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RIFLESSIONI SU ALCUNE QUESTIONI RELATIVE AI NUOVI CONTRATTI A TERMINE

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Academic year: 2022

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RIFLESSIONI SU ALCUNE QUESTIONI RELATIVE AI NUOVI CONTRATTI A TERMINE

Il giudizio positivo sulla nuova regolamentazione dei contratti a tempo determinato dopo la legge n.

78/2014, non può, a mio avviso, prescindere da alcune valutazioni critiche sotto l’aspetto prettamente operativo strettamente correlato alla nascita ed alla riformulazione di alcuni istituti.

Probabilmente, in qualche caso potrebbe essere sufficiente un chiarimento amministrativo ma, in altri, dovrà intervenire la contrattazione collettiva o, addirittura, il Legislatore per sciogliere talune incongruenze normative o sciogliere dubbi, per non lasciare al giudice l’onere di interpretazioni su disposizioni diversamente interpretabili.

Ritengo opportuno, pertanto, senza avere la pretesa di essere esaustivo, soffermarmi su alcune questioni che toccano il computo del personale a tempo indeterminato riferito all’impresa nel suo complesso, “fotografato”, al 1° gennaio dell’anno nel quale si riferisce l’assunzione, l’assenza delle ragioni giustificatrici, la percentuale del 20% riferita alle assunzioni a termine, all’istituto della proroga, ai diritti di precedenza ed alle percentuali aggiuntive nel trasporto aereo, nei servizi aeroportuali ed in quelli postali.

Computo del personale a tempo indeterminato: la scelta operata dal Legislatore relativamente al momento del computo, se ha il pregio di focalizzare il tetto ad una specifica data, senza rinvio al calcolo di medie semestrali od annuali, presenta talune incongruità che non tengono presente il fatto che le aziende sono un corpo vivo che nell’arco temporale di dodici mesi subisce continui cambiamenti.

Non aver pensato a ricomprendere espressamente gli apprendisti (che sono dipendenti a tempo indeterminato) ma che sono esclusi dal calcolo per effetto dell’art. 7, comma 3, del D.L.vo n.

167/2011, significa, in ogni caso, aver ristretto la base di calcolo per la percentuale, in un momento in cui, per altri versi, si tende ad incoraggiare l’assunzione dei giovani attraverso tale tipologia contrattuale. La stessa cosa può dirsi per altre forme di assunzione, del tutto minoritarie, ugualmente escluse dal computo (contratti di reinserimento ex art. 20 della legge n. 223/1991, o rapporti a tempo indeterminato di soggetti provenienti dai lavori socialmente utili – art. 7 del D.L.vo n. 81/2000). Laddove il Legislatore ha voluto computarli, in deroga al dettato generale, l’ha detto espressamente (ad esempio, per gli apprendisti in materia di limiti dimensionali per l’intervento della CIGS, come previsto dall’art. 1, comma 1, della legge n. 223/1991). Parimenti, i lavoratori assunti a tempo indeterminato parziale sono calcolati “pro – quota” (art. 6 del D.L.vo n.

61/2000).

Un intervento chiarificatore estensivo realizzato attraverso una circolare interpretativa, non sembra realizzabile, atteso che stare “sopra o sotto la percentuale legale o contrattuale” presenta pesanti effetti sotto l’aspetto sanzionatorio amministrativo (20% o 50% della retribuzione corrisposta a seconda che le violazioni riguardino uno o più lavoratori), ferma restando l’ipotesi, tutta da verificare, della trasformazione a tempo indeterminato, previo ricorso giudiziale, secondo il dettato dell’art. 32, comma 5, della legge n. 181/2010: e, come è noto, i magistrati non tengono particolarmente conto delle circolari e delle note ministeriali. Ricordo, peraltro, che a seguito della cessazione del rapporto a termine, il lavoratore ha 120 giorni di tempo (al quale se ne aggiungono 180 per adire l’autorità giudiziaria) per manifestare, con qualsiasi mezzo, la propria volontà al datore finalizzata ad impugnare la risoluzione per nullità del termine: ciò afferma l’art. 32, comma 3, lettera a) della legge n. 183/2010, riformata, sul punto, dalla legge n. 92/2012

La verifica del rispetto della percentuale è demandata agli organi che vigilano sul rispetto delle disposizioni in materia di lavoro: essi sono tenuti a sanzionare anche il mancato rispetto della percentuale contrattuale vigente (quantomeno, in sede di prima applicazione), per l’espresso richiamo operato dal Legislatore (art. 2 – bis). La disposizione è stata inserita in sede di

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conversione: ciò significa anche che non può trovare applicazione per i contratti a termine stipulati tra il 21 marzo 2014 ed il successivo 19 maggio (periodo di vigenza del D.L. n. 34/2014).

Assenza di ragioni giustificatrici: la generalizzazione della “acausalità” è, indubbiamente, l’elemento fortemente innovativo della riforma, peraltro anticipato, dalla stessa contrattazione collettiva (nazionale, ma anche di secondo livello) che, dopo il 28 giugno del 2012 (data di entrata in vigore del D.L. n. 76/2013) e fino al 20 marzo 2014 (data di pubblicazione del D.L. n. 34/2014) aveva, di molto, allargato la possibilità del ricorso al contratto acausale: basti pensare ai ventiquattro mesi dell’accordo del settore alimentare il quale, peraltro, ne aveva previsto anche uno di dodici mesi in favore di quei lavoratori che non erano al primo rapporto e che avevano avuto contratti con ragioni giustificatrici.

Detto questo, a parte i contratti stagionali, uno con la motivazione è destinato, nella sostanza, a restare: è quello per ragioni sostitutive per il quale non si paga la maggiorazione dell’1,40% come confermato dall’INPS con la nota n. 4152 del 17 aprile 2014. Le ragioni sostitutive sono quelle nelle quali il lavoratore assente ha diritto alla conservazione del posto (maternità, malattia, infortunio, ferie). Di per se stessa, la semplice enunciazione attraverso la frase “per sostituzione di lavoratori assenti” era considerata inidonea dalla giurisprudenza sotto l’imperio della vecchia legge.

Ora, a mio avviso, essendo rimasta la motivazione occorre riferirsi ai criteri individuati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 107 del 22 maggio 2013:

a) identificazione del nominativo del lavoratore sostituito;

b) nelle ipotesi maggiormente complesse (ad esempio, ferie) nelle quali non sia possibile l’indicazione preventiva del lavoratore anche per gli avvicendamenti, è possibile indicare, in luogo dei nomi dei sostituti, elementi differenti come l’ambito territoriale di assunzione, il luogo della prestazione e le mansioni.

Percentuale del 20% sul personale in forza a tempo indeterminato alla data del 1° gennaio:

aver scelto tale criterio e non quello, come postulato da alcuni nella fase di conversione del decreto, della verifica della percentuale al momento di ogni singola assunzione comporta taluni problemi non facilmente risolvibili.

Provo ad indicarne alcuni.

Se un’impresa nasce in corso d’anno, quanti contratti a termine (che potrebbero essere particolarmente necessari nella fase di inizio dell’attività) può stipulare? Uno, applicando, estensivamente, la previsione che lo consente ai datori di lavoro con un organico fino a cinque dipendenti. E’ ben vero che l’art. 10, comma 7, del D.L.vo n. 368/2001 stabilisce che i contratti per l’inizio di nuove attività, se previsti dalla contrattazione collettiva nazionale, possono essere stipulati e non rientrano nella percentuale complessiva, ma occorre, appunto, una previsione contrattuale cosa che, ad esempio, non c’è nel CCNL dei metalmeccanici. La soluzione, quindi, qualora vi sia la necessità di un cospicuo ricorso a prestazioni a termine non può che essere il contratto di somministrazione o, qualora ricorrano le specifiche attività (DM 23 ottobre 2004, oppure l’età), il contratto intermittente.

Se un’impresa, in corso d’anno, aumenta l’organico a tempo indeterminato sia per assunzioni effettuate d’iniziativa che per fusioni aziendali, che per passaggio d’azienda ex art. 2112 c.c,., che, infine, per acquisizioni di personale a seguito di cambio di appalto è sempre legata, per quel che riguarda la percentuale dei contratti a termine, alla “fotografia” del 1° gennaio? La risposta è che l’impresa rimane ancorata al valore calcolato a quest’ultima data (attesa la rigidità del riferimento) e, quindi, l’aumento dell’organico non si riflette sul numero dei rapporti a termine stipulabili nell’anno. Paradossalmente, il criterio rigido e non rapportato al tempo (come sarebbe stato se il Legislatore avesse scelto la strada del calcolo riferito al momento dell’assunzione) favorisce quelle imprese che, nel corso dell’anno, anche in virtù di pensionamenti o dimissioni (i licenziamenti sono correlati, nella gran parte dei casi, al rispetto del diritto semestrale di precedenza), vedono ridotto

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Ho parlato, prima, di assunzione di personale a seguito di acquisizione di un appalto. Ciò avviene in ottemperanza anche ad obblighi di natura contrattuale (si pensi, ad esempio, all’art. 4 del CCNL per le imprese multi servizi aderenti a Confindustria), o di bando pubblico. Ebbene, sovente, tra il personale in forza vi sono assunti con contratto a tempo determinato le cui casistiche non rientrano tra quelle escluse dal computo ex art. 10, comma 7: costoro, sono computabili nella percentuale del 20% (o in quella contrattuale) o ne sono fuori, atteso che l’assunzione scaturisce da un obbligo?

Regole di buon senso, supportate anche da una riflessione dell’Amministrazione del Lavoro, potrebbero portare ad una loro esclusione, come alla non computabilità si potrebbe arrivare per quei contratti a tempo determinato stipulati con personale disabile a seguito di convenzione tra azienda e servizio competente ex art. 11 della legge n. 68/1999, sottoscritte in attuazione di un obbligo legale.

Un altro problema al quale occorre trovare una soluzione è rappresentato da un circostanza che, sovente, rientra in scelte di politica aziendale: molte imprese assumono, in via normale, con contratto a termine (non necessariamente lungo) per, poi, passare, al contratto a tempo indeterminato. Questi datori di lavoro sono vincolati al rispetto della percentuale fissata all’inizio dell’anno, oppure possono assumere a termine in sostituzione del posto lasciato libero dal lavoratore il cui rapporto è stato trasformato? Regole di buon senso farebbero propendere per questa seconda ipotesi (si favorisce l’occupazione), ma una lettura rigida della disposizione (quel tetto non si può superare) farebbe propendere per il contrario.

Un ‘ultima questione concerne quelle imprese nelle quali non c’è un tetto contrattuale da rispettare (ad esempio, nel settore metalmeccanico) le quali siano, al momento, sopra il 20%, e che, stando all’art. 2 –bis che detta le norme transitorie, debbono rientrare nella quota, pena l’impossibilità- di stipulare nuovi contratti a tempo determinato, entro il 31 dicembre 2014. Cosa succede se un’azienda avendo acquisito una commessa ha necessità di assumere nuovo personale a tempo determinato? Stando al tenore letterale della norma lo potrà fare soltanto se avrà stipulato un accordo collettivo che alza la soglia di riferimento (tale possibilità è in alternativa allo spostamento in avanti del termine per il rientro nell’aliquota). Ma se ciò non sarà possibile (sia perché le organizzazioni sindacali interne o quelle territoriali di categoria sono restie all’accordo, sia perché il datore di lavoro non intende stipulare alcun accordo) resta, soltanto, la strada del ricorso ad un contratto di somministrazione che per la intrinseca fruibilità è, indubbiamente, vantaggioso rispetto alle procedure pattizie imposte dal Legislatore.

Proroghe e possibile interferenza con la norma che consente il superamento, monetizzato, del termine: il nuovo articolo 4 del D.L.vo n. 368/2001 ha, radicalmente, cambiato l’istituto della proroga che per i nuovi contratti non è più ancorato al singolo rapporto ma che rappresenta una sorta di “bonus” da spendere nell’arco complessivo di trentasei mesi su una serie di contratti

“acausali” stipulabili entro tale termine massimo. Da ciò si deduce che un singolo contratto può essere prorogato più volte: l’unica conseguenza è che quando ciò avviene il numero delle proroghe si detrae dalle cinque complessive.

Il problema che si pone è se questa nuova formulazione possa avere degli effetti su quella disposizione che consente al datore di lavoro (art. 5) di superare il termine fissato per un numero di giornate fino a trenta se il precedente rapporto è durato non più di sei mesi, o fino a cinquanta, se superiore: tutto questo accompagnato da una maggiorazione della retribuzione del 20% fino al decimo giorno e del 40% a partire dall’undicesimo. Ovviamente, la maggiorazione si riflette, come aumento di costi, sia sulla contribuzione che sugli istituti economici correlati. Per completezza di informazione ricordo che a seguito della conversione nella legge n. 99/2013 del D.L. n. 76/2013, non è più prevista alcuna comunicazione (che, peraltro, non era sanzionata) di continuazione del rapporto al centro per l’impiego, introdotta dalla legge n. 92/2012, cosa che ha fatto venire meno anche il D.M. 10 ottobre 2012 che la regolamentava da un punto di vista amministrativo insieme a due note della Direzione Generale per il mercato del lavoro. Il rapporto si considera regolare, a tutti gli effetti, nei limiti della durata massima consentita.

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La possibilità di due proroghe nello stesso contratto (che prima non era possibile) potrebbe portare un datore di lavoro, in alternativa ad un possibile “sforamento” del termine abbastanza lungo (fino a cinquanta giorni), a scegliere la strada dell’utilizzo della proroga, cosa che, sotto l’aspetto prettamente economico (retribuzione e contribuzione) gli costerebbe molto di meno, non essendoci alcun aumento salariale e previdenziale essendo quest’ultima soggetta soltanto al requisito della

“stessa attività” e del consenso, anche tacito. del lavoratore. Naturalmente, la valutazione nel merito è soltanto del datore il quale, a mio avviso, nel caso di uno sforamento del termine massimo di pochi giorni non ha convenienza, in linea di massima, a ricorrere alla proroga (“si gioca” un

“bonus”, deve comunicare al centro per l’impiego, nei cinque giorni successivi, la proroga avvenuta, pena una sanzione amministrativa compresa tra 100 e 500 euro, sia pure onorabile, attraverso la diffida, nella misura minima).

Diritti di precedenza: nulla è cambiato circa la normativa sui diritti di precedenza per i lavoratori stagionali (per altro lavoro stagionale) e per coloro che in esecuzione di uno o più contratti superano la soglia dei sei mesi: essi maturano un diritto di precedenza per essere assunti a tempo indeterminato per le mansioni già espletate. Il diritto si estingue in dodici mesi. Ciò che è mutato riguarda le donne in astensione obbligatoria che nel computo dei sei mesi possono sommare i cinque mesi. Per le stesse (è questa una ulteriore novità) il superamento del limite semestrale (con la sommatoria del periodo di astensione obbligatoria) fa maturare anche il diritto ad un altro rapporto a tempo determinato con le medesime modalità.

Il Legislatore ha imposto ai datori di lavoro di indicare espressamente nella lettera di assunzione dei nuovi contratti a termine l’informazione circa il diritto di precedenza sia per i rapporti stagionali che per gli altri.

Alla luce di quanto appena detto si possono effettuare le seguenti considerazioni:

a) il datore di lavoro ha l’obbligo di inserire l’informazione ma il Legislatore non l’ha correlato ad alcuna sanzione diretta in caso di inadempimento: al massimo, l’ispettore del lavoro (e soltanto lui tra gli organi di vigilanza) può emanare una disposizione, disponendo un termine per adempiere;

b) l’obbligo è adempiuto sia nel caso in cui l’informazione si limiti a citare i commi dell’art. 5 che stabiliscono il diritto di precedenza, sia che gli stessi vengano riportati per esteso;

c) la mancata informazione non influisce, in alcun modo, sul diritto di precedenza che è sottoposto, per l’esercizio a termini perentori (tre mesi dalla cessazione per il contratto stagionale, sei mesi nelle altre ipotesi) e che, in ogni caso, necessita di un comportamento attivo del lavoratore il quale deve manifestare la propria volontà al datore di lavoro;

d) la mancata informazione per iscritto può avere effetti indiretti in caso di assunzione agevolata per la quale si chiedono all’INPS gli incentivi (art. 4, comma 12, della legge n.

92/2012): infatti l’Istituto è solito chiedere al datore se l’interessato è stato portato a conoscenza del diritto;

e) il diritto di precedenza è finalizzato ad una assunzione a tempo indeterminato per le mansioni già espletate, qualora il datore intenda procedere entro i dodici mesi successivi: nel caso in cui lo stesso non rispetti tale diritto e proceda ad assumerne un altro, il lavoratore può chiedere, in giudizio, una indennità risarcitoria;

f) la trasformazione a tempo indeterminato di un rapporto a termine in essere non lede il diritto di precedenza essendo lo stesso correlato ad una nuova assunzione (il lavoratore

“trasformato” non è un nuovo assunto);

g) il diritto di precedenza ha valenza su tutte le unità produttive dell’impresa: esso riguarda anche le ipotesi di assunzioni a tempo indeterminato, seppur ad orario ridotto, mentre non risulta assolto se il datore di lavoro offre un contratto intermittente a tempo indeterminato, in quanto non viene assicurata la continuità ed il lavoratore è completamente “sottoposto alla chiamata” dello stesso. A determinate condizioni (v. interpello Ministero del Lavoro n.

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167/2011 (art. 4, comma 1) la cosa appare più difficile rispetto al passato (art. 49, ora abrogato, del D.L.vo n. 276/2003) ove si parlava di qualificazione e non di qualifica.

Trasporto aereo, servizi aeroportuali e servizi postali: la disciplina aggiuntiva per questi settori, specificatamente prevista dall’art. 2 del D.L.vo n. 368/2001 e la cui origine è rinvenibile nella stessa legge n. 230/1962, riformata dalla legge n. 84/1986, è rimasta invariata. Essa consente, innanzitutto, alle aziende di trasporto aereo, a quelle aeroportuali che svolgono i servizi operativi di terra e di volo, di assistenza a bordo ai passeggeri ed alle merci di stipulare con i lavoratori interessati contratti a termine per un periodo massimo complessivo di sei mesi tra aprile. ed ottobre o di quattro mesi in altri periodi dell’anno nel rispetto di una percentuale massima del 15% dell’organico aziendale adibito costantemente a tale attività, calcolato su quello in forza al 1° gennaio dell’anno al quale si riferiscono le assunzioni. Nei c.d. “aeroporti minori” il limite del 15% può essere sforato ma occorre un provvedimento autorizzatorio della Direzione territoriale del Lavoro che deve intervenire entro sessanta giorni dalla presentazione dell’istanza (DM n. 227/1995), al termine di un iter che vede coinvolte le associazioni provinciali di categoria.

Del tutto identica (con la sola, ovvia, eccezione relativa agli aeroporti minori) è la norma relativa alle imprese che operano nel settore dei servizi postali (art. 2, comma 1 –bis).

La percentuale del 15%, sommariamente descritta pocanzi, va ad aggiungersi a quella del 20%

prevista dall’art. 1 della legge n. 78/2014, sicchè tali imprese possono arrivare ad una percentuale complessiva del 35%: esso appare, francamente, molto elevato per Poste SpA, atteso che il personale a tempo indeterminato in forza ammonta a decine di migliaia di unità.

Bologna, 2 giugno 2014 Eufranio MASSI

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