte ha il pagamento di euro 50.000,00, dando le relative spiegazioni.

2. Descrivere la differenza tra l’inefficacia degli atti giudicati pregiudizievoli e quelli compiuti dopo la sentenza di fallimento.

3. Dire che sorte ha rispettivamente il contratto di somministrazione in caso di fallimento di una delle parti.

4. Dire che effetti ha la il fallimento di una snc nei confronti del socio receduto

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(NB: in caso di entrata in vigore della riforma, sulla base del cd. Codice della crisi e dell’insolvenza come si presenta oggi, i contenuti oggetto del presente svolgimento sostanzialmente non muterebbero in presenza di liquidazione giudiziale e non più di fallimento)

1.

GLI EFFETTI DEL FALLIMENTO IN GENERALE

Gli effetti della dichiarazione di fallimento sono disciplinati, oltre che dall’odierna legge fallimentare, anche dal codice civile e da altre leggi speciali.

Circoscrivendo la premessa ai soli descritti dalla legge fallimentari, tali effetti si dispiegano in quattro direzioni:

 nei confronti del debitore (artt. 42 – 50)

 nei confronti dei creditori (artt. 51 – 63)

 sugli atti pregiudizievoli ai creditori (artt. 64 – 71)

 sui rapporti giuridici preesistenti (artt. 72 – 83 bis).

La ratio comune ai suddetti effetti va rinvenuta nella necessità di assicurare la conservazione e l’incremento della massa attiva da un lato, e la cristallizzazione della massa passiva dall’altro.

In particolare, per quanto riguarda gli effetti nei confronti del debitore si hanno:

 lo spossessamento (art. 42 l.f. – art. 147 codice crisi; vedi ultra)

 l’inefficacia degli atti e delle formalità compiuti dopo la sentenza di liquidazione (art.44, 45 l.f. – 149 e 150 codice crisi)

 l’obbligo di comunicare al curatore il cambio di residenza o di domicilio (art. 49, co. 1, l. f.; 154 codice crisi);

 l’obbligo di consegnare al curatore la corrispondenza riguardante i rapporti compresi nella procedura (art. 48 l.f. ; art. 153 codice crisi);

qualora ci si trovi di fronte ad una società, gli obblighi personali gravanti sul fallito vanno considerati in capo agli amministratori o ai liquidatori;

 la perdita della capacità di stare in giudizio personalmente nelle cause a contenuto patrimoniale; i giudizi in corso (art. 148 codice crisi; art. 43 l. f.), si interrompono a seguito della sentenza di liquidazione .

Tale limitazione è peraltro relativa a quei rapporti patrimoniali che ricadono nell’ambito della procedura, mentre il debitore conserva la piena capacità processuale in relazione ai rapporti di natura personale ed a quelli di carattere patrimoniale che non ricadono nella procedura (ai sensi dell’art. 151 codice crisi ; 46 l.f.).

Il debitore può peraltro sempre intervenire nei giudizi dai quali potrebbe derivare un’imputazione penale a suo carico o l’intervento è previsto dalla legge.

Per quanto riguarda gli effetti nei confronti dei creditori, tra i vari, quelli che principalmente soddisfano la ratio di cui sopra sono:

- il divieto di azioni esecutive individuali, tranne per i crediti garantiti da pegno o assistiti da privilegi speciali con diritto di ritenzione di cui agli articoli 2756 e 2761 c.c., (che possono essere realizzati anche con azioni individuali, dopo che sono stati ammessi al passivo del fallimento con riconoscimento della prelazione) (art. 155 codice crisi; 51 l.f.);

- l’apertura del concorso (art. 156 codice crisi - 52 l.f.);

- la scadenza anticipata dei crediti alla data del fallimento (art. 159 codice crisi -55 l.f.);

- la sospensione del decorso degli interessi sui crediti chirografari (art. 159 codice crisi - 55 l.f.);

- la possibilità di compensazione dei debiti coi crediti verso il fallito (art. 160 codice crisi – 56 l.f.);

- la conversione in denaro dei crediti non pecuniari secondo il loro valore alla data del fallimento (art.

163 codice crisi -59 l.f.).

Circa gli atti pregiudizievoli ai creditori, l’apertura della procedura può portare, con modalità e presupposti diversi, alla declaratoria di inefficacia di alcuni atti posti in essere dal debitore prima del fallimento (vedi oltre).

Per quanto concerne, infine, i contratti in corso al momento dell’apertura della procedura, la loro sorte (scioglimento o prosecuzione) dipende dalle circostanze previste dal legislatore, tutte comunque

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riconducibili ad una serie di considerazioni: quale contraente è fallito, la natura fungibile o infungibile della prestazione della parte fallita, la convenienza del contratto per il fallimento (vedi oltre).

2.

LO SPESSESSAMENTO DEL DEBITORE

Una delle norme cardine della procedura di fallimento è quella che sancisce, quale effetto della sentenza di apertura della procedura, il pieno spossessamento del debitore nei cui confronti la sentenza viene pronunciata ex primo comma art. 42 l.f.: la sentenza che dichiara aperto il fallimento priva dalla sua data il debitore dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni (art. 147 codice crisi).

Si tratta del cd. effetto dello spossessamento, finalizzato da un lato ad evitare che il debitore possa depauperarare il suo patrimonio, dall’altro a consentire agli organi della procedura di gestire ed alienare il patrimonio nell’interesse dei creditori; il curatore subentra sia nell’amministrazione giuridica che nella disponibilità dei beni.

Lo spossessamento comprende sia i beni presenti, sia quelli che eventualmente pervengono al debitore in corso di procedura, dedotte le passività incontrate per l’acquisto e la conservazione dei beni medesimi (per tale ragione il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, può rinunciare ad acquisire i beni qualora i costi da sostenere per il loro acquisto e la loro conservazione risultino superiori al presumibile valore di realizzo).

Lo spossessamento è meramente strumentale al fallimento, infatti, fino al momento della liquidazione, il debitore non perde la proprietà dei beni, ma solo la disponibilità degli stessi.

A norma dell’art. 46 l.f., (151 codice crisi) lo spossessamento non riguarda una serie di beni, che ne restano esclusi in assoluto o relativamente, al fine di garantire il sostentamento del debitore e della sua famiglia, nonché il rispetto della sua persona e dignità.

Sono esclusi in assoluto:

 i beni e diritti di natura strettamente personale

 i beni impignorabili

 i frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli

 i beni costituiti in fondo patrimoniale e i loro frutti .

Sono esclusi dallo spossessamento, previo provvedimento del giudice delegato e tenuto conto della condizione personale del debitore e della sua famiglia: assegni a carattere alimentare, stipendi, pensioni, salari e ciò che il debitore guadagna con la sua attività, trattamenti di fine rapporto, assicurazioni sulla vita.

Quanto alla casa di abitazione, il debitore ha diritto di utilizzarla fino alla vendita (art 47 lf.).

Per evitare che il fallito comprometta il proprio patrimonio, ormai destinato al soddisfacimento dei creditori concorsuali, l’art. 44 l.f. (149 codice crisi) sancisce che tutti gli atti compiuti dal debitore e i pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori. In particolare, sono inefficaci anche i pagamenti successivi posti in essere a seguito di provvedimento del giudice dell’esecuzione anteriormente alla procedura, in quanto l’effetto satisfattivo del terzo si ha al momento dell’effettivo incasso.

Simmetricamente, sono inefficaci i pagamenti ricevuti dal debitore dopo la sentenza di apertura della liquidazione.

L’art. 44 l.f. (149) non opera in relazione ad atti e pagamenti connessi ai beni esclusi dallo spossessamento e di cui all’art. 46 l. f. (151).

2Bis. Il CASO Premesso che:

 in data 28.08.2018 Tizio ordina alla banca di pagare mediante bonifico la somma di 50.000,00 a Caio;

 la somma viene materialmente accreditata sul conto di Caio in data 29.08.2018;

 per i versamenti mediante bonifico è rilevante la cosiddetta "data contabile" e, pertanto, il pagamento da parte dell’ordinante si considera avvenuto alla data in cui è avvenuta l'annotazione dell'accredito sul conto del terzo e non la data in cui è stato impartito l’ordine;

 in data 28.08.2018 viene dichiarato il fallimento a carico di Tizio;

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 in data 29.08.2018 viene depositata la sentenza in cancelleria;

 in data 30.08.2018 viene iscritta la sentenza nel registro delle imprese;

 ex art. 44 l.f. (149) sono inefficaci i pagamenti effettuati dopo l’apertura della procedura (sentenza di fallimento) ;

 la sentenza produce effetti nei confronti dei terzi, ex art. 16 terzo comma l.f. (53 codice crisi) dalla data di iscrizione nel R.I.;

come dies a quo per l’inefficacia ex art. 44 l.f. (149) verso i terzi si considera quello della iscrizione nel R.I.

Tanto premesso, poiché il pagamento da Tizio a Caio risulta effettuato alla data del 29.08.2018 e la sentenza è stata iscritta nel R.I. il giorno 30.08.2018, si conclude come segue.

Un pagamento effettuato prima del deposito in cancelleria della sentenza dichiarativa sarebbe stato efficace (al limite, censurabile sotto il profilo della pregiudizialità, ricorrendone i presupposti).

Se viceversa, fosse intervenuto dopo l’iscrizione nel registro delle imprese della sentenza, il pagamento sarebbe stato inefficace nei confronti dei creditori anteriori alla dichiarazione del fallimento.

Ma se, come nel caso in esame, il pagamento è avvenuto tra il deposito della dichiarazione di fallimento e l’iscrizione della stessa nel registro delle imprese, esso è inefficace ex art. 44 L.F. (149 codice crisi), ma tale inefficacia è inopponibile al terzo in forza dell’art. 16, comma 3 l.f., a meno che non venga provato che quest’ultimo fosse a conoscenza del fallimento, secondo quanto stabilito dall’art. 2193 c.c.

In altri termini, la riconduzione degli effetti nei confronti dei terzi a un sistema pubblicitario differente da quello della pubblicazione della sentenza (di fallimento) e analogo a quello previsto dall’art. 2193 c.c. che, in tema di impresa, considera prevalente il principio dell’apparenza del diritto e dell’affidamento del terzo, meglio tutela l’incolpevole aspettativa del terzo.

Una simile interpretazione appare coerente con il sistema della pubblicità legale, che da un lato pone a carico di chi vi abbia interesse l’onere di provvedere all’adempimento delle formalità pubblicitarie al fine di rendere determinati atti opponibili ai terzi, e dall’altro pone a carico dei terzi l’onere di verificare l’adempimento di tali formalità pubblicitarie, senza però ricevere un pregiudizio qualora le stesse non siano state eseguite.

In conclusione, il pagamento potrà di 50.000,00 euro potrà essere reso inefficace solo provando che Caio era a conoscenza dell’intervenuto fallimento al momento dell’accreditamento, nonostante la non ancora intervenuta annotazione della sentenza nel R.I.

(In realtà, però il pagamento va richiesto alla banca, che ha effettuato un’operazione ormai sine titulo, la quale potrà poi agire nei confronti di Caio ex art 2033 c.c. -ripetizione dell’indebito).

3. DIFFERENZA TRA INEFFICACIA ATTI PREGIUDIZIEVOLI E ATTI COMPIUTI DOPO L’APERTURA DEL FALLIMENTO.

Tanto l’art. 44 l.f. (149 codice crisi), quanto la disciplina degli atti pregiudizievoli ai creditori di cui agli 64 e ssg. l.f. (168 e sgg. codice crisi) sono accomunati dalla sanzione dell’inefficacia, per quanto esse si poggino su presupposti e finalità differenti.

Come anticipato, l’inefficacia ex art. 44 l.f., è un mero corollario dello spossessamento, che non avrebbe forza sufficiente se tale sanzione non fosse prevista: più precisamente, se lo scopo del legislatore è quello di impedire al debitore di impoverire la massa attiva attraverso una gestione rischiosa della stessa, privare di ogni effetto giuridico eventuali iniziative dello stesso, meglio assicura il raggiungimento di tale scopo.

Inoltre la declaratoria di inefficacia prescinde da ogni valutazione dell’elemento soggettivo dell’altro contraente, essendo rilevante esclusivamente il momento in cui viene posto in essere l’atto di disposizione, cosicché il terzo dovrà restituire quanto ha ricevuto dal debitore, e ciò sia che l’atto o il pagamento sia stato posto in essere con dolo, sia che sia stato posto in essere in buona fede.

Diversamente, gli atti posti in essere prima del fallimento e divenuti inefficaci o ex lege (artt. 64, 65 l.f. – 168 /169 codice crisi) o a seguito di revocatoria (art. 66 - 67 l.f.; 170 – 171 codice crisi), sono sanzionati per il fatto che, pur potendo essere compiuti dal soggetto in quanto non ancora spossessato, erano

“inopportuni”, in quanto lesivi della par condicio creditorum.

In tale contesto, l’inefficacia di tali atti è lo strumento giuridico attraverso il quale il legislatore ricrea una situazione di parità di trattamento, ridistribuendo la perdita dovuta all’insolvenza del debitore tra coloro

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che si trovano a essere creditori all'apertura della procedura e coloro che a vario titolo sono entrati in rapporti con lui prima; in tal modo, il terzo che ha agito col debitore insolvente viene posto nella medesima condizione dei creditori insoddisfatti all’apertura della procedura.

Motivo per il quale, se in genere, per l’inefficacia ex art. 44 l.f. (149) è irrilevante l’elemento psicologico del terzo, per gli atti pregiudizievoli, in ragione del periodo in cui è stato compiuto l'atto e della natura e degli elementi caratteristici dello stesso, appare rilevante la consapevolezza del terzo di partecipare con l’insolvente ad un’operazione che altera la par condicio creditorum.

4. IL CONTRATTO DI SOMMINISTRAZIONE

Non esiste una norma dedicata al contratto in oggetto, ma lo si può ritenere disciplinato dall’art. 74 l.f.

(184 codice crisi) che si rifà sostanzialmente all’art. 72 (177) nei primi due commi.

Se è fallito il somministrato, il contratto è sospeso e il somministrante può mettere in mora il curatore affinché scelga se sciogliere o proseguire il contratto.

Decorso inutilmente il termine assegnato dal G.D., la somministrazione si scioglie e l’eventuale credito del somministrante potrà essere soddisfatto mediante insinuazione al passivo.

In caso di subingresso da parte del curatore nelle ragioni del somministrato, dovrà pagare integralmente le prestazioni già ricevute.

Se viene fallisce il somministrante, se delle prestazioni sono già state eseguite, il contratto non si scioglie;

ma se la fornitura è ancora del tutto ineseguita, il curatore ha ancora l’alternativa tra scioglimento (con relativo diritto all’insinuazione al passivo per il somministrato che abbia pagato tutto o parte della prestazione in anticipo) e subingresso nel contratto.

5. RECESSO E FALLIMENTO

Per il combinato disposto tra l’art. 2290 c.c., che sancisce la permanenza della responsabilità personale dell’ex socio per le obbligazioni sociali assunte nel tempo in cui apparteneva alla compagine sociale e l'art.

147 l.f. (261) che dispone che il fallimento per estensione ai soci non può essere dichiarato una volta trascorso un anno dallo scioglimento del rapporto sociale, ne deriva che anche il socio receduto può essere dichiarato fallito insieme alla società entro un anno dal recesso.

In questo modo, la permanenza della responsabilità del soggetto anche per i debiti contratti dalla società quando era socio, con i relativi effetti, trova un limite temporale, dando un senso al recesso.

E’ però evidente che se lo stato di insolvenza della società si è determinato quando il socio receduto più non faceva parte della compagine sociale, non vi è motivo di estendere a costui la procedura.

A tal fine, si ribadisce l’importanza della pubblicità della dichiarazione di recesso ai sensi dell’art. 2290, comma 2°, c.c., in mancanza della quale essa non è opponibile ai terzi, e se anche fosse avvenuta oltre un anno prima della sentenza dichiarativa di fallimento (liquidazione), sarebbe irrilevante poiché il rapporto societario per quanto concerne i terzi è ancora a quel momento in atto.

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