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CAPITOLO 1: L OBLIO CAPITOLO 2: LA CLASSE

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Academic year: 2022

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CAPITOLO 1: L’OBLIO

Ciao sono Lara, ho 17 anni ed ora mi trovo nel mio orrendo bagno, in questa stupida vasca, odio questa casa.

I miei genitori sono separati ed assenti, per questo mi trovo nel bagno di casa di mia madre. Lei è al lavoro, come sempre, d’altronde non ha la minima idea di cosa vuol dire crescere una figlia, per lei l’unica figlia è la sua enorme azienda. E’ incosciente di ciò che mi è successo e di ciò che mi

succederà. Sono cinica e fredda in questo momento, perché mi serve la forza di farlo, di togliermi la vita.

Non ho motivo per andare avanti, non vedo una via d'uscita da questa tragedia. Conto fino a tre, impugno la mia lametta e taglio i miei polsi, con la foga necessaria per fare dei tagli tanto profondi da iniziare a sanguinare istantaneamente.

La vasca si riempie di sangue come il Nilo durante la prima piaga d’Egitto, mentre un brivido di adrenalina e panico cresceva lungo tutto il mio corpo. Nel giro di pochi secondi gli occhi si chiudono, la testa sprofonda in un limbo, l’anima lascia il mio corpo trasferendosi in un oblio freddo e

tenebroso.

Credo di essere svenuta, o morta.

In questa enorme distesa di scuro noto un faro, emette una luce flebile che sembra chiamarmi, decido di seguirla fino a che essa mi acceca. Un attimo dopo mi ritrovo immersa nei miei ricordi, nelle mie esperienze, sprofondata dentro ciò che la mia pelle ha passato, in ciò che la mia mente rievoca.

Immersa in un sogno profondo, come un pozzo senza fondo.

CAPITOLO 2: LA CLASSE

Il primo ricordo che mi si presenta è l’inizio di questa tragedia, l’incontro con il mio ragazzo, Cristian.

Lui era alto, con un fisico portante, gli occhi verdi come la natura ed uno sguardo intenso che quasi ti rapiva. Ci incontrammo per la prima volta fuori scuola, dopo non pochi sguardi nei corridoi, ci mise un battito di ali a conquistarmi. Ero con la mia amica e compagna di classe indiana Darika, una ragazza con dei lineamenti angelici, una pelle fine e dei capelli mori, curati e delicati, spesso coperti dal hijab, per via della forte fede musulmana della sua famiglia.

Era abitudine uscire da scuola, al termine degli orari scolastici e recarsi, insieme alle nostre altre compagne, ad un bar di fronte all’istituto per pranzare. Ricordo che quel giorno Darika, in classe, mi disse di aver ricevuto commenti e messaggi intimidatori riguardo alla sua ultima storia Instagram, dove spiegava la sua posizione riguardo al razzismo e la denigrazione di altre razze, musulmani e non. Le dissi di non darci peso, cercando di spiegare che il web era un posto per tutti, dove c’è la libertà assoluta per ciascuno di accedervi e commentare; le spiegai che non conveniva esporsi così tanto, perché, al tempo, ritenevo il virtuale innocuo e senza ripercussioni nella vita reale, quindi sorvolammo.

Ci raggiunsero le altre nostre compagne, e tra loro vi erano anche Chiara, ragazza sveglia, posata e gentile (quando si ritrovava in un confronto tra lei e un’altra persona) ma dal carattere propenso a farsi trasportare, per cui spesso, quando si era in gruppo, agiva in modo totalmente inaspettato e incoerente con la persona che lei veramente era. Cera anche Angela, leader del gruppo femminile della classe grazie al suo carattere pungente e dominante; era la tipica ragazza che si atteggiava da

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adulta, molto apprezzata dai ragazzi per via delle sue caratteristiche fisiche, soprattutto sui social, ma che non eccelleva come studentessa e come persona, a parer mio.

Erano accompagnate da Cristian e il suo migliore amico, Alessio. Ricordo che Cristian, anche circondato da sole ragazze, si trovava completamente a proprio agio, sparando battute a più non posso fino a finire le cartucce, a differenza di Alessio, che si trovava in una sorta di imbarazzo tenero, dal nostro punto di vista.

Fu un pomeriggio di coesione e divertimento tra noi, dove, anche i più recenti diverbi vennero messi da parte per una causa comune, godersi al massimo quel momento. Finito il pomeriggio le altre si affrettarono a tornare a casa, mentre io e Chiara ci fermammo ad aspettare il pullman assieme a Cristian ed Alessio. Parlammo tanto al punto che quando arrivò il mezzo, non avevamo parole per salutarci. Le ultime parole che ci scambiammo io e Cristian furono i nostri username su Instagram.

Cristian da quella sera mi scrisse ed iniziammo ad uscire, in ogni nostro momento libero.

Il tratto migliore di Cristian, quello che mi colpì di più, era la sua sicurezza nel mostrarsi e mostrare sé stesso, ma questo costituiva anche il suo più grande difetto, dover a tutti costi, in qualunque modo, dimostrare e confermare continuamente il suo status sociale, di superiorità e leadership, agli altri.

Il clima scolastico tra noi alunni era pacifico e sereno e coincideva proprio con il mio picco di felicità e benessere, nonostante la totale assenza di mio padre e l'incostanza di mia madre, una sorta di congiunzione degli astri. Andavo a scuola molto volentieri, con gioia, anche grazie a Cristian e al bell'ambiente che si stava creando, riuscendo a studiare ed ottenendo ottimi voti. Come gruppo, eravamo molto coesi ed in affinità, al punto di sentirci tutti i giorni quasi ininterrottamente su varie piattaforme di messaggistica, condividendo post ed interessi comuni. Anche grazie a questo, l’interesse reciproco tra me e Cristian aumentò, di pari passo con la voglia di passare ogni singolo momento insieme.

CAPITOLO 3: DARIKA

I giorni passavano, sempre più velocemente, tanto che persi la cognizione del tempo, sembrava tutto perfetto, l’unico problema fu l’esclusione di Darika da questi gruppi.

Io lo ritenevo un gesto sbagliato escluderla da questi momenti di ritrovo virtuali, dove oltre a condividere risate e passioni, ci accordavamo anche per vederci, di conseguenza nessuno avvisava Darika, nemmeno io.

A scuola Darika non parlava più con nessuno, la distanza tra me e lei aumentava a dismisura, ma intuivo che non le andasse a genio questa divisione sociale.

La vedevo sciupata, meno curata del solito, trasandata, a tal punto che pure i professori le chiesero se qualcosa non andasse, ma lei scuoteva la testa.

Un giorno, la professoressa di italiano ci trattenne qualche minuto in più, rispetto alla classe (che nel frattempo si accingeva a tornare a casa), per spiegarci le correzioni delle verifiche. Una volta uscite, iniziai ad intavolare un discorso, chiedendole prima di tutto come stesse. Lei mi guardò negli occhi mentre le porsi la domanda e i suoi occhi color terra scorsero la mia sincera voglia di sapere come stesse realmente. Non rispose alla mia domanda, ma replicò chiedendo se avessi impegni, le risposi di no. Ci sedemmo su una panchina nei pressi di un parco, rigoglioso di verde e lei iniziò a chiedermi se mai mi fosse capitato di minacciare, denigrare o deridere una persona attraverso i social,

virtualmente più generalmente. Rimasi spiazzata e non risposi.

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Darika mi spiegò che da giorni sui suoi social, vari profili falsi, incompleti o con nomi assurdi, erano comparsi, in modo assiduo e preoccupante, più di qualche commento e messaggio razzista e

denigratorio, accompagnato spesso da minacce verso il credo della sua famiglia o battute pesanti sul suo modo di vestire, sull’ hijab e il suo aspetto fisico.

Scoppiò a piangere e, in un momento di fragilità e debolezza, mi confessò che, da qualche giorno, in momenti di non lucidità, presa dalla solitudine, si era chiusa nel bagno, autolesionandosi.

Aggiunse che si sentiva impotente dinanzi a questo problema e che la paura, l’inquietudine, la solitudine, erano prevalse sul coraggio e la forza di rivolgersi ai suoi genitori.

Non si capacitava della cattiveria dentro quei commenti, né di come fosse possibile sentirsi minacciati e minacciare da dietro uno schermo, in quel modo.

Dopo ore di chiacchierata, la convinsi a cancellare i social, le dissi che su di me poteva contare, sempre, e che non mi capacitavo di come qualche commento potesse danneggiare una ragazza così forte.

Lei si tranquillizzò, riuscii a convincerla a chiedere aiuto ad un adulto, una persona con esperienza ed autorità, qualcuno di cui si potesse fidare nel caso questa sua debolezza la imbarazzasse.

Conoscendo il corso degli eventi, posso dire che fu un consiglio vincente.

Per un periodo Danika smise di usare i social e il fatto paradossale fu che, per tutti, al di là delle mattinate in cui ci si vedeva a scuola, Danika risultava come dimenticata, assente dal mondo.

Questo, fu il primo tassello che mi fece smuovere il mio pensiero riguardo ai social.

CAPITOLO 4: PUNTI DI VISTA E CONSIDERAZIONI

Mi fermo a pensare.

Noto, grazie a questo tremendo viaggio tra i miei ricordi, che ero molto ingenua a riguardo.

Pensavo che i social fossero innocui, non avevo consapevolezza di ciò che è questo potentissimo mezzo, l’internet.

Al tempo vedevo questi mezzi come puro intrattenimento e divertimento, una grande rete che, per la mia generazione, è l’unico canale di comunicazione. Tutto confluisce attraverso le app di

messaggistica privata, rendendo impossibile un distaccamento da essi, dato che, nel caso in cui qualcuno non li avesse, automaticamente, verrebbe escluso da vari contesti sociali, come se in un dibattito di gruppo non fosse presente.

Questo lo capii molto tardi, trascinata dai trend (che comunque venivano dettati dall’internet e dall’evoluzione della tecnologia) dei miei coetanei.

Con il senno di poi, credo che l’ignoranza e la poca consapevolezza della mia generazione riguardo all’uso di questi mezzi, è dettata dalla completa immersione in questa dimensione virtuale fin da piccoli, senza una vera educazione all’uso.

L’esplosione di emozioni di Darika, che è sempre stata una ragazza riservata e timida, ma forte e con una consapevolezza di sé imponente, fu per me il primo tassello di educazione ai social.

Sono arrivata a capire che, queste piattaforme, abbattono le regole del buon senso, del senso civico e sociale, creando una vera e propria giungla mediatica, dando spazio e sfogo a chiunque lo voglia.

Questo sistema permette anche ad una persona che, quotidianamente, non esprime questa indole cattiva e feroce, per via di regole sociali e buon senso generale, di poterlo fare nel web, addirittura sotto falsa identità, creando una reazione a catena del tipo: Se tutti sono cattivi e crudeli nei confronti degli altri, perché non posso esserlo anch’io?”.

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Il web permette di esprimersi liberamente e in maniera differente dalla vita di tutti i giorni, facendo fuoriuscire lati di noi, con le rispettive conseguenze, che nemmeno noi conosciamo, né le persone che ci stanno accanto.

CAPITOLO 5: CRISTIAN

In parallelo con la ripresa di Darika, vi furono i passi decisivi per l’inizio della mia relazione con Cristian.

Quando eravamo insieme mi trasmetteva sempre un grande senso di sicurezza e protezione, caratterialmente era un leader.

Spesso ci si trovava da me, io e lui soli, a discutere delle nostre passioni, delle nostre insicurezze, delle nostre stranezze.

Mi parlava spesso della sua passione nel filmare o fotografare i momenti della sua quotidianità e di come questo lo aiutava a non perdere quel momento, per imprimere quel ricordo. Inoltre, mi raccontava spesso di come i social lo aiutassero nella condivisione dei suoi lavori e, se usati nella maniera corretta, aumentassero anche il bacino di utenza della sua pagina.

Era sempre educato e rispettoso, tranne quando doveva imporsi sugli altri da leader.

Cristian ha bisogno di essere riconosciuto, da chi gli sta accanto, come figura da seguire, come figura che comanda e sente di dover confermare questo titolo ogni giorno.

Spesso quest’ultimo diventa un difetto quando, per rimanere nel suo status, si comporta in maniera becera, soprattutto in un gruppo.

Con me era molto dolce, premuroso e protettivo, in lui forse inizialmente vedevo una figura maschile autoritaria, come quella che mancava nella mia vita.

Mi piaceva disegnare con lui, spesso portava delle foto appena scattate per far in modo che io potessi disegnare, era molto divertente e stimolante condividere questa creatività.

Tra di noi c’era molto affiatamento, tanto da vedersi ogni giorno.

Quando ci si vedeva, era sempre molto passionale e legato a me, ma senza scadere nel banale o farsi mettere i piedi in testa da me.

Eravamo equilibrati, si discuteva abbastanza spesso ma si risolveva tutto in un secondo, colpa delle piccole cose.

Con me non cercava mai di imporsi, cercava più di far valere il proprio pensiero, ma sempre con rispetto per il mio. Era molto propositivo e creativo riguardo alle scelte delle nostre attività, controbattendo ogni tipo di rifiuto con altre proposte.

Andava bene tra noi, nonostante i nostri difetti, quindi ci fidanzammo nel giro di un paio di mesi.

Pensai fosse la persona giusta per condividere la prima relazione seria, le mie prime volte, in tutto, e lui lo pensava di me.

Nonostante avesse già avuto relazioni passate, mi confermò che nessuna di queste era seria come tra me e lui.

Mi disse che anche l’ultima relazione, con Angela la mia compagna di classe, non contava nulla rispetto a ciò che provava con me e, anche se per me non era un problema avere relazioni passate alle spalle, mi fece piacere sentire queste parole.

CAPITOLO 6: LA MIA CASA

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Come detto in precedenza, spesso Cristian veniva da me. Questo perché in casa mia, non c’era mai nessuno.

Sono figlia unica, nata da una madre imprenditrice che gestisce una delle più grandi aziende di viaggi aerei del mondo e da un padre italo americano, tornato negli USA dopo il divorzio con mamma.

Si sono conosciuti in uno scambio culturale, in America. Mia mamma era andata con l’intento di apprendere nozioni su marketing e business, gestione finanziaria di una azienda e tutto ciò che ne consegue. Nel mentre della sua permanenza nello Utah, conobbe mio padre, proprio perché era una dei pochi a parlare italiano nell’istituto, dato che i suoi genitori, fin da piccolo gli insegnarono sia inglese sia italiano.

Lui la aiutò nel suo percorso, ed una volta finito, mensilmente andava a trovarla e sbocciò l‘amore.

Mio padre finì il college e si trasferì in Italia, mentre, parallelamente, mia madre si lanciava in piccole start up, con cui fece esperienza per poi fondare la sua attuale azienda. Mio papà iniziò a lavorare per un’azienda di progettazione di dispositivi elettronici con sede in Italia, ed una volta che entrambi si sistemarono economicamente si sposarono.

Dopo parecchi anni di matrimonio, con l’azienda di mia madre in completa ascesa nel mercato e mio padre in piena scalata lavorativa, arrivai io, quando meno ne avevano bisogno.

La tensione aleggiava in casa dato che entrambi tenevano di più al proprio lavoro che alla famiglia, tanto che per mia madre diventò un’ossessione, mentre mio padre arrivò al limite di stress e pazienza per lui sopportabile, finchè scoppiò e decise di mollare il suo lavoro, che per quanto soddisfacente economicamente e a livello di rispetto, non lo appagava internamente, rendendolo sempre più pesante.

Tutto questo nella totale assenza di mia madre, che non lo aiutò a superare questo problema, creando ancora più tensione tra di loro.

Così, ai miei 10 anni, mio padre, dopo essere esploso dall’ansia e dallo stress accumulato, mollò tutto e torno in America, chiedendo il divorzio.

In questi 7 anni ho dovuto imparare ad essere autonoma e responsabile, imparando da me, data l’assenza di un qualsiasi tipo di figura autoritaria o di riferimento.

Sono sempre stata abituata ad avere tutto, subito, dato che per sopperire alla sua mancanza, mia madre, comprava tutto ciò che le chiedevo. Per esempio, il primo cellulare me lo ha regalato molto presto, verso i 9 anni, quando ancora non avevo coscienza di cosa fosse il web né le app di

messaggistica.

CAPITOLO 7: LA NOTTE

La mente mi riporta a quando, finita la settimana ed iniziato il weekend, Angela decise di dare una festa, a casa sua, la sera di sabato.

Io e Cristian decidemmo di andare, trasportati anche dal fatto che erano tutti presenti, sia Chiara, sia Alessio, anche Darika, chiunque fosse all’altezza e simpatico secondo Angela.

La festa iniziò presto, ricordo che io e Cristian passammo il pomeriggio insieme a Darika per scegliere cosa comprare e portare la sera.

Acquistammo degli snack, qualche litro di vino e qualche bottiglia superalcolica, ci dispiaceva fare la figura dei maleducati.

Addentrati nel tardo pomeriggio, una volta che Darika tornò a casa per prepararsi, pure io e Cristian decidemmo di tornare a casa a vestirci e metterci in tiro per la sera. Una volta a casa iniziammo a scegliere i vestiti abbinati tra noi, o per lo meno lo feci io, dato che Cristian si era portato i vestiti da

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casa, non potendo tornarci e quello che doveva essere un momento di preparazione, diventò un momento tenero tra noi.

Lui mi prese per i fianchi, cominciammo a baciarci più e più volte, esprimendo quanto fossimo felici entrambi in quel momento, gli spiegai che forse davvero era il ragazzo giusto per le mie prime esperienze, ma che ero nervosa e titubante sulla questione.

Lui capì benissimo, mi disse che non c’era alcun problema, di nessun tipo, che avrebbe aspettato con pazienza, senza mettermi fretta, e che, quando sarei stata pronta, lo sarebbe stato anche lui.

Mi disse inoltre, dentro un fiume di emozioni e romanticismo, quanto ci tenesse a me e quanto questa relazione lo faceva crescere, lo arricchiva.

Era un momento talmente tenero, dove ci si era aperti e rafforzati a vicenda, che non facemmo caso all’ora, quindi, una volta accorti, ci avviammo alla festa.

La casa di Angela era illuminata e gioiosa, un giardino enorme con un tavolo circolare, dove ci si serviva. L’interno era molto curato, un pavimento di parquet e mobili all’apparenza molto pregiati.

Ci saranno state una cinquantina di persone, tutti molto divertiti, qualcuno un po’ alticcio, ma tutti euforici.

Erano quasi tutti volti a noi noti, con cui passammo una serata molto gradevole, divertendoci, scherzando, chiacchierando di tutto, ballando, ed infine bevendo un ultimo drink prima di tornare a casa.

Io e Cristian tornammo a casa mia quella notte, presi dall’euforia della festa e dai discorsi prima di raggiungerla, terminammo la serata in bellezza, data la voglia e il romanticismo che arieggiava quella notte.

Vi fu un particolare che non dimenticherò mai e probabilmente rimpiangerò sempre di non averlo notato prima. Poco prima che succedesse, Cristian mi disse che doveva andare in bagno, io dissi che non c’era problema, potevo aspettare guardando il telefono. Lui si alzò, prese il suo cellulare e apparentemente fece ciò che aveva detto. Successivamente la notte passò magnificamente.

CAPITOLO 8: IL DISTACCO

Scorrono un altro paio di mesi.

Il nostro rapporto inizia a calare, e da parte mia la fiamma a spegnersi.

Per la prima volta capii che i primi amori non sono reali, ma sono emozioni dettate da una scintilla che non siamo in grado di controllare, per via dell’età, per via dell’inesperienza, forse anche per l’euforia e la curiosità di scoprire un nuovo capitolo nella vita.

Cristian mi trattava come sempre, ero io che stavo maturando, che stavo scoprendo nuovi lati di me, capendo che forse anche i bisogni e necessità, soprattutto riguardo le relazioni, stavano cambiando.

Questa mia ‘evoluzione’ fu talmente evidente che Cristian, accorgendosi di ciò, iniziò ad essere molto possessivo e nervoso, probabilmente impaurito di potermi perdere.

Con il passare dei giorni cercavo sempre più una distanza tra me e lui, per riflettere e ordinare i pensieri.

Mi serviva avere le idee chiare per poter prendere una posizione forte e successivamente parlarne con Cristian, che nel mentre era trasportato da un continuo crescendo di paura e nervosismo.

Cercava di negarmi i miei spazi e la distanza che serviva per avere chiarezza, impedendomi di fare ciò che io volessi, per esempio vietandomi di uscire con Darika, tra l’altro proprio per parlare di questa situazione; per fortuna, in questo caso, esistono i social.

Date le circostanze, decisi per una settimana di non vederlo, per arrivare alla conclusione.

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Questa situazione mi stava troppo stretta, e decisi di lasciarlo.

Ci vedemmo al bar di fronte alla scuola, dove ci siamo conosciuti.

Aveva già intuito tutto, lo si vedeva dalla faccia, mi lasciò spiegare, ascoltando molto attentamente tutto il mio discorso. Era indispettito e molto a disagio, per la prima volta non era lui ad essersi stancato di una persona ma il contrario.

Non riuscì a ribattere, mi rispose solo dicendo che a lui dispiaceva e che comprendeva le mie parole, con tono contrariato ed ironico. Una volta compresa a pieno la situazione cercò di essere pungente e fastidioso, rispondendo ad ogni mia frase con una battuta che potesse infastidirmi, non riuscendoci.

Non la prese per niente bene e, mentre se ne stava per andare, esclamò che prima o poi me l'avrebbe fatta pagare.

Non mi sono preoccupata. Fino a quel momento era sempre stato un ragazzo educato e rispettoso, pensavo quindi fosse solo trasportato dalle emozioni del momento.

CAPITOLO 9: LA VENDETTA

Circa una settimana dopo, in un pomeriggio tranquillo, immersa nei miei pensieri, ricevo un messaggio.

Mi scrisse Alessio, il migliore amico di Cristian, ed il messaggio spiegava come Cristian era su tutte le furie; mi chiedeva se ci potessi parlare io, per cercare di calmarlo, dato che loro non ci riuscivano.

Pensai che non era compito mio e risposi che doveva andare avanti ma non grazie a me. Lasciai perdere per non creare ulteriori danni; con il senno di poi, probabilmente, tornando indietro, avrei provato a parlargli ancora.

A scuola, nella settimana antecedente a questa, lo vidi spesso per i corridoi e prontamente mi lanciava sguardi minacciosi ed infastiditi dalla mia presenza, ma non ci diedi peso. Essendo una delle mie prime esperienze pensai fosse normale, credevo che si dovessero sbollire gli animi.

Il giorno successivo al messaggio di Alessio, ricevetti un sms da Darika. Quando lo lessi mi si gelò la faccia e mi bloccai, poi pensai che non potesse essere vera una situazione del genere, pensai che Darika scherzasse, ma una volta realizzato che Darika non scherzava su situazioni del genere mi spaventai.

Il messaggio diceva che da quella mattina un video stava girando tra gli alunni della scuola, e non solo, parlava della mia prima notte di fuoco con Cristian.

Chiesi subito delucidazioni spiegando che, per quanto mi riguardava, era impossibile mi avesse filmata, e che quella nel video sicuramente non ero io.

Mi scrisse contemporaneamente Alessio spiegandomi la stessa situazione e così anche il resto delle mie compagne di classe.

Ero nel panico e ancora non avevo visionato il video.

Mi girarono l’allegato video, lo analizzai con le lacrime agli occhi.

Era proprio quella notte, io e lui, una ripresa ad angolo che mostrava la stanza intera, in un punto in cui il telefono che riprendeva poteva rimanere ben nascosto.

Il video mostrava chiaramente la mia faccia, il mio corpo e quasi ogni dettaglio che puoi notare vedendomi nuda, era chiaro a tutti fossi io.

Fino a quel momento, durante quel giorno, non avevo ancora aperto i social.

Aprendoli, vidi la bacheca piena di commenti sul video uscito online, la casella dei messaggi pieni di insulti e osservazioni su quanto io fossi una poco di buono, su quanto fossi inesperta nel campo del sesso, conditi da messaggi viscidi e rivoltanti, di apprezzamento sul mio corpo.

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Ero in panico, traumatizzata ed immobilizzata dalla questione, inerme di fronte ad un problema del genere, senza forze e vie d’uscita; comprendevo già molto bene come questo video mi avrebbe segnata, per sempre, senza possibilità di rimozione, oramai tutti lo possedevano o lo avevano visto.

Dall’imbarazzo non riuscivo a parlarne con nessuno, men che meno con mia madre, un’altra volta in viaggio per la sua azienda.

In mezzo a questo tran tran si fece sera e ancora con le lacrime agli occhi e una potente sensazione di essere stata tradita e violata, scrissi di tutta rabbia a Cristian, chiedendo spiegazioni tramite un audio, in cui si sentiva in modo limpido quanto fossi disperata. Non potevo credere che avesse fatto una cosa del genere, la sua rabbia e il suo rancore, in combo con i potenti mezzi di divulgazione della rete, lo avevano cambiato, erano riusciti a tirare fuori il peggio di lui.

Avevo gli occhi e le occhiaie violacee per quanto piansi, mi reggevo in piedi giusto per correre al bagno e vomitare.

Cristian mi rispose verso le dieci di sera, con una risata, come se stesse godendo a vedermi così, con voce calma e tranquilla, chiedendomi perché piangessi, chiedendomi perché fossi sconvolta,

concludendo dicendo che lui mi aveva avvertito.

La sua risposta mi spezzò il cuore, mi spezzò l’animo e la mia positività, capii solo in quel momento che bestia lo avevano reso il mio distacco e il suo orgoglio di maschio alfa, amplificati dai social.

Quella sera non riuscivo a prendere sonno, non riuscivo ad uscire da un perenne attacco di panico, iniziato dalla realizzazione del messaggio di Darika.

Fino a quel momento sono sempre stata contro i farmaci, soprattutto gli psicofarmaci, di cui mia mamma, viaggiando spesso, ne usufruiva in maniera massiccia, ma quella sera era diverso.

Non ero lucida nei miei ragionamenti, volevo solo dormire e svegliarmi e scoprire che era tutto un brutto sogno.

Trovai dello Xanax nei cassetti di mia mamma, bene o male sapevo dove teneva la sua scorta e conoscevo circa le sue dosi.

Ne usufruì in maniera abbondante, crollando quasi istantaneamente in un sonno profondo.

La mattina mi svegliai sfatta, con qualche frammento della sera prima, completamente sedata e ancora addormentata.

Non avevo cognizione del tempo, il panico generale era tornato e la mia non-lucidità non aiutava.

Ero molto pallida, camminavo barcollando per casa cercando di appoggiarmi agli infissi, i miei occhi e le borse sotto di essi erano peggiorate, il mio umore anche.

Non potevo tornare a scuola, non potevo tornare nella classe che tanto amavo per evitare di essere derisa, denigrata o senza ricevere insulti gratuiti alla mia persona o al mio corpo.

Mi chiusi in casa, a telefono spento, per un paio di settimane, uscendo solo per comprare da mangiare.

Ormai il video era girato in tutto il paesino dove abitavo, un paesino piccolo, dove tutti conoscono tutti e tutto. Addirittura qualche genitore bigotto o qualche madre su di giri, si permettevano di commentare il mio video ed il mio stato quando mi incontravano al supermercato.

Ero dimagrita, sciupata, sempre pallida come un foglio di carta, trasandata e abbandonata a se stessa, in uno stato confusionale dato dai farmaci che sempre più prendevano il controllo dei miei pensieri e delle mie emozioni.

Il mio ‘ecosistema’ si stava sgretolando, diventando sempre più una bolla da cui non vedevo via d’uscita, che mi imprigionava dentro me stessa, per non sentire il chiasso riguardo la mia persona nel mondo esterno.

Ero sola, disperata e completamente arresa.

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Grazie ad uno stupido video, il mio carattere inesperto e sempre più fragile, un ragazzo rancoroso e vendicativo, ed un potente mezzo come l’internet, la mia vita fu rovinata.

Mi ritrovai nel mio bagno, l’inizio di questa storia e anche la fine.

CAPITOLO 10: IL RISVEGLIO

Passarono un mese o due in cui dovetti rimettermi in forze, dato il risveglio dal coma.

In quel paio di mesi, chiusa in ospedale, volevo ad ogni costo capire perché avvenimenti come quello che ho passato io, potevano avvenire; mi chiedevo come potesse esserci tanta cattiveria.

Passai tutto il mio tempo ad analizzare il comportamento delle persone sui social, su internet, nel web, nella vita riflessa sui loro profili. Studiai la mia generazione tramite ciò che postavano (come d’altronde fanno gli algoritmi delle aziende di questi social, usando il nostro tempo e la nostra attenzione come prodotto per gli inserzionisti).

Penso, arrivata a questo punto, che la mia generazione si stia perdendo, siamo chiusi nel Matrix prima ancora di sapere l’esistenza di esso.

Qualsiasi segnale di rottura, importante o meno che sia, non può smuovere questo attaccamento al mondo virtuale da parte nostra; ormai è un’idea radicata fin dalla nostra infanzia.

Ciò che si può fare è arginare questo problema con un’educazione all’uso del web e dei social, creando un mondo parallelo ma comunque socialmente accettabile.

I ragazzi non distinguono più il contesto, la sottile linea che separa ciò che è concesso fare o meno, oltre allo tsunami di incertezze che i social portano nella mente di un ragazzo.

Spesso ho visto nascere scontri e polemiche tra persone solo per i likes, solo per i follower.

I social sono diventati un metro di paragone tra persone, dettato da mode stupide, incentivando a loro volta le discriminazioni. Tutto ciò fin da quando siamo bambini, generando spesso del bullismo che si riflette nella vita reale.

Il libero arbitrio non fa per l’uomo e i social ne sono la dimostrazione.

I social non sono solo libero arbitrio per chi lo popola, ma è un canale in cui gli algoritmi possono far scorrere il fiume di inserzionisti, indirizzandoti a loro piacimento.

Il coma mi ha cambiata, mi ha fatto aprire gli occhi.

Solo chi ha piena consapevolezza del mezzo e dell’epoca in cui stiamo vivendo, sfugge alla mentalità di massa.. e sono rari casi distinti.

Sono anarchici dei social, spesso anche della vita.

Credo che, chi la pensi come me o queste persone, voglia il caos all’interno del libero arbitrio, per avere poi una pace definitiva.

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