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jus superveniens de qua solvens accipiens

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Academic year: 2022

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Contributi - In genere - Condono - Clausola di riserva apposta sulla domanda - Disciplina ex art. 81, nono comma, legge n. 448 del 1998 - Esclusione degli interessi dalle somme soggette a restituzione da parte degli enti previdenziali - Questione di legittimità costituzionale - Manifesta infondatezza - Fondamento.

Corte di Cassazione - 22.1/14.03.2003, n. 3784 - Pres. Martone - Rel.

Morcavallo - P.M. Napoletano (Conf.) - Banca Ambrosiano Veneta (Avv.

Persiani) - INPS (Avv.ti Correra, Ponturo, Fonzo).

Con riferimento alla disciplina dettata dall'art. 81, nono comma, della legge 23 dicembre 1998 n. 448 in materia di clausole di riserva di ripetizione apposte alle domande di condono previdenziale, è manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale, in relazione agli artt. 1, 3, 24 e 97 Costituzione, della previsione normativa di esclusione degli interessi dalle somme che gli enti previdenziali sono tenuti a restituire alle aziende in caso di accertamento negativo dell'obbligo contributivo, tenuto conto che il complessivo intervento del legislatore nella predetta materia - con il riconoscimento alle aziende di un'agevolazione "ulteriore" rispetto al condono, quale la facoltà di condizionare risolutivamente gli effetti di questo, e la contestuale esclusione degli interessi sulle somme eventualmente da restituire - configura una regolamentazione di tipo "transattivo", nel cui ambito la previsione di non debenza degli interessi rispondendo all'esigenza di non aggravare la posizione degli enti suddetti eventualmente obbligati alla restituzione dell'indebito, configura una situazione del tutto particolare e diversa rispetto agli altri contribuenti che abbiano diritto a diverso titolo , alla ripetizione di contributi indebitamente versati (v. Corte Cost. n. 234 del 2002);

né d'altra parte, la medesima previsione esclude che l'ente obbligato alla restituzione sia tenuto a comportarsi, nell'adempimento della sua obbligazione

"ex lege", secondo il principio di buon andamento e imparzialità dell'amministrazione e quello di correttezza e buona fede ex art. 1175 cod. civ., fermo restando che, peraltro, il credito del contribuente non resta privo di tutela giurisdizionale essendo comunque esperibile l'azione giudiziale (cognitoria ed eventualmente esecutiva) in caso di inadempimento.

FATTO. - Il Tribunale di Milano, con la sentenza in epigrafe specificata, in parziale riforma della sentenza di primo grado, per quanto ancora rileva in questa sede, ha dichiarato non dovuti dall'INPS gli interessi legali sulla somma capitale da restituire al Banco Ambrosiano Veneto S.p.A., versata a titolo di condono, ex decreto legge 15 gennaio 1993 n. 6, convertito in legge 17 marzo 1993 n. 63, per contributi relativi al personale dirigenziale della incorporata S.p.A. La Centrale - Compagnia Finanziaria, e divenuta indebita per effetto del giudicato formatosi sulla natura industriale dell'attività svolta e del conseguente obbligo di versare i contributi per il detto personale all'INPDAI e non all'INPS.

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I giudici di appello, dando atto che la somma capitale era stata già restituita dall'INPS nelle more del giudizio, hanno fatto applicazione dello jus superveniens di cui all'art. 81, nono comma, della legge 23 dicembre 1998 n. 448, che esclude la corresponsione degli interessi sulle somme da rimborsare dagli enti impositori, in caso di accertamento negativo della sussistenza del debito oggetto di condono con clausola di riserva di ripetizione.

Gli stessi giudici hanno ritenuto manifestamente infondata l'eccezione di illegittimità costituzionale di tale disposizione, sollevata dalla società creditrice in relazione all'art. 3 della Costituzione, osservando, al riguardo, che i principi di cui all'art. 2033 cod. civ., non essendo di rango costituzionale, sono stati ragionevolmente derogati dal legislatore in vista dell'esigenza di evitare ricadute eccessivamente dannose per le amministrazioni, in conseguenza di una volontaria determinazione del beneficiario del condono.

Per la cassazione di tale decisione ricorre la stessa società deducendo un unico ed articolato motivo di impugnazione, illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c..

L'Istituto resiste con controricorso.

DIRITTO. -

1. - L'unico motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 81, nono comma, della legge n. 448 del 1998 e dell'art. 23 della legge n. 87 del 1953 (con riferimento alla illegittimità costituzionale in parte qua del predetto art. 81, nono comma), nonché dell'art. 2033 c.c., ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo.

Si deduce, anzitutto, la rilevanza nella presente controversia della questione di legittimità costituzionale, sollevata in grado di appello, ai fini dell'accertamento del diritto della società a percepire gli interessi sulle somme indebitamente versate a titolo di condono e già restituite dall'INPS, a meno di non voler ritenere inapplicabile la disposizione de qua, siccome eventualmente riferita ai soli indebiti non ancora restituiti dall'Istituto (nel qual caso il diritto agli interessi deriverebbe dall'applicazione della disciplina generale di cui all'art. 2033 c.c.).

Quanto alla non manifesta infondatezza di tale questione, si lamenta che i giudici di appello abbiano basato la propria valutazione sulla sola considerazione del rango non costituzionale della disciplina codicistica della ripetizione di indebito, tralasciando di verificare la ragionevolezza della deroga legislativa al principio generale secondo cui il solvens ha sempre diritto alla restituzione di quanto indebitamente versato ed anche agli interessi, a prescindere dalla buona o mala fede dell'accipiens.

Si sostiene, riguardo a tale deroga, che l'esclusione degli interessi non potrebbe essere giustificata né dal fatto che il condono sia originato da una determinazione del beneficiario, né dall'esigenza di evitare conseguenze eccessivamente dannose per le amministrazioni, posto che, da un lato, la domanda di condono esprimerebbe una scelta volontaria, ma non certo spontanea, e, nel caso di specie, pur sempre condizionata dall'apposizione della clausola di riserva di ripetizione, e che, dall'altro, la possibilità di trattenere gli interessi comporterebbe in favore degli enti debitori un ingiustificato vantaggio patrimoniale ed anche la facoltà di stabilire arbitrariamente il tempo della restituzione, in contrasto con i principi della tutela del diritto di azione (art. 24 Cost.) e del buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.): una deroga siffatta, quindi, si risolverebbe, in definitiva, in un'ingiustificata disparità di

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trattamento per il contribuente che si sia avvalso del condono, rispetto al contribuente che abbia effettuato un pagamento indebito, con la violazione del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.).

Si rileva, infine, che la Corte costituzionale ha più volte ribadito la illegittimità della totale esclusione degli interessi, con riferimento anche ad ipotesi di ripetizione di indebito relative a contributi previdenziali (sentenza 23 dicembre 1998 n. 417, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 7, ultimo comma, della legge 4 luglio 1959 n. 463, come modificato dall'art. 12 della legge 22 luglio 1966 n. 613, nella parte in cui prevedeva che i contributi indebitamente versati dalle imprese artigiane fossero restituiti all'assicurato senza interessi); e si osserva come lo stesso legislatore, a conferma che il diritto agli interessi per tutti i crediti previdenziali è costituzionalmente garantito, sia recentemente intervenuto per modificare la disciplina della restituzione degli arretrati dovuti ai titolari di pensione di reversibilità, la quale non prevedeva il diritto agli interessi per gli importi maturati sino al 31 dicembre 1995 (art. 1, comma 182, della legge 23 dicembre 1996 n. 662), introducendo il diritto agli interessi in misura pari al 5%

dell'importo maturato alla predetta data.

2. - Preliminarmente, va disattesa l'eccezione di inammissibilità del motivo, sollevata in controricorso dall'Istituto resistente sul presupposto che le censure della società ricorrente avrebbero ad oggetto semplicemente la valutazione negativa operata dal giudice di merito circa la non fondatezza della eccezione di legittimità costituzionale.

Deve osservarsi, al riguardo, che una tale eccezione è sempre proponibile, anche per la prima volta, in sede di legittimità (e quivi anche essere sollevata d'ufficio), purché abbia una portata strumentale rispetto all'accoglimento o al rigetto del ricorso (cfr. Cass. n.

11555 del 1995); e tale funzione strumentale non può non riconoscersi nel caso di specie, in cui la ricorrente lamenta sostanzialmente l'avvenuta applicazione di una disposizione incostituzionale, ovvero l'interpretazione della medesima disposizione secondo un significato che la renderebbe incostituzionale.

3. - Il motivo, peraltro, quantunque ammissibile, non è fondato.

La sentenza impugnata ha fatto applicazione dell'art. 81, nono comma, della legge 23 dicembre 1998 n. 448, entrata in vigore il 1° gennaio 1999 (v. art. 83 della stessa legge), cioè successivamente alla pronunzia di primo grado e prima dell'appello proposto dall'INPS, ed avente efficacia anche per il passato e per i giudizi in corso (cfr. Cass. n.

3037 del 2002 (1)).

La norma prevede che "le clausole di riserva di ripetizione, subordinate agli esiti del contenzioso per il disconoscimento del proprio debito, apposte alle domande di condono previdenziale, presentate ai sensi dell'articolo 4 del decreto legge 29 marzo 1997 n. 140, e precedenti provvedimenti di legge sempre in materia di condono previdenziale, sono valide e non precludono la possibilità di accertamento negativo in fase contenziosa della sussistenza del relativo debito": e specifica, nell'ultima parte del medesimo comma, che

"per tali fattispecie sulle eventuali somme da rimborsare da parte degli enti impositori, a seguito degli esiti del contenzioso, non sono comunque dovuti interessi".

Rispetto a tale ultima disposizione, che esclude la corresponsione degli interessi sulle somme da restituire, la società ricorrente ripropone l'eccezione di illegittimità costituzionale, già sollevata in sede di appello, in base alle considerazioni sopra indicate.

3.1. - La questione rimane rilevante in questa sede sebbene la somma capitale - a suo tempo indebitamente versata a titolo di condono - sia stata già rimborsata dall'Istituto anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 448 del 1998, atteso che l'esclusione della

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corresponsione degli interessi si riferisce a tutte le somme eventualmente "da rimborsare"

a seguito degli esiti del contenzioso sulla debenza o meno della restituzione, e quindi anche a quelle già rimborsate dall'INPS, senza interessi, nelle more del giudizio.

3.2. - La medesima questione, tuttavia, si rivela manifestamente infondata alla luce di una esatta ricostruzione della ratio della disposizione contestata.

La previsione legislativa di validità delle c.d. clausole di riserva apposte alle domande di condono è intervenuta in una situazione di iniziale incertezza giuridica, sulla base della normativa previgente, che aveva dato luogo ad un cospicuo contenzioso fra aziende ed enti previdenziali ed aveva determinato risposte giurisprudenziali contrastanti, sino alla pronunzia delle Sezioni Unite di questa Corte n. 9918 del 1998, che aveva affermato - in via di risoluzione del contrasto insorto all'interno della stessa giurisprudenza di legittimità - la invalidità delle suddette clausole e la conseguente intangibilità dei pagamenti effettuati in sede di condono.

L'intervento del legislatore si riferisce, dunque, ad un ambito giurisprudenziale in cui l'inammissibilità della riserva di ripetizione era da ritenere, alfine, come un dato assodato (c.d. diritto vivente), con la conseguenza che il riconoscimento alle aziende di un'agevolazione di cui prima non potevano godere, in base alla situazione giuridica precedente, configura un beneficio ulteriore rispetto alla mera possibilità del condono, che già di per sé è normativamente qualificato come agevolazione; di guisa che la contestuale previsione di non debenza degli interessi sulle somme da restituire, nei casi in cui il pagamento in sede di condono con riserva si riveli non dovuto, appare - nell'ambito di un intento transattivo e, quindi, all'interno di un complesso sistema di regolamentazione normativa di contrapposti interessi - come una sorta di contrappeso (secondo il meccanismo dell'aliquid datum atque retentum) corrispondente all'esigenza di non aggravare la posizione degli enti previdenziali eventualmente obbligati alla restituzione dell'indebito.

Mette conto rilevare che, così posta, la questione si risolve non tanto sul piano - proprio dell'obbligazione - della derogabilità della disciplina codicistica della ripetizione dell'indebito, che prevede la corresponsione degli interessi sulla somma da restituire (art.

2033 c.c.), quanto su quello della giustificatezza, in relazione alla fattispecie disciplinata, della esclusione totale di interessi e della diversità di situazione rispetto agli altri contribuenti che abbiano diritto, a diverso titolo, alla ripetizione di contributi indebitamente versati (cfr. Corte Cost. n. 417 del 1998).

Si può anche osservare, al riguardo, che un tale tipo di regolamentazione transattiva di posizioni giuridiche, appunto mediante la esclusione della restituzione di somme altrimenti dovuta secondo la ordinaria disciplina, non è per niente infrequente nell'ordinamento.

Ciò è dimostrato, per esempio, dalla disciplina del condono tributario di cui alla legge 23 dicembre 1966 n. 1139, che prevede la irripetibilità dei tributi, diritti, maggiorazioni ed interessi di mora corrisposti per poter beneficiare del condono dalla stessa legge concesso (art. 6), rispetto alla quale irripetibilità la Corte costituzionale ha pure escluso dubbi di illegittimità, sul presupposto che essa non si configura come imposizione fiscale autonoma, ma s'inquadra nel complessivo rapporto dare - avere che è alla base del condono (Corte Cost. n. 185 del 1975).

Un tale meccanismo, poi, con specifico riferimento all'esclusione degli interessi a fini di risoluzione di situazioni giuridiche pendenti, può rinvenirsi nella previsione di cui all'art.

2, comma 4, della legge 29 gennaio 1994 n. 87, secondo cui le somme dovute a titolo di

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riliquidazione dell'indennità di buonuscita, in favore dei pubblici dipendenti, per effetto del computo dell'indennità integrativa speciale, non danno luogo alla corresponsione di interessi né a rivalutazione monetaria: nel qual caso la giustificatezza della esclusione degli accessori è dipesa dal riconoscimento del carattere satisfattivo della disposizione, correlato al grado di realizzazione delle aspettative nate dalla sentenza della Corte costituzionale n. 243 del 1993 (2), che aveva dichiarato illegittima la esclusione dell'indennità integrativa dal calcolo della buonuscita (cfr. Corte Cost. n. 138 del 1997).

Deriva, da tale ricostruzione sistematica, la considerazione conclusiva che l'esclusione dell'obbligo degli interessi, inserendosi nell'ambito della fattispecie del condono previdenziale, costituisce, in tal caso, un bilanciamento dell'agevolazione, ora normativamente riconosciuta al contribuente con effetto retroattivo, di poter condizionare, risolutivamente, il proprio (già parziale) adempimento all'accertamento negativo della sussistenza dell'obbligo contributivo; e, rispondendo a tale esigenza (non riscontrabile in altre situazioni di indebito versamento di contributi), l'esclusione suddetta trova una sua ragionevole giustificazione, sottraendosi, perciò, a rilievi di illegittimità costituzionale in relazione al principio di uguaglianza, sotto il profilo della ingiustificata disparità di trattamento rispetto agli altri contribuenti.

3.3. - Tale conclusione è ora avallata dall'ordinanza n. 234 del 2002 - intervenuta successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione da parte della società Banco Ambrosiano Veneto - con cui la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della disposizione qui in esame.

In tale decisione, in particolare, la Corte ha considerato che il richiamo - in quel giudizio operato dal giudice remittente - al principio affermato dalla sentenza costituzionale n. 417 del 1998 (evocata in questa sede anche dalla società ricorrente), secondo cui non è costituzionalmente legittima una disciplina del credito per il pagamento indebito di contributi previdenziali che disconosca totalmente gli interessi sulle somme da restituirsi, non è pertinente riguardo all'ipotesi disciplinata dall'art. 81, nono comma, della legge n.

448 del 1998, atteso che la situazione di chi, dopo avere eseguito il condono previdenziale con riserva, abbia poi ottenuto l'accertamento dell'insussistenza del proprio debito contributivo e il conseguente riconoscimento del credito per la restituzione di quanto pagato, non può essere equiparata a quella di chi risulti altrimenti creditore per avere indebitamente pagato somme a titolo di contributi previdenziali, giacché solo nel primo caso e non anche nel secondo l'esecuzione del pagamento (poi risultato indebito) è collegata alla fruizione di una specifica agevolazione.

Del resto, ha ancora osservato la Corte costituzionale nella predetta decisione, la fattispecie dell'indebito contributivo correlato al condono previdenziale con riserva presenta ulteriori peculiarità, sia per la dipendenza del condono da una valutazione di convenienza del preteso debitore (che altrimenti potrebbe mantenere l'atteggiamento di contestazione integrale del debito contributivo, correndo l'alea di un giudizio sul punto), sia per la circostanza che il pagamento eseguito in esecuzione del condono si profila comunque come parziale rispetto a quello in contestazione.

3.4. - Tutte tali considerazioni, ivi comprese quelle contenute nella recente ordinanza della Corte costituzionale che sono pienamente condivise da questa Corte, valgono, in conclusione, ad escludere dubbi di costituzionalità sotto i profili sopra evidenziati; e, d'altra parte, questa stessa Corte ha ripetutamente fatto applicazione della disciplina qui censurata, senza che la stessa palesasse tali dubbi di illegittimità (cfr. ex multis Cass. n.

9306 del 2000).

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Resta da aggiungere che la disciplina in esame, così ricostruita nei suoi meccanismi e nella sua ratio, si sottrae altresì agli ulteriori dubbi di illegittimità costituzionale prospettati dalla società ricorrente, con riferimento agli art. 24 e 97 della Costituzione.

L'esenzione dall'obbligo accessorio degli interessi, infatti, non vale certo ad esimere l'Istituto previdenziale dalla sua obbligazione ex lege di rimborsare quanto indebitamente percepito, essendo comunque tenuto, fra l'altro, a comportarsi, in relazione all'adempimento di tale obbligo, sia secondo il principio di buon andamento e imparzialità dell'amministrazione, sia secondo i canoni di correttezza e buona fede che sono imposti dalla disciplina relativa alla esecuzione dei rapporti obbligatori (art. 175 c.c.).

Rispetto a tale obbligazione, poi, il credito del contribuente non rimane privo di tutela giurisdizionale, dato che in caso di inadempimento è esperibile l'azione giudiziale, in sede cognitoria (ordinaria o anche sommaria, ex art. 633 ss.) o, eventualmente, in sede di esecuzione, ove l'obbligo di restituzione abbia trovato riscontro in un titolo giudiziale esecutivo (sentenza di condanna, decreto ingiuntivo, ordinanza di pagamento).

4. - Ne deriva, conclusivamente, che il ricorso va rigettato.

(Omissis)

(1) V. in q. Riv., 2002, p. 605 (2) Idem, 1993, p. 635

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