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LA SEPSI

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Academic year: 2021

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LA SEPSI

Definizioni

A seguito di un insulto infettivo all'interno di un organismo si osserva una risposta da parte di mediatori solubili e di cellule che determinano un insieme di reazioni a catena volte all'eliminazione dell'agente patogeno, in alcuni casi questa risposta diventa eccessiva e sfugge ai sistemi regolatori dell'ospite, questo è ciò che accade durante lo shock settico dove si assiste ad un attivazione anomala sia della cascata coagulativa che della cascata flogistica1

Nell'ambito della sepsi partiamo definendo la SIRS che si configura come una risposta infiammatoria sistemica a una varietà di insulti clinici gravi che si manifesta con la presenza concomitante di 2 o più delle seguenti condizioni cliniche:

1) Temperatura corporea >38° o <36° C 2) Frequenza cardiaca > 90 battiti/minuto

3) Frequenza respiratoria >20 atti/minuto o PaCO2 < 32mmHg (iperventilazione) 4) Conta dei globuli bianchi >12000 cellule/µL o < 4000 cellule/ µL

Nella SIRS la risposta infiammatoria sistemica può essere attivata da insulti di diversa natura sia infettiva che non, eziologicamente può essere conseguente a patologie infettive localizzate o sistemiche, ustioni, traumi, o processi infiammatori sterili, come ad esempio pancreatiti acute. La SIRS, quindi, non è altro che un insieme di risposte funzionali fisiopatologiche acute a gravi stimoli dannosi.

Nella “International Sepsis Definition Conference” del 2001 emersero i limiti dei criteri proposti nel 1992, ritenuti troppo aspecifici per essere utili nel diagnosticare una causa della sindrome o nell’identificare un pattern definito della risposta dell’ospite. Siccome le manifestazioni cliniche dell’infiammazione sistemica sono mutevoli, i ricercatori hanno spostato l’attenzione su caratteristiche biochimiche che potrebbero essere più costanti. L’attenzione è stata rivolta su diversi mediatori ed in particolare sembrerebbe che l’infiammazione è presente quando le concentrazioni circolanti di Interleuchina (IL)6, procalcitonina o proteina C reattiva sono aumentate.

La sepsi è definita come la presenza (probabile o documentata) di un infezione e di una risposta infiammatoria sistemica.

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Nella “International Sepsis Definition Conference” del 201l l' infezione veniva definita come un processo patologico causato dall’invasione di un tessuto o un fluido o una cavità corporea normalmente sterile da parte di un microrganismo patogeno o potenzialmente patogeno(definizione che sostanzialmente è la stessa usata nel 1992). Tuttavia questa definizione non comprende tutte le situazioni. Infatti, possono verificarsi infezioni per l’eccessiva proliferazione di microrganismi che normalmente colonizzano organi non sterili. Inoltre, in alcuni casi, le manifestazioni cliniche possono non dipendere dall’invasione dei tessuti da parte dei microrganismi, quanto dagli effetti citotossici di esotossine o endotossine liberate.

È importante evidenziare come spesso l’infezione è fortemente sospettata senza essere confermata microbiologicamente. Di conseguenza per porre diagnosi di sepsi non è necessaria la positività colturale per un microrganismo patogeno, quando è presente un forte sospetto clinico di infezione (ad esempio la presenza di neutrofili in ambienti normalmente sterili come il peritoneo).

Poiché erano stati evidenziati i limiti della definizione di sepsi, nella “International Sepsis Definition Conference” del 2001 fu redatto un elenco di reperti clinici e laboratoristici che facilitassero il riconoscimento della condizione settica, che sono i seguenti:

Parametri generali

- Febbre (temperatura corporea >38.3°) - Ipotermia (temperatura corporea < 36°)

- Frequenza cardiaca > 90 bpm o > 2DS sopra il normale valore per l’età - Tachipnea: >30 atti respiratori/minuto

- Alterazioni stato mentale

- Edema significativo o bilancio dei fluidi positivo (>20 ml/kg oltre 24ore)

- Iperglicemia (glucosio plasmatico >110 mg/dl o > 7.7mM/l) in assenza di diabete Parametri infiammatori

- Leucocitosi ( conta leucocitaria > 12000/µl) - Leucopenia (conta leucocitaria < 4000/µl)

- Conta leucocitaria normale con>10% delle forme immature - Proteina C reattiva > 2DS sopra il normale valore

- Procalcitonina > 2DS sopra il normale valore Parametri emodinamici

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- Ipotensione arteriosa ( PAS < 90 mmHg, MAP < 70 mmHg, o riduzione della PAS > 40mmHg negli adulti o < 2DS sotto il range normale per l’età)

- Saturazione di ossigeno del sangue venoso misto > 70% - Indice cardiaco > 3.5 l/min/ m²

Parametri di disfunzione d’organo

- Ipossiema arteriosa (PaO2/FIO2 < 300)

- Oliguria acuta (output urinario <0.5 ml/kg/h o 45 mM/l per almeno 2 ore) - Aumento della Creatinina ≥ 0.5 mg/dl

- Anomalie della coagulazione (INR > 1.5 o tempo tromboplastina parzialmente attivata aPTT >60 s)

- Trombocitopenia (conta piastrinica < 100000/µl) - Ileo paralitico (assenza di borborigmi)

- Iperbilirubinemia (bilirubina plasmatica totale > 4mg/dl o >7mmol/l) Parametri di perfusione tissutale

- Iperlattatemia ( >3 mmol/l)

- Ridotto tempo di riempimento capillare o marezzatura cutanea

La sepsi severa è invece definita dalla presenza di sepsi associata a danno d'organo o ipoperfusione tissutale2. L'ipotensione indotta dalla sepsi è definita come un valore di

pressione sistolica inferiore a 90 mmHg o una MAP inferiore a 70 mmHg o una SBP ridotta di più di 40 mmHG, oppure inferiore di due deviazioni standard rispetto ai valori attesi per quell'età. I criteri che ci permettono di individuare tale condizione sono i seguenti:

-Ipoperfusione tissutale indotta dalla sepsi o disfunzione d’organo (una delle seguenti ritenuta causata dall’infezione)

-Ipotensione indotta dalla sepsi

-Lattati al di sopra del normale range laboratoristico

-Volume urinario < 0.5 ml/kg/ora per più di 2 ore nonostante un’adeguata infusione di fluidi -Danno polmonare acuto (Acute Lung Injury) con Pao2/FiO2 <250 in assenza di polmonite

come fonte di infezione -Creatinina >2 mg/dl

-Bilirubina > 2mg/dl

-Conta piastinica < 100000 µl -Coagulopatia (INR >1.5)

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Lo shock settico invece è definito come ipotensione persistente indotta dalla sepsi non responsiva nonostante un adeguato riempimento volemico. L’ipotesione è definita come una pressione arteriosa sistolica < 90 mmHg, una pressione arteriosa media < 60 mmHg o una riduzione della pressione arteriosa sistolica >40 mmHg dai valori basali, nonostante un’adeguata infusione di liquidi, in assenza di altre cause di ipotensione.

L'ipoperfusione tissutale sepsi indotta è definita come ipotensione sepsi indotta, elevato livello di lattati, o oliguria3.

Epidemiologia

La sepsi è la causa più ricorrente di morte nelle ICU e la decima causa di morte negli Stati Uniti, l'incidenza della sepsi è aumentata negli ultimi venti anni con una mortalità del 30% per la sepsi severa4 e dal 40 al 70% per lo shock settico 5; 6.

C’è stato un sostanziale incremento nell’incidenza della sepsi durante le ultime decadi e sembra che stia continuando ad aumentare con un accresciuto numero di decessi, nonostante una riduzione della mortalità globale intraospedialiera.

I fattori che si associano all’aumento di quest’ultima nella sepsi severa e nello shock settico sono: l’età avanzata, le comorbidità ed eventuali disfunzioni d’organo preesistenti.

Nonostante i progressi nell’approccio diagnostico, nelle strategie terapeutiche e nella conoscenza della fisiopatologia della sepsi, la mortalità legata ad essa continua ad essere elevata.

Negli USA la sepsi rappresenta, infatti, la decima causa di morte con un tasso di mortalità di circa il 29%,paragonabile quindi alle principali cause di morte in ospedale (compreso infarto cerebrale e infarto acuto del miocardio).

Una review del 2009 di un registro internazionale dei pazienti con sepsi severa ha mostrato alcune caratteristiche essenziali della patologia settica sulla base dei dati di più di 11.000 pazienti da 37 paesi. Le infezioni di questi pazienti erano causate nel 57% dei casi da gram-negativi, nel 44% da gram-positivi e nell’11% da funghi (alcuni avevano più agenti microbici). La fonte primaria di infezione risultava essere il polmone nel 47% dei pazienti, l’addome nel 23% e il tratto urinario nell’8%. Una consistente percentuale di pazienti aveva comorbidità, incluso diabete, patologie croniche o tumori polmonari, scompenso cardiaco e

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insufficienza renale. La mortalità emersa da questo database era di circa 50%, a conferma del fatto che la sepsi resta una sindrome caratterizzata da un’elevata mortalità. Durante il periodo del reclutamento dei pazienti nel database, non c’è stata riduzione della mortalità legata alla sepsi7.

La migliore comprensione della patogenesi della sepsi può essere il primo passo nell’aumentare il tasso di sopravvivenza.

Nello studio GiViTi, condotto nel 2002 in 72 UTI in Italia, si riscontrava una mortalità intraospedaliera del 31,6%, del 52,9% e del 79% rispettivamente per la sepsi non complicata da insufficienza d’organo, la sepsi severa e lo shock settico.

Analogamente nello studio di Martin et al. si descriveva una mortalità pari al 15% nella sepsi senza insufficienza d’organo contro il 70% nei casi di tre o più insufficienze d’organo8.

Tuttavia, nonostante i progressi degli ultimi anni, il tasso di mortalità per sepsi è ancora elevato.

Per ridurre la mortalità dei pazienti con sepsi nel 2002 è nato un progetto internazionale denominato Surviving Sepsis Campaign (SCC) che emette linee guida la cui applicazione ha dimostrato una riduzione della mortalità

Fisiopatologia della sepsi

La sepsi rappresenta la conseguenza clinica delle complesse interazioni che si realizzano tra un microrganismo infettante, penetrato attraverso una porta d’entrata, e la risposta infiammatoria-immunitaria del soggetto ospite.

Pertanto è influenzata sia dalle caratteristiche del microrganismo (carica microbica, fattori di virulenza come superantigeni, capacità di evadere dall’opsonizzazione e dalla fagocitosi, antibiotico-resistenza, ecc) sia dalla risposta dell’ospite9

La sepsi origina quando l’iniziale ed appropriata risposta dell’ospite ad un’infezione diventa amplificata e di conseguenza disregolata, con uno squilibrio tra la risposta pro-infiammatoria e quella anti-pro-infiammatoria.

La patogenesi della sepsi è strettamente dipendente dall’attivazione della risposta immunitaria innata, visto il ruolo cruciale che questa ha nell’attivazione e modulazione della successiva risposta immunitaria adattativa, tanto che quasi tutte le manifestazioni cliniche

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della sepsi possono essere attribuite alla risposta immunitaria innata.

L’attivazione di questa prima linea di difesa cellulare comporta un eccessivo rilascio di citochine, chemochine ed altri mediatori infiammatori.

Le risposte infiammatoria e immunitaria sono strettamente intrecciate con diversi processi fisiologici dell’ospite, come la coagulazione, il metabolismo, e l’attivazione neuroendocrina tanto da determinare alterazioni diffuse a carico di questi sistemi.

Gli effetti complessivi di queste alterazioni portano ad un aumento della gravità della sepsi, con disfunzione multi-organo e peggioramento della mortalità10.

Disfunzione endoteliale

L’endotelio rappresenta, in condizioni normali, una barriera non trombogenica e anticoagulante.

Ha un ruolo fisiologico di primaria importanza nell’emostasi, nell’emodinamica, nello scambio di nutrienti, nell’immunità e nell’infiammazione. Queste diverse funzioni sono fra loro associate ed interdipendenti e si verificano sia a livello del microcircolo che dei vasi di grosso calibro.

In presenza di sepsi si verifica una disfunzione del microcircolo, che è alla base della manifestazione clinica dell’ipotensione e deriva dall’azione sulle cellule endoteliali di tossine batteriche e delle citochine rilasciate in risposta all’invasione del microrganismo, dall’aumento di mediatori vasodilatari e dall’insufficiente risposta agli stimoli vasocostrittori (principalmente catecolamine).

La presenza del lipopolisaccaride (LPS) in circolo-provoca la sovraregolazione dell’isoforma inducibile della ossido nitrico sintetasi (iNOS) endoteliale , con conseguente sovrapproduzione di ossido nitrico (NO); alterazioni della polarizzazione della membrana cellulare endoteliale, per l’aumento dell’espressione dei canali del potassio ATP dipendenti costantemente aperti; apoptosi caspasi mediata delle cellule endoteliali11.

L’effetto complessivo di queste alterazioni è la vasodilatazione con aumento della permeabilità vascolare, e, conseguentemente, ipotensione, formazione di edema.

Si ha inoltre l’attivazione dell’endotelio con modificazioni che comportano adesione e diapedesi da parte dei leucociti circolanti, con infiltrazione massiva di cellule infiammatorie nei tessuti (reclutamento dei leucociti).

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IL-18.

In particolare IL-6 amplifica i segnali intracellulari ricevuti dall’esterno; amplificando ulteriormente il processo infiammatorio.

Inoltre, le citochine pro-infiammatorie aumentano anche l’espressione di molecole di adesione (I-CAM, V-CAM) sulle cellule endoteliali che permettono il legame con i leucociti, i quali migrano così nei tessuti. Da ciò, come notato in precedenza, in presenza di sepsi, si ha una risposta infiammatoria sistemica (SIRS) che provoca un’adesione generalizzata dei leucociti all’endotelio anche in sedi distanti da dove si è generata l’infezione, con loro attivazione e rilascio di sostanze citotossiche come elastasi, mielopirossidali e specie reattive dell’ossigeno (ROS), che danneggiano i microorganismi e ma anche l’endotelio stesso con aumento della permeabilità vascolare.

Si producono specie reattive dell’ossigeno come conseguenza dell’attivazione dei neutrofili, delle alterazioni metaboliche cellulari indotte dalle citochine degli effetti tissutali dell’ossido nitrico.

La vasodilatazione sistemica provoca ipotensione, shunting e riduzione del trasporto di ossigeno ai tessuti12.

Interazione infiammazione-coagulazione

In corso di sepsi vengono perse le proprietà anticoagulanti basate sulla produzione dell’inibitore del fattore tissutale, della trombomodulina (che inibisce l’attività trombinica), ossido nitrico e protaciclina PGI2. Infatti si verifica una riduzione della produzione di tali fattori anticoagulanti dovuta alla disfunzione endoteliale, che può conseguentemente favorire la stato pro-coagulante caratteristico di questo quadro clinico (Coagulopatia endotelio dipendente).

La coagulazione intravascolare determina microtrombosi dei piccoli vasi, deplezione dei fattori coagulativi e coagulopatia12.

Meccanismi che portano al coinvolgimento di organi specifici (Multi-Organ Failure):

Questa sindrome è caratterizzata dalla disfunzione progressiva e potenzialmente reversibile di almeno due organi, Essa, frequente complicanza della sepsi, contribuisce in maniera significativa alla mortalità in corso di tale condizione patologica, nonostante l’uso di antibiotici efficaci13.

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Le cause determinanti la disfunzione multi organo sono dovute principalmente all’ipossia tissutale, in conseguenza della disfunzione del microcircolo in corso di sepsi, l’apoptosi e gli effetti tossici diretti dell’endotossina e delle specie reattive dell’ossigeno.

Come in altre patologie quali trauma o shock emorragico, anche durante la sepsi si verifica una difficoltà da parte delle cellule di utilizzare l’ossigeno, seppur presente, effetto causato principalmente dall’endotossina, dall’ossido nitrico e dal TNF-a che inducono danno mitrocondiale e alterano la catena della respirazione aerobia, causando un danno alla struttura delle cellule di lipidi, proteine e del DNA mitocondriale responsabile della produzione di ATP cellulare: questo è un altro fattore che contribuisce allo sviluppo di disfunzioni d’organo.

La disfunzione di uno o più organi deve far sospettare una sepsi sottostante. Nessun organo può considerarsi immune.

Disfunzione apparato cardio-circolatorio

Notevoli sono le modificazioni a carico dell’apparato cardo-circolatorio. Questo è reso critico dal fatto che, in presenza di sepsi, si determina una disfunzione miocardica con alterazioni del tono vasale e danni al microcircolo periferico, mentre le maggiori richieste metaboliche (tachipnea, febbre, aumento del lavoro cardiaco) accrescono il consumo di ossigeno.

Per quanto riguarda la disfunzione miocardica va considerato che nello shock settico si evidenzia una riduzione della contrattilità miocardica che si manifesta con una disfunzione sistolica e diastolica. Questo produce una minore frazione di eiezione, una ridotta risposta pressoria alla somministrazione di fluidi e un decremento dell’indice cardiaco, pur con l’alto tasso di catecolammine circolanti, convenzionalmente previsti nel trattamento del paziente settico.

Nella sepsi i principali fattori che favoriscono la depressione miocardica, secondo alcuni studi, risultano essere le citochine e NO, con diminuzione della contrattilità dei miociti esposti a livelli elevati di citochine come TNF e IL-1. L’ipotesi più probabile di questo fenomeno, non ancora del tutto chiaro, sembra essere spiegabile con l’incremento mediato dalle citochine dalla presenza e attivazione dell’isoforma inducibile dell’ossido nitrico sintetasi (i-NOS). Infatti l’ossido nitrico, agendo sui miociti stimola la formazione di 3”,5”-guanosina monofosfato che interferisce con il metabolismo del calcio intracellulare

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miocardico, riducendone quindi l’efficacia contrattile.

Infine il miocardio può essere compromesso direttamente con la formazione di perossinitrito, derivante dalla reazione con alcune specie reattive dell’ossigeno, come gli ioni superossidi14.

Raccomandazioni della Surviving sepsis campain per il trattamento della sepsi

Poiché ritardi nella diagnosi e nel trattamento precoce della sepsi possono comportare il rapido aggravamento del quadro clinico con l’insorgenza di shock e insufficienza multi-organo non reversibili,è ata avvertita la necessità di redigere linee guida internazionali sul trattamento e la gestione del paziente con sepsi severa e shock settico che prendessero in considerazione il concetto di gloden hours.

Con il fine di ridurre la mortalità dei pazienti con sepsi nel 2002 è nato un progetto internazionale denominato Surviving Sepsis Campaign (SCC) 10 , che si è sviluppato in 3 fasi:

• fase 1: Dichiarazione di Barcellona (2002) con lo scopo di riconoscere il problema sepsi e individuare il piano d’azione del progetto

• fase 2: Linee guida (2004) redatte da esperti di 11 società scientifiche per la gestione del paziente con sepsi severa e shock settico

• fase 3: Implementazione, cioè l’adozione di queste raccomandazioni nella pratica clinica delle singole realtà locali con l’organizzazione di attività formative e definizione di protocolli specifici

Successivamente le linee guida “Surviving Sepsis Campaign Guidelines for Management of Severe Sepsis and Septic Shock” sono state aggiornate nel 2008 e nel 2012. Esse indicano le procedure diagnostiche e terapeutiche da attuare nei pazienti con sepsi severa o shock settico, suddividendole in 2 gruppi (trattamento iniziale e trattamento specifico) e il grado di raccomandazione dei diversi trattamenti.

Il trattamento iniziale di questi pazienti richiede una rianimazione precoce per migliorare la perfusione e l’ossigenazione tissutale prevenendo l’ipossia e la conseguente disfunzione d’organo.

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irreversibile,ma è stato indicato come 6 ore il limite entro il quale l’ottimizzazione della perfusione d’organo può dare dei benefici, migliorando la sopravvivenza (studio Early Goal Directed Therapy di Rivers 2001)

Trattamento precoce (entro 6 ore)

A) Rianimazione iniziale: rianimazione quantitativa, guidata da protocollo, nei pazienti con ipoperfusione indotta dalla sepsi (definita come ipotensione persistente dopo un carico di fluidi iniziale o concentrazione dei lattati ematici ≥4 mmol/l)

Gli obiettivi durante le prime 6 ore di rianimazione: 1) Pressione venosa centrale (PVC) di 8-12 mmHg; 2) Pressione arteriosa media (PAM) > 65 mmHg; 3) Output urinario > 5ml/kg/h;

4) SVcO2 >70% o saturazione venosa mista SvO2 >65%.

Per la rapida correzione dell’ipotensione e dell’oliguria viene somministrato un carico di fluidi di 30 ml/kg di cristalloidi fino al raggiungimento dei parametri cardiocircolatori sopraelencati.

Inoltre per guidare la terapia vanno considerati parametri metabolici, come la concentrazione dei lattati ematici (≥ 4 mmol/l richiede l’infusione di fluidi) e la saturazione venosa di ossigeno. In particolare valori di SVcO2 o SvO2 inferiori a quelli sopraindicati richiedono la trasfusione di emazie concentrate fino ad un ematocrito > 30% e/o la somministrazione di dobutamina fino al raggiungimento dell’obiettivo terapeutico.

B) Issues infezione: diagnosi, terapia antimicrobica, controllo del focus infettivo

Si raccomanda la raccolta di colture (emocolture in flaconi aerobici e anaerobici e da altri siti possibili fonti di infezione come urine, liquor, ferite, secreti respiratori e altri) appropriate prima dell’inizio della terapia antimicrobica, purché l’esecuzione delle colture non ritardi eccessivamente (>45 minuti) il trattamento antibiotico.

Uno dei cardini del trattamento nel paziente con sepsi severa e shock settico è la precoce somministrazione di una terapia antibiotica endovenosa efficace, entro la prima ora dalla diagnosi. La terapia antimicrobica iniziale è di tipo empirico e prevede la somministrazione di uno o più farmaci ad ampio spettro capaci di penetrare in concentrazioni adeguate nei tessuti sede di infezione. La scelta deve tenere in considerazione sia le caratteristiche del paziente (comorbidità,eventuali allergie, sindrome clinica) sia quelle dei microrganismi

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presenti in comunità o in ospedale (considerare le eventuali resistenze). Il trattamento dovrebbe essere rivalutato giornalmente, in base ai biomarker di infezione (come la procalcitonina) e corretto in base ai risultati degli antibiogrammi eseguiti sulle colture. Va ricercata ed esclusa la presenza di una fonte di infezione sradicabile con misure di controllo, come il drenaggio in caso di ascesso. Per controllare il focolaio infettivo deve essere utilizzato l’intervento che associa all’efficacia il minor insulto fisiologico, per evitare che sia causa di complicanze successive (ad esempio è preferibile un drenaggio percutaneo di un ascesso piuttosto che quello chirurgico)15.

Trattamenti successivi (24 ore) A) Corticosteroidi

È suggerito l’uso di idrocortisone per via endovenosa solo quando lo shock settico risulta refrattario alla reintegrazione dei liquidi e all’uso dei vasopressori. Da notare come i corticosteroidi non dovrebbero esser somministrati per il trattamento di sepsi in assenza di shock.

Alla sospensione dei vasopressori si raccomanda una graduale riduzione dei dosaggi di corticosteroidi. Queste raccomandazioni servono per evitare le complicanze della terapia steroidea, come le sovra infezioni e le alterazioni metaboliche.

B) Controllo della glicemia

Per quanto riguarda il controllo glicemico nei pazienti con sepsi severa e shock settico gli studi svolti forniscono risultati incerti su quali siano i valori target della glicemia. Le linee guida suggeriscno (con grado di evidenza debole) di mantenere livelli glicemici < 150mg/dl attraverso l’infusione di insulina per via endovenosa. Per evitare la comparsa di ipoglicemia è raccomandato un attento monitoraggio della glicemia e l’infusione di soluzioni glucosate. C) uso di derivati del sangue, immunoglobuline, proteina C attivata ricombinante, ventilazione meccanica in corso di ARDS indotta dalla sepsi, sedazione-analgesia-blocco neuromuscolare, controllo della glicemia, terapia sostitutiva renale, nutrizione, e altre.

Sepsi e coagulazione

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mediatori solubili ( mediatori di flogosi e della cascata coagulativa) sia di cellule ( monociti, neutrofili, cellule endoteliali e piastrine) . Normalmente la risposta dell’ospite riesce nel contenere ed eliminare l’agente patogeno. Quando eccessiva o aberrante la risposta dell’ospite può rivoltarsi contro lo stesso portando all’insufficienza multi organo.

Nella pratica clinica, nel paziente settico si assiste alla comparsa di trombocitopenia, associata ad uno stato di ipercoagulabilità, a seguito dell’attivazione sia dell’emostasi primaria che secondaria.16

L’attivazione dell’emostasi primaria è associata a trombocitopenia in una percentuale variabile dal 35-59%. L’attivazione dell’emostasi secondaria, si manifesta con l’aumento dei livelli di D dimero in quasi tutti i pazienti con sepsi, con riduzione della proteina C in circa il 90% dei pazienti e con riduzione dell’ ATIII in più della metà dei pazienti.

Per quanto riguarda invece la comparsa di coagulazione intravascolare disseminata, invece, questa è stimata attorno al 15-30% di pazienti con sepsi severa inclusi pazienti in shock settico. 17

Per quanto riguarda la comparsa di trombocitopenia questa sembra avere diverse possibili cause:

1. pseudo trombocitopenia 2. meccanismi immunomediati

3. adesione delle piastrine all’endotelio

4. ematofagocitosi: ovvero la fagocitosi di eritrociti da parte di cellule dell’immunità quali monociti, macrofagi.

5.consumo in corso di coagulazione intravascolare disseminata 6.trombocitopenia eparina indotta

7. diluizione in pazienti sottoposti a trasfusioni

La trombocitopenia è associata ad una più alta mortalità e si presenta solitamente nel giro di poche ore ed entro pochi giorni dal ricovero in UTI.18

L’interazione tra leucociti attivati e le cellule endoteliali porta ad un sequestro piastrinico, quindi ad un’aumentata distruzione (trombocitopenia da consumo) dovuta all’attivazione

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piastrinica. Le rimanenti piastrine vengono invece attivate come risposta all’evento settico: rilasciano mediatori della flogosi e partecipano al processo stesso.19

In corso di sepsi vi sarebbe, oltre ad un’alterazione quantitativa, anche un’alterazione qualitativa a carico delle piastrine. Queste dimostrerebbero infatti, una diminuita aggregabilità e una riduzione della produzione di VEGF e ciò testimonia che nella sepsi anche non complicata, vi è un’alterazione della funzione piastrinica, presente anche in assenza di altre anomalie coagulative.

Lo stato di ipercoagulabilità è collegato a diversi fattori: 1.attivazione dell’endotelio

2. attivazione piastrinica

3.TF espresso nei monociti e nell’endotelio 4.riduzione degli anticoagulanti normali 5.immobilità

6.distruzione dell’integrità della parete dei vasi

L’ipercoagulabilità è il risultato dello spostamento dell’emostasi verso uno stato pro coagulante, ovvero verso l’attivazione piastrinica, l’attivazione della cascata coagulativa, e la soppressione dei fattori anticoagulanti naturali. Questo porta a formazione di trombina, deposizione di fibrina, consumo dei fattori della coagulazione e in casi estremi a DIC.

In aggiunta all’aumentata produzione di trombina si ha anche una riduzione della rimozione dovuta alla depressione dell’attività del sistema fibrinolitico. Il fattore tissutale gioca un ruolo fondamentale nell’attivazione della coagulazione da parte dell’infiammazione.20

Metodiche di monitoraggio routinario della coagulazione

La maggior parte delle condizioni associate ad una risposta infiammatoria sistemica comportano un certo grado di attivazione della coagulazione, ciò può risultare in una debole attivazione fino ad una riduzione della conta piastrinica oppure alla forma più grave di coagulopatia rappresentata dalla CID , caratterizzata da una simultanea e diffusa trombosi microvascolare associata ad abbondante sanguinamento da altri siti21;22. Nei pazienti affetti

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da sepsi si osserva un alta incidenza di coagulopatia che si associa ad un aumento della mortalità,23 la valutazione del profilo coagulativo in questi pazienti è difficile in quanto i

normali test di laboratorio usati quotidianamente come AP e PTT non forniscono un analisi qualitativa del processo di formazione del coagulo e non forniscono informazioni circa l'equilibrio fra coagulazione e anti-coagulazione. Le informazioni circa l attività coagulante potrebbero essere rese note dall' analisi della generazione di trombina, ma tale esame non è ampiamente disponibile, mentre le informazioni circa l'attività anticoagulante potrebbero essere valutate tramite il dosaggio dei livelli plasmatici di antitrombina proteina C e proteina S, ma tali risultati non sono disponibili in tempi brevi, lo stesso vale per i marcatori del sistema fibrinolitico come il D-dimero,anche se la sua specificità è limitata.24

La valutazione della cascata coagulativa si basa su quattro test :il tempo di tromboplastina parziale attivata (aPTT), il tempo di protrombina (PT), il tempo di trombina (TT),il Fibrinogeno e il D-dimero, importante nella valutazione della fibrinolisi25.

Il test aPTT valuta la via intrinseca e la via comune ed è solitamente compreso fra 20 e 40 secondi. Le condizioni cliniche che determinano un allungamento dell'aPTT sono deficit di fattori della coagulazione (fattore IX,X,VIII e V),protrombina o fibrinogeno,presenza di inibitori dei fattori, prodotti di degradazione della fibrina e gli anticoagulanti,malattie autoimmuni,amiloidosi , sindrome nefrosica o le disfibrinogenemie.

Per quanto riguarda il PT questo esplora la via estrinseca e la via comune, il suo valore cambia a seconda del coagulometro utilizzati,ma tipicamente il range è fra 10 e 14 secondi, oppure se misurato in percentuale, questo varia dal'80 al 130%. Questo risulta allungato in caso di deficit di fattori (FV,FVII,FX, protrombina e fibrinogeno), presenza di anticorpi diretti contro i fattori della coagulazione, elevati livelli di eparina, terapia anticoagulante con antagonisti della vitamina k, terapia di base con salicilati, deficit di vitamina k, insufficienza epatica, inadeguato assorbimento di lipidi( morbo celiaco, diarrea cronica, steatorrea, sprue) e trasfusioni.

Tipicamente i reagenti del PT contengono fosfolipidi in eccesso così che gli inibitori non specifici , che reagiscono con i fosfolipidi anionici , non prolungano il tempo di formazione del coagulo.

La tromboplastina disponibile in commercio varia nell’origine del fattore tissutale e nel metodo di preparazione, questo porta quindi a diverse sensibilità al deficit dei fattori; perciò i risultati di PT test eseguiti con diversi reagenti non sono interscambiabili. L’INR

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(International normalised ratio) permette di correggere queste differenze tra le varie tromboplastine utilizzate.

L’organizzazione mondiale della sanità ha infatti stabilito una tromboplastina di riferimento con la quale sono confrontate le altre tromboplastine ad oggi in commercio. L’indice di sensibilità internazionale descrive la responsività a ciascuna tromboplastina nel ridurre i fattori vitamina K dipendenti in confronto ad uno standard di sensibilità a cui è assegnato un ISI di 1.0.

Il fibrinogeno,conosciuto anche come fattore I della coagulazione è una glicoproteina di sintesi epatica,tradizionalmente il dosaggio del fibrinogeno è stato utilizzato nei test di laboratorio negli stati emorragici e nei disordini emorragici. In alcuni centri viene usato assieme al PT ed all’aPTT come test per la valutazione generale dell’assetto coagulativo. Viene ad oggi dosato per individuare stati di disfibrinogenemia, indagare l'assetto coagulativo in presenza di anormali o prolungati test della coagulazione oppure per stabilire o monitorare una terapia trombolitica prolungata.

I livelli di fibrinogeno riflettono la capacità e l’attività emostatica dell’organismo,livelli ridotti di fibrinogeno possono ridurre la capacità di formare un coagulo stabile. La persistente presenza di bassi livelli di fibrinogeno può essere imputabile ad un deficit di produzione ereditario, come nella afibrinogenemia ereditaria, oppure a condizioni acquisite come l’insufficienza epatica o la malnutrizione (ipofibrinogenemia). La riduzione acuta del fibrinogeno è spesso dovuta ad un aumentato consumo, come accade nella coagulazione intravascolare disseminata (CID) e, più raramente, nel corso di alcune neoplasie in fase avanzata. In queste situazioni si verifica inizialmente un largo consumo di fattori della coagulazione, con anomala formazione di coaguli (trombi), cui segue la comparsa di sanguinamento per la progressiva diminuzione dei livelli. In casi rarissimi (iperfibrinogenolisi primitiva), le proteine del sistema fibrinolitico, normalmente deputato alla degradazione del coagulo stabilizzato, possono ridurre i livelli di fibrinogeno degradandolo direttamente o lisando troppo velocemente la fibrina. Il fibrinogeno è una proteina della fase acuta: ciò significa che la sua concentrazione può aumentare sensibilmente in condizioni di flogosi o danno tissutale.

Per quanto riguarda invece il tempo di trombina viene eseguito aggiungendo un eccesso di trombina al plasma. Risulta prolungato in pazienti con bassi livelli di fibrinogeno o disfibrinogemia con elevati livelli di prodotti di degradazione della fibrina. Queste anomalie

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sono comunemente osservate nel caso della coagulazione intravascolare disseminata. È inoltre prolungato in seguito all’assunzione di eparina e inibitori diretti della trombina. Per la valutazione dell’emostasi primaria viene invece comunemente eseguita la conta piastrinicache ha valori di circa 150.000-400.000 piastrine per microlitro di sangue.

Se la conta piastrinica scende molto al di sotto del valore di normalità, si possono avere emorragie spontanee e si può considerare una situazione di pericolo per la vita del paziente.

La Tromboelastografia

La tromboelastografia (TEG) è una metodica di indagine della coagulazione messa a punto per la prima volta da Hartet, ad Heidelberg durante la seconda guerra mondiale (nel 1948). Questa metodica misura i cambiamenti viscoelastici del sangue, che avvengono durante la coagulazione.26

La tromboelastografia fornisce la possibilità di valutare l’inizio del processo coagulativo, la formazione e la stabilizzazione del coagulo e la forza del coagulo stesso. È un test della coagulazione eseguibile vicino al letto del paziente. È facile da usare e fornisce informazioni sullo stato della coagulazione del paziente in 30 minuti.27

La formazione del coagulo è un processo dinamico. I test usati convenzionalmente, come il tempo di tromboplastina parziale attivata e la conta piastrinica, valutano componenti isolati del processo emostatico e non sono in grado di predire il ruolo di questi componenti nell’intero processo. Il vantaggio del TEG è che valuta le interazioni tra tutti i componenti del processo coagulativo incluse le piastrine, la fibrina, i fattori della coagulazione, la trombina così come fornisce informazioni riguardo alla qualità del coagulo.28

A causa delle limitazioni tecnologiche, l’applicazione clinica della tromboelastografia è stata molto limitata per quasi 60 anni, fino a che a metà degli anni 80 non venne utilizzata dal Dr.Kang et al. per la valutazione e gestione dell’assetto coagulativo nei pazienti sottoposti a trapianto di fegato ed, inoltre, in pazienti sottoposti a interventi di cardiochirurgia con by pass cardiopolmonare. Entrambi questi tipi di interventi sono infatti caratterizzati da una coagulopatia associata alla patologia di base ma anche iatrogenicamente indotta, che aggrava le perdite ematiche. Da quel momento in poi ha acquisito sempre maggiore rilevanza in diversi campi della medicina come nel campo

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dell’ostetricia, nella valutazione dell’assetto coagulativo del paziente politraumatizzato e nella gestione dei pazienti con coagulopatie critiche. Tutte le specialità chirurgiche descritte possono causare massive perdite ematiche legate all’atto chirurgico, dove la trasfusione di emocomponenti non è scevra da rischi di natura infettiva ed immunologica e l’obiettivo del clinico deve essere quello di ottimizzare e minimizzare l’uso degli emocomponenti. In questo senso il TEG consente un’analisi qualitativa e dinamica di quello che avviene nel processo coagulativo specifico, dalla formazione del coagulo alla lisi, evidenziando le specifiche alterazioni di ogni singola fase dell’intero processo e guidando alla terapia in modo mirato. Con questa metodica è possibile discriminare anche se il sanguinamento è dovuto ad una mancata emostasi chirurgica, ad una disfunzione piastrinica, ad anomalie delle proteasi della coagulazione o dei loro inibitori, oppure è associato ad un’eccessiva precoce fibrinolisi.

I miglioramenti tecnologici hanno portato ad oggi alla standardizzazione del metodo e la riproducibilità del metodo è di conseguenza migliorata.

La digitalizzazione della procedura, combinata con la possibilità della valutazione a letto del paziente dell’episodio di sanguinamento, ha causato un aumento dell’interesse e dell’uso di questo metodo.28

Il termine tromboelastografia è stato usato per descrivere la traccia prodotta dalla misurazione dei cambiamenti viscoelastici del sangue associati alla polimerizzazione della fibrina.29 I termini tromboelastografia, tromboelastografo e TEG, sono stati usati

genericamente in letteratura fin dalla prima descrizione di tale tecnica.

La tecnica della tromboelastografia (TEG) viene eseguita tramite l’utilizzo di una cuvetta cilindrica fissa, in cui si mette un campione di sangue attivato con Kaolino, che oscilla con un angolo di 4,45 gradi ad una frequenza di 0,1 Hertz. I campioni di sangue usati sono ottenuti da cateteri centrali o accessi arteriosi dato che spesso il TEG è usato in pazienti chirurgici e delle unità di terapia intensiva. Il test viene effettuato mettendo 0.36cc di sangue, usando un’apposita pipetta, nella cuvetta cilindrica, che deve essere sincronizzata con la temperatura corporea.

Un piccolo pistone , di cui viene misurato il movimento, è sospeso nel campione di sangue per mezzo di un filo di torsione. I legami di fibrina che si formano tra le pareti del pistone e quelle del contenitore determinano il movimento del filo di torsione. Il movimento del pistone è poi convertito da un trasduttore elettro-meccanico in un segnale elettrico che è poi

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visualizzato come grafico sullo schermo del computer.

I campioni di sangue nativo intero usati nel TEG possono essere modificati con aggiunta di reagenti al campione in vitro allo scopo di determinare se una possibile terapia possa essere efficace per una coagulopatia, per migliorare la velocità dell’analisi, oppure per invertire una condizione cinica (per es., eparinizzazione).

Queste tecniche prevedono l’aggiunta di reagenti al campione di sangue intero nativo: • Attivatori (celite, caolino, fattore tissutale, trombina, DAPPTIN, ecc.)

• Neutralizzatori dell’eparina (eparinasi, protamina)

• Agenti di blocco delle piastrine (Reopro, Integrilin, Aggrastat, ecc.)

• Farmaci antifibrinolitici (acido epsilon-amino-caproico, acido tranexamico, aprotinina)

I metodi TEG attivati da celite o caolino vengono utilizzati per ridurre il tempo di esecuzione di un campione TEG fino alla metà. Il caolino (silicato di alluminio idrato) attiva la via intrinseca della coagulazione tramite il fattore XII. In generale le misurazioni di base TEG di cinetica, forza e stabilità del coagulo possono essere determinate usando un campione di sangue nativo intero. Questo metodo è il più sensibile nel monitorare le situazioni di ipercoagulazione o fibrinolitiche.

L’eparinasi I, estratta dal flavobacterium heparinum, è un enzima che neutralizza in modo rapido e specifico le proprietà anticoagulanti dell’eparina; scinde l’eparina in piccoli frammenti inattivi senza influenzare la funzione di altri componenti del sangue coinvolti nella coagulazione. Una cuvetta con eparinasi riesce a neutralizzare circa 6 UI di eparina per ml di sangue.

Nel caso in cui il sangue intero raccolto venga immesso in una provetta citrata, (contenente, cioè, citrato di sodio) il sangue nativo (0,34 μL) deve essere ricalcificato con 0,02 μL di CaCl2 (calcio cloruro) prima di essere immesso nella cuvetta e successivamente analizzato.

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L’analisi del campione deve, inoltre, essere corretta in relazione alla temperatura del paziente dal momento che questa è in grado di influenzare i processi coagulativi.

Il tracciato TEG può essere analizzato qualitativamente o quantitativamente. I profili vengono interpretati facilmente, senza misurazione, per determinare le condizioni di iper-, ipo-coagulazione o coagulazione normale, e fibrinolisi. In ogni caso, utilizzando le misurazioni nonché gli intervalli e gli indici normali stabiliti, i profili possono essere quantificati in relazione al grado di anormalità.[manuale TEG]

Parametri significativi del TEG

Graficamente il TEG è caratterizzato da sei parametri principali:

1. R. reaction time (minutes):questo è il tempo che intercorre tra l’inizio del processo coagulativo e il momento in cui la curva raggiunge un’ampiezza di 2 mm. Questo parametro ci indica la velocità di formazione della trombina e il funzionamento della via intrinseca, specialmente l’attività del FXII FXI e FVIII. Subisce un allungamento nel caso di deficit dei fattori della coagulazione e nell’uso di anticoagulanti come l’eparina ed il Warfarin. Nel caso in cui risulti accorciato indica la presenza di uno stato di ipercoagulabilità senza però dare indicazioni circa l’origine di questa. Il normale valore è compreso tra 4 ed 8 minuti.

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2. K. (clot formation time): graficamente è il tratto che va dal punto in cui si ha la formazione della fibrina sino a quello in cui l’ampiezza del TEG raggiunge i 20mm; rappresenta la formazione del coagulo ed è strettamente connesso con la funzione piastrinica, i fattori plasmatici e il fibrinogeno. Un valore di k aumentato indica un rallentamento nella formazione del coagulo, mentre un valore ridotto è segno di ipercoagulabilità.

3. Alpha angle: è l’angolo creato dal braccio R e dall’inclinazione di k, ovvero l’angolo compreso tra la linea di mezzo e la tangente alla curva esterna del TEG. Mostra la velocità alla quale si forma un coagulo solido. È un indicatore della qualità delle piastrine e del fibrinogeno. L’angolo è maggiore se c’è maggiore attività delle piastrine e del fibrinogeno presente nel sangue, ed è minore se ci sono anticoagulanti o inibitori delle piastrine. Il normale range di valori dell’angolo alpha è tra 47 e 74.

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4. MA.maximum amplitude (mm): MA è il diametro maggiore del coagulo e una misura della sua elasticità. È rappresentativo della forza del coagulo finale.27 Aumenta quando c’è un’elevata attività di piastrine, fibrinogeno, e FXII. È una misura della forza del coagulo e dipende fondamentalmente dall’interazione tra piastrine e fibrina. Il normale range di valori è compreso tra 55 e 73 mm.

5. CI, coagulation index: è un valore numerico che può essere negativo o positivo, e oscilla tra -3 e +3. Se inferiore, è suggestivo di ipocoagulabilità; mentre indica uno stato di ipercoagulabilità se maggiore del range. Fornisce quindi un giudizio globale di normo o ipo o iper coagulabilità.

6. Un ultimo parametro importante nella tromboelastografia è il CLI. clot lysis index(%): questo è un quoziente di misura dell’attività di fibrinolisi in un

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determinato tempo (30min). Il suo normale range di valori è tra 0% e 8%. Se vengono registrati valori sopra l’8%, deve essere presa in considerazione o la fibrinolisi primaria o quella secondaria.

Originariamente, la celite è stata usata come attivatore di contatto nel TEG, ed è stata successivamente sostituita dal caolino (kaoTEG). È stata recentemente introdotta una modifica tramite l’aggiunta di eparinasi per neutralizzare gli effetti dell’eparina insieme con l’attivazione data dal caolino(hepTEG) al fine di monitorare la capacità di coagulare del sangue in presenza di eparina.

Un’altra modifica è il così detto rapidTEG, nel quale il fattore tissutale viene usato come attivatore in aggiunta al caolino. Sia il kaoTEG che il rapidTEG sono insensibili agli antiaggreganti piastrinici.

Tromboelastografia nella sepsi

Il tromboelastogramma a differenza dei precedenti esami di laboratorio valuta la cinetica di formazione del coagulo e la sua dissoluzione, e può così facilitare le diagnosi di alterazioni

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della coagulazione nella sepsi, compresi gli stati di ipercoagulabilità come la CID, oppure per la valutazione di terapie che interferiscono sul sistema della coagulazione(30-33), tali valutazioni possono migliorare la prognosi della sepsi 34,35.

In alcuni studi analizzati da una review la percentuale di pazienti con sepsi indotta da coagulopatia rilevata dal TEG variava dal 43 al 100% però al momento la qualità delle prove a sostegno dell'uso del TEG per rilevare la sepsi indotta da coagulopatia è considerata bassa..

In due studi è stata valutato il valore della tromboelastografia nella rilevazione di CID. Uno studio pilota prospettico in 28 pazienti con sepsi ha dimostrato che i valori CTF MCF e angolo alfa hanno permesso di discriminare palesemente tra palesi CID e non CID con una sensibilità del 100% e una specificità del 75%36.

Altri studi hanno affrontato la questione se la sepsi era superiore nel discriminare fra la risposta infiammatoria della sepsi e la risposta infiammatoria tipica del post-operatorio rispetto ai biomarcatori tradizionali. Infatti due studi hanno dimostrato che l'indice di lisi derivato dalla tromboelastometria possa essere utile per tale discriminazione37,38. La

diminuità attività fibrinolitica, come risulta dall'indice di lisi derivato dalla tromboelastografia ha dimostrato una sensibilità del 93% ed una specificità del 50% , che è paragonabile alla PCR e alla procalcitona 38

In una coorte più ampia di 56 pazienti con sepsi e 52 controlli post-operatori gli indici di lisi avevano una sensibilità maggiore rispetto al valore di procalcitonina37.

In contrasto con i precedenti studi nei pazienti post cirrotici e nei pazienti post esofagectomia la tromboelastografia ha fallito nel discriminare tra pazienti con sepsi e senza sepsi 39,40.

Interessante è anche la capacità della tromboelastografia di monitorare l'assetto coagulativo nei pazienti che sono sottoposti a terapie che tendono a migliorare l'assetto coagulativo nel paziente settico,ad esempio in uno studio osservazionale su 15 pazienti trattati con proteina C si è visto che nel gruppo dei pazienti trattati non vi sono state differenze nei parametri tromboelastografici nei giorni di terapia41.

E' interessante notare anche la correlazione fra l'assetto coagulativo e la gravità dell'insufficienza d'organo,ad esempio in uno studio è stato osservato che l'ipoacoagulabilità dimostrata tramite esame tromboelastografico era più evidente in pazienti con sepsi associata ad un'importante risposta infiammatoria e MOF.42. In altri studi è stato invece

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valutato l'assetto coagulativo nelle varie fasi della sepsi osservando come l'ipocoagulabilità sia più marcata nella fase acuta per poi ridursi nei giorni vicini alla dimissione dalla ICU 43.

Oltre all'ipocoagulabilità la tromboelastografia è stata in grado di determinare l'iperfibrinolisi che può essere utile nel discriminare fra pazienti con sepsi e pazienti con SIRS44.

Un applicazione della tromboelastografia osservata in letteratura è relativa alla diagnosi di CID, in particolare la combinazione dei vari parametri ( R, angolo alfa ed MA ) Può migliorare il valore diagnostico.45

In alcuni studi è stato osservato che un profilo ipocoagulabile può essere associato con un aumento della mortalità tra i pazienti con sepsi 34,35,46. Questi risultati concordano con i

risultati di uno studio che ha evidenziato un aumento di mortalità nei pazienti con profilo ipocoagulabile al momento del ricovero in terapia intensiva.46 Si ipotizza quindi che una

maggior coagulazione durante l'infezione è funzionale impedendo la diffusione dei batteri, in tal modo l'ipocoagulabilità agevola la diffusione dell'infezione e successivamente la mortalità 47. Da questi studi emerge l'ipotesi che l'ipocoagulabilità sia associata ad

insufficienza d'organo e sia un fattore predittivo di mortalità ma la conferma di tali affermazioni necessita ancora di numerosi studi.

A tale riguardo sono in corso due studi prospettico-osservazionali sul valore della tromboelastografia nella sepsi e nella diagnosi di CID, i risultati di tali studi potranno essere utili nel fornirci indicazioni sulla capacità della tromboelastografia di selezionare specifici gruppi di pazienti che potrebbero beneficiare di terapie volte ad intervenire sulla cascata coagulativa in corso di sepsi.

Per quanto riguarda i dati presenti in letteratura negli ultimi anni sono stati condotti alcuni studi per vedere se i parametri TEG oltre ad informarci sulla condizione coagulativa del paziente possono essere in grado di fornirci informazioni circa la prognosi del nostro paziente.

In uno studio condotto su una coorte di 98 pazienti con sepsi un profilo ipocoagulabile all'ammissione ha dimostrato essere un fattore di rischio indipendente per quanto riguarda la mortalità a 30 giorni 9. Non tutti gli studi hanno però dimostrato il valore prognostico della

ipocoagulabilità con la mortalità, ad esempio in uno studio condotto su 50 pazienti con sepsi grave con un profilo TEG ipocoagulabile, l'MA al ricovero era un valore predittivo di mortalità a 28 giorni rapportato al parametro SOFA ma non correlava con il punteggio

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SAPS II.

Al momento le prove per considerare il TEG un parametro che è in grado di predirre la mortalità sono moderate e quindi saranno necessari altri studi al fine di confermare tali ipotesi.

Da questi dati parte lo studio della nostra tesi che si è prefisso di valutare se vi sono differenze nell'assetto coagulativo dei pazienti con sepsi grave o shock settico che possono fornirci indicazioni circa la mortalità a 28 giorni del paziente.

Il nostro studio

Obiettivi

Lo studio nasce con l’obiettivo di documentare le alterazioni dell'assetto coagulativo presenti in corso di sepsi severa e shock settico.

Poiché i pazienti con sepsi (e ancora di più sepsi severa e shock settico) rappresentano una popolazione complessa ed eterogenea in cui i ritardi diagnostici e il mancato inizio di una terapia precoce ed adeguata hanno delle importanti ripercussioni cliniche, è emersa la necessità di individuare dei parametri che permettano una stratificazione del rischio di questi pazienti fornendo una valutazione verosimile della gravità.

Si è così pensato di attuare uno studio nei pazienti ricoverati con diagnosi di sepsi severa e shock settico, presso la Rianimazione e l'OBI del Pronto Soccorso dell'ospedale di Livorno. Già da numerosi anni nei pazienti in terapia intensiva sono stati elaborati degli score che ci possono dare informazioni circa la prognosi del nostro paziente.

I primi sono stati score generici applicabili a qualsiasi forma di patologia come SOFA e SAPS II, poi nel tempo si stanno elaborando dei sistemi basati su più parametri che ci forniscono un 'indicazione prognostica della mortalità a 30,60 o 90 giorni per poi passare ad intervalli di tempo più ampi.

Per quanto riguarda indici prognostici in ambito di sepsi severa è stato dimostrato che il raggiungimento dei criteri di Rivers entro le 6 ore migliora notevolmente il tasso di mortalità a 28 giorni.

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Un sistema di stadiazione utilizzabile clinicamente stratifica i pazienti con una malattia, sia per il rischio di outcome sfavorevole, sia per la potenziale risposta alla terapia. Utilizzando una variazione dell’approccio stadiativo TNM (utilizzato in campo oncologico), è stato proposto uno schema di stadiazione per la sepsi, detto PIRO, che stratifica i pazienti in base alle loro condizioni predisponenti, la natura e l’estensione dell’insulto infettivo, la natura e l’entità della risposta dell’ospite, e il grado di disfunzione d’organo concomitante.

Il sistema PIRO è ancora rudimentale e necessita di ampi studi e ulteriori miglioramenti prima di poter essere applicabile nella pratica clinica.

Pertanto vista la notevole quantità di informazioni che la tromboelastografia ci riesce a fornire sull'assetto coagulativo e visto il numero crescente di studi in letteratura sull'argomento abbiamo valutato i dati rilevati presso il nostro Ospedale.

La sepsi agisce profondamente sul sistema coagulativo alterandone l'omeoastasi pertanto abbiamo valutato il sistema coagulativo tramite analisi standard della coagulazione e tramite tromboelastografia per osservare un'eventuale correlazione fra questa e l'outcome del paziente.

È stata cercata una correlazione tra alcuni dei parametri presi in studio e la gravità clinica valutata con scores, in particolare SOFA score e SAPS II.

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Infine sono state ricercate differenze significative nei valori dei parametri in studio in gruppi con diverso outcome.

Materiali e metodi

Lo studio è stato condotto presso la e Rianimazione e l'OBI del presidio ospedaliero di Livorno nel periodo compreso tra Dicembre 2013 e Maggio 2014.

Tra i pazienti ammessi in tale periodo, nello studio sono stati reclutati 20 pazienti con diagnosi di sepsi severa o shock settico all’ammissione. I criteri per la definizione sepsi severa e shock settico sono quelli riportati dall’American College of Chest Physicians/Society of Critical Care Medicine (ACCP/SCCM) 2 .

Lo studio è di tipo prospettico osservazionale multiparametrico (pertanto non ha influito in alcun modo sulle terapie somministrate).

Per quanto riguarda l'arruolamento dei pazienti questo si è verificato al loro ingresso in terapia intensiva e in alcuni casi al momento del ricovero in pronto soccorso di modo da permettere una valutazione il più precoce possibile.

Pertanto abbiamo reclutato sia pazienti che entravano in PS per sepsi sia pazienti post-operatori o politraumi che andavano incontro ad un quadro settico.

Nell'arruolare i nostri pazienti abbiamo considerato i seguenti criteri d'inclusione: -Pazienti con sepsi grave

-Età superiore a 18 anni -Assenza di patologia cranica

-Assenza di patologie della coagulazione e malattie ematologiche -Assenza di malattia neoplastica metastatica

Dal momento dell’ammissione in reparto sono stati raccolti dati clinici fondamentali dalla cartella del paziente. Questi comprendono:

- Caratteristiche demografiche (età e sesso);

- Peso corporeo (kg), altezza (m) e Body Mass Index (BMI, kg/m²);

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arteriosa, broncopneumopatia ostruttiva cronica, scompenso cardiaco cronico);

- Reperti microbiologici: localizzazione primitiva dell’infezione (se nota) e agente eziologico della sepsi (se isolato il germe coinvolto); esami colturali positivi all’ammissione - Scores clinici, in particolare SAPS II e SOFA

- Esami laboratoristici eseguiti routinariamente nel reparto di terapia intensiva: dosaggio dei lattati ematici, conta leucocitaria, parametri di monitoraggio standard della coagulazione Successivamente lo schema dello studio prevedeva l'esecuzione di un prelievo arterioso con siringa eparinata per un esame emogasanalitico e l'analisi tromboelastografica.

Abbiamo preferito utilizzare la siringa eparina per prelevare il campione oltre che per l'analisi emogasanalitica anche per la tromboelastografia in modo da permettere il raggiungimento dell'apparecchio per l'analisi senza deterioramento del campione in caso di pazienti reclutati fuori dalla Terapia Intensiva.

L'esame è stato quindi condotto con cuvette contenenti eparinasi per neutralizzare l'eparina presente nel campione, come attivatore abbiamo utilizzato il caolino in tutti i pazienti e in 13 di questi è stato condotto anche l'esame con il fibrinogeno funzionale.

Il paziente è stato poi seguito nel suo decorso al fine di poter valutare la mortalità a 28 giorni per analizzare poi così le correlazioni con i dati rilevati

Risultati

In questo studio sono stati inclusi 20 pazienti che si presentavano con sepsi severa o shock settico all’ammissione.

Nel campione preso in studio l’età media è 67 anni e la composizione è prevalentemente femminile (M/F = 6/14).

L’infezione primitiva è localizzata nella maggior parte dei casi all’addome (peritoniti da perforazioni intestinali , da deiescenza di anastomosi). Altre localizzazioni, in ordine di frequenza, sono quella urinaria e polmonare .

Dei 20 pazienti inclusi nello studio 10 sono deceduti a 28 giorni mentre i restanti sono sopravvissuti. Nel gruppo dei pazienti sopravvissuti due di questi mostravano un profilo ipercoagulabile,uno un profilo ipocoagulabile e i restanti sette un profilo normocoagulabile. Per quanto riguarda invece i pazienti deceduti essi avevano tutti un profilo ipocoagulabile

(29)

rafforzando la nostra tesi per cui un profilo ipocoagulabile è associato ad un elevata mortalità a 28 giorni.

Passiamo quindi ad osservare il comportamento dei vari parametri tromboelastografici nei due gruppi.

Per quanto riguarda il parametro R la media nei due gruppi è di 11,3 nei pazienti deceduti e 7,8 nei pazienti sopravvissuti, quindi si evidenzia una netta differenza fra i due gruppi di pazienti.

I grafici sotto riportati mostrano l'andamento dei singoli valori nei due gruppi:

Valori nei pazienti deceduti

Valori nei pazienti sopravvissuti

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 R p1 p2 p3 p4 p5 p6 p7 p8 p9 p10 0 2 4 6 8 10 12 14 R 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 R

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Per quanto riguarda il parametro k la differenza fra i due gruppi non è stata altrettanto significativa essendo la media del suo valore 4,4 nei pazienti deceduti e 2,2 nei pazienti sopravvissuti.

Analoghe considerazioni possono essere applicate ai parametri angolo alfa ed MA, infatti la media del valore dell'angolo alfa è di 52,9 nel gruppo dei pazienti deceduti mentre nei pazienti sopravvissuti è di circa 62,6.

Per quanto riguarda il parametro MA la differenza fra i due gruppi è ancora minore essendo la media dei suoi valori 71,2 nel gruppo dei pazienti deceduti e 70,6 nel gruppo dei pazienti sopravvissuti.

Importanti differenze si rilevano invece nei due gruppi nel valore del CI che mostra forti discrepanze essendo la sua media -0,3 nel gruppo dei pazienti sopravvissuti mentre la media scende a -6,1 nel gruppo dei pazienti deceduti.

I grafici mostrano l'andamento dei valori nei due gruppi

Grafico che mostra i valori del parametro CI nei pazienti deceduti

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 -14 -12 -10 -8 -6 -4 -2 0 CI

(31)

Grafico che mostra i valori del parametro CI nei pazienti sopravvissuti

Pertanto i parametri che mostrano le differenze più significative sono il parametro R e il parametro CI che confronteremo con i valori del SAPS II e del SOFA.

Per quanto riguarda i valori del SAPS la media è stata di 62,3 nel gruppo dei pazienti deceduti mentre nel gruppo dei pazienti sopravvissuti è stata di 54. Questo mostra un ampio divario fra i due gruppi la cui significatività è maggiore rispetto alla differenza osservata con il parametro R, mentre la differenza si riduce come osservato precedentemente con le due medie del parametro CI.

Per quanto riguarda il SOFA questo ha mostrato una media di 10 nel gruppo dei pazienti deceduti ed una media di 9,3 nei pazienti sopravvissuti non mostrando quindi differenze meritevoli di significato.

Su un ridotto campione della popolazione in esame è stato eseguito un tracciato tromboelastografico utilizzando come reagente il fibrinogeno funzionale, ciò ha mostrato un valore dell'MA dovuto al fibrinogeno mediamente più elevato nel gruppo dei pazienti sopravvissuti ( 25,8 vs 19,3).

I grafici sottostanti riportano i singoli valori

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 -4 -3 -2 -1 0 1 2 3 4 5 6 CI

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1 2 3 4 5 6 7 0 5 10 15 20 25 30 FF pazienti deceduti 1 2 3 4 5 6 0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 FF pazienti sopravvissuti

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Conclusioni

Una notevole percentuale di pazienti con sepsi presenta anomalie dell'assetto coagulativo ed il TEG è uno strumento promettente per fare diagnosi di coagulopatia nel paziente settico.

Questa può monitorare l'assetto coagulativo, e nel campione da noi preso in esame i valori tramboelastografici che indicavano quadri ipocoagulabili corrispondevano ad uno stato settico più grave e più avanzato, correlando con i valori elevati di GB e della PCT.

Quindi maggiori erano i valori di PCT e GB del paziente e minore risultava il CI.

In tale contesto abbiamo osservato una prognosi peggiore nei pazienti con profilo TEG ipocoagulabile definito dal CI che ha mostrato le differenze più significative far i due gruppi, proponendosi così come indice prognostico di outcome sfavorevole a 28 giorni considerando comunque i limiti legati ad un campione ristretto.

Confrontando la fermezza del coagulo il parametro MA non ha mostrato importanti differenze nell'analisi condotta con caolino ma diversa è stata la suaquota di fibrinogeno osservata tramite l'analisi con fibrinogeno funzionale,

La percentuale di fibrinogeno era maggiore nei pazienti sopravvissuti proponendo quindi un impatto importante sull'MA della quota del fibrinogeno rispetto alla quota piastrinica. Ciò correla anche con quanto affermato riguarda all'analisi con caolino poiché l'aumento della quota di fibrinogeno nel coagulo è associato ad uno stato di ipercoagulabilità e quindi ad un outcome più favorevole.

Pertanto l'analisi condotta con fibrinogeno funzionale conferma i dati in nostro possesso ottenuti tramite l'indagine con caolino fornendo promettenti risultati che potranno essere confermati da una più ampia casistica.

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