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COMMEMORAZIONE DEL SENATORE ANTONIO CAVERI GIÀ P RESID EN T E DELLA SOCIETÀ PAROLE DEL VICE-PRESIDENTE GIUSEPPE MORRO NELL ADUNANZA GENERALE

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COMMEMORAZIONE

D E L SE N A T O R E

A N T O N I O C A V E R I

%

GIÀ PRESIDENTE DELLA SOCIETÀ

PAROLE DEL VICE-PRESIDENTE

G I U S E P P E MORRO

N E L L ’ ADUNANZA GENERALE

D E L I I I A P R I L E N D C C C L X X

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De m o r tu i la u d e , cum quid veri e r a t, p ra e d ic a tu m .... F u it enim liic v ir, non so lu m e r u d it is s im u s , sed etiam c iv is e rep u b lica m a x im e , tuendaeque c iv ita tis p e r itis s im u s . Cic. De Leg. 1. 2.

S o l i t o a tacermi ascoltando le dotte vostre parole, o rrevolissim i socii, ardisco oggi schiudere il labbro in lode di A n to n io Gaveri che della nostra Società fu presidente nel 1866. Al suono di un nome sì caro e venerato spero a v e re da voi compatimento, non che perdono, se imprendo u n te m a assai ponderoso alle mie forze. Sarò almeno s c u sa to d’ avere obbedito a Chi ci presiede, a tal uomo cui q u esto compito per ogni titolo si addiceva ed il quale a v ria sa p u to preparare con eleganza una commemora­

zione deg na del lodato, degna del lodatore.

Il g io rn o in cui si spegneva vita tanto preziosa quale e ra q u ella del nostro Gaveri fu veramente giorno nefasto pel Foro, pel Municipio, per la Università degli studi, per G enova t u tta , pel Senato Italiano, per tutta Italia, per

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( vili )

tulto il mondo scientifico. Ogni ordine di c ittad in i si scosse all’annunzio di sì impensata disparizione di un uomo cotanto dotto, benefico ed operoso; com e e le ttric a favilla l’ infausta nuova corse dalle officine ai palagi, dalla casa del povero alla magione del ricco, dalle scuole infime agli Istituti e alle Accademie; ed u n lu tt o spon­

taneo si diffuse, ed occupò tu tti gli animi la più pro­

fonda mestizia. Tutti quelli che ammirato a v ev a n o quel raggio d’ingegno, quella generosa indole, quel sagacis­

simo oracolo di consigli, quel Giureconsulto dottissim o nell’insegnare, facondo nel perorare, acutissimo nel di­

scutere, abilissimo nel maneggiare affari gravi, sì pubblici come privati, quel felice trovatore di forinole nel t u t e ­ lare interessi, quel facile compositore di liti, accorsero in folla accompagnando la sua mortale spoglia alla fu­

nebre casa. L’eletta dei maestrati, degli s tu d e n ti, degli avvocati, dei procuratori e dei notari; i c u lto ri d’ ogni scienza e d’ogni arte; i naviganti, tutte le classi del com­

mercio, gli operai, e gli stessi uomini che fa tic a n o nei lavori i più umili della industria, e, in cim a a t u t t i , il Sindaco ed il Prefetto portarono su quella b a r a il t r i ­ buto dell’affetto e della estimazione. Nè, a ra p p re se n ­ tare la nostra Società, vi mancarono i principali e il no­

stro ottimo Capo. E chi con calde parole, e chi con la eloquenza del muto sembiante, e tu tti con la c rim e negli occhi dissero a Lui vale, a Lui che avea la sc ia to nella moglie e nei figliuoli lo stesso aspetto di desolazione e di affanno. Splendide arringhe infiorarono q u elle spoglie, e gli avvocati Cesare Gabella, Tito Orsini, e Giuseppe De Giorgi, illustre triumvirato della eccellenza nelle no­

stre giuridiche discipline presentarono alla m o ltitu d in e , in bella gara, le lodi dell’ estinto. Cui si u n i il P r io r e dei Causidici Marcello Graffagni con affettuosa facondia.

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M a io che 1’ avea veduto ancor garzonetto entrare in collegio n ella dotta Lucca, che per cinque anni gli fu n u tric e , io che l’avea veduto crescere e grandeggiare ra­

p id a m e n te negli studi classici e nelle scienze algebriche nelle quali fu veramente aquila sui condiscepoli, io che a v e a a m m ira to il suo incessante ardore di apprendere, con quégli occhi sempre intenti nei libri anche nelle ore della ricreazione; io che Pavea piaudito più volte allor­

quando raccolse nelle scuole premii e diplomi, io che a v e v a p a ssa ti con lui i primi anni dell’avvocherìa nel­

l’ a u d ito rio di Luigi Casanova, impareggiabile Giurecon­

sulto, io vissuto la maggior parte dei nostri giorni con lu i, collega nel Foro, nell’ Università, al Municipio, non potei re g g e re a sì doloroso commiato.

E a n c h e ora che molti giorni trascorsero da quello s tra zio del cuore sento venir meno il pensiero e la pa­

rola, assum endo la rimembranza e la sposizione della sua v ita . L a q uale, appena laureato e compiuto il tirocinio b ien n a le presso quel Professore Casanova da cui prese l ’in au g u razio n e della sua legale carriera, cominciò a m an ifestarsi operosa ed integra nella direzione e tratta­

zione delle cause commerciali, civili e canoniche. Si fu a llo ra che il Caveri, sui venticinque anni, cominciò a ri­

splendere per senno prematuro siffattamente da divenire c o n s u lto re ai più provetti giudici ed avvocati.

Nè i c a ri studi del diritto abbandonò in mezzo al tu rb in io dei litigi; perocché aggregato alla Facoltà di legge in questo Ateneo venne nel 1847 innalzato alla n u o v a C attedra dei Razionali del diritto. Erudito sin dai più te n e r i anni nelle lettere greche, ed imbevuto delle d o ttrin e platoniche che sono la base dei responsi ro­

m ani , coltivatore indefesso della letteratura germanica e conoscitore dei bei lavori di Glùch, di Puchta, di

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Zeidler, di Christian e di Iering sulle leggi del Digesto;

versato nelle teorie dei Legisti americani, L o v i m e r , Leri, Cooper e Lhatany; non digiuno della Filosofìa indiana e chinese, potè il Gaveri ornare le sue Prelezioni di tu tto quanto lo scibile a cui si legano le ragioni in tim e del diritto, insegnandone non il razionalismo, m a s'i la vera filosofìa. E perciò che sebbene avesse letto con ardore e lungamente meditate le opere di K a n t, di Shelling, di Fichte e di Hegel si guardò dall’ad o ttarn e i perico­

losi filosofemi, i quali, come osservò re c e n te m en te un illustre critico inglese in un rendiconto del prim o vo­

lume della Storia Romana di Moinmsen, sono pericolose astruserie nella stessa Germania, ma fuori di G erm ania recati in altre lingue suonano un gergo oscuro. E d io rammento come spesse volte, ragionando egli meco del Kant, oh! quanto, diceva, è egli diverso dal divino P l a ­ tone; il quale colla idea innata, e colla creazione ti spiega la realità dell’io e di tutto il mondo e ste rio re , mentre il Platone di Konisberga, facendo del tem po e dello spazio un modo di sentire dell’ io , e n o n facendo esistere le cose che nel me o nel soggetto, rid u c e t u t t o il creato ad una creazione dell’ uomo. E cosi il giusto e l’ingiusto non vengono ad essere che idee d ell’ io.

Ond’èche se il soggettivo legislatore forinola u n a legge fondata sul giusto, l’oggettivo chiamato ad obbedirla la esamina, facendosi soggettivo, e la critica, e le si ribella legittimamente, perchè una idea diversa del g iu s to s ta nel suo spirito. Ed in tal guisa, che mai divengono lib e rtà e dovere ? che divengono i popoli ? che è Dio ? finzioni del soggettivo. Con questa filosofia l'io si p e rs u a d e rà che i popoli e i regni, l’umanità intera ponno fare a m eno di quell’altro oggettivo che è la morale e la legge. E se

l’io non le troverà in sè, ove mai si r itro v e ra n n o ?

( X )

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E q u e s ta ragion pura di Kant (mi soggiungeva il G averi) com e potrà ricevere il correttivo d i ’ ei vuol ri­

t r a r r e d alla ragion pratica? Fra l’una e l’altra havvi un abisso. Questa tavola nel naufragio ti sfugge, e il g iu sto a sso lu to , e il bene assoluto spariscono. La ragion p u ra , e la pratica, e tu tti gl’ imperativi categorici si som­

m erg o n o in mare senza fondo. Nè vi ripara il Fichte con q u ella sua apoteosi della umana individualità, perchè il m e divinizzato non è che il Satanno di Milton in mezzo alle te n e b re . Dond’esce verità, scienza, morale? dal me che si contem pla, e poi si sveglia da questa estasi, e g rid a son libero ! In questa libertà illimitata trova un ostacolo, il non me! Lo considera, epperciò lo crea; per­

chè se n o n vi fosse il me, neanco sarebbevi il non me.

È perciò che il me è voi, il me è il mondo tutto, il m ondo è m e ! Cosi la individualità di Fichte è assorta in quella di tu tti, e tu tti rimangono assorti nella indi­

v id u alità . E d ecco in nebbia dissolversi l’una e l’altra;

sparisce così ogni idea del diritto delle persone, e il S a ta n n o di Milton ritorna al suo caos.

Questo idealismo o panteismo che voglia dirsi spiacque a Shelling. Egli andò in cerca della realità, e disse:

an im a della filosofia è 1’ idea, la realtà è il corpo; u- niam oli e avremo la vita. Ma sciolse egli il problema?

A m m e tte egli l’assoluto, ma lo fa sempre creare dallo sp irito ; lo fa perciò dipendere dal soggettivo, e così anche questo filosofo trovasi sul sentiero di Kant ove è smar­

rito ogni principio della personalità e del diritto. Il di­

r it to riducesi, secondo Shelling, ad una raccolta di casi p ra tic i; e così vien fuori quella ragion pratica che non può vivere e stare insieme colla pura ragione. Hegel studiossi di adempiere un tanto vuoto colla sua filo­

sofia sociale per iniziar V uomo ai diritti e ai doveri; ma

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le triadi hegeliane sono aneli’esse gerghi, e sogni d’ in ­ fermo; il caos di Satanno sull’uscio degli abissi non è più inestricabile. Che è questo essere, q u esta e sisten za , questo concetto ? che è il fenomeno, l’esìstente, e la l'ealità?

che è V oggetto, il soggetto, e l’ideai Come in te n d e re quello spirito soggettivo, oggettivo, e assoluto? Com e spiegasi con ciò il dominio della morale ? la libertà ? il giusto ? Secondo lui il diritto è l’ impero della lib e r tà che si svolge per la volontà. La volontà contiene in sè il me!

esprime il passaggio del me al determ inato, il rito rn o del me in lui stesso. Ed ecco pure l’ Hegel a r r e t a t o ai lacci di Kant. Queste scuole fecero esse m ai pro gredire di un passo la filosofia del diritto? Che resta di t u t t e queste forinole? che resta della grande filosofia g e rm a n ic a ? quai sono le glorie, e quali gli allori? un imm enso tra v a g lio per rigenerare sofismi antichi con nuovi vocaboli ! teorie che cavalcano sulle nuvole come le streghe di G oethe;

libertà sconfinata nell’apoteosi dell’individuo, fatalism o cieco, assoluto, isolato, e tiranno; errore o v u n q u e , e d i­

sperazione nella impotenza di qualsiasi applicazione so­

ciale. Ecco perchè il Caveri nelle sue Lezioni di Filo­

sofia del diritto temperò il razionalismo d’ H egel colle tradizioni della scuola platonica cos'i felicem ente in n e­

stata alla fede cristiana : filosofia vera che albeggiò, come bene avea notato il nostro Vico, nella a n ti c a sapienza italiana dalla Provvidenza condotta per m ezzo delle r o ­ mane conquiste a maturare i divini veri d ella religione cristiana, onde poi si illuminarono le c a rte di quel d’A - quino, e poi del Ficino, del Pico della M ira n d o la e del Patrizi, e d , alla nostra età, del Galluppi, del R osm ini, del Gioberti e del Mamiani, i quali seppero far p a ssa re dal cielo greco allo italico le maravigliose a rm o n ie del vero, del bello, del buono, e del giusto.

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Il c "averi con quella onniraoda intelligenza, col suo savio eccletism o, fece suo prò delle dottrine del Savigny, senza p e rò essergli troppo ligio, perchè sebbene questo g r a n d ’ uom o ponesse da banda le astruserìe de’ suoi con­

n a zio n a li nel dar la teoria della legge, nullameno peccò egli p u r e nel ritenerla come un semplice fatto storico.

Il d i r i t t o , secondo lui, è un elemento necessario, fatale, espresso d alla immensa n a tu ra organica di un popolo.

Il d iritto , secondo lili, ha sue radici nel corpo medesimo di u n a nazione ; cresce e vegetasi, e spande i suoi rami e fru ttific a in virtù di. una interna energia. E come la lin g u a ; e siste nelle costumanze, nelle credenze, e nelle v iscere delle popolazioni. Yien dal di dentro, non dal di fu o ri; n o n è opera del pensiero, non è il capriccio del le g isla to re , ma la manifestazione della vita attiva, so­

ciale. L a m en te umana (secondo lui) non dee decretare il d i r i t t o , m a debbe inchinarsegli; la legge passa spon­

ta n e a , e procede cogli a tti solenni della umanità. In q u e s ta te o ric a del Savigny ben vide il Gaveri l’intendi­

m e n to generoso di debellare il barbaro predominio dei codici di u n a nazione imposti ad altra nazione, e ben ric o n o b b e molto di buono e di vero in quella scuola;

m a n o n a t a l punto di dover dimezzare la definizione di U lpiano, il quale, nel presentarci il nobile e vero con­

c e tto della Giurisprudenza, la predicò per tutto il mondo civile siccome una nozione delle cose divine ed umane, e siccom e una scienza del giusto e dell’ingiusto : defini­

zione che h a vinto il silenzio di venti secoli.

Il S a v ig n y attenendosi alla semplice derivazione umana lasciò p erdere la divina. Disse che il diritto vien dal di de n tro , non dal di fuori ; ma in ciò s’ingannò. Egli con­

fuse il d iritto col legislatore, l’assoluto col relativo, il necessario col contingente. Vi son leggi opera dell’ uomo,

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ma vi son leggi clic l’uomo non ha fatte. 11 g iu sto e l’ingiusto, che tanto suonano alla coscienza dell’ uomo, nella origine loro sono idee divine, che d e riv a n o dalla Divinità a cui l’ uomo è stretto per tanti r is p e tti. La catena omerica delle cose divine e umane n o n può ro m ­ persi in due, nè tantomeno si può ripudiare la prim a, e attenersi alla seconda. Chi negherà lo sv o lg im en to delle cose umane in inferenza alle divine? Sia p u re che la volontà generale faccia la legge, ma a d o ra n d o una volontà superiore, adorando il giusto a sso lu to : ed ecco il vincolo naturale, e il divino. .Uno dei p rim i aliati della giustizia è l’ amore, e il rispetto dell’uom o : a questo s’inspira la forinola della legge. Questa forinola in r e - lazione ai climi, ai tempi, ai costumi è m u ta b ile e passa; *

ma il giusto ed il vero a cui s’ informa n o n passano.

Ond’è che la legge fu definita — una v e r ità m a t u r a , possibile. — L’ uomo protetto da tutto ciò che vi h a di divino nella legge, debbe obbedienza alla forinola della legge, ed è libero tanto più quanto le è servo ; per q u esta via il diritto riconduce l’uomo a Dio. T rasim aco , presso Platone, ha preceduto Savigny dicendo che le leggi son l’arbitrio dei principi; Galicle dicevale opera della plebe.

Cicerone non vide nella legge che aliquicl a e te r n u m quod universum mundum regeret, imperandi prohibendtqice sa ­ pientia (De leg. 1. 1. c. 10, 1. 2. c. 4). I qu ali principii veramente razionali sponeva copiosamente il com p ian to Professore non solo ai suoi discenti, ma sì a t u t t o il Corpo Universitario ed alle maggiori A u to rità, lorquando inaugurando il corso scolastico del 1860 m o s tr ò nella umana storia l’alto ufficio che compiono le U n iv e r­

sità degli studi in tutti i tempi, e spiegò a lla nobile e assiepata udienza il magnifico processo di quelle is ti­

tuzioni ove il Cristianesimo ed il .MonachiSmo hanno

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l a r g a p a rte , favoreggiato dalle italiane repubbliche, che d iv ennero il più grande fattore di civiltà portando la fiaccola del sapere in tutto il buio europeo, raccogliendo cosi le reliquie greche e latine, e spargendo per ovunque i semi del risorgimento delle scienze e delle arti. Esor­

t a v a egli in questa orazione i nostri reggitori ad allar­

g a r e q u e s ta moltiforme palestra ove la generosa gio­

v e n tù fa sue prove, e si addestra alle vittorie dello spi­

r ito s u lla m ateria, sotto la grand’ ala della libertà e dell’ u m a n a eguaglianza. Questa orazione e la grande a u t o r i t à acquistata sin da quel tempo in tutti gli affari pubblici dal Gaveri gli furono meritamente scala ad es­

sere e le tto Senatore del Regno e Preside della Facoltà di L egge, p e r salire poi in questi ultimi anni alla carica di R e t t o r e della nostra Università.

L a e ru d iz io n e , che il Gaveri sfoggiava nella scuola, p o r tò tem p e ra ta m e n te ancora nel Foro ove sempre era a s c o lta to c o n religione, sapendo egli condire con piacevoli m o tti le su e discussioni ; e siccome avea preso vital nu­

t r i m e n t o nel testo della legge romana, ad esempio dei som m i giureconsulti Affricano, Paolo, Callistrato, Tri- fonino, N e rv a , e di cento altri, si fece ammirare pel fermo ra z io c in a re , per la concisione, per l’acutezza, per la pre­

cisione ed efficacia della parola. Schietto e categorico r i t r a e v a l’ accuratezza di Muzio Scevola, il principe delle definizioni, come lo chiama Plutarco, facile e chiaro, s o ttile ed e s a tto al pari del G otta, lodatissimo da Ci­

c ero n e p e r la proprietà dei vocaboli qui liaeret in causa semjper , e t quid ju d ic i probandum sit quum acutis­

sim e v i d i t , omissis caeteris argumentis in eo mentem o ra tio n em q u e defigit (De Or. III.); agguagliò la pron­

tezza di Lucilio e di Servio Sulpizio; erudito e pra­

tico nei tro v a ti rendeva imagine di quel Trebazio

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Testa, inventóre dei codicilli, lodato da O ra z io e a m i­

cissimo di M. Tullio, oppure di .quel Gajo da cui G iu ­ stiniano tolse le Istituzioni chiamandolo G a ju m n o ­ strum , tutto che vissuto sotto gli A n to n in i corno dimostrarono Mommsen e Derburg, e pria di lo ro G r a ­ vina (De Ortu ecc.).

Nelle consultazioni il Gaveri era so m m am en te a v v e ­ duto, non mai dimenticando le svariate legislazioni o do­

mestiche o forestiere, rassomigliando quel C erbidio S c e - vola cui dobbiamo l’adagio —- ju r a vig ila n tib u s scripta sunt — , ma più specialmente quel Gallo A quilio c a u ­ tionum artifex, il trovatore della forinola doli m a li, della legge dei danni, della accettilazione, e del g iu s a ccre ­ scendi. Ma seppe il Gaveri con quella g r a v i t à d ’ uom o probo, che lo rese tanto ammirabile in o n e s tà q u a n to in dottrina, cansare gli arzigogoli e le versuzie di A quilio, rimproverategli da Cicerone, che non dub itò di d a rg li il titolo di erpicatoio (everricidum). Nelle q u e s tio n i d’ o - pere architettoniche mostrò il Gaveri q u a n to ei valesse in Geometria ed in Algebra, simile a quel S e s to P o m p e o di cui M. Tullio, nel Bruto, ci narra p rc ie sta n tissim u m ingenium contulisse ad sum m um ju ris civilis et ad p e r ­ fectam Geometriae scientiam.

Ma sia che perorasse il Caveri, sia che e m e tte s s e p a ­ reri, egli spiegava sempre un animo sincero ed in trep id o da vero filosofo, l’animo di Papiniano, che C ujaccio in­

titolò asylum juris non che doctrinae th esa u ru s, l’anim o fiero, con cui seppe rispondere a C aracalla ch e lo r i ­ chiese di una difesa pel suo fratricidio, e sse re più diffi­

cile il difendere un parricidio che il c o m m e tte rlo . I n ­ somnia, potea dirsi- del Gaveri avvocato ciò che il Gravina di Alfeno Varo: totam d u xit a d o c trin a d ig n i­

tatem, divenendo cosi modello di Giurisperito. Cosi venne

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{

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il Gaveri a quella perfezione d’ oratore contemplata da C icerone in quel precetto di Crasso \ prudenter et com­

posite et o rn a te, et memoriter dicat cum quadam etiam actionis dignitate. (De Orat. 1. 1. c. 15).

In fa tti in .questa professione ei si tenne con vera dignità nel ciclo del difensore, non trascendendo mai alle parti di p r o c u r a to r e ; le quali ponno essere importanti egual­

m ente, m a bene si differenziano dall’ufficio dell’ avvocato.

Il p ro c u ra to re è il mandatario del litigante, 1’ avvocato ne è l ’orato re. Il procuratore postula e concliiude, l’av­

vocato diserta. Il procuratore amministra la causa, at­

tende ai termini, e sollecita gli uffiziali; l’avvocato dà l’indirizzo alla causa e vi sopraintende. Il procuratore nella forense battaglia è il soldato, l’avvocato-ne è il duce.

Il p r o c u ra to re passa i suoi giorni nello strepito de’tribu­

n a li, l’ avvocato nel silenzio dello studio apparecchia le a r m i; il procuratore dà moto agli atti, l’avvocato gli esam ina , e prepara i giudici alla sentenza. Così l’av­

v o c ato facilm ente diviene istromento non di piati ma sì di pacificazione, ed eccellente a quegli accordi in cui, n on di rad o , sotto così benigno influsso, si adagiano i c o n te n d e n ti.

E d il Caveri tenendosi in queste serene regioni si acquistò fam a di eccellente conciliatore. Il suo auditorio e ra come u n tempio di concordia ed un santuario vili v e rità e di giustizia, ove tu tti gli uomini del Foro e gli a v v o ca ti in ispezieltà convenivano volentieri, fidenti sì nel c o n c e r ta r e difese criminali e civili, sì nel bilanciare c o m p o n im e n ti amichevoli e compromessi, ove il Caveri se­

deva a r b itr o in mezzo a loro con la bilancia della giu­

stizia in mano. Testis est ja n u a et vestibulum, quod ma­

x im a quotidie frequentia civium ac summorum hominum splendore celebratur: così diceva Cicerone di Scevola; e

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noi così diremo del Gaveri... ejus domus to tiu s ora­

culum civitatis. Lo circondavano quegli am ici che ti apportano sempre il sapere, ed i quali non c o n tra d ic o n o mai, voglio dice i volumi dei più grandi legisti e s ta tis ti italiani, francesi, inglesi, spagnuoli e tedeschi; e co ro n a gli facevano le più belle e magnifiche edizioni dei classici nostri, delle quali il Gaveri era intendentissim o ed avido ricercatoree raccoglitore, piacendosi di p e re g rin i saggi tipografici, ond’ era riverito qual bibliofilo e ru d itis s im o dai più rinomati editori di Milano, di Torino, di F ire n z e , di Parigi, di Vienna, di Lipsia e di Berlino.

Di questa dotazione splendida di bei libri g io v a v a s i il nostro Socio nel disputare, nel consigliare, n el c o n v e r ­ sare, e così nei suoi scritti, rari invero com e t u t t e le cose buone. Però che in lui regnò sempre u n a c e r t a ritrosìa nel dare alle stam pe, sapendo più di t u t t i le difficoltà e i pericoli del manifestare, in mezzo a lle feb­

brili vicissitudini della scienza moderna, i p o r t a t i d ella vera Sapienza. Oltrecchè del suo parco s c riv e re la c a ­ gione stava ancora in tu tti quanti lo te n e v a n o a s s id u a ­ mente occupato in dare udienza, e nella faccenda c o n ti n u a di suggerimenti e cautele in ogni ramo di civili affari tanto pubblici quanto privati. Ed infatti nei p r im i suoi anni scrisse assai più che negli ultimi, avendo l a v o r a t o indefesso nella formazione di quella Guida d i G enova e del Genovesato che il Corpo Civico offerse a g li S c ie n z ia ti nel 1846, e avendo concorso con sue dotte m o n o g ra fìe nella pubblicazione delle sentenze com m erciali e d ite dal Mantelli in Alessandria; nelle quali monografìe v o lle m o ­ destamente ascondere il nome. Il nostro g io rn a le c h e s ’ in ­ titola Corriere Mercantile, e che m antiene da t a n t i a n n i fama nobilissima di eccellente periodico, p re s e v i t a e incremento dal saggio impulso datogli dal G a v e ri, che

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ebbe a suo discepolo uno de’ primi collaboratori, anzi il prim o.

N on solo fu buon filosofo in iscuola, nel Foro, e nel suo auditorio, ma si ancora nell’esercizio delle pubbliche cariche. Senatore del Regno non brillò per copia. di lu n g h i discorsi, ma si rivelò alto d’ingegno e di senno p ra tic o in quelle Commissioni, in cui ebbe parte o qual m em b ro o qual presidente. E nella Legge sulle espro­

priazioni , e nel Godice di Gommercio tutti i miglio­

r a m e n ti a lui si debbono. Ma ogni qualvolta fu ricer­

c ato perch è volesse accettare la dignità di Consigliere di S ta to , e anco di Ministro, se ne scusò, mentre per bene del paese non seppe nè volle cansare le fun­

zioni di consigliere provinciale e municipale : e qual p r e s id e n te , e quale assessore, e qual Sindaco non ism enti mai il suo filosofico proposito di fare il bene pel bene.

L a n u o v a vita del Comune di Genova conta ormai v e n tid u e anni; e in questo tratto non breve di politiche lib e rtà e di gravi e sùbite trasformazioni, il consiglio del Gaveri fu sempre tenuto in altissimo pregio e ricercato da t u t t i i capi della municipale amministrazione, dal B a ro n e Profumo sino al Barone Podestà. Ma l’epoca più sfolg orante pel nostro Gaveri fu quella in cui venne a lui e al Prof. Boccardo affidata la cura del pubblico in­

se g n am e n to sì maschile come femminile. A loro dobbiamo l’ accordo degli istituti municipali con quelli governativi c re a ti dalla Legge Gasati (1859), la istituzione delle scuole serali e dominicali, la Biblioteca per gli operai, gli am­

p liam en ti delle elementari, le nuove classi dei piccoli analfab eti affidati alle maestre, le scuole preparatorie p e r le fanciulle, che dopo aver percorse le prime quattro classi elementari aspirano al Magistero, ed il migliora-

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mento della condizione dei maestri e d ir e tto r i dei più umili e più faticosi insegnamenti.

Al Gaveri dobbiamo l’ordinamento, ih g ra n p a r t e , d e l ­ l’imposta municipale, e quello dello Stato civile. P e r ò c h e nel 1863 aveva avuto agio a conoscere nei p u b b lic i a f f a r i della nostra Città tutti i difetti e le imperfezioni a m m i n i ­ strative, quando dal voto del Consiglio c h ia m a to a l p o s to di Assessore Anziano vi si consacrò tu tto in te r o n e l c o rso di molti mesi, avendo il Sindaco Marchese G a v o t t i , d o p o una lunga ed assidua cura delle municipali g e s t i o n i , d a t e le dimissioni per tratto di un suo delicato r i s e r b o a t t e s a la possibilità di un lite fra la sua famiglia ed il C o m u n e . Genova si ebbe eziandio questa gloria di a n n o v e r a r e fra i suoi Sindaci anche il C averi, che già, s e n z a q u e s to titolo, avea date prove luminose d’ essere di q u e ll a a n ­ tica generazione di dottori esperti non solo’ in ca ve n d o , in respondendo, in agendo e in judicando , ma si a n c o r a in administrando. Egli aveva dal marzo all’ o t to b r e del 1863 in qualità di Assessore Anziano ferme in m a n o le r e d i n i municipali. Entrando egli Sindaco, manifestò a l g e n e r a l e Consiglio l’animo suo deliberato di c o n tin u a re n e l diffì­

cile arringo, apprezzando F onore di sì alto u fìc io e n e l tempo medesimo l’amarezza del calice da c u i s a r e b b e s i volentieri allontanato s<3 non foss’ egli s ta t o m o s s o . d a ardente amore del loco natio, cui avrebbe g o d u to 1’ a n im o di rendere ognor più prospero in ogni s u a c o n d iz io n e inorale e materiale. Allargare le vie, fav o rire l a c o s t r u ­ zione di case salubri pei non ricchi, a m p lia re e m o l t i ­ plicare le scuole, dare assetto alle finanze, p r o t e g g e r e le arti, far fiorire il commercio, tu te la re o g n i o r d in e di cittadini, questi erano i pensieri suoi, e q u e s t i f u r o n o tradotti in fatti da lui, secondato sempre dalla G i u n t a e d a l Consiglio. Ma ahi! durò poco per noi quel S i n d a c a t o c h e a

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lui p a rv e troppo lungo, desiderando egli ogni cooperazione p e rfe tta , con quel suo animo nobilissimo di perfezionare ogni cosa. Ma ritraendosi da quest’ uficio non cessò mai finché visse di dar mano pronta ed efficace a tante bi­

sogne civiche, costantemente sollecitato dal Consiglio, d alla G iunta e dal Sindaco a prender parte in tutti i più g ra v i provvedimenti, nei quali sempre portava il senno e la serenità dell’uomo savio e moderato. E se n e lla scuola, nel Foro, e nelle sedute pubbliche dei Consigli era ammirabile la sua prudenza, il suo schietto e semplice ragionare, la sua perspicacia nello scoprire fra cose apparentemente disparatissime i più stretti legam i, e la sua fecondità nel creare mezzi termini e com ponim enti felici in gravi discrepanze, non era meno g ra to , nè men sorprendente il suo conversare condito di sali piacevoli e di cognizioni storiche e scientifiche di ogni f a t t a , per cui poteva appellarsi una biblioteca vi­

v ente, e potea dirsi di lui ciò che di Daguessau scri­

v ev a il S.1 Simon: « 11 étoit, bon, humain; d’un accès facile et agréable, en particulier il brillait par une gaité d o u ce, et par une plaisanterie fine; pour devenir actif il a v a it va incu la nature qui le rendait enclin à la paresse;

il etait p o li sans orgueil, noble sans prodigalité, économe sans avarice; sa taille était mediocre, son corps assez g ro s, sa figure etait pieine et ouverte ». Queste nobi­

lissime impronte di un savio ognuno che conobbe il Gaveri in lui ravvisò. E con piacere mi rimembra di quei t r e sommi Mittermayer, Cavour e Siccardi, coi quali io m ’ ebbi, allorquando capitarono in Genova, frequenti colloquii , come io da loro lontani ebbi le tte r e cortesissime, ed i quali e in voce e in iscritto n on rifinivano nel lodare quel mio caro collega e con­

cittadino.

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Ma la natura e la consuetudine della sua v i t a , c la r a ­ gione de’ suoi studi lo resero mai sempre a lie n o d alle lodi e da ogni lusinga, essendo fortemente g e lo s o della sua indipendenza. Fra le cento mila cose ( s c r iv e v a un elegante letterato del secolo decimosettimo) c h e mi si danno continuo a vedere, conto ancor q u e s ta p e r u n a : come uomini che si pregiano di grandezza si g i t t i n o a lla viltà del dipendere per avanzarsi, alla in d e g n ità di farsi schiavi per signoreggiare. E che ha egli m e g lio c h e la libertà e la padronanza di sè ? I liberi e non d ip e n d e n ti nel viver loro dallo sciaurato mestiere del m e n d i­

care, ancorché veggano talvolta di quelli c h e c o n gli affettati loro stritolam enti, con le lusinghe g i u n g o n o a trarne qualche utilità, non che loro i n v i d i a r l a , p iù godono del poterla conseguire e non volerla , c h e quei medesimi che dovrebbero non volerla , e la h a n n o . Ond’ è che Demetrio dicea che a lui s a r e b b e facile la ricchezza qualunque volta si pentisse d ’ e s s e r m a ­ gnanimo.

E il Gaveri fu magnanimo e disprezzò l a r ic c h e z z a ; fu indipendente e disprezzo la potenza, e si fè i m i t a t o r e di quel Senocrate il quale visitato dagli a m b a s c ia to r i di Alessandro,offerse loro una filosofica cena d ’ e r b e e le­

gumi: e coloro facendogli profferte d’oro si e b b e r o in risposta, e che? dalla mia cena non a rg u iste c h e io n o n ho mestieri di tesori? Il re vostro vuol c o m p r a r e la m ia amicizia, ed io non la voglio vendere. Le p a r t i d ’ A le s ­ sandro oggidì si assumono più che dai p r in c ip i d a lle fazioni, le quali spandono oro per invescare g li o n e s ti, e tiranneggiano quando con m inacce, quando c o n l a r g o promettere. Felice chi si rim ane indipendente d ’ o p in io n e , facendo parte da sè stesso. Felice il Gaveri c h e d isp re zz o ogni sorta di favori. I tesori suoi erano i figliuoli, e la

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v ir tu o s a moglie, in seno ai quali viveva decorosamente m odesto. Ed egli ben si conosceva d’agi e di opulenza, egli n a to da ricco commerciante, e allevato nelle splen­

dide sale del materno avolo Paolo Francesco Curotto, operoso banchiere. Questa grandezza d’animo nello spen­

dere si trasm ise al nipote, ma non per proprio lusso, sì p e r sollievo di famiglie di procuratori e d’avvocati volte in b a sso , e per sottoscrivere ad opere di pietà e di be­

neficenza. Di lui potea dirsi ciò che scrisse il Gravina di E lio Tuberone: Avita decora et honores Imiorum ipse co n tem p tu superavit.... E pulum enim P. Affricani nomine populo rom ano cum daret Fabius M aximus, ipse roga­

tu s u t triclinium sterneret fictilia veterum pro vasis argenteis exposuit.

Ma il Gaveri era non solo filosofo sulla cattedra, nella v ita pubblica e nella famiglia, sì ancora in lui stesso, principalm en te nel sopportare con pazienza i dolori delle inferm ità. I motti e le arguzie in ischerno dei mali sono agevolissim i a pronunciarsi ove non sono i mali. Al ve­

derseli venire incontro a spron battuto, al ricevere e p a tire i loro colpi qui va il mostrarsi forte. E ben v è chi allega in esempio i t u t t ’altri andamenti di Seneca in fatti, e di Seneca in parole. Questi ben disse che le superbe filo­

sofie caggiono a terra quando il dolore domanda l’assi­

stenza, e la morte si avvicina. Tu che con tanta facilità provocavi i mali che t ’eran lontani, eccoti il dolore che t u dicevi sopportabile, eccoti la morte, in disprezzo della quale t a n t e prodezze spacciavi ; già già strepita la sferza, già luce il ferro micidiale, ora ti abbisogna animo e p e tto fermo. Altro è il filosofare dei mali in astratto, a ltr o il provarli in atto, come altro è discorrere di una b a tta g lia , altro il trovarvisi dentro, spettatore e parte.

Oh ! q u a n to è più in un animo che ha il corpo infermo,

( X X I I I )

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e perciò tristo di m artini, e quando il la m e n ta r s i non suona conio guai, ma son sospiri ! Il dolore lia il suo de­

coro. Oh ! quanto è bello il magisterio di v i r t ù se è capevole di medicare i dolori colla pazienza, e di a q u e - tare le turbazioni de’ sensi, sentire il patim ento, m a con u n sentire e con un apparire che trae da chi il vede non tanto compassione del m ale, quanto v e n era zio n e della virtù.

E questo videro i famigliari e gli amici del G averi ; questo ammirarono la moglie e i figli, ch e am orosi lo accerchiavano quale un patriarca, c o n te n to di la­

sciare ad essiloro, che già promettono g randi f r u t t i della paterna educazione, una onesta fo rtu n a, e l’in e s ti­

mabile patrimonio della probità. E a q u e s ta altezza di sentimenti umani non mancarono i d i v i n i , voglio dire la fede. Il 23 febbraio 1870 spirava c o n t u t t i i conforti di nostra religione, passando dal bacio dei c o n ­ giunti al bacio di Dio. Cosi questo Savio c h iu d e v a i lu m i in Genova ove gli aveva aperti il di 2 a p rile 1811, e non il 3, giorno del suo battesim o (*).

Oh! sublime spirito irradiato dal Vero E t e r n o cui sempre aspirasti. Oh ! con molte lacrime desiderato, p ren di in grado queste parole d’ onore e d’affetto c h e la Società nostra a te consacra, siccome a socio b e n e m e ritis s im o , il quale volesti sempre proteggere questa n o b ile I s t i t u ­ zione , favoreggiandola, caldeggiandola con o g n i m a ­ niera di cure e di accoglienze, im petrandole dal M u n i­

cipio onorata sede e copia di nuovi libri, ed offerendole comunicazione dei tuoi m o lti, e molto p rez io si; sp irito ornato di cristiana filosofìa, abbiti da noi t u t t i l’ e s tre m o vale... che dissi estremo? Te saluteremo di n u o v o in

( X X IV )

(’) V. Documénti,

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esequie solenni, che il fiore dei cittadini apparecchia con epigrafi e con elo^i di eccellenti oratori ; Te saluteremo nel P a n t e o n in cui la Giunta Municipale Ti decretò un degno posto ; Te saluteremo perpetuamente nel nostro A teneo, ove il tuo simulacro starà allato del Parodi, del B adano e dello Spotorno. Te saluteremo sempre orna­

m en to e splendore della nostra Città, modello d’uom d o tto e virtuoso, gemma bellissima della storia patria.

( X X V )

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(23)

DOCUMENTI

C i t t a ’ di G e n o v a . — E s t r a t t o dal R e g i s t r o d e g li Atti di Dichiarazione di Nascita, f a t t i a l l ’ U ffiz io d e l l o S ta t o C ivile l ’ a n n o m i l l e o t t o c e n t o undici depositato n e l l ’ A r c h i v i o C o m u n a l e .

N u m e r o del R eg istro ottocentonovantaquattro.

L ’a n m il l iu i t c e n t o n z e , sep tièm e du Regne de l'Empereur Napoléon le v i n g t d e u x J u in à onze heures du raatin , devaut nous Maire adjoint s o u s s ig n é d e le g u é par m onsieur le Maire aux fonctions d Officier Public de l ’É t a t C iv il d e la V ille de G è n es, ch ef lieu du De'partement de ce n o r a , e s t c o m p a r u Cesar A lex is Jean Baptiste Caveri fìls à Antoine M arie N é g o c i a n t , ngé do quarante ans demeurant rue del Campo, le quel é t a it a s s is t è d e d e u x tém o in s ; le prem ier Antoine Guano a feu Ange , P r o p r ie ta ir e , a g é de quarante deux a n s , demeurant rue Sainto Cathe­

r in e , le s e c o n d L a u ren t V ernengo fìls à B artlielem y, P rètre, agé de q u a r a n te s i x a n s , dem eurant rue S a in t Bernard, et nous a déclaré, q u e E m ilie C u r o tto falle a Paul F rancois son épouse en legitim e mariage e s t a c c o u c h é e le deu x A vril dernier a dix lieures du soir d’un’Eofant m a l e , a u q u e l o n t étó donnés les Prénoms de Antoine Francois. — D ’a p r è s c e t t e d écla ra tio n , e t sur la réquisition à nous faite par le sus

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\

dit Cesar Alexis Jean Baptisto Cavori Pére do l ' E n f a n t , n o u s a v o n s dressé le présont acte , dont nous lour avons d o n u é le c t u r c , q u e le Pòro et les Témoins ont signó a v e c nous.

Ce s a r Ca v e r i p é r o . An t o i n Gu a n o t é m o i n s . Rev. Lo r e n z o Ve r n e n g o t e s t .

G. Sa u l i adj.

Se r r a chef Burreau.

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rr copia conformo all'orig inalo Genova 18 Settembre 1870.

Per il S indaco MORRO A ss. l).f>

In Libris Baptizatorum Parrocchialis E cclesiae S. M a r c e llin i G en u a e reperitur ut infra.

Anno millesimo octingentesim o decim o tertio die v i g e s i m a s e c u n d a Februarii.

Ego ut infra ministravi sacras solem n es C a e r e m o n ia s I n f a n t i filio Caesaris Alexii Joannis B aptistae Cavero A n ton ii M a r ia e e t E m ilia e ' filiae Pauli Francisci Curotti Conjugum nato die t e r t i a A p r ilis a n n i millesimi octingentesim i u n d ecim i, eadem que die d e l i c e n t i a O rd in a rii a me domi privatim baptizato; cui im positu m fu it n o m e n F r a n c is c u s Antonius: Levantibus Antonio Maria Caveri q."> J o a n n is B a p t is t a e P a - roecie S. Georgii loci vulgo M oneglia e t Theresia f ilia q."* H ie r o n im i Vernengo, et uxore Pauli F rancisci C urotto Paroecie S . S a b in e

In quorum fidem

Copia — Jo. Mo n t e v e r d e R ector.

Datum Genuao ex Edibns nostris C a n o n ic a lib u s hac dic 19 Octobris 1827-

Fr a n c i s c u s Ag n i n o Rector. — V . Co g o r n o V.

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