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CAPITOLO TERZO IL LICENZIAMENTO ANNULLABILE E INEFFICACE

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CAPITOLO TERZO

IL LICENZIAMENTO

ANNULLABILE E

INEFFICACE

SOMMARIO: Introduzione – 1. L’annullamento del

licenziamento e la tutela reintegratoria «attenuata» - 1.2. Inidoneità del licenziamento ingiustificato a risolvere il rapporto – 1.3. Segue L’efficacia estintiva del licenziamento ingiustificato – 2. La tutela risarcitoria «forte» - 3. Il licenziamento inefficace e la tutela risarcitoria «debole»

Introduzione

A differenza di quanto osservato nei casi di nullità, per quanto riguarda la tutela accordata dall’ordinamento in caso di licenziamento non sorretto da adeguata motivazione, o in caso di licenziamento viziato per inosservanza delle regole formali o

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procedurali, si deve registrare un significativo allontanamento dalla disciplina previgente. Dall’unicità della conseguenza sanzionatoria costituita dalla tutela reale, si perviene ad un regime costituito da una pluralità di rimedi.

Nell’area del licenziamento ingiustificato, soluzioni risarcitorie si alternano a soluzioni reintegratorie, sulla base di criteri —non univoci e comunque di non immediata decifrazione— legati alla consistenza della motivazione richiesta per la legittimità dell’atto di recesso, lasciando al giudice il compito di selezionare la sanzione applicabile. La determinazione dell’effettiva estensione dell’area di applicabilità della tutela reale non è dunque determinabile a priori, ma sembra piuttosto

dover attendere l’assestamento di orientamenti

giurisprudenziali in merito ai nuovi criteri introdotti.

Con riferimento al licenziamento inefficace, si assiste ad un completo cambio di rotta rispetto all’impostazione precedente: la reintegra viene completamente a mancare e la tutela risarcitoria diventa l’unica sanzione possibile240241. Soluzione

quest’ultima che ha dato —e da— adito ad una serie di problemi interpretativi in ordine alla compatibilità con i dettami provenienti dall’interpretazione dei principi

240

241 Salvo l’unico caso, come si vedrà infra, del licenziamento intimato senza

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costituzionali, nonché con i precedenti assetti ermeneutici raggiunti in dottrina e giurisprudenza.

1. L’annullamento del licenziamento e la tutela reintegratoria attenuata.

I commi 4 e 7 dell’art.18 prevedono per particolari vizi del licenziamento242 la tutela reintegratoria c.d. attenuata243. In tali

situazioni il giudice annulla l’atto di recesso e condanna il datore alla reintegrazione del lavoratore estromesso. Il legislatore ha però optato, in luogo dell’indennità contemplata dal primo comma, per una indennità risarcitoria244 limitata nel

242 La sanzione prevista dal comma 4 si applica in ipotesi di: licenziamento

disciplinare in cui il fatto contestato sia manifestamente insussistente o sia previsto dai contratti collettivi/codici disciplinari come condotta punibile con sanzione conservativa (co. 4), licenziamento intimato per inidoneità fisica o psichica del lavoratore(co. 7), licenziamento intimato in violazione dell’art.2110 co. 2 c.c., licenziamento economico in cui vi sia la manifesta insussistenza del fatto posto alla base del giustificato motivo oggettivo (co.7)

243 L’aggettivo è utilizzato da M.T. CARINCI, Il rapporto di lavoro al tempo della crisi,

Relazione al XVII Congresso nazionale Aidlass, Pisa 7-9 Giugno 2012, p. 20ss del dattiloscritto, la quale distingue tra tutela reintegratoria piena/attenuata e tutela indennitaria forte/dimidiata; C. CESTER, Licenziamenti:la metamorfosi della tutela reale, in F. Carinci, M.Miscione (a cura di) Commentario alla riforma Fornero , in Diritto e pratica del lavoro, Milano, 2012, p.35ss. Altri autori utilizzano classificazioni

diverse che comunque identificano chiaramente i quattro livelli sanzionatori introdotti dalla riforma.

244 Questa è l’espressione utilizzata nella l.92/2012 per indicare i ristori economici

dovuti al lavoratore fuori dall’ambito di applicazione della tutela reintegratoria piena nella quale invece si parla solo di indennità. Così M.T. CARINCI, Il rapporto,

cit., p.31, nt. 241; rileva la differenza terminologica anche F. CARINCI, Complimenti,

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massimo a dodici mensilità, privata della previsione del minimo di cinque e dalla quale possono essere dedotti sia l’aliunde perceptum che percipiendum.

Evidente è il tentativo di correggere le disfunzioni emerse in sede applicativa del vecchio art.18. La condanna alla completa ricostruzione del rapporto di lavoro, idealmente mai interrotto dall’illegittimo licenziamento, esponeva sovente il datore di lavoro ad esborsi economici di notevole entità e di difficile

previsione, essendo l’ammontare del risarcimento

pesantemente condizionato dall’alea della lunghezza del processo.

Con l’introduzione di un «tetto» di dodici mensilità la riforma alleggerisce notevolmente le conseguenze a latere datoris ma lo fa ad un prezzo che rischia di essere eccessivo per la parte debole del rapporto.

La norma in esame dispone che tale indennità copra il periodo che corre dal licenziamento fino all’effettiva reintegrazione.

Il riferimento al termine effettiva, lascerebbe intendere che il tetto risarcitorio riguardi l’arco temporale dalla comunicazione del recesso fino al momento in cui il datore esegue materialmente l’ordine giudiziale, reinserendo effettivamente il lavoratore nella compagine aziendale. Seguendo una tale

lavoro, relazione tenuta al Convegno La riforma del mercato del lavoro, Roma, 13 Aprile 2012, p.16 del dattiloscritto.

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impostazione, come è stato giustamente osservato, «la norma finisce per negare quella tutela reale che invece vorrebbe esplicitamente attribuire»245: il datore potrebbe benissimo

evitare di ottemperare all’ordine di reintegrazione, in quanto non tenuto a corrispondere l’indennità risarcitoria commisurata alle retribuzioni per un ammontare eccedente la soglia delle dodici mensilità.

Tuttavia l’interpretazione prevalente in dottrina246 ─ che è

anche quella costituzionalmente orientata247 ─ più

correttamente, intende il limite dei 12 mesi come operante solo fino alla decisione del giudice. Da quel momento in poi il datore dovrà elargire al dipendente reintegrato l’indennità risarcitoria. È necessario però rilevare come, anche volendo prescindere dall’interpretazione strettamente aderente alla littera legis, le ricadute sul prestatore di lavoro rimarrebbero rilevanti: il

245 Così M.T. CARINCI, op.cit., p.20 nt.166

246Tra i tanti: A.MARESCA, Il nuovo regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo,

in Riv. it. dir. lav. , 2012, I, p.430; C. CESTER, La metamorfosi, cit., p. 35; M.T. CARINCI,

op.cit. , pag.20; A.VALLEBONA, La riforma del lavoro 2012, Giappichelli, Torino, 2012,

p. 60 nel quale si sostiene che: «la norma è scritta male».

247Rilevando un problema analogo a quello qui proposto, la Corte di Cassazione

con ordinanza del 28 gennaio 2011 ha sollevato una questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’Art. 32 co. 5 , legge 4 novembre 2010, n. 183 che dispone un limite di dodici mensilità all’indennità conseguente alla dichiarazione dell’illegittimità del termine. La Consulta nella conseguente Sent. 303/2011 si è così espressa sul punto: «Un’interpretazione costituzionalmente orientata della novella, però, induce a ritenere che il danno forfetizzato dall’indennità in esame copre soltanto il periodo cosiddetto “intermedio”, quello, cioè, che corre dalla scadenza del termine fino alla sentenza che accerta la nullità di esso e dichiara la conversione del rapporto»

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rischio economico derivante dalla lunghezza del processo risulta sostanzialmente trasferito dal datore al lavoratore248:

quest’ultimo, nel periodo intermedio recesso-sentenza, è ristorato delle perdite subite solo pro parte, restando esposto ai danni che superano in ammontare il limite stabilito dal co.4. Una previsione di questo tipo, come è stato da più parti osservato249, potrebbe presentare profili di attrito con l’art. 30

CDFUE in correlazione con l’art. 24 CSE laddove si accettasse di leggere quest’ultimo articolo alla luce delle osservazioni del Comitato Europeo dei Diritti Sociali. Tale organismo ha più volte ritenuto incompatibili con l’art. 24 CSE, dal quale discenderebbe il principio dell’integrale ristoro del danno subito fino alla sentenza250, normative che introducono tetti

massimi al risarcimento del danno. In particolare sono state censurate alcune legislazioni che, in maniera simile alla novella

248 Così F. CARINCI, op.cit., pag.16 ma l’opinione è diffusa in dottrina. Per tutti i

vedano C. CESTER, Licenziamenti: la metamorfosi, cit., p. 36; ID, Il progetto, cit., p. 558;

G. ORLANDINI, op. cit., p. 646.

249 G. ORLANDINI, op. cit., p. 628; V. SPEZIALE, Giusta causa, cit., p. 12-13; M. T.

CARINCI, Il rapporto, cit., pp. 31- 33; in senso più dubitativo G. CANNATI, Profili di incostituzionalità, cit., p. 222-223. Per il riferimento all’interpretazione degli art. 30

CFDUE, 24 CSE in virtù delle osservazioni del Comitato si veda supra cap. I

250 In questo senso M.T. CARINCI, Il rapporto, cit., p.32; G. ORLANDINI, op. cit., p.

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introdotta nel nostro ordinamento, contemplano un limite massimo di dodici mesi all’indennità risarcitoria251.

Al di là di queste osservazioni va però rilevato252 che la

disciplina introdotta al comma 4, presenta notevoli affinità con la previsione ex art. 32, co.5, l. 183/2010253, disposizione che la

Corte di Cassazione ha ritenuto opportuno sottoporre al vaglio di legittimità costituzionale254. Ebbene, la Consulta ha respinto

la questione con sentenza 11 novembre 2011, n. 303 nella quale si osserva che:

questa Corte ha affermato a più riprese che «la regola generale di integralità della riparazione e di equivalenza della stessa al pregiudizio cagionato al danneggiato non ha copertura costituzionale» (sentenza n. 148 del 1999), purché sia garantita

251 Il Comitato ha censurato le legislazioni di Albania e Cipro laddove prevedono

un risarcimento, dovuto in caso di illegittimità del licenziamento, limitato nel massimo a 12 mensilità. È interessante notare anche che il comitato ha chiesto chiarimenti al nostro paese in merito all’apparato sanzionatorio nell’area a tutela obbligatoria. Per un’approfondita analisi delle osservazioni del Comitato Europeo dei Diritti Sociali e per la valutazione della loro cogenza si rinvia a G. ORLANDINI,

op. cit., p. 640ss; M.T. CARINCI, Il rapporto, cit., p.32.

252 C. CONSOLOD. RIZZARDO, Vere o presunte novità, sostanziali e processuali, sui licenziamenti individuali, in Corriere giur., 2012, pp. 730-731; M. MARAZZA, L’art.18,

nuovo testo dello statuto dei lavoratori, in ADL, 3/2012, p. 631; V. SPEZIALE, Giusta causa, cit., pp. 11-12

253 L’ art. 32, co.5, l. 183/2010 prevede che: «Nei casi di conversione del contratto a

tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un'indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604»

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l’adeguatezza del risarcimento (sentenze n. 199 del 2005 e n. 420 del 1991).

A ben vedere questa lettura potrebbe essere adottata anche per il tetto risarcitorio contemplato dall’art.18255 laddove si osservi

che la misura massima delle dodici mensilità è la stessa prevista dall’art. 32 del «collegato lavoro»256 e che il legislatore ha

introdotto, con la riforma in commento, una procedura di tutela urgente per le controversie in tema di licenziamenti che dovrebbe porre rimedio all’eccesiva durata dei processi257.

Se l’auspicio per il futuro è che tale procedura raggiunga i propri scopi, per il presente bisogna osservare che il lavoratore, pur avendo dimostrato il suo buon diritto, ottiene un risarcimento parziale che lo priverebbe, oltre i dodici mesi, di qualsiasi sostentamento. È stato infatti osservato che: «l’eventuale prestazione di disoccupazione fruita in seguito al

255 In questo senso, ex multis, si vedano V. SPEZIALE, Giusta causa, cit., p. 12; G.

CANNATI, Profili di incostituzionalità, cit., p. 222-223;

256 Misura che, come visto supra, è stata considerata adeguata dalla Corte

Costituzionale. C’è però da rilevare come molti giudici di merito abbiano ritenuto che l’indennità copra solo il periodo dalla cessazione del rapporto fino al deposito del ricorso con cui è chiesta la conversione. Si vedano a questo proposito App. Roma 17 gennaio 2012, n.267; App. Venezia 3 aprile 2012. Mette in risalto questa interpretazione correttiva della giurisprudenza di merito C. CONSOLO – D. RIZZARDO, op. cit., p. 731.

257 La stretta connessione intercorrente tra il tetto delle dodici mensilità e

l’introduzione di un procedimento ad hoc per i licenziamenti ex art.18 nuovo testo è rilevata da gran parte della dottrina. Per tutti si vedano V. SPEZIALE, Giusta causa,

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licenziamento, diventerà indebita una volta che il licenziamento medesimo sia stato annullato e dovrà essere restituita all’ente previdenziale erogatore»258.

Il problema non è di immediata soluzione. Per affrontarlo nella giusta prospettiva, dobbiamo preliminarmente affrontare la questione dell’idoneità del licenziamento illegittimo, previsto dai commi 4 e 7, a risolvere il rapporto: se si arrivasse alla conclusione che il rapporto non è sussistente per il periodo ante-sentenza, tale indennità sarebbe sicuramente percepita in maniera legittima.

1.2. Inidoneità del licenziamento ingiustificato a risolvere il rapporto.

Come visto259, il dibattito precedente alla riforma aveva portato

alla conclusione, maggioritaria in dottrina e giurisprudenza, che il legislatore dello statuto avesse unificato i tre vizi del negozio ─inefficacia annullabilità e nullità─ sanzionandoli secondo il regime della nullità, con la conseguenza che il rapporto di lavoro doveva considerarsi come idealmente mai interrotto. Il risarcimento del danno previsto dall’art.18 vecchio

258Così C. CESTER, La metamorfosi, cit., p.36. Considerazioni analoghe anche in V.

SPEZIALE, Giusta causa, cit., p. 54 259 Si veda supra Cap. I

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testo, lungi dall’essere mero ristoro per equivalente ─ come invece l’espressione sembrerebbe indicare ─ svolgeva una funzione complessa: non solo reintegratoria delle retribuzioni non percepite ma anche afflittivo-sanzionatoria, considerando il limite delle cinque mensilità comunque dovute260.

A ben vedere tale itinerario ricostruttivo può essere coerentemente riproposto solo con riferimento all’ambito di applicabilità della tutela piena261 contemplata dall’art.18,

comma 1, nuovo testo.

Qualora ricorrano le ipotesi di nullità del licenziamento ivi elencate sono infatti previste sia la misura sanzionatoria delle cinque mensilità sia la completa ricostruzione del rapporto che va considerato come mai interrotto. Diversa sembra essere la prospettiva ermeneutica per la tutela reintegratoria attenuata. Gli elementi di forte specialità che la distinguono dalla tutela reale «classica» rendono difficoltosa la ricostruzione del regime intermedio.

Alcuni autori non sembrano comunque dubitare dell’incapacità del recesso a risolvere il rapporto262. Siffatta conseguenza

260 Così tra i primi O. MAZZOTTA, Il risarcimento del danno fra sanzione e inadempimento, in FI, I, 1978, p. 2175, M. D’ANTONA, La reintegrazione nel posto di lavoro, Padova,1979, p.131

261 Così O.MAZZOTTA, I molti nodi irrisolti nel nuovo art.18 dello Statuto dei lavoratori,

in Working Paper 159/2012 in http://csdle.lex.unict.it, p. 9

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discenderebbe automaticamente dalla previsione dell’ordine di reintegrazione: laddove il legislatore preveda la reintegra dovrebbe necessariamente conseguirne anche la giuridica continuità del rapporto di lavoro.

Ma vi è di più: un possibile riferimento all’incapacità del licenziamento a risolvere il rapporto, potrebbe essere dedotto dalla previsione del comma 5, laddove

:

Il giudice, nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento263

Come è stato efficacemente rilevato264, questa previsione, se

intesa alla lettera, sembra attribuire al giudice il potere costitutivo di porre fine al rapporto.

Si passerebbe così da un atto unilaterale dotato di efficacia costitutiva, immediata e sottoponibile solo ex post ad un controllo giudiziale di legittimità, ad un diritto potestativo la cui disciplina sembrerebbe riconducibile alla risoluzione

giudiziale: l’atto unilaterale non produce effetti fino a che non

263 Art.18, c.5, corsivo aggiunto. Per espresso richiamo del comma 7, il comma 5 si

applica anche : «nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo»

264 O. MAZZOTTA, I molti nodi irrisolti, cit., p. 8 che sottolinea «la paradossale

accentuazione del ruolo del giudice, che si pone in controtendenza rispetto alla conclamata volontà di restringerne la discrezionalità nella materia dei licenziamenti». In questo senso anche C. CONSOLO, D. RIZZARDO, op.cit., p. 731-732

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sopravvenga un ordine del giudice che, convalidandone l’utilizzo, ponga fine al rapporto.

Orbene, se si dovesse ammettere che il licenziamento, nelle ipotesi suddette, fosse inidoneo a produrre effetti, sarebbe quantomeno bizzarro ritenere che li produca nel caso di pronuncia di annullamento ai sensi del comma 4. Si finirebbe per considerare un licenziamento che presenta gravi lacune in ordine alla giustificazione —in caso di insussistenza del giustificato motivo soggettivo e di manifesta insussistenza del giustificato motivo oggettivo— come produttivo di effetti, nello stesso tempo in cui si nega che tali effetti vengano prodotti da un licenziamento che presenti vizi di motivazione meno gravi. È facile rilevare come tutto ciò risulterebbe in contrasto, a tacer d’altro, con l’intenzione del legislatore di graduare la risposta sanzionatoria in funzione della gravità del vizio che affligge il licenziamento265.

Quindi delle due l’una: o il licenziamento è inidoneo alla produzione di effetti sin dall’origine e spetta al giudice la scelta tra accertare la continuità del rapporto e sancirne la definitiva cessazione; o il recesso interrompe il rapporto e il giudice ha

265 Questa incongruenza viene rilevata in C. CONSOLO, D. RIZZARDO, op.cit., p.732

ove si osserva che: «Intendendo alla lettera la disposizione in commento, il licenziamento in queste ipotesi sarebbe necessario ma insufficiente a far venir meno il rapporto di lavoro, che potrebbe cessare solo grazie alla sentenza, la quale però, si badi, tale cessazione dovrebbe dichiarare sia che sussistessero, sia che non sussistessero i presupposti per un recesso legittimo».

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l’alternativa tra farlo rivivere con efficacia ex tunc o accertarne definitivamente l’effetto estintivo266.

Ciò detto, si deve allora rilevare che nella prima ipotesi, a discapito del lessico utilizzato dal legislatore, l’annullabilità si comporterà come una nullità: il lavoratore agirà in giudizio chiedendo l’accertamento della giuridica continuità del rapporto mai validamente interrotto dal licenziamento. Il datore sarebbe chiamato a provare la sussistenza dei presupposti per il legittimo utilizzo del potere di recesso e, laddove il giudice ne ravvisi l’insussistenza o la manifesta insussistenza, considererà il rapporto come mai interrotto e condannerà il datore ad adeguare la realtà fattuale alla realtà giuridica267. Quindi, come nei casi di nullità, riemergerebbe qui

la combinazione delle tre tecniche268 —invalidante,

inibitorio-restitutoria e risarcitoria— volta all’effettività della tutela del

266 Il giudice infatti accerterà l’interruzione del rapporto sia laddove ritenga che il

licenziamento sia legittimo sia laddove lo ritenga illegittimo, ma rientrante negli «altri casi» di ingiustificatezza. In quest’ultimo caso vi sarà però la condanna al pagamento dell’indennità risarcitoria prevista dai commi 5 e 7.

267 Secondo le categorie utilizzate daM. NAPOLI, Licenziamenti, cit., p. 64 in questo

caso l’insussistenza e la manifesta insussistenza diventerebbero presupposti non solo di validità, ma anche di efficacia del recesso, a differenza di quanto ricostruito dall’autore nel sistema precedente alla riforma, laddove la giusta causa e il giustificato motivo erano meri presupposti di validità che non compromettevano la produzione di effetti del recesso la ricostruzione continuerebbe però ad essere valida «negli altri casi» di mancanza di giusta causa e di giustificato motivo che rimarrebbero presupposti di validità ma non di efficacia, stante la previsione dell’indennità risarcitoria ex co. 5 e 7 Sul punto si veda infra Cap. I, nt.83.

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diritto alla conservazione del posto di lavoro, con l’unica differenza — certo non di poco conto— della mancata ricostruzione integrale delle retribuzioni spettanti per il periodo intermedio.

1.3. Segue: L’idoneità estintiva del licenziamento

ingiustificato

La ricostruzione che propende per la giuridica continuità del rapporto si espone ad alcune considerazioni.

Sembra innanzitutto contrastare col dato letterale del nuovo testo normativo laddove si dispone che:

Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione [..] per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro

r i s o l t o dall’illegittimo licenziamento e quella accreditata al

lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative269.

Questo riferimento alla risoluzione del rapporto sembra acquisire valore se posto in correlazione con la sottoposizione

269 Art. 18, co. 4.

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delle fattispecie previste dai commi 4 e 7, al regime

dell’annullabilità, secondo il quale l’atto viziato produce effetti

fino a che non sopravvenga una pronuncia giudiziale che ricostituisca ex tunc la situazione giuridica indebitamente modificata.

A ben vedere sembrerebbe riproporsi la situazione che caratterizzava l’art.18 prima delle modifiche introdotte dalla legge 11 maggio 1990, n. 108. Prima che la novella legislativa provvedesse ad unificare i regimi relativi alla ricostruzione del lato economico del rapporto, l’art.18 st. lav. suddivideva il periodo di estromissione del lavoratore dal posto in due parti: per il periodo intercorrente tra l’intimazione del licenziamento e la sentenza che ne dichiarava l’illegittimità, era previsto un risarcimento del danno; per il periodo successivo era invece prevista la corresponsione delle retribuzioni.

Questa differenza nella ricostruzione delle conseguenze economiche aveva portato a soluzioni divergenti in dottrina: per alcuni l’illegittimo licenziamento era perfettamente idoneo a risolvere il rapporto, per altri invece il licenziamento intimato in mancanza dei presupposti era da considerarsi improduttivo di effetti. Ebbene, come visto, fu la seconda soluzione a prevalere. C’è però da notare come il risarcimento del danno relativo al periodo precedente alla sentenza fosse comunque

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idoneo a permettere una ricostruzione del rapporto idealmente mai interrotto. Cosa che invece viene testualmente esclusa dalla novella laddove si prevede, con il limite delle dodici mensilità, una ricostruzione solamente parziale del periodo intermedio. Gli autori che sostengono la giuridica continuità del rapporto sembrerebbero allora porre troppo in risalto la sanzione della reintegra, ─ elemento di comunanza tra la tutela reintegratoria forte270 e quella attenuata─ finendo per appiattire la

ricostruzione del regime di annullabilità su quello della nullità271, senza dedicare un’adeguata considerazione alle

evidenti divergenze che le contraddistinguono. In particolare il forte ridimensionamento della tutela risarcitoria. Rispetto al risarcimento di cui al comma 1, come già anticipato, manca il riferimento al minimo delle cinque mensilità di retribuzione; dall’ammontare del risarcimento questione è prevista la deduzione non solo dell’aliunde perceptum ma anche dell’aliunde

percipiendum. Inoltre il ristoro limitato nel massimo

sembrerebbe molto lontano dall’essere considerato come derivante dalla permanenza dell’obbligo retributivo in capo al datore.

270 Che si ricorda essere strutturata sul paradigma della tutela reintegratoria

«classica», ossia quella prevista dal vecchio art.18 per la nullità, l’annullabilità e l’inefficacia del licenziamento.

271 Secondo A.VALLEBONA, op.cit.,p.60 : « Le differenze non riguardano l’ordine di

reintegrazione, né l’indennità sostitutiva di questa, sicché si tratta anche qui di vera e propria tutela reale ed è sbagliato parlare di tutela reale depotenziata o ridotta»

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Più corretta sembra essere l’opinione secondo cui tale indennità

risarcitoria non ha il carattere di polifunzionalità ─ che presenta

l’indennità accordata dal primo comma─ ma presenta i tratti della sanzione a carattere solo indennitario, conseguenza dell’avvenuta risoluzione del rapporto272.

Il licenziamento —pur rilevandosi l‘insussistenza dei fatti contestati, in caso di giusta causa e giustificato motivo soggettivo, o la manifesta insussistenza del fatto posto alla base del giustificato motivo oggettivo— sarebbe comunque idoneo a produrre effetti, salvo l’intervento di una sentenza di annullamento che ricostruisca ex tunc il rapporto273

ripristinando pienamente gli effetti derivanti dal rapporto. Se questa è la premessa allora si potrebbe concludere che il legislatore ha iniettato nella categoria di diritto comune una

272O.MAZZOTTA, I molti nodi irrisolti nel nuovo art.18 dello Statuto dei lavoratori, in

Working Paper 159/2012 in http://csdle.lex.unict.it p.10. Nello stesso senso anche R. GALARDI, Il licenziamento disciplinare, in M. CINELLI , G. FERRARO, O. MAZZOTTA, Il nuovo mercato del lavoro dalla riforma Fornero alla legge di stabilità 2013, Giappichelli,

Torino, 2013, p. 286. Sembra qui acquisire un rinnovato rilievo ciò che Giuseppe Pera scrisse con riferimento al regime risarcitorio del vecchio testo dell’art.18: «Per questo periodo [il periodo intermedio tra licenziamento e sentenza n.d.r] non c’è rapporto, non c’è retribuzione […] ci sono solo i danni» G. PERA, Commento, cit., p.202.

273 In questo casoa differenza di quanto prospettato supra nel paragrafo

precedente per la ricostruzione in termini di nullità— le categorie categorie

utilizzate da M. NAPOLI, Licenziamenti, cit., p. 64 sono pienamente rispettate: la

giusta causa e il giustificato motivo a prescindere dall’analisi sull’insussistenza e sulla manifesta insussistenza, sono meri presupposti di validità che non intaccano l’idoneità del recesso a produrre effetti. Si vedano supra il paragrafo che precede nonché il Cap. I, nt. 83

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«massiccia dose di specialità»274: l’effetto tipico di ricostruzione

ab origine ─ che secondo i principi civilistici dovrebbe

conseguire all’annullabilità ─ sembra risultare edulcorato a tal punto, da far sorgere forti dubbi persino sulla retroattività della pronuncia giudiziale di annullamento.

Piuttosto sembrerebbe che il legislatore abbia optato per una annullabilità sui generis, che lasci intatte le conseguenze prodotte dal licenziamento per il periodo pre-sentenza e che ricostruisca il rapporto di lavoro ex nunc275. Il lavoratore

rientrerebbe così in servizio nella stessa condizione in cui si trovava al momento dell’illegittimo licenziamento.

Un indizio in tal senso potrebbe provenire dalla diversa qualificazione del parametro di riferimento del risarcimento del danno. Nel primo comma è l’ultima retribuzione m a t u r a t a276

dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione mentre nel comma in esame è l’ultima retribuzione senza aggettivi.

274L’espressione è di C. CESTER, La metamorfosi, cit., p.35.

275 Una tale interpretazione era stata elaborata da M.PERSIANI, tutela dell’interesse del lavoratore alla conservazione del posto, in L .RIVA SANSEVERINO; G. MAZZONI (a cura di) Nuovo trattato di diritto del lavoro, Padova, 1971, p. 699 e si basava sulla differenziazione che l’art.18 (prima della novella del 1990) avrebbe introdotto tra la fasi pre e post sentenza, la prima prevedendo il risarcimento del danno, la seconda prevedendo la retribuzione.

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Ma, al di la dell’aspetto puramente letterale, l’interpretazione qui auspicata, avrebbe il pregio di trovare un punto di equilibrio tra l’interesse del datore alla previsione dei possibili costi, a cui dovrebbe far fronte in caso di declaratoria di illegittimità dell’atto recesso ─ interesse che, come visto, il legislatore ha inteso tutelare forfetizzando il ristoro dovuto in caso di declaratoria di illegittimità─, e l’interesse del prestatore di lavoro a non trovarsi privo di mezzi di sostentamento277 in

una situazione del mercato del lavoro condizionata dall’alto tasso di disoccupazione.

Inoltre sembrerebbe coerente con l’intero impianto di una riforma che ha indubbiamente voluto allargare le ipotesi di applicazione di una sanzione monetaria.

2. La tutela risarcitoria «forte»

Nei casi di licenziamento disciplinare, in cui il fatto contestato non sia insussistente, e nei casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in cui il fatto alla base non risulti manifestamente insussistente, il giudice «dichiara risolto il

277 Se così interpretata, la norma consentirebbe al lavoratore di non restituire

all’ente previdenziale le somme ricevute a titolo di indennità di disoccupazione in quanto, per il periodo precedente alla sentenza, il licenziamento ha interrotto il rapporto e dunque il lavoratore non risulta occupato. Si supererebbe così il problema messo in risalto da C. CESTER, La metamorfosi, cit., p.36;

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rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto»278.

A differenza di quanto visto per la tutela reintegratoria attenuata, qui il dettato normativo è chiaro: il licenziamento, seppur illegittimo, estingue il rapporto. Il legislatore opta quindi per una soluzione analoga a quella prevista per le imprese al di sotto della soglia dimensionale prevista ai co. 8 e 9 del nuovo testo: il licenziamento intimato nelle «altre ipotesi» di mancanza di giusta causa o giustificato motivo è sì invalido, ma resta comunque efficace279 senza la possibilità di una pronuncia

successiva che ripristini il rapporto e senza la possibilità di riassunzione prevista dall’art.8 l. 15 luglio 1966, n. 604280. Il

legislatore quindi decide, con eccezione espressa alla regola derivata dai principi di effettività e di priorità

278 Art.18, co. 5 e 7.

279 Con riferimento alle categorie utilizzate da M. NAPOLI, Licenziamenti, cit., p. 64 le altre ipotesi di licenziamento ingiustificato sarebbero presupposti di validità e non

di efficacia: anche in questo caso la ricostruzione dell’autore sarebbe pienamente rispettata. Sul punto si vedano supra i paragrafi precedenti nonché Cap. I nt.83. La somiglianza con la tutela obbligatoria viene sottolineata da V. SPEZIALE, Giusta causa, cit., p. 20 ; MARAZZA, op. cit., p. 633.

280 Questa è la differenza più rilevante con la sanzione prevista in ambito di tutela

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136

dell’adempimento281, di sanzionare l’inadempimento

contrattuale del datore con una tutela per equivalente282.

L’indennità risarcitoria è definita dal legislatore «onnicomprensiva»283 quindi «esclude pregiudizi ulteriori di

carattere patrimoniale o non patrimoniale»284 . Per quanto

riguarda l’estinzione del rapporto, si è visto supra, come il legislatore sembra aver introdotto, al posto dello strumento del recesso, una vera e propria risoluzione giudiziale.

A ben vedere, come si è cercato di spiegare285, questa

ricostruzione potrebbe essere valida solo laddove si ammettesse che il licenziamento è inidoneo a risolvere il rapporto. Se invece si dovesse propendere per un’esegesi che consideri il licenziamento pienamente idoneo a produrre autonomamente effetti, il termine «risolto» sarebbe in realtà utilizzato come sinonimo di estinto286.

281 Per la vigenza nel nostro ordinamento del primato della tutela in forma specifica

alla luce del principio di effettività della tutela si rinvia alla ricostruzione effettuata

supra Cap.I.

282 Sul punto I. PAGNI, L’evoluzione, cit., p. 79

283 Il particolare è interessante poiché se ne può far derivare a contrario la possibilità

del risarcimento dei danni ulteriori per quanto riguarda il regime risarcitorio nell’ambito di applicabilità delle due tutele reali. Sul punto V. SPEZIALE, Giusta causa, cit., p. 60.

284 Così V. SPEZIALE, Giusta causa, cit., p. 59. Sul punto la dottrina è concorde: per

tutti si vedano A.VALLEBONA, op.cit., p. 56; C. CESTER, I licenziamenti, cit., p. 37; M. MARAZZA, L’art.18, cit., p. 631.

285 Si veda supra par.4

286 In questo senso R. GALARDI, Il licenziamento disciplinare, cit., p. 285, nt. 27.

(22)

137

Come si è visto287, la Costituzione e le fonti europee non

contemplano l’obbligatorietà della reintegra288. C’è però da

osservare che laddove il legislatore opti per un risarcimento quest’ultimo deve costituire «efficace deterrente per il datore e proporzionato risarcimento del danno sofferto dalla vittima»289.

Ebbene, si deve rilevare che la dottrina è pressoché unanime nel ritenere il risarcimento previsto idoneo a rispettare i canoni derivanti dai principi Costituzionali ed Europei290.

Nonostante ciò la differenza sostanziale tra il bene a cui il lavoratore aspira e il ristoro che gli viene concesso risulta comunque abissale. Come è stato giustamente osservato infatti dietro alla tutela per equivalente «può annidarsi un

risoluzione giudiziale, tantomeno con effetto costitutivo: la risoluzione (ma sarebbe meglio dire la cessazione) del rapporto non può essere imputata alla pronuncia del giudice, ma alla volontà, per quanto non sorretta da giustificazione, del datore di lavoro. Ed infatti, il giudice comunque «dichiara» risolto il rapporto, non a caso, «con effetto dalla data del licenziamento».

287 Supra, Cap.I

288 Il punto è pacifico in dottrina: per tutti si vedano P. ICHINO, La riforma dei licenziamenti, cit., p. 24; V. SPEZIALE, Giusta causa, cit., p. 8-9; A.VALLEBONA, op.cit.,

p. 55

289 Così M.T. CARINCI, Il rapporto, cit., p.33 che arriva ad una simile conclusione

dopo un’attenta analisi della giurisprudenza della Corte Costituzionale ed Europea. Arrivano alle medesime conclusioni anche V. SPEZIALE, Giusta causa, cit.,

p. 20; G. ORLANDINI, op. cit., p. 639

290 C. CESTER, Licenziamenti: la metamorfosi, cit., p. 37 che ritiene che il bene

dell’occupazione non sempre possa considerarsi «svenduto»; Ammette la non incompatibilità anche V. SPEZIALE, Giusta causa, cit., p. 8-9 che però giustamente

osserva come il giudizio di valutazione della congruità di un’indennità risarcitoria sia «a geometria variabile» in relazione a fattori diversi come: la dimensione delle imprese, la potenzialità economica delle aziende, la situazione del mercato del lavoro locale.

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meccanismo di vera e propria espropriazione dei diritti»291: per

quanto un risarcimento possa risultare congruo, in effetti, non potrà mai interamente sostituire il bene della vita che il danneggiato potrebbe, se possibile, voler ottenere.

3. Il licenziamento inefficace e la tutela risarcitoria «debole»

Per quanto riguarda i requisiti formali del licenziamento, il legislatore introduce elementi di forte novità rispetto alla disciplina precedente.

Innanzitutto viene modificato l’art. 2, co. 2, l. 604/1966: la motivazione del licenziamento deve essere obbligatoriamente fornita assieme alla comunicazione del licenziamento292. La

scelta ha riscosso un generale consenso tra gli interpreti poiché risulta coerente non solo con il valore che assume la comunicazione dei motivi in vista del diritto di difesa del lavoratore, ma anche con l’intero impianto di una riforma che attribuisce una nuova centralità alla giustificazione del recesso. Essa, come si è potuto constatare supra, viene infatti a rilevare

291 A. PROTO PISANI, Note sulla tutela civile dei diritti, p.39. Sulle conseguenze

derivanti dall’utilizzo della tutela per equivalente nel diritto del lavoro si rinvia

infra Conclusioni.

292 Ai sensi del vecchio testo, come noto, il lavoratore poteva chiedere, entro

quindici giorni dalla comunicazione, i motivi che hanno determinato il recesso. A quel punto il datore avrebbe dovuto, entro sette giorni dalla richiesta, comunicare i suddetti motivi per iscritto.

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139

sia in vista del giudizio in merito alla validità dell’esercizio del potere, sia per la determinazione della sanzione applicabile293.

Ma l’importanza attribuita all’onere di giustificazione viene quanto meno contraddetta dalla reazione che il legislatore prevede nel caso della sua violazione294.

Come si è visto295, il vecchio art. 18 co.1 St. lav. prevedeva, in

caso di licenziamento inefficace per l’inadempimento all’obbligo di comunicazione dei motivi, l’ordine giudiziale di reintegrazione, nonché la condanna al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni per tutto il periodo di estromissione del lavoratore. Il licenziamento intimato in violazione dei presupposti previsti dalla legge, era così da ritenersi improduttivo di effetti e il rapporto avrebbe dovuto essere ricostruito come se il recesso non fosse mai avvenuto. Se osserviamo il dettato normativo si deve constatare che questa ricostruzione può essere validamente riproposta solo per quanto riguarda il licenziamento inefficace «perché intimato in forma orale» —previsto nella parte finale del co.1 dell’art. 18

293 Rilevano questa rinnovata importanza dell’obbligo di motivazione M.

MARAZZA, op. cit., p. 633; O. MAZZOTTA, I molti nodi, cit., p. 6; F. CARINCI, Il licenziamento inefficace, in F. CARINCI, M. MISCIONE (a cura di), Commentario alla

riforma Fornero, in Diritto e pratica del lavoro, supplemento n.33 del 15 settembre

2012, p. 73

294O. MAZZOTTA, I molti nodi, cit., p. 6 il quale si esprime sul punto definendolo

una «grave contraddizione».

(25)

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riformato— laddove il legislatore opta per la stessa sanzione riservata ai casi di nullità dell’atto di recesso.

Per gli altri casi di inefficacia dovuta a vizio di motivazione, il trattamento sanzionatorio viene invece profondamente modificato.

Al comma 6 del nuovo art.18 si prevede infatti che:

Nell'ipotesi in cui il licenziamento sia dichiarato inefficace per violazione del requisito di motivazione di cui all'articolo 2, comma 2, della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, […], si applica il regime di cui al quinto comma, ma con attribuzione al lavoratore di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.

Come si può agevolmente constatare anche da una prima lettura del comma, alla violazione del requisito di motivazione viene oggi ad essere corrisposta la sanzione qualitativamente (indennità risarcitoria) e quantitativamente (da sei a dodici mensilità) più debole tra quelle previste dal nuovo articolo 18296.

296 Così R. GALARDI, Il licenziamento inefficace, in M. CINELLI , G. FERRARO, O.

MAZZOTTA, Il nuovo mercato del lavoro dalla riforma Fornero alla legge di stabilità 2013,

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Il legislatore viene così a proporre —ecco la contraddizione di cui supra— un «doppio uso del termine inefficace»297: a

differenza di quanto previsto per il licenziamento privo della forma scritta, il licenziamento viziato da mancanza di motivazione è idoneo ad interrompere il rapporto.

A ben vedere, e a differenza di quanto visto per la nullità, nel co. 6 «si consuma la frattura più evidente […] dal punto di vista della coerenza e congruità delle conseguenze sanzionatorie rispetto alla qualificazione del vizio»298: l’atto di recesso, pur

essendo qualificato come inefficace, è in realtà.. pienamente efficace. E questa frattura risulta ancor più amplificata se si allarga lo sguardo alla disciplina per le imprese al di sotto del limite dimensionale previsto dai commi 8 e 9 del nuovo testo. In tale ambito la sanzione contro il licenziamento inefficace è rimasta invariata, e risulta tutt’ora corrispondente alla c.d. tutela reale di diritto comune299.

Viene così introdotta un’ingiustificata differenza di trattamento tra imprese di piccole dimensioni e imprese medio-grandi che

297 Così F. CARINCI, Il licenziamento inefficace, cit., p. 72 298 Così C. CESTER, Il progetto, cit., p. 580.

299 Sulla quale si veda supra cap. II. Sull’applicabilità nelle imprese di minori della

disciplina di diritto comune in caso di licenziamento carente della motivazione si vedano: O. MAZZOTTA, Diritto del lavoro, cit., p. 732; ID, I molti nodi, cit., p. 13; R.

GALARDI, Il licenziamento inefficace, cit., p. 304; C. CESTER, Il progetto, cit., p. 580. In

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142

difficilmente può essere ridimensionata in via interpretativa300 e

che suscita più di un sospetto di incostituzionalità301.

Come si è potuto notare nello svolgimento dell’analisi delle proposizioni normative di riforma302, il legislatore si è sovente

mostrato molto attento a rispettare l’orientamento giurisprudenziale prevalente303. E questo modus operandi è stato

sicuramente rispettato per quanto riguarda la previsione dell’obbligo contestuale di motivazione e la radicale inefficacia del licenziamento intimato in forma orale304.

Ma, per quanto riguarda la mancata comunicazione dei motivi, il legislatore sembra essersi «distratto»305: non sembra infatti

aver tenuto conto del fatto che la Suprema Corte ha in tutto e per tutto equiparato tale vizio a quello della mancanza di forma

300C. CESTER, Il progetto, cit., p. 580. Contra A.VALLEBONA, La riforma, cit., p. 44 il

quale propone «un’interpretazione costituzionalmente orientata» volta ad estendere anche alle imprese di minori dimensioni la disciplina del comma 6.

301 Propendono per un intervento della Consulta C. CESTER, Op. ult. cit., p. 580; R.

GALARDI, Op. ult. cit., p. 304. G. CANNATI, Profili di incostituzionalità, cit., p.228 ; A. PALLADINI, La nuova disciplina in tema di licenziamenti, in Riv. it. dir. lav., 2012, I, p.676.

302 Basti pensare a quanto detto in merito alla sottoposizione di tutte le cause di

nullità alla tutela di cui al comma primo o all’espressa deducibilità dell’aliunde

perceptum e percipiendum. Sul punto si veda supra il cap. II. 303M. V. BALLESTRERO, Declinazioni, cit., p.456.

304 La Corte Costituzionale attribuisce 305 Ibidem

(28)

143

scritta in virtù dell’identità delle funzioni che esse devono svolgere306.

Lo stesso ragionamento potrebbe essere svolto anche per il licenziamento intimato in «violazione della procedura di cui all’art. 7 St. lav.»307 per l’irrogazione delle sanzioni disciplinari,

anch’esso sottoposto alla sanzione prevista dal co.6.

La giurisprudenza infatti, nel sanzionare la violazione di tale procedimento, assestandosi sul principio della sufficienza delle tutele, in virtù del quale un vizio di forma non può essere trattato in maniera più grave di un vizio di sostanza308, ritiene

costantemente applicabile il medesimo regime sanzionatorio del licenziamento ingiustificato. Anche in questo caso, dunque,

306 Ibidem, ove giustamente si osserva come: «La controversia interpretativa sulla

distinzione tra violazione della forma scritta e mancata comunicazione dei motivi è stata risolta diversi anni fa da un intervento delle S.U., 27 luglio 1999, n. 508, nel senso dell’equiparazione della seconda alla prima. Questo legislatore che pare prestare un’attenzione a volte persino sorprendente all’orientamento giudiziale prevalente, stavolta si è distratto?».

307 La legge ha il pregio di prevedere espressamente l’applicabilità dell’art. 7 St. lav.

in materia di licenziamento. La previsione è da considerarsi come ricognitiva dell’orientamento della Corte Costituzionale che in primis con sent. 30 novembre 1982, n. 204 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dei primi tre comma dell’art.7 se interpretati nel senso della loro inapplicabilità ai licenziamenti disciplinari e poi con sent. 25 luglio 1989, n. 427 ha esteso l’applicabilità della procedura anche alle imprese al di sotto dei 16 dipendenti.

308 L’argomento della sufficienza delle tutele, pur avendo il pregio della

ragionevolezza, è stato criticato in dottrina. L’opinione giurisprudenziale sarebbe viziata da «un’eccesso di creatività» poiché la sanzione applicabile non è quella che risulta logicamente più accettabile ma quella «deducibile dal sistema». E in questo caso la sanzione dovrebbe piuttosto essere quella della nullità per violazione della norma imperativa (art.1418cod. civ.) di cui all’art.7 St. lav. Così O. MAZZOTTA, Diritto del lavoro, cit., p.733. Nello stesso senso anche C. CESTER, Il progetto, cit., p.

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144

potrebbe avvertirsi una attenzione “selettiva” da parte del legislatore poiché, a rigore, si sarebbe dovuto sanzionare il vizio con una delle due sanzioni introdotte come risposta ad un licenziamento ingiustificato309.

Ma, al di là di queste considerazioni, va comunque notato come alcuni autori abbiano salutato la previsione dell’indennità risarcitoria con favore, poiché sovente, nel vecchio sistema, un’irregolarità formale di poco momento310 poteva avere

conseguenze troppo pesanti per il datore di lavoro.

Un vizio di forma di minima entità, pur a fronte di un licenziamento pienamente giustificato nella sostanza, poteva venire sanzionato con la condanna alla reintegrazione dopo molti anni, con tutte le conseguenze economiche che ad esso si accompagnavano.

Da questo punto di vista la sanzione indennitaria assolverebbe pienamente «alla funzione specifica di responsabilizzare il datore di lavoro circa il rispetto di un procedimento imposto

309 In questo senso F. CARINCI, Complimenti, cit., p. 18-19 che propende per

l’applicazione della tutela reintegratoria attenuata. Definisce la scelta del legislatore «alquanto opinabile» M. V. BALLESTRERO, Declinazioni, cit., p.456 secondo la quale «il licenziamento intimato senza il rispetto della procedura disciplinare è ingiustificato: quindi dovrebbe essere sanzionato con la stessa sanzione prevista dal comma 5 del nuovo art.18 (risarcimento 12-24 mensilità) e non con una sanzione ridotta».

310 Come potrebbe esserlo «lo smarrimento di una raccomandata postale o il

superamento di un termine perentorio di un solo giorno». Così V. SPEZIALE, La riforma, cit., p. 543.

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145

per l’esercizio di una sua prerogativa»311 laddove si constati che

il licenziamento inefficace, se sottoposto alla tutela reale, «potrebbe essere sempre ripetuto, per lo stesso motivo, con il rispetto del procedimento prima violato»312.

Nonostante la fondatezza di queste osservazioni la tutela indennitaria debole si espone a delle rilevanti obiezioni.

È stato efficacemente notato come la parola violazione, utilizzata dal legislatore, sia «tanto ampia quanto generica, sì da coprire indifferentemente mancanze gravi e lievi, certo non meritevoli d’essere trattate in ugual maniera»313; in essa possono sì

rientrare le violazioni di scarso rilievo che spesso hanno funto da «trappole»314 per il datore pienamente legittimato a

licenziare, ma, allo stesso tempo, finirebbero per essere assorbite nella tutela meramente indennitaria anche violazioni di grave entità, come la mancata comunicazione dei motivi o la totale omissione del procedimento di irrogazione del licenziamento disciplinare.

311 Così P. ICHINO, La riforma dei licenziamenti, cit., p. 13.

312 A.VALLEBONA, La riforma, cit., p. 65 per il quale «la nuova disposizione,

escludendo sempre la tutela reale per i vizi procedimentali, finisce opportunamente per accorpare in un solo processo l’esame di tutti i possibili vizi dello stesso licenziamento».

313F. CARINCI, Complimenti, cit., p. 18. 314 Così V. SPEZIALE, La riforma, cit., p. 544

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146

Questi requisiti del licenziamento, lungi dal non ledere nessun diritto assoluto della persona315, sono stati considerati dalla

giurisprudenza «come fondamentale garanzia giuridica per il lavoratore, che vedrebbe altrimenti frustrata la possibilità di contestare la risoluzione unilateralmente attuata dal datore»316.

Come è stato anticipato —supra cap. I— la previsione della regola della comunicazione dei motivi, nonché del procedimento ex art. 7 St. lav., può correttamente farsi risalire al bilanciamento espresso che la Costituzione prevede, all’art. 41 co.2, tra libertà di impresa e dignità umana317.

315P. ICHINO, La riforma dei licenziamenti, cit., p. 13 ove si osserva che «laddove il

licenziamento sia sostanzialmente giustificato, non è in gioco nessun diritto assoluto della persona». L’autore però sembra non fare caso al fatto che il licenziamento sostanzialmente giustificato sarebbe “svelato” come tale solo al momento dell’introduzione del giudizio, con evidente violazione del diritto di difesa del lavoratore costretto ad impugnare il vizio sostanziale senza conoscerne le fattezze.

316Così Cass.12 marzo 2009, n. 6010 che si riferisce alla comunicazione dei motivi,

ma che può essere validamente esteso anche alla contestazione disciplinare del fatto.

317 Sul punto si rimanda a quanto detto nel Cap. I. In particolare si vedano le

sentenze citate nelle note 15 e 16. Si può qui ricordare il valore che la Consulta attribuisce alla procedura ex art.7 St. lav. Secondo Corte Cost. 30 novembre 1982, n. 204 «L'art. 7 commi secondo e terzo, poi, raccoglie il ben noto sviluppo - ad un tempo socio-politico e giuridico formale - che ha indotto ad esigere come essenziale presupposto delle sanzioni disciplinari lo svolgersi di un procedimento, di quella forma cioè di produzione dell'atto che rinviene il suo marchio distintivo nel rispetto della regola del contraddittorio: audiatur - lo si ripete - et altera pars. Rispetto che tanto più è dovuto per quanto competente ad irrogare la sanzione è (non già - come avviene nel processo giurisdizionale - il giudice per tradizione e per legge "super partes", ma) una pars». Nella sent. 25 luglio 1989, n. 427 si osserva che «non vi è dubbio che il licenziamento per motivi disciplinari, senza l’osservanza delle garanzie suddette, può incidere sulla sfera morale e professionale del lavoratore». In merito al bilanciamento tra il primo e il secondo

(32)

147

È facile inoltre constatare come la svalutazione dei profili formali porterebbe ad agevolare atteggiamenti opportunistici del datore di lavoro, fortemente lesivi del diritto al contraddittorio e alla difesa «riconosciuto come principio fondamentale dall’art.24 Cost. e destinato, in quanto espressione di “valori di civiltà giuridica”, ad operare sempre quando vengano in considerazione poteri punitivi riconosciuti dall’ordinamento»318.

In effetti il datore potrebbe benissimo limitarsi ad intimare il recesso per iscritto, senza nessuna comunicazione in merito alle motivazioni. A quel punto il lavoratore sarebbe costretto ad impugnare «al buio»319.

Si potrà allora osservare come «se tutto terminasse così il datore di lavoro avrebbe trovato un modo per liberarsi di un lavoratore pagando solo un modesto dazio: effettuare un licenziamento “inefficace”, non dire e non fare niente in giudizio, corrispondere di buon grado l’indennità ridotta»320.

comma dell’art.41 si rimanda a quanto scritto da L. NOGLER, La disciplina dei licenziamenti, cit. p.9ss

318 Così M.T. CARINCI, Il rapporto, cit., p. 31. A questo lavoro si fa rinvio anche per le

indicazioni della giurisprudenza della Corte Costituzionale ed Europea.

319 Il problema viene rilevato in questi termini da gran parte della dottrina. Per tutti

P. ALLEVA, Punti critici, cit. p.10; V. SPEZIALE, La riforma, cit., p. 542; R. GALARDI, Il licenziamento inefficace, cit., p. 304; G. CANNATI, Profili di incostituzionalità, cit., p.228;

M. MARAZZA, op. cit., p. 633; P. ALBI, Il licenziamento individuale, cit., p.9 320 Così F. CARINCI, Complimenti, cit., p. 18

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148

Per far fronte ad una questione di questo tipo il legislatore ha previsto una «clausola di sicurezza»321: in caso di licenziamento

inefficace si applicherà la tutela indennitaria «a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi è anche un difetto di giustificazione del licenziamento, nel qual caso applica, in luogo di quelle previste dal presente comma, le tutele di cui ai commi quarto, quinto o settimo»322.

Come giustamente rilevato, questo enunciato del legislatore «non è affatto chiaro»323. In particolare non si riesce bene ad

intendere se la domanda del lavoratore debba essere contestuale al ricorso col quale impugna il licenziamento ritenuto inefficace o possa essere ad esso successiva324. Se

l’inciso del legislatore potesse permettere una posticipazione della domanda del lavoratore al momento in cui il datore di lavoro «svela» le proprie motivazioni allora nulla quaestio: il lavoratore avrebbe comunque la possibilità di difendersi nel

321 Il termine è utilizzato da C. CESTER, Il progetto, cit., p. 581.

322 Nel dettato normativo manca il riferimento al comma 1 ovvero alla tutela

prevista in caso di accertamento della nullità del licenziamento. In dottrina però si ravvisa correttamente come «la possibilità di dare evidenza al motivo discriminatorio prescinde, com’è pacifico, dalla motivazione addotta e […] se il motivo discriminatorio c’è (e il lavoratore ritiene di poterlo dimostrare), esso sarà comunque oggetto di accertamento nel processo». Così C. CESTER, Il progetto, cit., p.

582.

323Così F. CARINCI, Complimenti, cit., p. 18

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149

merito e la sanzione verrebbe comminata anche se il datore riuscisse a provare la piena giustificatezza del licenziamento. Nel primo caso invece il problema rimarrebbe immutato, poiché il lavoratore, in caso di carenza di motivazione, dovrebbe impugnare un vizio sostanziale «del tutto alla cieca»325, con macroscopica violazione del diritto di difesa. Per

ovviare ad una tale situazione in dottrina è stata proposta un’interpretazione correttiva secondo la quale il licenziamento intimato senza indicazione dei motivi o senza contestazione disciplinare dovrebbe essere considerato come ingiustificato con conseguente applicazione della tutela reintegratoria attenuata326. La soluzione ermeneutica si basa sulla

considerazione che un licenziamento intimato senza comunicazione dei motivi, integrerebbe sia l’insussistenza del fatto contestato327, sia la manifesta insussistenza del fatto posto

alla base del giustificato motivo oggettivo328, condizioni che

325 Ibidem.

326 La soluzione è stata prospettata da MARAZZA, op. cit., p. 633. Negli stessi termini

anche A. PALLADINI, op. cit., p.676.

327 Rileva infatti MARAZZA, op. cit., p. 633 che «nei licenziamenti disciplinari ciò si

spiegherebbe con il fatto che ai sensi dell’art. 18, comma 4, la reintegrazione è disposta in caso di inesistenza del fatto contestato, che pare implicitamente ricomprendere anche l’ipotesi dell’inesistenza della contestazione».

328 Ibidem ove si osserva che « nei licenziamenti economici occorrerebbe intendere la

motivazione come l’unico atto nel quale devono essere esplicitati i fatti “posti a base” del licenziamento poi oggetto di verifica giudiziale».

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150

porterebbero, come visto all’applicazione del rimedio previsto al co.4.

C’è però da rilevare che la norma è chiara nell’individuare le fattispecie ad essa sottoposte e una ricostruzione come quella proposta contrasterebbe con il dato letterale329.

Non sembrano esserci dunque alternative ad un intervento della Consulta per contrasto della norma con l’art.24 Cost. nonché —per quanto accennato supra — con l’art. 41 co.2 Cost. Per concludere va rilevato come la previsione della tutela indennitaria in caso di licenziamento inefficace sembra rispecchiare pienamente una delle linee di fondo della riforma: la tendenza alla monetizzazione del licenziamento a discapito della tutela dei diritti del prestatore di lavoro, in questo caso costituita dal rispetto delle fondamentali garanzie di difesa e del contraddittorio. Le regole formali e procedurali sembrerebbero perdere il loro ruolo di tutela della dignità del lavoratore, nonché di temperamento di un potere unilaterale, per diventare «una possibile opzione del datore di lavoro rimessa ad una esclusiva valutazione di convenienza economica»330.

329 Rilevano la contrarietà al dato letterale della ricostruzione proposta: V.

SPEZIALE, La riforma, cit., p. 543; R. GALARDI, Il licenziamento inefficace, cit., p. 304. 330V. SPEZIALE, La riforma, cit., p. 544.

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