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CAPITOLO III

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Academic year: 2021

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CAPITOLO III

Osservazioni sul ruolo del Presidente della Repubblica nella forma di governo parlamentare italiana ed eventuali prospettive di riforma

1. Incerta qualificazione del ruolo presidenziale

“Nell’ultimo periodo, la grave crisi economica e finanziaria e la stasi politico istituzionale che ne è conseguita hanno determinato un rafforzamento delle prerogative del Presidente della Repubblica inteso quale unico baricentro istituzionale in grado di catalizzare le istanze e le esigenze complessive di governo dell’ordinamento e di indicare con massima efficacia persuasiva le finalità latu senso politiche da raggiungere”1. La figura presidenziale è tornata così a suscitare un notevole interesse e intorno al suo rinnovato ruolo all’interno della forma di governo in evoluzione sono andate a confrontarsi differenti correnti di pensiero.

E’ opportuno innanzitutto domandarsi se l’infittirsi degli interventi presidenziali debba essere rapportato esclusivamente a “peculiari contingenze politiche, vale a dire al merito di provvedimenti fortemente discussi ed oggettivamente discutibili, a giudizio di molti non di rado in disprezzo di principi fondamentali dell’ordinamento (da quello di eguaglianza agli altri che connotano lo Stato di diritto costituzionale), ovvero se risponda ad un’esigenza complessiva di ordine politico- istituzionale, ad un’esigenza di sistema insomma, che riassume ed emblematicamente esprime i tratti di fondo del quadro politico tendenzialmente bipolare e, con esso, della forma di governo in via di ridefinizione”2: il Presidente italiano si sarebbe evoluto, secondo

1 E.ORLANDI, Moral suasion del Presidente della Repubblica e funzione legislativa, in Alla ricerca

del buon governo, T.E.FROSINI- G.DE VERGOTTINI (a cura di), Roma, 2012, 63

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quest’ultimo punto di vista, in una specie di contropotere d’influenza con potestà decisionali non chiaramente definite, ma pur sempre in grado di influire sui titolari del potere legale effettivo grazie alla capacità di mobilitare le proprie limitate e non definite risorse giuridiche, ma soprattutto le enormi risorse di comunicazione, di creazione di consenso e sostegno nell’opinione pubblica qualificata e non, che gli derivano dalla sua posizione. La più accesa dialettica tra gli opposti schieramenti porterebbe quindi il Presidente ad una maggiore incidenza del suo ruolo arbitrale concretizzatosi in una continua opera di mediazione e di richiamo dei valori unificanti che egli rappresenta.

Se tutto questo è vero, per quale motivo il Presidente della Repubblica, nel corso di questo settennato, ha più di una volta sostenuto di non comprendere il motivo per il quale in molti descrivono la nostra forma di governo assomigliante a una sorta di presidenzialismo o semipresidenzialismo di fatto? Secondo parte della dottrina “il motivo è chiarissimo: non esisterebbe nel nostro Paese alcun presidenzialismo o sempresidenzialismo di fatto. Una cosa è sostenere che il Presidente italiano abbia assunto nel tempo un ruolo sempre più incisivo, tutt’altra che il nostro Paese di fatto funzioni come i sistemi presidenziali o semipresidenziali”3. “Il Presidente della Repubblica in Italia non è un attore secondario nelle scelte politiche fondamentali del paese ( ed il settennato di Napolitano lo dimostra in modo evidentissimo), ma da qui a sostenere altro il passo è obiettivamente eccessivo”4. “Semmai si potrebbe sottolineare che il modo di operare del Presidente della Repubblica, in questo settennato, ha avuto come conseguenza quella di legittimare ancor di più la proposta di alcuni favorevoli all’elezione diretta del Capo dello Stato. Si tratta non di meno di un’altra questione. Anzi, potrebbe dimostrare che nel nostro paese non c’è oggi quello che si vorrebbe introdurre per il domani”5.

Diversa la posizione di coloro che ritengono che, benchè a livello formale la nostra

3 D.GALLIANI, op.cit., 137 4 D.GALLIANI, op.cit., 139 5 D.GALLIANI, op.cit., 140

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Costituzione sia rimasta invariata, si sia invece avviato un sotterraneo moto evolutivo della Costituzione materiale in direzione di un semipresidenzialismo di fatto.

In particolare S.Ceccanti pone come linea di demarcazione nel passaggio tra sistema parlamentare e semipresidenzialismo di fatto la rielezione presidenziale: “Se e' apparso pertanto improprio sino all'elezione presidenziale parlare di ‘semi-presidenzialismo di fatto’ per la necessaria apertura della fisarmonica dei poteri presidenziali sotto Napolitano primo, e' invece inevitabile utilizzare questa espressione per l'elezione del Napolitano secondo. E' proprio quindi a questo punto che… si pone il problema dei tempi e dei modi con cui modifiche di fatto, forse irreversibili, possano e/o debbano essere regolate dal diritto”6. Vero è che l’art 85 Cost. “legittima senza limite alcuno la rielezione del Presidente della Repubblica, sicchè il timore di comprometterne l’estraneità istituzionale rispetto agli equilibri politici di maggioranza e opposizione ha trovato concreta espressione nel solo divieto di scioglimento anticipato nell’ultimo semestre del mandato. Tuttavia il confronto sviluppatosi durante i lavori preparatori sulla rinnovabilità del mandato testimonia sia il difficile compromesso politico sul punto, sia l’irrisoltà ambiguità morfologica della figura presidenziale. La costante prassi repubblicana della non rielezione dimostra che la rieleggibilità è stata sino ad ora percepita come inopportuna o improbabile sul mero piano politico”7. La violazione di tale consuetudine porta però ad interrogarsi sulla ratio che mosse la scelta costituente: le tesi contrarie all’introduzione di un espresso divieto muovevano in prevalenza dalla convinzione che l’impossibilità giuridica della rielezione avrebbe deresponsabilizzato in maniera eccessiva il Presidente, agevolando le oppose prospettive dell’atrofizzazione o dell’ipertrofia dei suoi poteri e, quindi, la compromissione dell’equilibrio istituzionale complessivo. A

6 S.CECCANTI, Rieletto, ma non troppo: le grandi differenze tra l'undicesimo e il dodicesimo

Presidente, 3, in http://www.forumcostituzionale.it; analogamente osserva I.NICOTRA “Ciò non può

non far riflettere sull’opportunità di ripensare la stessa idea che ‘la finestra schiusa sulla rielezione’, possa rappresentare qualcosa di più di una riserva, contemplata dai costituenti in tempi eccezionali. o, se, non sia giunto il momento di assecondare la Costituzione vivente con una revisione che introduca nell’ordinamento italiano una forma di governo di tipo semipresidenziale”. I.NICOTRA, Le ragioni

dell’eccezionale “bis” di Giorgio Napolitano nel discorso di insediamento, in http://www.forumcostituzionale.it

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supporto del medesimo orientamento va sottolineato, inoltre, il vantaggio della possibile conferma di chi avesse esercitato il mandato con esiti particolarmente fruttuosi. Le tesi favorevoli al divieto insistevano, invece, sul fatto che la duplicazione del settennato avrebbe dato adito a fenomeni di personalizzazione dei poteri presidenziali e che solo la preclusione ad un secondo mandato avrebbe garantito l’effettiva indipendenza dell’organo. Tale timore riemerge quindi nel contesto politico odierno ma, da un’osservazione più ponderata si ricava che “l’argomentazione fondata sulla lunghezza dell’incarico perderebbe resistenza tramite una semplice riduzione del mandato ed il rischio di un eccessivo protagonismo politico è riconducibile alla qualità dei poteri presidenziali piuttosto che alla loro durata”8; appare quindi possibile riscontrare in simili proposte l’aspirazione ad una

sostanziale modifica della posizione del Presidente nel sistema costituzionale, con la inevitabile prospettiva di farne un autonomo centro di potere politico. Secondo S.Ceccanti “siamo di fronte, in altri termini, a una vera e propria trasformazione del ruolo del Capo dello Stato nella forma di governo italiana, senza revisione costituzionale, nella direzione di un sempre più marcato dualismo: un dualismo cui una minoranza dei costituenti aveva in effetti guardato, ritenendo che la democrazia italiana avrebbe avuto bisogno, a fronte dei partiti, di un contrappeso forte nella figura appunto del Presidente, ma che nella Costituzione del '48 non c'è, così come non c'era nella pressoché coeva Costituzione francese del 1946”9.

2. Equilibrio tra le funzioni presidenziali e responsabilità

Un aspetto di crescente interesse nello studio della figura presidenziale e delle sue prerogative è rappresentato dalla responsabilità di tale organo. Poichè infatti il nesso tra responsabilità e potere rappresenta ad oggi uno dei capisaldi del diritto costituzionale potrà dirsi, che “in un ordinamento davvero democratico, almeno

8 Commentario alla costituzione art 84

9 C.FUSARO, Ruolo del presidente della Repubblica e forma di governo in Italia. L'ipotesi semi-

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tendenzialmente, ad un accrescimento dei poteri dovrebbe corrispondere un incremento di responsabilità”10. “Quest’ultima considerazione potrebbe comportare conseguenze di un certo rilievo in relazione al Capo dello Stato nell’ordinamento italiano per il quale, come vedremo, sembra frequente lo scarto fra poteri reali/sostanziali e responsabilità giuridico- formali… La questione della responsabilità del Capo dello Stato è dunque, con assoluta evidenza, strettamente connessa all’annoso problema dei suoi poteri, ovvero della sua natura giuridica, come si sa da sempre oscillante, nel nostro ordinamento, fra una funzione rigorosamente ‘garantista’ e una, invece, in qualche modo – vista la forma di governo parlamentare – larvatamente ‘governante’”11.

Appare opportuno in tal senso premettere una distinzione tra responsabilità giuridica e responsabilità politica diffusa.

A norma dell’art. 90, comma 1, Cost., l’irresponsabilità giuridica del Presidente della Repubblica è limitata a quegli atti che riguardano l’esercizio delle funzioni presidenziali ed è esclusa per i reati di “alto tradimento” e “attentato alla Costituzione”, per i quali è prevista la messa in stato d’accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri e per altri casi circoscritti che tenteremo tra poco di delineare: “in altre parole egli non porta responsabilità per tutta quella marea di atti nei quali si traducono le sue numerose e rilevantissime attribuzioni, nessun esclusa. Ed infatti, l’art. 89 (che precede quello sulla non responsabilità) prevede che nessun atto del Presidente è valido se non è controfirmato dal ministro proponente che ne assume la responsabilità (gli atti più importanti, poi, devono essere controfirmati dal Presidente del Consiglio: a garanzia dell’unitarietà dell’indirizzo politico)”12.

10 L.ELIA, Il Presidente iracondo ed i limiti della sua responsabilità, in Giur. cost., 2004, 1611 11 A.SPADARO, I diversi tipi di responsabilità del Capo dello Stato nell’attuale forma di governo

italiana, 2, in in http://www.associazionedeicostituzionalisti.it,

12 cfr C.FUSARO, Il presidente della Repubblica in Italia, op. cit.; ciò viene letto in chiave negativa

dall’autore il quale afferma che, secondo quanto nella sua indagine, in genere, laddove c’è potere (reale) c’è responsabilità, laddove responsabilità non c’è, non c’è o non ci dovrebbe essere potere.

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Al di fuori dell’esercizio delle proprie funzioni, come privato cittadino, il Presidente della Repubblica è, invece, responsabile sia civilmente che penalmente. L’immunità presidenziale si estende, infatti, ai soli atti compiuti nell’esercizio delle funzioni, o ad essi strumentali o accessori, mentre è esclusa in riferimento ad atti che abbiano natura extra- funzionale13. La suddetta interpretazione dell’art. 90 della Costituzione è stata fatta valere dalla Corte di cassazione (III sez. civile, sentt. 8733 e 8734 del 2000, riguardante il giudizio civile in cui era chiamato a rispondere l’ex Presidente della Repubblica Cossiga, per alcune dichiarazioni rese durante la sua presidenza) e sostanzialmente confermata dalla Corte Costituzionale nella recente sentenza n. 154 del 2004 (emessa nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto Infatti, numerose costituzioni recenti differenziano le attribuzioni presidenziali: prevedono la controfirma generalizzata, ma poi escludono alcuni atti presidenziali dalla necessità di essa. Ciò dà un’indicazione chiara su quali poteri siano intesi come non solo formalmente, ma anche sostanzialmente presidenziali. Da noi non è così: ed è questo il simbolo dell’ambiguità costituzionale della figura presidenziale; il caso italiano non risulta però isolato: basti pensare all’esperianza francese nella quale, a fronte di un Presidente titolare di forti poteri di indirizzo politico, l’art- 68 la Costituzione del 23 febbraio 2007 non prevedeva alcuna responsabilità di tipo politico e giuridico dello stesso. L’inquietante tendenza allo sviluppo dell’irresponsabiltià dei governanti, rappresenta, secondo E.GROSSO, “certamente uno dei problemi costituzionali più rilevanti e irrisolti dell’assetto istituzionale francese”. E.GROSSO, Il dialogo tra i sistemi francese e italiano: la circolazione negata, convegno dell’Associazione di Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, sul tema “La Costituzione francese”, Bari, 22- 23 Maggio 2008, p 25 del dattiloscritto

13 In questi casi, varrà l’ordinaria responsabilità giuridica. Sorvolando/escludendo gli illeciti

amministrativi (plausibilmente coincidenti con reati “funzionali”), non si può escludere un Presidente chiamato, sul piano civile, a risarcire un danno, per esempio: per incidente stradale. Quanto alla responsabilità da un punto di vista penale, non pare accettabile la tesi (già rigettata con sdegno in Assemblea Costituente da Terracini) che egli risponda di eventuali comportamenti criminosi solo «alla fine del settennato»: è appena il caso di rammentare l’ironia di chi ipotizzava la figura del Capo dello Stato intento a ricevere le credenziali degli ambasciatori in carcere. Egli invece deve rispondere “subito” per i reati di cui è accusato, pena l’ammissione di un intollerabile privilegio che comporterebbe la “rottura” rispetto agli artt. 3 (eguaglianza) e 112 (obbligatorietà dell’azione penale) della Costituzione e impedirebbe al Presidente, soggetto al sospetto, la naturalezza e l’autorevolezza proprii delle delicate funzioni assegnategli (si pensi alla Presidenza del C.S.M.). Naturalmente, l’obbligo di dimissioni scatterebbe, non quando egli fosse semplicemente indagato (avviso di garanzia), ma – cosa ben più grave – imputato e, poi, riconosciuto almeno in I grado (ed escludendo che gli siano state applicate misure cautelari. Cfr. A.SPADARO, op.cit., 4; A tal proposito, la L. n. 140/2003 aveva introdotto una previsione in base alla quale il Presidente della Repubblica non poteva essere sottoposto a processi penali, per qualsiasi reato anche riguardante fatti antecedenti l’assunzione della carica o della funzione, fino alla cessazione delle medesime, salvo quanto previsto dall’articolo 90 della Costituzione. Anche i processi penali in corso per qualsiasi reato riguardante anche fatti antecedenti l’assunzione della carica o della funzione, fino alla cessazione delle medesime, erano sospesi. La legge in oggetto è stata tuttavia dichiarata incostituzionale con sentenza n. 24 del 2004, per violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione.

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a seguito delle citate sentenze della Corte di Cassazione)14.

“Accanto alle responsabilità extrafunzionali prima ricordate, il Presidente della Repubblica, può dar vita anche ad illeciti ‘nell’esercizio delle sue funzioni’, e qui si incontrano le maggiori difficoltà di classificazione/determinazione delle responsabilità.

In particolare risulta rilevante, ai fini della nostra analisi, l’approfondimento della responsabilità presidenziale nell’esercizio dell’azione di garanzia, “intesa sia come controllo costituzionale sugli atti (ossia come controllo ‘negativo’), sia come razionalizzazione sul funzionamento del circuito democratico (ossia come potere ‘attivo’); un complesso di funzioni che rendono il Capo dello Stato un organo di garanzia ‘complementare’15 alla posizione della Corte costituzionale (sia come giudice di legittimità sia come arbitro dei conflitti) nel sistema”16.

E’ necessario quindi distinguere tre diverse tipologie di responsabilità del Capo dello Stato: in primo luogo la responsabilità in senso stretto del Capo dello Stato prevista dall’art. 90 Cost: la responsabilità giuridico- penale costituzionale. Essa si configura a causa di comportamenti di eccezionale gravità, caratterizzati dal dolo specifico17, che realizzano atti non meramente incostituzionali, ma addirittura anticostituzionali, capaci cioè di turbare la regolare vita dello Stato configurando il reato di attentato alla Costituzione e alto tradimento18.

14 cfr. sent. cost. n. 154/2004 che in un obiter dictum afferma che non «può condividersi, sul piano

sostanziale, la tesi secondo cui anche gli atti extrafunzionali...del Presidente della Repubblica dovrebbero ritenersi coperti da irresponsabilità».

15 R.ROMBOLI, Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale, op.cit., 327

16 N. PIGNATELLI, La responsabilità politica del Presidente della Repubblica tra valore storico e

"inattualità" costituzionale della controfirma ministeriale, 2, in http://www.forumcostituzionale.it

17 sarebbe difficile in questi casi ipotizzare un Capo dello Stato non pienamente consapevole delle sue

azioni

18 Vista la peculiarità delle funzioni presidenziali svolte, le ipotesi di reato imputabili al Presidente

della Repubblica non potrebbero, essere determinate secondo i parametri del diritto penale comune. Così, in riferimento al reato di “alto tradimento”, dovrebbe intendersi un comportamento doloso consistente in una violazione del giuramento di fedeltà alla Repubblica, mentre per “attentato alla Costituzione” ogni comportamento doloso che violi deliberatamente la Costituzione o sia diretto al sovvertimento delle istituzioni costituzionali. In caso di messa in stato d’accusa del Presidente della

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In secondo luogo la responsabilità giuridico- costituzionale19. Essa può essere causata da altri due diversi tipi di comportamenti illeciti presidenziali: innanzitutto comportamenti invasivi di altri poteri dello Stato (tale tipologia di responsabilità non crea particolari problematiche dal momento che può essere fatta valere in maniera certa e soddisfacente per mezzo dello strumento del conflitto di attribuzione); in secondo luogo da comportamenti penalmente rilevanti, compiuti dal Capo dello Stato nell’esercizio delle sue funzioni, diversi però dall’attentato alla Costituzione e dell’alto tradimento. “Si configurano in questo caso semplici ‘crimini comuni’, di natura colposa– come nel caso di una mera negligenza del Presidente ( culpa in vigilando)– o dolosa– come nel caso, per esempio, di reati ordinari (commessi per interesse privato)– entrambe ipotesi che comportano una responsabilità penale ordinaria, ma anche e inevitabilmente conseguenze giuridico- costituzionali: l’obbligo implicito di immediate dimissioni”20.

Infine la responsabilità politico- costituzionale diffusa. “Si fa cenno qui a comportamenti discutibili, istituzionalmente inopportuni o comunque reputati scorretti sul piano dei rapporti politici. In tal caso, le azioni del Capo dello Stato, pur formalmente legittime, possono ingenerare la sensazione di un tentativo di ‘modificazione tacita contra Constitutionem’: si pensi, per esempio, a una condotta non imparziale o al surrettizio passaggio dalla forma di governo parlamentare a una vagamente semipresidenziale, o a incontrollate esternazioni, sotto forma di “colpi di piccone” alla Carta”21.

Repubblica ad opera del Parlamento in seduta comune, l’art. 134, ultimo comma, Cost., prevede che sia la Corte costituzionale a giudicare sulle accuse mosse. In tale evenienza, il settimo comma dell’art. 135 prevede che la composizione della Corte costituzionale è integrata con l’aggiunta di altri 16 membri (giudici aggregati) tratti a sorte da un elenco di cittadini, aventi i requisiti per la eleggibilità a senatore, che il Parlamento compila ogni nove anni mediante elezione.

19 Essa è differente rispetto alla responsabilità politica: quest’ultima non è configurabile in capo al

Presidente della Repubblica, dal momento che il Presidente non è eletto direttamente dal popolo e non esiste alcuna possibilità di rimuovere anticipatamente il Capo dello Stato (al contrario del Governo che può essere sfiduciato dal Parlamento e dello stesso Parlamento che può essere sciolto anticipatamente dal Presidente della Repubblica).

20 Ibidem

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Le maggiori critiche circa la presunta discrasia tra poteri presidenziali e responsbilità derivano dall’analisi della controversa prassi della “contrattazione”. Siamo a conoscenza che, nell’ordinamento italiano, da sempre “il Presidente intrattenga una serie di rapporti informali con il Governo o con altri operatori politici, nel corso dei quali, nella sua veste del garante del rigore costituzionale, ammonisca, consigli, esprima il suo dissenso, suggerisca modifiche al contenuto degli atti sottoposti alla sua firma, manifesti cioè le sue motivate opinioni su determinati provvedimenti o decisioni che hanno, o possono assumere, rilevanza politica. Sono, tutti questi, quegli interventi informali diretti a prevenire o risolvere, in via breve e riservata, divergenze e conflitti”22. Secondo taluni autori, molteplici vicende di attualità, avrebbero tuttavia

configurato un abuso delle metodiche di intermediazione accennate. “Intanto, se appare evidente che il Capo dello Stato non è un semplice ‘notaio’, anzi che non è un semplice ‘passacarte’, è pure altrettanto evidente... che il Capo dello Stato non può e non deve sindacare il merito politico delle scelte del Governo, a meno che esse tocchino chiari profili di costituzionalità. Soltanto in quest’ultima ipotesi egli svolge la sua naturale funzione giuridica di organo di garanzia – che tradizionalmente influenza, consiglia, ammonisce, pone veti, ecc. – anche se gli effetti/riverberi del suo intervento sono sicuramente molto politici.. a differenza della Corte costituzionale che, come organo giurisdizionale e collegiale, ha raffinate possibilità tecnico- processuali di sindacato– il Presidente della Repubblica dovrebbe essere indotto ad un’estrema cautela nei suoi interventi, che restano quelli di un organo individuale di controllo, senza però poteri di decisione sull’ipotetica illegittimità di un atto. Ma– al di là del contenuto, più o meno discrezionale, della valutazioni del Capo dello Stato– è il metodo, ossia la concreta procedura osservata in taluni recenti episodi, che lascia perplessi. Non v’è dubbio che in molti casi – soprattutto (ma non solo) a partire dalla Presidenza di C.A. Ciampi – spesso prima che gli atti governativi fossero formalizzati

22 T .MARTINES , Il potere di esternazione del Presidente della Repubblica, in G.SILVESTRI (a cura

di), La figura ed il ruolo del Presidente della Repubblica nel sistema costituzionale italiano, Milano, 1985, p. 135; in questo senso anche E.ORLANDI che afferma “La funzione precipua di tali poteri e quella di attivare e di mettere in moto il circuito decisione politica in ordine a temi e questioni di interesse generale attraverso un’opera di sensibilizzazione e di orientamento degli organi politicamente attivi, dei partiti e, in via indiretta, altresì nell’opinione pubblica”. Cfr. E.ORLANDI, op. cit., 63

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, gli ‘uffici’ del Quirinale sono stati molto attivi nel rilevare anomalie, irragionevolezze o vere e proprie illegittimità di atti (disegni di legge, decreti- legge, decreti legislativi, ecc.) del Governo, al punto che il fenomeno talvolta è apparso come una sorta di informale “contrattazione” fra i due organi. Tale caratterizzazione discende anche dal fatto che in qualche caso lo stesso testo, con vari emendamenti, è stato passato dagli uffici di Palazzo Chigi a quelli del Quirinale, dando vita ad una specie di navetta, per molti versi simile a quella parlamentare”23. Tale prassi pur avendo effetti rilevanti sugli equilibri della forma di governo non trova però una regolamentazione costituzionale: “la questione è che si tratta, sì, di osservazioni “costituzionalmente ispirate”, ma– si badi– su atti di “stretto indirizzo politico” per modificarne il contenuto preventivamente o, peggio, successivamente all’adozione degli atti stessi da parte degli organi di indirizzo”24. Proprio in questo si realizzarebbe l’abuso: mentre l’esercizio di un potere di veto sospensivo (rinvio) o di veto definitivo (diniego) di fronte ad un atto approvato dagli organi di indirizzo politico costituisce fisiologica attività del Capo dello Stato, contrattare (“prima” dell’approvazione, o persino “dopo” l’approvazione in Consiglio dei Ministri) il contenuto dell’atto, per modificarlo, confugurerebbe una patologia costituzionale non giustificabile neppure in un’ottica di economia costituzionale dato che la Costituzione non ammette nessuna forma di compartecipazione del Capo dello Stato alla statuizione di atti di indirizzo politico, neppure allo scopo di migliorarli sul piano costituzionale25.

Al di là di tali episodi criticati da parte della dottrina in quanto giudicati invasivi del

23 A.SPADARO, op.cit., 16 24 A.SPADARO, op.cit., 17

25 Al di là della classificazione teorica dei comportamenti presidenziali risulta auspicabile

l’interruzione di una prassi come quella della contrattazione preventiva di cui è certa la problematicità; “infatti, anche immaginando le migliori intenzioni, la dicotomia ricordata fra ‘fini’ (garantistici: legittimi) e ‘metodi’ (contrattualistici: illegittimi) è sempre pericolosa, producendo talvolta effetti involontariamente disastrosi e paradossali”: oltre ad esporre il Capo dello Stato ad un forte rischio di delegittimazione e di alterazione degli equilibri costituzionali, viene configurandosi un potere fortemente penetrante e discrezionale senza che a ciò corrisponda, come dovrebbe, una formale responsabilità del Presidente della Repubblica.

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circuito di decisione politico- istituzionale, risulta generalizzata e pervasiva la prassi dell’intervento presidenziale. Particolare rilievo assume, alla luce di tale premessa, l’analisi di quei poteri presidenziali atipici di mediazione tradizionalmente ricondotti nell’ampia categoria della moral suasion, espressione con la quale “si fa principalmente riferimento- nell’ambito del dibattito costituzionale- a quei poteri atipici e informali di monito, influenza, stimolo e persuasione esercitati dal Presidente della Repubblica prevalentemente nei confronti di organi titolari della funzione di indirizzo politico all’interno della nostra forma di governo. La funzione precipua di tali poteri e quella di attivare e di mettere in moto il circuito decisione politica in ordine a temi e questioni di interesse generale attraverso un’opera di sensibilizzazione e di orientamento degli organi politicamente attivi, dei partiti e, in via indiretta, altresì nell’opinione pubblica”26.

Inoltre in tal modo “egli segna la distanza da una classe politica ritenuta poco sensibile ai problemi reali della società, nell’intento di fornire la percezione di un interlocutore che sia autorevole rappresentante dell’unità nazionale e allo stesso tempo figura istituzionale vicina ai cittadini”27.

“Le dichiarazioni di pensiero del Presidente, pur laddove (apparentemente) prive di efficacia giuridica, fanno– come si è venuti dicendo– il quid proprium dell’ufficio presidenziale, il suo ‘nucleo duro’, al di là delle pur non secondarie “varianti” dalle stesse esibite nel passaggio da una presidenza all’altra e persino all’interno di una stessa presidenza, lasciando pertanto un segno profondo, ancorché non sempre immediatamente e nitidamente visibile, nel tessuto politico- istituzionale, un segno che inevitabilmente– piaccia o no– finisce poi col condizionare anche l’operato di coloro che verranno”28.

26 E.ORLANDI, op.cit., 63

27 I.NICOTRA, Il principio di leale collaborazione istituzionale nella presidenza Napolitano, in Alla

ricerca del buon governo, T.E.FROSINI- G.DE VERGOTTINI (a cura di), Roma, 2012, 50

28 È chiaro che, nei casi più gravi, l’uomo potrebbe trovarsi costretto alle dimissioni anticipate. non si

dimentichi la campagna di stampa che ha costretto Leone a farsi da parte anzitempo e l’iniziativa di impeachment a suo tempo posta in essere contro il massimo ‘esternatore’, Cossiga, fatta quindi cadere

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Di fatto “tutto ciò che il Presidente dice, suggerisce, lascia intendere, fa trapelare, comunica trasparentemente in ogni forma (comunicati, interviste, lettere, messaggi formali e così via) lo rafforza o lo indebolisce nella misura in cui può contare sul consenso dei cittadini in generale e su quello di altre figure istituzionali che abbiano convenienza o interesse a sostenerlo (si pensi ai rapporti fra alcuni presidenti e i presidenti delle Camere). Tale aspetto risulta certamente amplificato dall’attenzione dei media che è andata realizzando l’ “instaurarsi di una permanente e inesauribile partita a tre i cui attori sono (i) il Presidente medesimo (rectius, il suo entourage), (ii) il sistema politico in senso lato (gli altro organi costituzionali, governo in testa, opposizione, partiti, ma anche categorie, interessi pubblici e privati organizzati ansiosi di appropriarsi del vero o presunto appoggio quirinalizio), (iii) i media, nelle doppie vesti di strumentalizzatori e strumentalizzati… accade così che mentre il Presidente parla per esternazioni pubbliche (anche troppo frequenti) e atti formali, si sviluppa in parallelo un circuito collaterale di informazioni e notizie in ordine a sue presunte intenzioni, volontà, auspici, richieste e condizioni concernenti l’esercizio dei poteri propri e altrui”29.

L’analisi delle rinnovate prassi presidenziali e la valorizzazione degli schemi comunicativi, rendono “pacifico che quella del Presidente della Repubblica non possa che risolversi in una forma di responsabilità ‘diffusa’30, che presuppone, per la sua esistenza, una legittimazione dell'organizzazione del dissenso e del potere di critica, in grado di incidere direttamente sullo stesso esercizio del potere pubblico, il quale a sua volta per essere controllato dovrà informarsi ai principi di pubblicità e

nel corso di una vicenda anomala che prima o poi dovrà essere fino in fondo spiegata. M GORLANI,

Il Capo dello Stato dentro la crisi del sistema politico e costituzionale italiano, in

http://www.forumcostituzionale.it

29 fino al punto, continua l’autore, “che sarebbe oggi difficile negare l’esistenza di un vero e proprio

indirizzo politico presidenziale, altro ed autonomo rispetto all’indirizzo politico di maggioranza”. C.FUSARO, Il presidente della Repubblica in Italia. Originaria (e inesorabile?) ambiguità di un

tutore che può tutto e niente, in http://www.carlofusaro.it, 13 marzo 2014

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trasparenza31”32.

Molteplici appaiono in vero le difficoltà cui va incontro l’analisi dei meccanismi di responsabilità diffusa, l’unico tipo di responsabilità configurabile in queste ipotesi; in primo luogo la sovraesposizione presidenziale che da questa prassi deriva: “nel prendere così frequentemente posizione esplicita in ordine alle diverse opzioni che la cronaca propone, nel commentare sistematicamente i fatti politici, la voce del Presidente smarrisce la ‘solennità’ che la tesi di Barile sull’‘indirizzo politico costituzionale’ voleva conferirle, rischia inesorabilmente di compromettere la sua neutralità, e diviene soltanto una delle tante idee che circolano nel dibattito pubblico, anche se assistita dalla particolare autorevolezza di chi la esprime. Nell’esternare quotidiano il Presidente della Repubblica acquista una materialità e una corporeità che la tradizionale visione del ruolo gli aveva sempre negato; ma perde in ‘sacralità’, così che il suo rappresentare l’unità nazionale diventa uno dei tanti possibili modi di enunciare valori unitari, più plausibile di altri grazie alla stima trasversale e ampia che circonda ancora la carica”33. Bisogna inoltre tener conto dell’ontologica

31 N. BOBBIO, La democrazia e il potere invisibile, in N. Bobbio Il futuro della democrazia, Torino,

1995, 85

32 N. PIGNATELLI, op.cit., 1

33 M GORLANI, op.cit.; in questo senso anche M.C.GRISOLIA, la quale afferma “La conseguenza

(del crescente attivismo presidenziale) è stata quella di porre l’organo presidenziale al centro dell’attenzione generale, quale interlocutore privilegiato delle istanze proventi sia dagli organi di vertice sia dal Paese e quale soggetto compartecipe, alla pari degli altri soggetti titolari dell’indirizzo politico, delle scelte legate alla sua determinazione ed attuazione; se non, addirittura, quale soggetto portatore di un autonomo ‘indirizzo’, intorno al quale aggregare il consenso oltre che delle forze politiche ed istituzionali, della più ampia bae sociale”. M.C.GRISOLIA, Alla ricerca di un nuovo

ruolo del Capo dello Stato, op.cit., 4; anche C.FUSARO che afferma “Vi è poi anche un rischio

ulteriore che non posso pretendere sia avvertito da chi crede nelle virtù taumaturgiche del dualismo e del semi-presidenzialismo, e cerca perciò una figura monocratica sussidiaria (ma non pienamente responsabile) che supporti un sistema politico-istituzionale non all'altezza: il rischio che, anziché portare a compimento con coerenza l'avviata razionalizzazione del governo parlamentare e il suo rafforzamento nel rispetto delle prerogative dell'opposizione e ricondurre così la figura presidenziale nei limiti che essa ha nelle democrazie parlamentari ben funzionanti, si torni alla tentazione, tanto in voga ancora solo pochi anni fa, di ‘egare a una precisa responsabilità politica il presidente, facendolo eleggere direttamente dai cittadini e conferendogli quella legittimazione democratica che oggi ha in misura attenuata e subordinata rispetto al Parlamento. In tal modo si finirebbe con l'esaltare le tendenze dualistiche emerse prepotentemente in anni particolarmente difficili, e anziché concorrere ad eliminarne le ragioni giustificatrici, le si consacrebbero per i decenni a venire, definitivamente rinunciando alla funzione simbolica ed effettivamente unificante del capo dello Stato”. C. Fusaro, E’ ancora possibile rappresentare l’unità nazionale?, 4, in www.forumcostituzionale.it

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indeterminatezza della responsabilità diffusa rispetto a quella istituzionale: i soggetti passivi sono variabili e identificabili non solo nei titolari del potere politico, ma in tutti coloro che partecipano alla lotta per quel potere ( anche i soggetti appartenenti alle file dell’opposizione rispetto alla maggioranza governativa, ad esempio, sono soggetti passivi della responsabilità politica diffusa); così come sono variabili i soggetti attivi, ruolo questo che può essere ricondotto a tutti coloro che sono in grado di poter determinare un equilibrio politico sfavorevole nei confronti dei soggetti passivi; non sono predeterminati fatti e modalità per raggiungere tale risultato nè sono fissati vincoli formali o temporali se si escludono quelli richiesti dalla natura giuridica dello strumento utilizzato (ad esempio i limiti posti alla libertà di manifestazione del pensiero o alla libertà di riunione al fine di salvaguardare altri valori costituzionali di pari o superiore grado); le conseguenze dei fatti con cui si manifesta la libertà critica non sono nè determinabili nè garantite, così la critica ad un soggetto politico può non sortire l’effetto desiderato oppure può, non solo determinare il mutamento dell’equilibrio politico in sfavore di quel soggetto, ma la rimozione dello stesso o della sua forza politica dal potere, considerata, come per la responsabilità politica istituzionale, il risultato massimo perseguibile. La già evidenziata influenza dei mass media in questo campo non fa che aumentare tale indeterminatezza. Secondo G.U.Rescigno una medesima vicenda piuò avere distini diametralmente opposti a seconda del trattamento ad essa riservato da parte dei mezzi di comunicazione: il fatto in questione può non essere ripreso da altri mezzi di comunicazione e quindi scemare velocemente senza alcuna ripercussione politica oppure può al contrario avere un grande seguito e la critica divenire sempre più asfissiante e coinvolgere sempre più persone e addirittura intere parti politiche determinando così un mutamento dell’equilibrio politico34.

Inoltre è opportuno tenere presente anche le potenzialità negative del potere di esternazione: “Non può negarsi che il potere di esternazione porti con sé il rischio

34 Cfr G.U.RESCIGNO, Trasformazioni e problemi della responsabilità politica oggi, in La

responsabilità politica nell’era del maggioritario e nella crisi della statualità, G.Azzariti (a cura di), Torino, 2005,15

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della diarchia, della contrapposizione di "due governi" (uno ministeriale, l'altro presidenziale); ma tale rischio si concretizza solo nell'ipotesi in cui il Presidente della Repubblica non utilizzi i messaggi informali per ribadire la primazia dell'indirizzo politico costituzionale sull'indirizzo politico contingente. In quel caso il potere di esternazione, il suo uso sviato, rispetto ai suoi fini connessi con il ruolo di garanzia, genererà una responsabilità politica "diffusa", che rappresenta di per sé un controllo, un limite ed uno strumento di pressione con il quale riportare tale potere (come gli altri poteri presidenziali) nel solco della "funzionalità”35.

Occorre quindi domandarsi se, la responsabilità politica diffusa, unica forma di responsabilità ravvisabile nelle suddette ipotesi, risulti sufficientemente incisiva. Probabilmente è necessario risolversi in senso negativo se si considera che la responsabilità in parola, nella sua forma maggiormente espressiva, si concretizza nella mancata rielezione alla carica di coloro il cui operato sia stato fatto oggetto di censura dalla pubblica opinione, una sanzione che però sembra non poter valere per il Presidente della Repubblica stante la prassi (o la consuetudine?) stabilmente orientata nel senso dell'avvicendamento alla carica di persone diverse36. La recente vicenda della rielezione del Presidente Napolitano ad un secondo mandato non smentisce le perplessità espresse dato che rappresenta ad oggi una ipotesi isolata e giustificata da un momento di eccezionale crisi e gravità.

Ad oggi quindi “non si tratta più di interrogarsi se tra i poteri del Presidente rientri la facoltà di esternazione e quale ne sia la fonte di legittimazione. I dubbi che autorevoli costituzionalisti hanno manifestato, a più riprese, in proposito, sono stati spazzati via da una prassi così dilagante da rendere vano il tentativo di arginarla. Resta invece il dato di un Presidente della Repubblica che, a fronte di una classe politica che pare

35 Tuttavia, secondo l’autore, una democrazia maggioritaria, in cui non è irreale il rischio di una

"dittatura della maggioranza", deve probabilmente correre il rischio di confidare nelle funzioni, tra cui quella di esternazione, del Presidente della Repubblica che diversamente dalla Corte costituzionale, per la sua "vicinanza" fisica ai poteri politici, può svolgere un'opera di persuasione ai valori costituzionali, di diffusione dei valori costituzionali, ancor prima che di controllo sugli stessi N. PIGNATELLI ,op.cit., 16, in http://www.forumcostituzionale.it

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aver perso la capacità di rappresentare in modo costruttivo e fecondo la società italiana, si ritrova, più o meno consapevolmente, a modificare il suo ruolo istituzionale, e a spendere la più alta carica dello Stato in una dimensione più quotidiana, concreta, che altera in parte l’equilibrio costituzionale nell’intento apparentemente nobile - e forse in questo caso anche utile - di preservarlo. Con il rischio però che quella stessa Presidenza della Repubblica, oggi luogo di sostegno di istituzioni democratiche in crisi, possa paradossalmente diventare, passo dopo passo, il punto di massima deflagrazione del nostro assetto costituzionale”37.

3. Principali proposte di riforma dell’istituto presidenziale e confronto con

l’ordinamento francese

Larga parte della dottrina, in Italia, manifesta non a caso le sue preoccupazioni sul presente e sul futuro della figura presidenziale, segnalando la difficoltà di conciliare quanto sta accadendo ed è già avvenuto con la fedeltà al sistema parlamentare (tanto più nella prospettiva del suo consolidamento): sostenendo la utilità di innovazioni che intervengano non tanto sulla quantità quanto sulla qualità dei poteri presidenziali iscritti in Costituzione e sul sistema di elezione38.

Coloro che ritengono opportuna o quanto meno inevitabile una svolta del nostro

37 M GORLANI, op.cit.

38 secondo B.CARAVITA, sarebbe ineludibile una riforma della figura presidenziale e della forma di

governo e le alternative e le alternative consisterebbero nei due modelli “a noi più confacenti: il semipresidenzialismo alla francese (secondo le proposte già fatte a suo tempo nella Commissione Bicamerale nel 1996-97 e accolte in quella sede);ovvero il cancellierato alla tedesca (non faccio riferimento alle esperienze britannica e spagnola, perché lì il tema della collocazione istituzionale del Capo dello Stato è risolto in radice dalla natura monarchica del vertice, al quale - per definizione - non possono essere assegnati, in un contesto democratico, che ruoli di mera rappresentanza simbolica dell'unità nazionale, senza poteri sostanziali). Comunque vada a finire, chiunque sia il vincitore, bisognerà trovare il coraggio di porre fine a vent'anni di discussioni inconcludenti, approdati ad uno sregolato bipolarismo personalizzato: l'idea, coltivata a destra, inseguita a sinistra e recentemente anche al centro, che forme di leaderismo carismatico possano costituire un rimedio a meccanismi istituzionali incerti e instabili sembra ormai giunta al capolinea, apparendo ormai dimostrata sia la loro debolezza a livello nazionale, sia la loro fragilità nei procedimentalizzati e rigorosamente istituzionalizzati meccanismi decisionali europei. B.CARAVITA, Il Presidente della repubblica

nell’evoluzione della forma di governo: i poteri di nomina e scioglimento delle Camere, 18, in

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ordinamento in senso semipresidenziale tendono in primo luogo a valorizzare le affinità che si possono riscontrare le vicende storico istituzionali di Italia e Francia, il Paese che più di ogni altro fa da modello per quanto attiene all’assetto semirpesidenziale.

Osserva in questo senso C.Fusaro: “quando, superato il ventennio di totale rigetto da parte di tutte le forze politiche e di quasi tutta l'intellettualità italiana, si è proposto in passato (per esempio da parte dei Partito socialista all'epoca in cui fu guidato da Bettino Craxi; ma anche da alcuni intellettuali) di ispirarsi al modello semi- presidenziale della Quinta repubblica francese per riformare le istituzioni di governo italiane, si sono levarono critiche contro la tendenza a ‘importare’ soluzioni dall'estero, ripetute a più riprese in seguito. In effetti è vero che i trapianti di questo genere rischiano di non funzionare perché per il successo di qualsiasi innovazione di questo genere il contesto in cui questa si viene a inserire è decisivo. Tuttavia nel caso specifico è bene rammentare che non solo Francia e Italia hanno nella loro storia spesso avuto problemi simili e hanno vissuto storie parallele (le simiglianze fra IV Repubblica francese e Prima Repubblica italiana sono notevoli), ma chi conosce la storia delle istituzione italiane sa che ancor prima dell'unificazione nazionale fa parte delle tradizioni costituzionali del bel paese il costante richiamarsi a modelli ed esempi francesi... Per questo, se si coniugano le tendenze pur minoritarie presenti già alla Costituente con le interpretazioni di una parte della dottrina costituzionalistica (accanto a Bracci e Maranini si può citare almeno Paolo Barile) e ancor più con la tradizione filofrancese di cui s'è detto, ci si può rendere conto che tornare a guardare alla Francia come fonte di ispirazione per la soluzione della questione della forma di governo è più un ritorno a casa in sintonia con tradizioni tutte nostre che l'ingiustificabile imitazione a freddo di un modellino esotico da importare affrettatamente”39.

Per i motivi esposti, appare quindi opportuno un raffronto con la Francia della V Repubblica: essa, costituisce il reale metro di paragone attraverso il quale misurare

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l’effettiva evoluzione della nostra forma di governo.

Vero è che ogni ordinamento semipresidenziale poggia su una struttura ad autorità duale, con un esecutivo bicefalo, formato da un Presidente, dal 1962 direttamente eletto per 7 anni (dopo la riforma costituzionale del settembre 2000, il periodo di carica è stato ridotto a 5 anni), e un Governo che si regge sulla fiducia parlamentare40; ciò tuttavia non è sufficiente per descrivere appieno il reale funzionamento del modello francese, così come non permette di capire concretamente l’effettiva portata del ruolo che in esso ricopre il Capo dello Stato. “La chiara volontà dei Padri della Costituzione della V Repubblica francese è sempre stata quella di istituire con la Carta nascente una nuova regolamentazione dei rapporti tra gli organi costituzionali, disegnando un’architettura istituzionale che segnasse una radicale rottura con il passato. Differenziandosi dalle coeve Carte Costituzionali, impegnate a riconoscere al Parlamento un ruolo centrale nella vita politica, la Costituzione della V Repubblica “capovolge tale tendenza e soprattutto la concezione che vuole il Presidente della Repubblica, organo costituzionale neutro a garanzia del funzionamento complessivo dell’organizzazione costituzionale dello Stato. Ciò determina l’instaurarsi di un nuovo assetto costituzionale e di una nuova forma di governo, del tutto originale e atipica, in cui il Capo dello Stato assurge a chiave di volta di tutta l’organizzazione costituzionale”41. “La personalizzazione del potere nel Presidente nella V Repubblica francese, a differenza di quanto si può dire per il Presidente italiano, era uno sviluppo implicito nella posizione a lui riservata dalla Costituzione del 1958’42. La nuova figura del Capo dello Stato doveva pertanto essere inserita in un disegno costituzionale più ampio in cui il volere dei Costituenti era quello di depotenziare sensibilmente il Parlamento, ritenuto il responsabile principale del fallimento della IV

40 Il fatto che il semi-presidenzialismo sia un sistema bicefalo fa si che le due teste siano diverse ma in

oscillazione tra loro, e le oscillazioni riflettano lo status maggioritario di una testa rispetto all’altra (Sartori, 1996). Quando la maggioranza che sostiene il presidente è anche quella parlamentare, il presidente prevale sul primo ministro, e le convenzioni prevalgono sulla costituzione. Quando le due maggioranze sono diverse, allora il primo ministro, sostenuto da una maggioranza parlamentare, prevale sul presidente, e viene applicato il “testo costituzionale”.

41 G.MORELLI, Il Capo dello Stato nella V Repubblica francese, in Jus, 1969, 111 42 M.P.VIVANI SCHLEIN,

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Repubblica e, affidare al Capo dello Stato ed al Governo da lui nominato e, di fatto presieduto, una posizione di supremazia nei confronti di un organo legislativo, privato di buona parte delle proprie competenze. Poteri, quelli affidati al Presidente, sicuramente amplissimi, molti dei quali esercitabili senza la necessità di alcuna controfirma ministeriale, che lo hanno sin da subito proiettato verso un ruolo di direzione politica senza precedenti nella prassi della Repubblica francese. Se si aggiunge a ciò la riforma intervenuta nel 1962 che ha introdotto l’elezione diretta del Capo dello Stato, si può intuire facilmente perché l’evoluzione dell’originario bicefalismo al vertice dello Governo si sia sin da subito, ed in modo irreversibile, come su un piano inclinato, spostato sempre più verso il Presidente ridimensionando contestualmente la figura del Primo Ministro, da quest’ultimo nominato senza bisogno di controfirma e divenuto invece una sorta di valvola di sfogo nel possibile contrasto tra Capo dello Stato e Parlamento. Ne è derivato di conseguenza un sistema ben lontano dai classici schemi parlamentari, definito addirittura come una forma di governo a “spiccata tendenza presidenziale”43. “Nella esperienza francese si registra, dunque, una evidente discrasia fra quanto le norme prevedono e ciò che la prassi registra. Le disposizioni costituzionali, infatti, definiscono un esecutivo diarchico sostanzialmente bilanciato, talché qualcuno in dottrina ha parlato perfino di ‘parlamentarismo razionalizzato’, ma la prassi, sia del primo decennio che quella successiva (sostanzialmente confermata durante la presidenza di Mitterrand), in senso contrario, ha evidenziato una netta preminenza del Presidente della Repubblica nei confronti del Primo Ministro (si ricordi in particolare la prassi delle dimission- revocation), consentendo in tal modo di cogliere come una delle due ‘teste’ dell’esecutivo, quella del Primo Ministro, si sia chinata alla primazia politica (ma non costituzionale) del secondo, quella del Presidente della Repubblica. La prassi costituzionale in Francia, tranne che per i periodi della ‘coabitazione’– durante i quali soltanto si riespande il ruolo, la responsabilità e la forza del Primo Ministro, rendendo chiara in tal modo la componente parlamentaristica della forma di Governo accolta costituzionalmente– descrive dunque uno scenario di primazia indiscussa del

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Presidente della Repubblica”44. Afferma in tal senso F. Laffaille: “La V Repubblica non è una forma di governo semipresidenziale, ma piuttosto un regime iperpresidenziale, un presidenzialismo maggioritario assolutista, al punto che non è un’esagerazione guardare al Presidente della Repubblica francese come al Capo di Stato più potente delle democrazie contemporanee... Il Presidente francese cumula infatti i vantaggi del presidenzialismo americano (irresponsabilità, poteri propri dispensati dall’obbligo di controfirma, nomina e revoca ad nutum di ministri responsabili di fatto dinanzi a lui) e quelli del sistema inglese (potere di scioglimento e maggioranza parlamentare per attuare il suo programma elettorale)”45.

Alla luce di questa breve indagine possiamo affermare che l’introduzione del modello francese risulti opportuna e positiva per l’Italia?

Certo, il sistema francese è sinonimo di stabilità ed efficienza, e l’Italia è appunto alla ricerca di stabilità ed efficienza. Nel caso della V Repubblica Francese, il sistema presidenziale e la riforma delle regole elettorali hanno prodotto una riorganizzazione dei partiti, che ha portato ad un sistema di partiti bipolare, con la formazione di una maggioranza e una opposizione, in un sistema multipartitico. La struttura bipolare del sistema di partito dopo il 1962 ha ridotto fortemente il peso politico del centro e dei partiti estremisti, poiché da allora ha prevalso una vocation majoritaire. Tale “vocation” è stata incoraggiata anche dalla regola elettorale (sistema maggioritario a doppio turno), che ha anche indotto i due schieramenti ad orientarsi verso il centro. Da parte sua, questa riorganizzazione del sistema dei partiti ha garantito la stabilità del sistema di governo, incoraggiando la cooperazione tra partiti rivali in ogni schieramento, e fornendo al presidente la base politica per l’esercizio del suo potere. Ma il prezzo da pagare è alto e sproporzionato: l’assenza patologica di contropoteri. Quando ci si interroga sui possibili correttori in grado di affermare un equilibrio istituzionale vediamo che le concrete prospettive appaiono al quanto scarne. Il

44 S.GAMBINO, op.cit., 11

45 F. LAFFAILLE, Il regime semipresidenziale francese: un (contro)modello per l’Italia?, 27 gennaio

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Parlamento è sempre così debole, dal momento che l’Assemblea nazionale ha la funzione principale di mettere tradurre in termini legislativi il programma elettorale del Capo dello Stato. “Ma soprattutto la V Repubblica non può essere assunta come modello perché la sua storia quotidiana è fatta di continue violazioni della Costituzione del 1958. Per riprendere (snaturandola) la formula di Mortati, la Costituzione materiale incostituzionale prevale sulla Costituzione formale del 1958. Sebbene gli articoli 20 (‘Il governo determina e conduce la politica della Nazione’) e 21 (‘Il Primo ministro dirige l’azione del Governo’) non siano equivocabili, l’indirizzo politico è stato fagocitato, a partire dal 1958-1962, dal Capo dello Stato. In altri termini, si può considerare un modello un sistema politico che lede in questo modo il diritto costituzionale, il diritto della Costituzione scritta? La Francia conosce una frattura caricaturale tra la costituzione materiale e la costituzione formale, a discapito di quest’ultima. Ovviamente, vi è sempre uno iato tra il testo costituzionale e la prassi politica, poiché il diritto costituzionale è inevitabilmente destinato ad essere “distorto” dagli attori politici. La formula ‘diritto politico’ per definire il diritto costituzionale e la specificità propria del diritto costituzionale si rivela in effetti pertinente. Ma la rottura introdotta nel 1958 e poi radicata stabilmente nel 1962 (con la definizione dei due pilastri della V Repubblica: l’elezione del Capo dello Stato a suffragio universale diretto e il fenomeno maggioritario) produce un sistema sbilanciato al punto di diventare caricaturale. Ne deriva una lettura obliqua della Costituzione, con la prevalenza della legittimazione sulla legittimità, della politica sul diritto”46. Qualora il modello francese venisse realizzato nel nostro ordinamento, la sua logica presidenzialista assolutista, accentuata dall’elezione diretta del Capo dello Stato finirebbe per soffocare le aspirazioni parlamentaristiche tanto care all’Italia, in virtù della quale il governo governa perchè è responsabile di fronte ad una rappresentanza nazionale eletta da popolo. “Alcuni invocano l’elezione diretta del Presidente per giustificare questa evoluzione che snaturerebbe la logica costituzionale, ma si sbagliano. In uno Stato di diritto costituzionale, non è la legittimazione a generare il potere, ma sono le competenze conferite dalla

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Costituzione. Un organo non governa perché riceve un mandato dal popolo, ma governa perché la Legge fondamentale gli accorda le prerogative necessarie. Il concetto chiave del diritto costituzionale non è la legittimazione, concetto sociologico weberiano per antonomasia, ma la legalità e la costituzionalità. D’altronde, il diritto straniero ci viene in soccorso con alcune prove di ciò: il Capo di Stato austriaco è eletto dal popolo, ma non svolge una funzione di governo; il Capo di Stato portoghese è eletto dal popolo, ma non governa, etc”47.

Il progetto predisposto dalla III bicamerale48 costituisce il più importante tentativo d’introdurre l’elezione popolare del presidente della Rebubblica da quando venne accolto il sistema d’elezione vigente. Esso prevede l’elezione diretta a suffragio universale e a maggioranza assoluta del presidente della Repubblica, con ricorso al ballottaggio al secondo turno se nessuno dei candidati avesse ottenuto i voti necessari per essere eletto49. “La forte legittimazione derivante dall’elezione diretta poneva le

premesse per l’attribuzione al capo dello Stato di rilevanti poteri, che non si traducevano in una netta preminenza rispetto al premier, ma attuavano una più equilibrata distribuzione dei compiti tra i due organi”50: in particolare la

47 Ibidem

48 La terza bicamerale (la Bicamerale D’Alema), viene istituita direttamente dalla legge costituzionale

n. 1 del 1997, preceduta però, nel luglio del 1996, da un dibattito svolto in occasione della presentazione nelle due Camere di una serie di mozioni sul tema delle riforme. La Commissione, composta da 35 deputati e 35 senatori, aveva il compito di predisporre un progetto organico di revisione della Parte II della Costituzione, concernente l’ordinamento della Repubblica. Il progetto predisposto dalla Commissione, dopo l’approvazione da parte delle assemblee delle due Camere, avrebbe dovuto essere sottoposto a referendum popolare confermativo. La Commissione bicamerale presentò alle Camere, nel novembre 1997, un organico progetto di revisione della Parte II della Costituzione. L’Assemblea della Camera avviò l’esame del progetto nel gennaio 1998 e ne approvò, senza rilevanti modifiche d’impianto, la parte riguardante l’ordinamento federale e la forma di Stato. Successivamente, l’esame del progetto tuttavia si interruppe per il venir meno delle condizioni di intesa tra le forze politiche che erano state promotrici dell’iniziativa.

49 Art 64 e 67, Atti parlamentari. Camera 3931-A, Atti parl. Senato 2583-A, XIII Legislatura si

afferma in quel contesto “Al di sopra e al di fuori delle dinamiche politiche tra maggioranza ed opposizione, si ridisegna la figura del Capo dello Stato, ricondotto ad un ruolo di garante dell'unità nazionale (prova ne sia la stessa composizione del suo collegio elettorale, tipica del modello federale: vedi il comparabile articolo 54 della Legge fondamentale di Bonn), titolare in proprio, senza controfirma, di una serie di delicati poteri di nomina, che non obbediscano alla logica politico-rappresentativa, bensì a quella naturale-garantista (articolo 91)”.

50 G.G.CARBONI, Art 83, in commentario alla costituzione,,R.BIFULCO, A.CELOTTO,

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Commissione bicamerale inquadrava alcuni rilevanti attribuzioni come poteri non sottoposti alla controfirma ministeriale, costituendo dunque poteri propri del Presidente. Tali poteri erano principalmente: la nomina del Primo Ministro51, il potere di scioglimento della Camera dei deputati52 e il potere di indire il referendum nei casi previsti dalla Costituzione; a tali poteri continuavano ad accompagnarsi i tradizionali promulgazione e di invio di messaggi alle camere. Dall’analisi dei contenuti della proposta di riforma, rimasti comunque non attuati, emerge, secondo parte della dottrina, un modello di governo semipresidenziale scarsamente strutturato soprattutto per quanto attiene all’adeguatezza e alla congruità del modello costituzionale a modelli responsabili nonché egittimati democraticamente. “Sotto questo profilo, la riforma costituzionale si connotava per una sua evidente ambiguità, che diventa ancora più preoccupante ove si consideri quella consolidata prassi costituzionale vigente nel Paese di straripamento dei poteri di esternazione del Presidente della Repubblica rispetto alla previsione costituzionale (messaggi alle Camere)... La novità più significativa della nuova forma di governo prospettata dalla Commissione bicamerale era, dunque, rinvenibile soprattutto dal punto di vista ‘simbolico’. Si trattava di una riforma che muoveva verso il semipresidenzialismo ma che, in realtà, il 4.11.1997, è stato poi accantonato, ma rimane la più compiuta proposta di introduzione di elementi di presidenzialismo del nostro ordinamento.

51 una nomina che, in verità, non lascia il Presidente della Repubblica pienamente libero nella scelta

del Primo Ministro, dal momento che deve tenere conto dei risultati delle elezioni. Si può dunque concludere che, almeno con riferimento a tale potere presidenziale, si tratta di un potere fortemente vincolato dall’esito delle elezioni. Tuttavia, le elezioni potrebbero dare anche un esito incerto e questo potrebbe espandere e valorizzare il potere del Presidente della Repubblica. Cfr. S.GAMBINO, op.cit. 13

52 Non si parla nel testo di riforma di scioglimento vero e proprio se non piuttosto del potere di

indizione delle nuove elezioni che costituiscono il seguito necessario dello scioglimento del Parlamento. In realtà, anche questo potere, a ben coglierlo, nel fondo, risulta un potere fortemente inquadrato. L’art. 70 del testo di riforma costituzionale prevede, infatti, che il Presidente della Repubblica possa sciogliere la Camera dei deputati prima del termine ordinario, mentre l’art. 71, II co., sottrae l’atto di scioglimento all’obbligo di controfirma. Il potere di scioglimento è tuttavia subordinato nel suo esercizio ad una limitazione fondamentale: il Presidente può sciogliere le Camere solo in caso di dimissioni del Primo Ministro. Nel caso in cui il Primo Ministro sia sostenuto da una solida maggioranza parlamentare, il Presidente della Repubblica non avrà, pertanto, modo di provocare nuove elezioni. Questo principio conosce una sola, importante, eccezione: ai sensi dell’articolo 74, VI co., il Primo Ministro è tenuto a dimettersi in caso di elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Il Presidente neoeletto ha dunque la possibilità di sciogliere la Camera e indire le elezioni. Al Presidente è in tal modo offerta la possibilità di favorire l’elezione di una maggioranza parlamentare orientata in senso politicamente omogeneo al proprio. Cfr. S.GAMBINO, op cit., 13

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ne svuotava i contenuti forti sia con riferimento al modello francese sia a quello delle altre esperienze europee di tipo semipresidenziale (Austria, Portogallo). Il problema toccava al cuore il diritto costituzionale e minava nelle fondamenta, come si è detto, la coerenza sistemica delle scelte adottate. A seguito delle soluzioni avanzate, infatti, si perdeva la natura di organo di garanzia propria del Presidente della Repubblica in regime parlamentare, senza che venissero attribuite a questo soggetto costituzionale le funzioni tipiche di una democrazia governante e cioè i poteri che conferissero responsabilità e autorevolezza all’organo, legittimato democraticamente, così come il potere di disporre di atti concreti per attuare le proprie scelte politiche. Il rischio reale, utilizzando l’analisi del Duverger, era che un Presidente senza poteri effettivi risultava un ottimo viatico per eleggere ‘demagoghi’”53.

3.4 Conclusioni

La nostra analisi appare ormai volta al termine, ma quale risposta possiamo offrire all’interrogativo dal quale essa si muove? Nell’assetto odierno, il Presidente ha posto in essere comportamenti che concretizzano il presunto indirizzo politico costituzionale oppure la sua azione è stata diretta a facilitare e coadiuvare l’azione politica delle istituzioni ad essa espressamente preposte? Larga parte della dottrina sottolinea come appaia realmente arduo trovare risposte soddisfacenti se ci si limita ad un ballottaggio tra le due definizioni maggiormente inflazionate di Capo dello Stato poichè entrambe le soluzioni conservano notevoli criticità: seguendo “la teoria della garanzia, si può arrivare a sostenere che qualsiasi atto del Capo dello Stato è legittimo o comunque “coperto” dalla funzione di custodia della Costituzione; a seguire la teoria dell’indirizzo politico (con o senza aggettivazione) si scopre il nervo di atti presidenziali ai confini, se non al di là, delle regole costituzionali”54.

53 S.GAMBINO, op cit., 14

54A.MORRONE, Il Presidente della Repubblica in trasformazione, 1, in

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La teoria del Presidente della Repubblica si trova così a fare i conti da un lato con un dettato costituzionale “a maglie larghe”, dall’altro con la prassi degli inquilini del Colle: da questo binomio emerge una figura complessa e polifunzionale che “viene a contatto con tutti i poteri dello Stato (secondo la loro tradizionale qualificazione) e, allo stesso tempo, con la comunità governata (specie, ma non solo, a mezzo delle sue esternazioni)”55. Dall’analisi delle esperienze presidenziali deriva il dato evidente di un progressivo ampliamento delle prerogative presidenziali. Sorvolando per un momento sulla definizione da attribuire a tale fenomeno si può osservare come esso non sia dovuto all’estensione dei poteri presidenziali, ma derivi piuttosto dalle innovative modalità di esercizio che ne determinano effetti maggiormente incisivi. Questo a causa dello sviluppo dei poteri informali o meglio di quel potere che Morrone definisce “di comunicazione”56: tale potere “ha, in concreto, carattere generale e tende ad essere onnipervasivo: si affianca e finisce per sovrapporsi a tutti i poteri formali modificandone i caratteri; si rivolge non solo alle istituzioni, interne e esterne, ma alla ‘società civile’; contribuisce alla formazione dell’opinione pubblica, influenzandola e orientandola rispetto ai valori selezionati di volta in volta dal Presidente della Repubblica; diventa il medium di una ‘pedagogia costituzionale’ che si esercita soprattutto intorno ai ‘simboli’ della Repubblica ma che, specie nelle situazioni di crisi (politica, istituzionale, sociale, economica), contribuisce a fare assumere al Capo dello Stato le vesti di un ‘salvatore’ della Patria. È possibile riscontrano una sempre crescente difficoltà nel muoversi correttamente la forma di governo parlamentare, e la problematica razionalizzazione del ruolo presidenziale ne è una conferma.

55 A.RUGGERI, Evoluzione del sistema politico- istituzionale, op.cit., ; per questo l’autore afferma

che “tornare a fare oggetto di osservazione il ruolo del Presidente della Repubblica è come riguardare l’intero assetto istituzionale da un peculiare, particolarmente illuminante, angolo visuale”.

56 con questo termine A.MORRONE indica un potere che può assumere tre forme: 1) un potere

informativo-conoscitivo; 2) un potere di persuasione o, come giornalisticamente vien detto, di moral suasion; 3) un potere di esternazione. Il primo è funzionale alla conoscenza di tutto quanto necessario allo svolgimento delle attività del Presidente della Repubblica. Il potere di persuasione rappresenta invece una forma del potere di comunicazione, che si traduce in attività necessariamente riservate, protette “direttamente” dalla Costituzione in quanto funzionali allo svolgimento del ruolo presidenziale di mediazione e di equilibrio, presupposto della garanzia dei diritti fondamentali dei cives. Un potere “privato”, in quanto non accessibile a terzi, non propalabile quanto ai suoi contenuti e – immediatamente e in via ordinaria – non giustiziabile. Accanto a questo, sta il “potere di esternazione”, che individua le manifestazioni pubbliche di pensiero del Presidente della Repubblica, non contenute in atti formali, ma diffuse in modo informale e libero; manifestazioni, in ogni caso, a lui direttamente o indirettamente riconducibili. Cfr A.MORRONE, op.cit.

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