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CAPITOLO 1: LE PAVIMENTAZIONI STRADALI

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 1: LE PAVIMENTAZIONI STRADALI

1.1 INTRODUZIONE

La pavimentazione o sovrastruttura stradale è costituita da più strati sovrapposti di materiali e spessori differenti, composti da miscele di aggregati lapidei e leganti, a formare una vera e propria struttura, il cui compito principale è trasferire i carichi indotti dal traffico veicolare al piano di posa.

Ruolo primario della sovrastruttura stradale è quindi quello di distribuire i carichi mobili o statici agenti, dovuti al traffico, al sottofondo naturale e di ripartirli convenientemente; deve quindi avere uno spessore tale da permettere che le pressioni trasmesse al piano di posa siano sufficientemente ridotte e che non superino i valori critici del terreno.

Secondo compito basilare della pavimentazione stradale è la realizzazione di un piano viabile con idonee caratteristiche di regolarità superficiale ed aderenza, che garantisca una maggiore sicurezza d’esercizio e comfort di marcia per i veicoli che la percorrono.

Figura 1.1: Strati costituenti una pavimentazione stradale e modalità di trasferimento dei carichi da traffico

La serie di strati costituenti la pavimentazione ha in genere un’ossatura con dimensioni degli elementi decrescente dal basso verso l’alto, a fronte di una qualità crescente delle caratteristiche meccaniche degli inerti stessi e della miscela che li comprende. A ciascuno strato viene attribuita una funzione precisa e quindi anche una caratterizzazione

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dimensionale, in termini di spessore, e meccanica, in termini di resistenza alle sollecitazioni del materiale in esercizio.

Le moderne pavimentazioni stradali vengono classificate principalmente in tre categorie: flessili, rigide e semirigide, in base alle caratteristiche dei materiali impiegati negli strati superficiali e alla loro organizzazione. La scelta della tipologia di sovrastruttura stradale viene effettuata in base al tipo di strada o area pavimentata, all’intensità di traffico ed alla strategia di manutenzione.

Nei successivi paragrafi saranno descritte la struttura (successione degli strati), i materiali impiegati ed infine i principali vantaggi e svantaggi di ciascuna tipologia di pavimentazione stradale, mettendo in evidenza i differenti fenomeni di degrado che si possono verificare.

Negli ultimi anni è stato introdotto un quarto tipo di sovrastruttura stradale definita semi-flessibile, trattata al paragrafo 1.2 e oggetto della presente tesi. Le pavimentazioni semiflessibili sono state principalmente impiegate a partire dagli anni ’70 in ambito stradale o aeroportuale, in particolare in aree interessate da carichi lenti e molto pesanti (aeroporti, interporti, aree industriali etc) e si contraddistinguono per l’impiego, nello strato di usura, del materiale denominato Grouted Macadam; esso, costituito da conglomerato bituminoso drenante o open grade intasato di malta cementizia, permette di combinare le alte prestazioni meccaniche dalla malta cementizia ad alta resistenza con la flessibilità di un conglomerato bituminoso a struttura aperta, e conferisce quindi a questa sovrastruttura il carattere semiflessibile che ne determina il nome.

Le pavimentazioni semiflessibili presentano, rispetto alle flessibili, una maggiore resistenza ai carichi statici e sono meno soggette al fenomeno dell’ormaiamento, mentre rispetto alle pavimentazioni rigide sono caratterizzate da una maggiore flessibilità e non necessitano di giunti. Inoltre il manto di usura garantisce la protezione degli strati sottostanti dall’infiltrazione di acqua, poiché costituisce una superficie praticamente impermeabile.

Nella seguente tabella sono elencati vantaggi e svantaggi delle differenti tipologie di pavimentazione:

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TIPO DI PAVIMENTAZIONE VANTAGGI SVANTAGGI Flessibile • Flessibilità; • Assenza di giunti; • Velocità di apertura al traffico; • Regolarità ed aderenza della superficie viabile.

• Limitata resistenza alle deformazioni permanenti; • Colore impattante. Rigida • Elevata resistenza ai carichi statici; • Assenza di deformazioni permanenti;

• Colore poco impattante; • Buona resistenza a perdite

di carburante e solventi.

• Posa in opera lunga; • Presenza di giunti (almeno

per la tipologia più impiegata in Italia); • Elevato spessore di strato.

Semirigida

• Elevata resistenza ai carichi statici;

• Qualità della superficie viabile.

• Fessurazione dello strato di base;

• Ormaiamento.

Semiflessibile

• Elevata resistenza ai carichi statici;

• Flessibilità; • Assenza di giunti;

• Buona resistenza a perdite di carburante e solventi; • Velocità di apertura al

traffico (rispetto alle rigide).

• Due fasi di costruzione; • Elevati costi di

realizzazione;

• Fessurazione di origine termica.

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1.1.1 Le pavimentazioni flessibili

Le pavimentazioni flessibili si caratterizzano per la regolarità della superficie viabile, per l’assenza di giunti, per la rapidità nell’apertura al traffico e, come suggerisce lo stesso nome, da un’elevata flessibilità. Rispetto alle pavimentazioni rigide presentano una minore resistenza ai carichi pesanti e lenti e sono più soggette al fenomeno dell’ormaiamento. Generalmente le pavimentazioni flessibili sono principalmente impiegate in ambito stradale, poiché soggette a carichi molto inferiori anche se il numero di ripetizioni delle sollecitazioni nettamente superiore rispetto ad un contesto aeroportuale.

In una pavimentazione flessibile gli strati superficiali (strato di usura e strato di collegamento) sono realizzati in conglomerato bituminoso. Esistono differenti miscele di conglomerato bituminoso, che saranno descritte più avanti nel paragrafo e che vengono selezionate in base alla funzione principale che lo strato deve assolvere, quali ad esempio stabilità, aderenza ed impermeabilità.

Nella seguente figura è rappresentata la stratificazione tipica di una pavimentazione stradale flessibile:

Figura 1.2: Schema di una pavimentazione stradale flessibile

Lo strato di usura deve garantire un piano viabile regolare e sicuro, per garantire comfort e sicurezza di marcia, e prevenire l’infiltrazione di acqua nel sottofondo. Lo strato di usura, eccetto il caso particolare di conglomerati bituminosi drenanti (caratterizzati da un’alta percentuale di vuoti), dovrebbe essere idealmente impermeabile, altrimenti l’acqua che

piano di posa / sottofondo naturale strato di fondazione

strato di base strato di collegamento strato di usura

conglomerato bituminoso

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penetra attraverso i vuoti o le fessurazioni può raggiungere il sottofondo e cambiarne le proprietà strutturali, diminuendone la portanza.

Lo strato di collegamento e lo strato di base hanno principalmente una funzione strutturale, devono cioè ripartire il carico dovuto al traffico veicolare sugli strati sottostanti fino al sottofondo naturale.

Caratteristica delle pavimentazioni flessibili è che lo strato di usura e lo strato di collegamento, cioè gli strati più superficiali, sono realizzati in conglomerato bituminoso, mentre lo strato di base può essere costituito da conglomerato bituminoso o da materiale stabilizzato a bitume.

Lo strato di fondazione o sottobase, realizzato generalmente in misto naturale o stabilizzato granulometrico, oltre alla funzione statica di ripartizione dei carichi, funge da elemento di separazione tra il terreno di sottofondo e i materiali più pregiati che costituiscono gli strati superficiali. Esso è costituito in genere da una miscela selezionata di inerti non legati aventi granulometria assortita. Lo strato di fondazione è presente anche nelle altre tipologie di pavimentazioni con le stesse funzioni e caratteristiche.

La valutazione delle prestazioni delle pavimentazioni flessibili include lo studio e l’analisi dell’accumulo di deformazioni permanenti, delle fessurazioni per fatica (sia bottom-up, sia top-down) e della rottura per fenomeni termici.

Il fenomeno della fatica è una delle principali cause di deterioramento della sovrastruttura stradale. Si possono avere due diverse tipologie di fessurazione per fatica: la prima detta

bottom-up, in cui le fessure si originano dal fondo degli strati bituminosi e si diffondono verso la superficie; mentre la seconda tipologia è definita top-down, che si propaga dalla superficie degli strati in conglomerato bituminoso soggetti a carichi ripetitivi corrispondenti al continuo passaggio dei veicoli verso gli strati non legati.

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Figura 1.3: Alcuni esempi di rottura per fatica

La maggior parte delle fratture hanno inizio al di sotto degli strati bituminosi e si propagano verso l’alto fino alla superficie. La fessurazione per fatica di tipo bottom-up, detta anche fessurazione a pelle di coccodrillo, si manifesta inizialmente come una breve frattura longitudinale lungo la traiettoria dei pneumatici e poi si diffonde fino a formare una rete a maglie strette, simile ad una pelle di coccodrillo. Queste fratture si formano sul fondo degli strati bituminosi (usura e collegamento) e sotto l’azione di carichi ripetuti e sufficientemente elevati si propagano verso la superficie. La rottura per fatica è il risultato della flessione ripetuta degli strati bituminosi indotta dal traffico veicolare; il passaggio dei veicoli si traduce infatti nell’accumulo di stress e deformazioni al di sotto degli strati bituminosi e nel tempo sfocia in una microfrattura per trazione nella parte inferiore. Tali sollecitazioni causano le prime fratture che poi si propagano verso l’alto, in breve tempo le microfratture per coalescenza diventano macrofratture e si propagano verso la superficie, causando una successiva diminuzione della rigidezza complessiva della pavimentazione.

Figura 1.4: Rottura per fatica di tipo bottom-up

Nella Figura 1.4 è illustrato schematicamente il meccanismo di rottura per una pavimentazione flessibile tipo; dove HMA indica lo strato di “Hot Mix Asphalt” che poggia su una base ed una sottobase di materiali granulari non legati. Come si nota dalla figura

Strato di base Propagazione delle

fessure bottom-up

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soprastante l’origine delle fratture è localizzato nell’interfaccia tra lo strato non legato (base layer) e lo strato bituminoso (HMA).

Figura 1.5: Meccanismo di innesco della frattura di tipo bottom-up

Le cause per cui si può verificare questo fenomeno di fessurazione per fatica possono essere molteplici:

• Livelli di carico alti;

• Impiego di conglomerati poco resistenti per l’intensità e la ripetizione del carico indotto dal traffico stradale;

• Spessori troppo sottili;

• Maggiore pressione dei pneumatici;

• Presenza di punti e di aree più deformabili nei materiali non legati di base o nel sottofondo;

• Strati di base e sottobase poco resistenti a causa della compattazione inadeguata o a causa dell’incremento dell’umidità e/o del livello della falda acquifera sotterranea.

Esiste un secondo tipo di fessurazione indotta dal traffico, detta top-down, per cui le fratture hanno origine sulla superficie della pavimentazione di conglomerato bituminoso e si propagano verso la base. Il passaggio dei veicoli comporta un continuo punzonamento della lastra inducendo uno stato di sollecitazione di compressione al di sotto del sentiero di rotolamento del pneumatico. Ai lati del sentiero di rotolamento si ha, quindi, uno stato

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tensionale di trazione che può sfociare in microfratturazione per effetto dell’applicazione ripetuta dei carichi. Tali microfratture, per coalescenza, diventano macrofratture e si propagano verso gli strati inferiori.

Figura 1.6: Rottura per fatica di tipo top-down

Figura 1.7: Meccanismo di innesco della frattura di tipo top-down

Numerosi possono essere i meccanismi che causano questo tipo di fessure, alcuni di essi considerano il carico indotto dal passaggio dei veicoli come causa dello sviluppo dei tensioni e deformazioni in superficie tali che determinano l’innesco e la propagazione della fessurazione. L’invecchiamento del conglomerato bituminoso accelera i due processi. Altre teorie considerano invece come causa dell’innesco e della propagazione delle fessure gli sforzi di taglio indotti sullo strato bituminoso superficiale dai pneumatici radiali con elevata pressione di contatto in prossimità del bordo del pneumatico.

Ripetuti passaggi dei veicoli e alta pressione di gonfiaggio dei pneumatici

Strato di base Strato superficiale in

conglomerato bituminoso

Propagazione delle fessure top-down

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Altra possibile causa del fenomeno di fessurazione per fatica top-down si può individuare nella concomitanza di due fenomeni: elevate pressioni di contatto adiacenti al carico del pneumatico e invecchiamento avanzato del conglomerato bituminoso, che provoca un aumento di rigidezza.

Il fenomeno dell’ormaiamento, in inglese rutting, si può invece descrivere come una depressione nella traiettoria dei pneumatici causata da deformazioni anelastiche o plastiche di alcuni o di tutti gli strati della sovrastruttura stradale o/e del sottofondo. Questo ammaloramento è quindi dovuto alle deformazioni permanenti che si generano negli strati della pavimentazione o nel sottofondo a causa di ulteriore costipamento dei materiali provocato dai carichi di traffico. Le deformazioni plastiche alla base della formazione delle ormaie sono in genere il risultato di due fenomeni: si parla di ormaiamento strutturale quando si ha addensamento o compressione monodimensionale, e di ormaiamento non strutturale quando si ha lo scorrimento laterale di materiale all’interno degli strati a causa del passaggio dei veicoli. La più grande e prematura distorsione e rottura per ormaiamento è associata allo scorrimento laterale e/o alla presenza di strati della pavimentazione inadeguati in termini di resistenza al taglio.

Figura 1.8: Tipi e meccanismi dell’ormaiamento nelle pavimentazioni flessibili (vista del profilo trasversale)

La rottura per fenomeni termici, thermal cracking, si riferisce comunemente alla fessurazione delle pavimentazioni flessibili ed è principalmente dovuta a basse temperature o ad oscillazioni termiche cicliche. Tale rottura appare in genere come una fessurazione trasversale sulla superficie della pavimentazione. Le fessure, all’incirca perpendicolari

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all’asse stradale, possono essere causate dalla contrazione della superficie dello strato bituminoso dovuta alle basse temperature, all’irrigidimento del bitume e/o a oscillazioni termiche giornaliere. Le rotture causate dagli abbassamenti di temperatura sono denominate fratture per basse temperature, low temperature cracking, mentre le rotture dovute a cambiamenti termici ciclici sono dette rotture a fatica per fenomeni termici, thermal fatigue

cracking. Il primo fenomeno si verifica in regioni dal clima estremamente freddo, mentre il secondo interessa regioni con clima caratterizzato da forti escursioni termiche giornaliere e stagionali.

Le pavimentazioni flessibili, proprio per la flessibilità che caratterizza gli strati superficiali in conglomerato bituminoso, presentano rispetto alle pavimentazioni rigide e semirigide, che verranno descritte nei paragrafi successivi, un migliore comportamento a fatica, inoltre non necessitano di giunti, ma sono maggiormente interessate dal fenomeno dell’ormaiamento.

1.1.2 Le pavimentazioni rigide

Le pavimentazioni rigide sono costituite, in genere, da due strati aventi funzione strutturale: la lastra in calcestruzzo, armato con barre in acciaio o meno, che poggia sullo strato di fondazione in misto granulare non legato o in misto cementato. La lastra in calcestruzzo, con spessore in genere compreso tra i 15 e i 30 cm, che può essere a sua volta realizzata in due strati caratterizzati da un diverso assortimento granulometrico, deve essere sufficientemente rigida per sopportare i carichi indotti dal traffico e deve proteggere la fondazione e il sottofondo da eventuali infiltrazioni di acqua.

La fondazione, o sottobase, generalmente realizzata in stabilizzato granulometrico, oltre alla funzione strutturale, deve anche ostacolare la risalita capillare dell’acqua e la contaminazione degli strati sovrastanti da parte delle particelle fini del sottofondo. Tra lo strato di fondazione e il sottofondo spesso viene posato uno strato denominato “capping”, costituito da un materiale relativamente economico, per regolarizzare il piano di posa (Figura 1.9 B).

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Come si può osservare nella figura sottostante la stratificazione della pavimentazione rigida può variare in funzione del tipo di la lastra di calcestruzzo utilizzata, che può essere armata o non armata e con o senza giunti:

Figura 1.9: Schema di pavimentazione rigida

Le pavimentazioni rigide si differenziano in base alle modalità con cui si affronta il problema della fessurazione. Per effetto del ritiro del calcestruzzo durante la presa e delle variazioni termiche ed igroscopiche la lastra in calcestruzzo tende infatti a deformarsi in vari modi: si possono verificare accorciamenti e allungamenti (causati da variazioni termiche stagionali o di lunga durata) e anche incurvamenti verso il basso o verso l’alto (dovuti invece a variazioni termiche giornaliere). Per evitare quindi che la piastra si fessuri o se ne limita la lunghezza mediante opportune interruzioni, dette giunti (trasversali e longitudinali o di contrazione, di dilatazione e di costruzione), oppure ricorrendo ad armature (continue o discontinue). In campo aeroportuale vengono spesso utilizzate anche le pavimentazioni rigide in precompresso. Quindi le pavimentazioni rigide, in base alla modalità di costruzione della lastra per limitare il problema della fessurazione, possono essere classificate in:

- Pavimentazioni in calcestruzzo non armato;

- Pavimentazioni in calcestruzzo ad armatura continua; - Pavimentazioni in cemento armato precompresso.

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Le pavimentazioni in calcestruzzo non armato sono quelle maggiormente impiegate e vengono realizzate con giunti trasversali e longitudinali, alla distanza media di 5 metri, distanza che varia in relazione allo spessore della lastra stessa. La realizzazione dei giunti serve principalmente per permettere il ritiro del calcestruzzo durante la presa, per consentire le variazioni volumetriche che si verificano in seguito a variazioni di temperatura sia giornaliere che stagionali e infine per consentire i cedimenti differenziali e le riprese di getto e di lavoro.

La presenza dei giunti ha però anche dei notevoli svantaggi, caratteristici delle pavimentazioni rigide:

• Concentrazioni di tensione in corrispondenza del giunto; • Rammollimento dei sottofondi per infiltrazione di acqua; • Riduzione del comfort di moto;

• Effetto “pumping”: in seguito ad infiltrazioni d’acqua, sotto l’azione del traffico veicolare la lastra si abbassa e l’acqua viene pompata verso l’alto trascinando con sé i grani di terreno degli strati non legati.

Le pavimentazioni di calcestruzzo ad armatura continua vengono poste in opera in lastre e l’armatura può interessare l’intradosso e l’estradosso oppure solo l’estradosso. Gli spessori sono praticamente gli stessi delle lastre non armate per contenere le fessurazioni, ma la presenza dell’armatura consente un maggiore distanziamento dei giunti e un controllo dell’apertura delle fessure. Per l’utilizzo di queste pavimentazioni è necessario porre particolare attenzione alla valutazione del rapporto benefici costi, tra il maggior costo di costruzione e il minor costo di manutenzione.

Le pavimentazioni in cemento armato precompresso (CAP) sono poco utilizzate, per la difficoltà di esecuzione e si adottano principalmente per sovrastrutture aeroportuali. Sono a cavi pretesi e consentono di ridurre lo spessore delle lastre di calcestruzzo del 30-40%.

La vita utile delle pavimentazioni rigide è in genere prevista tra i 30-40 anni, periodo durante il quale si prevede che esse mantengano le loro proprietà strutturali. Nel corso della vita utile dovranno però essere sottoposte a trattamenti superficiali per ripristinare l’aderenza e garantire la sicurezza del moto.

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Vista l’elevata rigidezza della lastra il danneggiamento di questo tipo di pavimentazioni è legato a fenomeni di fatica indotti da carichi dinamici: in particolare si può arrivare a rottura, come conseguenza della propagazione delle fessurazioni per l’intero spessore della lastra. A differenza delle pavimentazioni flessibili l’ormaiamento non costituisce un problema, vista l’assenza del bitume e l’elevata rigidezza del materiale, inoltre sono caratterizzate da un’elevata capacità portante e da un’eccezionale resistenza delle aggressioni chimiche e ai carburanti, in virtù dell’assenza di bitume.

Le pavimentazioni rigide rispetto alle pavimentazioni flessibili sono molto più costose da realizzare, per questo e per la loro caratteristica resistenza a carichi elevati e ai carburanti, vengono in genere principalmente adottate in campo aeroportuale.

I problemi principali delle pavimentazioni rigide:

• Fessurazione per fatica;

• Fessurazioni di origine termica;

• Spostamenti della lastra di calcestruzzo e fenomeno di “pumping”.

Una pavimentazione rigida ben progettata resiste per 40 anni senza problemi strutturali e con bassi costi di manutenzione. Al termine della vita utile, quando si ha che la fessurazione è estesa all’intero spessore della lastra e la pavimentazione rigida ha perso le sue caratteristiche superficiali di regolarità ed aderenza, allora viene talvolta steso un sottile strato di conglomerato bituminoso a costituire il manto di usura. Questo tipo di riabilitazione è in genere una misura provvisoria, perché può generare comunque fessurazione sulla superficie a causa del fenomeno detto “reflective cracking”.

1.1.3 Le pavimentazioni semirigide

Le pavimentazioni semirigide, così come le semiflessibili che verranno in seguito descritte, rappresentano per la loro struttura e per le loro prestazioni una soluzione intermedia. Le pavimentazioni semirigide si caratterizzano infatti per lo strato superficiale costituito da conglomerato bituminoso e per lo strato di base in materiale cementizio; la fondazione è in genere realizzata in stabilizzato granulometrico.

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Lo strato di base può essere costituito sia da una lastra di calcestruzzo di una pavimentazione rigida al termine della sua vita utile che, in caso di una pavimentazione di nuova costruzione, da uno strato in misto cementato.

Figura 1.10: Schema di pavimentazione semirigida

Le pavimentazioni rigide a fine vita utile su cui viene steso uno strato superficiale in conglomerato bituminoso, già trattate a grandi tratti al paragrafo precedente, sono dette “composite pavement”, e in relazione al maggiore o minore spessore dello strato in conglomerato bituminoso si differenziano rispettivamente in “flexible” e “rigide

composite”.

Le pavimentazioni semirigide di nuova costruzione si caratterizzano per lo strato di base in misto cementato sul quale viene poi realizzato uno strato superficiale in conglomerato bituminoso, come si nota dalla Figura 1.10. Il misto cementato è ottenuto da una miscela di inerti provenienti da frantumazione o da formazioni naturali, e comunque sia rispondenti a particolari requisiti granulometrici definiti dalle Norme in vigore, cui si va ad aggiungere modeste quantità di cemento (dal 3 al 5 % del peso) ed acqua (dal 5 al 7 %). L’introduzione nelle pavimentazioni flessibili di uno strato semirigido in misto cementato consente migliori condizioni di lavoro degli strati superficiali, dove sono indotte sollecitazioni di trazione più modeste e una maggiore resistenza. Nelle pavimentazioni semirigide inoltre, grazie al manto di usura in conglomerato bituminoso, si ha una migliore regolarità superficiale.

Piano di posa / sottofondo naturale Strato superficiale in conglomerato bituminoso Strato di base in misto cementato Strato di fondazione

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Il principale problema delle pavimentazioni semirigide è rappresentato dalle fessurazioni trasversali che si sviluppano nello strato superficiale come “reflective crackings”, sia delle fessurazioni esistenti nella lastra di calcestruzzo sia delle fessurazioni dello strato di base in misto cementato. Le fessurazioni dello strato in misto cementato sono legate a fenomeni di fatica in seguito all’azione del traffico e al trascinamento risultante dal movimento degli strati sottostanti (fondazione e sottofondo); possono essere inoltre causate dagli stati tensionali coattivi che si creano in seguito al ritiro iniziale del calcestruzzo e alle variazioni volumetriche legate a fenomeni termici. Per limitare la formazione e la propagazione delle “reflective crackings” spesso le normative prescrivono notevoli spessori dello strato in conglomerato; aumentando lo spessore dello strato flessibile si ha una riduzione delle tensioni e delle deformazioni, con conseguente diminuzione anche della velocità di propagazione delle fessure.

1.2 LE PAVIMENTAZIONI SEMIFLESSIBILI

Le pavimentazioni semiflessibili, oggetto di studio della presente tesi, rappresentano un nuovo tipo di sovrastruttura stradale e si caratterizzano per lo strato superficiale costituito da un materiale che, come indica il nome, conferisce il carattere di semiflessibilità al pacchetto e che ha la capacità di combinare le qualità e i vantaggi tipici delle pavimentazioni flessibili a quelle delle rigide: assenza di giunti, flessibilità, elevata resistenza ai carichi statici e alle deformazioni permanenti. Inoltre il manto di usura, che costituisce una superficie praticamente impermeabile, garantisce la protezione degli strati sottostanti dall’infiltrazione di acqua.

La struttura stessa della sovrastruttura semiflessibile mette in evidenza come questa sia una tipologia intermedia tra le pavimentazioni rigide e le flessibili:

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Figura 1.11: Schema di pavimentazione semiflessibile

Proprio per le caratteristiche sopra descritte, l’impiego delle pavimentazioni semiflessibili negli ultimi quaranta anni si è molto diffuso; in particolare in contesti contraddistinti da carichi lenti e pesanti o in zone soggette a perdite di carburante e solventi, come aeroporti, porti, interporti, parcheggi di mezzi pesanti, aree industriali etc.

La ricerca nel campo dei materiali per le sovrastrutture stradali e aeroportuali è sempre stata indirizzata verso materiali che garantiscano una maggiore sicurezza d’esercizio, cioè una maggiore aderenza e regolarità superficiale, una maggiore efficienza prestazionale, intesa come maggiore durata e minori cedimenti, minori ormaie e minori fessurazioni, nonché minori oneri di manutenzione e di gestione. Il conglomerato bituminoso drenante intasato di malta cementizia, interessante tecnologia per la realizzazione di strati di pavimentazioni semiflessibili, rientra in un filone di ricerca volto alla progettazione di pavimentazioni realizzate con materiali di nuova concezione e caratterizzate da prestazioni, livelli di sicurezza e durabilità elevati.

Questo materiale è stato stato utilizzato in diversi campi per risolvere problemi di durabilità in zone soggette a forti carichi, statici o lenti, dove in genere vengono realizzate pavimentazioni rigide, poiché se vi fossero realizzati strati superficiali in conglomerato bituminoso le deformazioni permanenti in breve tempo non sarebbero accettabili. Le sovrastrutture rigide presentano a loro volta alcuni svantaggi, come la necessità di realizzare giunti per permettere i movimenti della lastra di calcestruzzo e una minore resistenza a fatica in seguito a carichi ciclici. Le pavimentazioni semiflessibili, il cui

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impiego ha avuto inizio a partire dagli anni sessanta, rappresentano quindi una soluzione alternativa ottimale; poiché rispetto alle pavimentazioni flessibili presentano una maggiore resistenza ai carichi statici e sono meno soggette a fenomeni di deformazione permanenti, mentre rispetto alle pavimentazioni rigide risultano più flessibili (ciò comporta minori fessurazioni per fatica) e non necessitano di giunti. Presentano inoltre altri aspetti notevolmente positivi: velocità di apertura al traffico rispetto alle pavimentazioni rigide, resistenza agli attacchi di sostanze chimiche aggressive (idrocarburi e altri solventi) e al calore intenso.

I vantaggi relativi all’uso di questo tipo di pavimentazione sono:

• Combinazione fra resistenza e flessibilità; • Superficie senza giunti;

• Durabilità;

• Stabilità a temperature comprese in un intervallo pari a – 50 - +90 °C; • Portanza elevata, adatta a sopportare intensi carichi statici;

• Microstruttura dalla densità elevata; • Elevata resistenza ai cicli gelo/disgelo; • Elevata resistenza ad agenti chimici; • Resistenza all’usura;

• Velocità di apertura al traffico;

• Non crea polveri nocive alla salute dell’uomo.

Gli svantaggi sono invece:

• Due fasi di costruzione;

• Elevati costi di realizzazione delle pavimentazioni semiflessibili;

• Variazioni volumetriche dovute alla temperatura e al ritiro della malta cementizia; • Scarsa finitura superficiale e conseguente necessità di bocciardare la superficie; • Scarsa aderenza in sito.

Le applicazioni tipiche per le pavimentazioni semiflessibili sono:

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• Parcheggi di mezzi pesanti; • Pavimenti industriali; • Ipermercati;

• Piste aeroportuali;

• Aree di lavaggio e de-icing;

• Fermate autobus, caselli autostradali e incroci particolarmente interessati da traffico pesante.

Lo strato di usura di questo tipo di pavimentazione è costituito da un materiale detto “Grouted Macadam”, che si caratterizza per la combinazione nello stesso strato di conglomerato bituminoso e malta cementizia. Lo spessore dello strato di solito varia tra i 40 e i 80 mm. Il materiale è composto da un conglomerato bituminoso di tipo drenante o open

grade, caratterizzato da un’elevata percentuale di vuoti (tra il 22-25%), che costituisce lo scheletro dello strato di pavimentazione, a cui viene aggiunta malta cementizia, stesa tramite apposita attrezzatura, che permea nella rete di vuoti intergranulari del conglomerato.

La letteratura esistente fornisce poche informazioni relative ai metodi di progettazione e allo spessore degli strati, poiché le società produttrici, per motivi commerciali, non li rendono noti; nelle pubblicazioni, redatte dalle stesse società, vengono tralasciati dettagli tecnici relativi alla composizione del materiale e alla progettazione.

A causa della mancanza di una normativa di riferimento che regoli la produzione del

Grouted Macadam si fa riferimento, per la composizione granulometrica, ai conglomerati bituminosi drenanti. Nella composizione dell’open grade vanno utilizzati inerti frantumati e quindi privi di facce arrotondate, con perdita di peso alla prova Los Angeles, per le singole classi di vaglio minore del 20%. Importante è la microrugosità degli inerti, solitamente di origine basaltica; qualora non fossero disponibili si utilizzano inerti naturali o artificiali (come argilla espanda, scorie d’altoforno etc) caratterizzate da un’elevata rugosità superificiale e resistenze meccaniche accettabili. Il filler, proveniente anch’esso dalla macinazione di rocce calcaree, deve essere passato al vaglio 0.063 ed avere determinate caratteristiche a seguito riportate.

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Il bitume, impiegato come legante, può anche essere di tipo ordinario ed il suo tenore può essere tenuto convenientemente basso, poiché non deve assolvere a particolari compiti strutturali (demandati alla malta cementizia), ma solo garantire la necessaria lavorabilità degli aggregati in fase di stesa. Il bitume utilizzato può essere standard o modificato, ma comunque sia con ottime caratteristiche di adesione, di coesione e di comportamento alle alte e alle basse temperature. Il dosaggio varia tra il 4.5 % e il 6.5 % in peso sugli inerti. La viscosità del bitume deve essere media, perché una eccessivamente bassa viscosità provocherebbe la segregazione degli aggregati, mentre un’alta viscosità non garantirebbe un sufficiente rivestimento di questi ultimi. L’impiego di bitume modificato può risultare utile in caso di esigenze di cantiere connesse al mantenimento del traffico nel corso dei lavori. Il bitume modificato, che viene utilizzato nella composizione dell’open grade, è un bitume semisolido contenente polimeri elastomerici e/o plastomerici che ne modificano la struttura chimica e le caratteristiche fisiche e meccaniche, prodotti da impianti controllati e dotati di specifici dispositivi di miscelazione.

Materiali utilizzati, caratteristiche e requisiti richiesti per il bitume e gli aggregati lapidei derivati da frantumazione di rocce calcaree con riferimento alle Norme:

Parametro Unità di

misura

Bitume normale Bitume modificato Tipo 50/70 Tipo 80/100 Tipo 50/70-65 Tipo 50/70-60 Penetrazione a 25 °C [EN 1426/2002] dmm 50-70 80-100 50-70 50-70 Temperatura di rammollimento [EN 1427/2002] °C 46-56 40-44 > 65 > 60

Punto di rottura Fraas

[EN 12593] °C

< -10 < -8 < -15 < -12

Ritorno elastico a 25 °C

[EN 13398] %

> 80 > 80 > 75 > 50

Percentuale in peso rispetto agli

aggregati %

3-4

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Parametro Norma Requisito Limiti granulometrici EN 933-1 Gc 90/10 Coefficiente Los Angeles AASHTO T96;

EN 1097-2 < 20-25 % Angolarità ASTM D5821 100/100 Coefficiente di appiattimento BS 812; EN 933-3 < 20 %

Massa volumica apparente AASHTO T85 > 2.6 g/cm3

Tabella 1.3: Caratteristiche degli aggregati lapidei derivanti da frantumazione di rocce calcaree

Parametro Norma Requisito

Passante 0.063 mm EN 933-10 > 80 %

Tabella 1.4: Caratteristiche del filler proveniente dalla macinazione delle rocce

Il contenuto di vuoti dello strato drenante è compreso tra il 22- 25 % ed influisce in modo notevole sulla possibilità per la malta di permeare negli interstizi del conglomerato. L’elevata percentuale di vuoti, cui corrispondono valori di massa volumica compresi tra 1.8-1.9 g/cm3, si ottiene ricorrendo ad una granulometria discontinua, tipica dei manti drenanti, utilizzando inerti derivanti da frantumazione. L’assortimento granulometrico degli aggregati lapidei deve garantire, nella miscela bituminosa in opera, la formazione di una rete di vuoti intergranulari comunicanti, in grado di accogliere la malta nel corso della fase di iniezione, detta anche “grouting”. Le dimensioni granulometriche devono essere studiate in modo da porre in opera l’open grade con spessori generalmente compresi tra 4 e 8 cm (ma mediante un’opportuna formulazione della malta e garantendo il necessario contenuto di vuoti si possono avere spessori fino a 12 cm). Le fibre di cellulosa aumentano il film che ricopre gli aggregati lapidei evitando così la segregazione del bitume, che avviene solo nel fondo dello strato.

La malta cementizia è composta da cemento, inerte fine ed acqua, ed è caratterizzata da contenuti d’acqua variabili tra il 25 e il 40 %, con caratteristiche reologiche lievemente espansive, che contrastano le fessurazioni per ritiro. Il rapporto acqua cemento è pari a 0.7. Negli Stati Uniti, in aggiunta alla miscela sopra descritta, sono presenti anche ceneri volanti, per aumentare la viscosità senza accellerare la presa, ed agenti modificanti.

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- Posa del manto poroso, open grade;

- Posa della malta cementizia, dopo 24 ore dalla fase precedente.

L’apertura al traffico può avvenire anche solo dopo 24 ore dalla fine della posa della malta cementizia e comunque sia in relazione alla temperatura ambientale.

Obiettivo principale della presente tesi è stato lo studio e l’analisi delle caratteristiche di una miscela costituita da inerti rivestiti di bitume opportunamente addittivato, che funge da ponte elastico, e da malta cementizia, così da realizzare lo strato di usura della pavimentazione semiflessibile in un’unica stesa. Poiché la resistenza a fatica rappresenta un aspetto critico per il Grouted Macadam, e di conseguenza per le pavimentazioni semiflessibili, si è cercato di individuare le caratteristiche delle diverse miscele che influenzano positivamente il comportamento a fatica.

Le caratteristiche del Grouted Macadam e la procedura per la produzione saranno descritte nel dettaglio nel Capitolo 2.

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