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Gli "Entremeses" di Cervantes: una prospettiva di studio sulla società spagnola dei Secoli d’Oro

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica

Corso di Laurea in Letterature e Filologie Europee

Tesi di Laurea Magistrale

Gli Entremeses di Cervantes:

una prospettiva di studio sulla società spagnola dei

Secoli d’Oro

Relatore:

Chiar.ma Prof.ssa Federica Cappelli

Candidata:

Marzia Venè

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INDICE

INTRODUZIONE 4

Capitolo 1. IL GENERE 7

Capitolo 2. IL TEATRO DI CERVANTES 13

Capitolo 3. IL GENERE DELL’ENTREMÉS NELL’OTTICA

CERVANTINA 19

3.1 Ocho entremeses 26

3.1.1 El juez de los divorcios 27

3.1.2 El rufián viudo 29

3.1.3 La elección de los alcaldes de Daganzo 31 3.1.4 La guarda cuidadosa 32

3.1.5 El vizcaíno fingido 34

3.1.6 El retablo de las maravillas 36 3.1.7 La cueva de Salamanca 37

3.1.8 El viejo celoso 39

Capitolo 4. I PERSONAGGI DEGLI ENTREMESES

NELLA SOCIETÁ 42 4.1 Il clero 44 4.2 La nobiltà e la borghesia 45 4.3 I letterati 45 4.4 La milizia 47 4.5 La plebe 49 4.5.1 El vizcaíno 52 4.5.2 Le donne 55

4.6 El mundo del hampa 57

4.6.1 Alcahuetas 60

4.6.2 Prostitutas 61

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3 Capitolo 5. LA LINGUA DEGLI ENTREMESES CERVANTINI 66

5.1 Dialoghi 70 5.2 Fraseologia 75 5.3 Volgarismi e arcaismi 84 5.4 Lessico particolare 87 5.5 Lenguaje de germanía 93 CONCLUSIONE 98 BIBLIOGRAFIA 100

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INTRODUZIONE

Come deducibile dal titolo, l’argomento di ricerca da me scelto per questa tesi verte sullo studio di alcuni aspetti degli Entremeses di Cervantes. Inclusi nella raccolta Ocho comedias y ocho entremeses, li ho preferiti perché, oltre a rispondere al mio gusto personale, credo rappresentino meglio e con un sagace e critico realismo la società spagnola dei Secoli d’Oro nella sua complessità sociale e linguistica, che Cervantes ha spesso osservato da vicino per le sue composizioni. L’autore, infatti, si è sempre dimostrato attento e bramoso nel rappresentare quel mondo, che poi è il suo, tramite la scrittura di una letteratura essenzialmente orale e popolare, come si evince dagli Entremeses, dal capolavoro del Don Quijote, da alcune novelle esemplari e commedie e, in generale, dal complesso della sua produzione. Per portare avanti il mio lavoro mi sono basata su alcuni studi fondamentali, quali Cervantes: raíces folklóricas e De Cervantes, entrambi di Maurice Molho, e un articolo dedicato all’umanesimo cervantino, «El humanismo universalista de Miguel de Cervantes». La tendenza umanista, infatti, è propria della letteratura popolare, una letteratura che si sviluppò dal popolo per il popolo tramite canzoni, storielle e racconti orali dal significato non soltanto edificante o moralizzante, ma soprattutto ludico, con l’intento di scandire e ritmare le ore di lavoro e di riposo, irradiando temi cari e comuni alle attività quotidiane, come l’amore, la vita, la morte, l’onore, la gloria militare, la fede, la fortuna, ecc., temi che, per certi aspetti, possiamo riscontrare negli Ocho entremeses, allo stesso modo in cui ci ritroviamo di fronte anche alla stessa forma e intenzione ironico-riflessiva.

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5 In particolar modo questo lavoro di tesi, andando dal generale al particolare, si apre con una breve storia sullo sviluppo del genere entremesil, tratta da alcuni studi critici e per la maggior parte da Itinerario del entremés. Desde Lope de Rueda a Quiñones de Benavente di Eugenio Asensio, umanista e filologo spagnolo; individuato l’intermezzo come una forma di carattere ludico e comico propria del teatro breve, il punto di vista si concentrerà poi sulle travagliate vicende delle opere teatrali di Cervantes e, soprattutto, sul suo approccio e intervento nei confronti di questo genere. Da questi primi capitoli emerge già la tradizione tipica e, insieme, la peculiare caratterizzazione che l’autore ne fa, distinguendo la sua penna da maestro anche in quest’opera. Andando avanti e percorrendo le trame degli otto intermezzi, si possono inquadrare le tipicità di alcuni personaggi stereotipati inclusi in semplici e popolari situazioni tematiche, specchio della realtà storica e sociale del secolo aureo. I personaggi, nella società del testo così come in quella reale, si affermano in personalità collettive che vivono gli stessi disagi e condividono le stesse ingiustizie, dalla classe sociale più umile della plebe a quella più infima del mundo del hampa. Per questa parte, rimando in bibliografia a un saggio antropologico-culturale di Ludwig Pfandl e agli studi più peculiari di Alonso Hernández sui soggetti ai margini della società. Su questi, poi, come con una lente di ingrandimento, si concentrerà l’ultimo capitolo di argomento linguistico. In tal senso il lavoro assumerà un’impostazione sociolinguistica1, dal momento che si può concepire la voce di un personaggio solo implicandolo nelle variazioni fonetico-fonologiche, morfologiche, sintattiche e lessicali, dovute all’età, al sesso, alla classe sociale,

1 Cfr. Moreno Fernández, F. (2009): Principios de sociolingüística y sociología

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6 alla professione e alla provenienza. Cervantes, infatti, sostenitore e cultore del realismo espressivo, caratterizza i personaggi tramite il loro modo puro di esprimersi, contestualizzandoli nel testo e nella loro quotidianità. In realtà, però, il complesso sociologico del linguaggio che mostra è piuttosto unitario, cioè non ha un’impostazione e un’intenzione propriamente linguistica. Questo non vuol dire che manchi una lunga elaborazione teorica, ma semplicemente che dietro a questo parlare semplice vi è la ricerca di un realismo di base letterario: ecco che allora le donne, che dovrebbero mostrare «una actitud más positiva que los hombres hacia los usos que se ajustan a la norma»2, finiscono per essere loro complementari nel modo vernacolare di esprimersi; allo stesso modo, non si notano sostanziali differenze tra i personaggi rustici e quelli più nobili e, laddove ci fossero, Cervantes provvede subito a screditare quell’affettazione linguistica e a volgere tutto su un piano comico e ludico. Frequenti sono, infatti, rimandi a citazioni riguardanti personaggi biblici, santi, figure storico-leggendarie spesso dai nomi distorti, oppure il ricorso a espressioni proverbiali e canti folkloristici, provenienti tutti dalla tradizione orale e popolare, che Cervantes difende con premura e su cui costruisce buona parte delle sue opere collaborando alla formazione della coscienza spagnola nel tempo.

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Capitolo 1

IL GENERE

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L’entremés è un genere teatrale che si diffonde in Spagna durante i secoli XVI e XVII. Le prime testimonianze del genere si trovano in Juan de Timoneda nel 1565, il quale cita il termine entremés nella sua opera pubblicata a Valencia dal titolo Turiana, en la qual se contienen diversas Comedias y Farças muy elegantes y graciosas, con muchos entremeses, y pasos apazibles […]; un’altra definizione si ha anche in Viaje Entretenido di Rojas Villandrando:

Y entre los pasos de veras mezclados otros de risa

que, porque iban entre medias de la farsa, los llamaron

entremeses de comedias4.

La prima citazione sembra distinguere gli entremeses dai pasos utilizzando la congiunzione “y”, mentre la seconda sembra associare i due significati spiegandoli come parti che venivano rappresentate nel mezzo delle commedie. Affidandoci alla tradizione, comunque, come creatore e padre del genere viene individuato Lope de Rueda, drammaturgo spagnolo, attore e

3 Cfr. Asensio, E. (1965): Itinerario del entremés. Desde Lope de Rueda a

Quiñones de Benavente. Gredos, Madrid.

Cfr. Haverbeck, E. (1985): «Origen y características del entremés». Documentos Lingüísticos y Literarios 11, pp. 53-60.

Cfr. Martínez Lopez, J. M. (1998): «Sátira y entremés en el siglo XVII». CVC,

Actas del IV Congreso Internacional de la Asociación Internacional Siglo de Oro (AISO), Alcalá de Henares, 22-27 de julio de 1996 / coord. por María Cruz

García de Enterría, Alicia Cordón Mesa, Universidad de Alcalá, Servicio de Publicaciones, vol. II, pp. 1017-1022.

4 Rojas, A. (1963): El viaje entretenido. Ed. de John V. Falconieri, Biblioteca Anaya, Salamanca, pp. 39-40.

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8 autore teatrale del ‘500, pubblicato da Juan de Timoneda ed elogiato da Cervantes come «varón insigne en la representación y en el entendimiento»5, che trovò la sua massima espressione nei pasos cioè, in termini sinonimici, negli entremeses, brevi scenette comiche di vita popolana, atti unici, finemente abbozzati con arguzia e ingegno, che facevano da passaggio nell’insieme dello spettacolo teatrale della comedia, di solito disposti negli intervalli tra il secondo e terzo atto. Le rappresentazioni, essendo piuttosto lunghe, cominciando nel primo pomeriggio e terminando poco prima del tramonto, avevano bisogno di essere sospese per mantenere viva e alta l’attenzione del pubblico; per questo, allora, gli atti venivano inframezzati da questi brevi intermezzi di carattere comico, giocoso e divertente che, indipendenti dall’azione della comedia, servivano da passatempo tra le emozioni nobili e le trame drammatiche dello spettacolo vero e proprio. Per questi aspetti e assumendo, dunque, un carattere di secondo piano, facendo da “appoggio” alle commedie, nessuno si era mai preoccupato di definirlo chiaramente con un’identità di genere letterario. L’ufficiale definizione, offerta dal Diccionario de Autoridades, arriverà nel 1732, e ci chiarifica l’entremés nei termini delineati finora:

Representación breve, jocosa y burlesca, la qual se entremete de ordinario entre una jornada y otra de la comedia, para mayor variedad, o para divertir y alegrar el auditorio6.

5 Cervantes, M. (2016): Entremeses, a cura di Nicholas Spadaccini. Cátedra, Letras Hispánicas, Madrid, 1982-2016, «Prólogo al lector», p. 93.

6 Real Academia Española (1963-64): Diccionario de Autoridades. Ed. facsímil, Gredos, Madrid, vol. II, p. 519.

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9 Essendo considerato un genere minore, si rifà ad altri generi di cui condivide tratti e tematiche: da una parte, si appropria dei temi e dei modelli stilistici e formali propri della commedia; dall’altro lato, prende spunto dalla letteratura orale, dalla picaresca, dalla tradizione della Celestina e dal teatro comico del XVI secolo per quanto concerne i personaggi, la satira, le facezie, il linguaggio e la descrizione degli ambienti e della società, aspetti che lo caratterizzeranno maggiormente. Lope de Rueda ha lasciato una ricca tradizione di tipi pittoreschi: «ya de negra, ya de rufián, ya de bobo o ya de vizcaíno: que todas estas cuatro figuras y otras muchas hacía el tal Lope con la mayor excelencia y propriedad que pudiera imaginarse»7. Dei motivi tramandati, il più fecondo è stato quello della difesa dell’onore; dei personaggi, il più comune fu il fanfarrón rufianesco, mentre per una Celestina non c’era abbastanza tempo né spazio dato il ristretto campo di trame e rappresentazioni. Da non dimenticare, comunque, il sottogenere della jácara8, da cui si possono trarre diversi punti di vista per la

formazione del genere entremesil: inizialmente componimento poetico in romance, andò assumendo più o meno la stessa funzione di un intermezzo e si aprì al mondo teatrale per la peculiarità della struttura relazionata alla musica e al ballo e per il presentare quell’universo marginale di prostitute e malfattori nel loro linguaggio gergale (la stessa etimologia del termine jácara viene, infatti, da jaque, cioè “valentón, matante”); Cervantes era interessato al mondo sociale e degradato messo in scena dalla jácara e ne trasse spunto per comporre Rinconete y Cortadillo,

7 Cervantes, M.: Entremeses.Ed. cit., p. 94.

8 Cfr. Pedraza Jiménez, F. B. (2006): «De Quevedo a Cervantes: la génesis de la jácara». Edad de oro cantabrigense: actas del VII Congreso de la Asociación

Internacional de Hispanistas del Siglo de Oro / coord. por Anthony J. Close,

Sandra María Fernández Vales, Asociación Internacional del Siglo de Oro (AISO), Alcalá de Henares, pp. 77-88.

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10 una parte del Quijote, La gitanilla e alcune opere teatrali, soprattutto gli intermezzi, appunto.

Anche l’entremés, comunque, andò via via rendendosi indipendente dalla commedia e assunse come propri i tratti distintivi della comicità e dell’esagerazione, sia a livello linguistico che argomentale; aveva la prospettiva, infatti, di esasperare ogni situazione, privava le relazioni amorose di ogni carattere emozionale, volgeva in grottesche questioni di onore e di stirpe, mostrava la condizione umana come assolutamente incongruente. I tratti comici insistevano particolarmente su tre aspetti: l’espressione verbale, il dinamismo e la pantomima. Ciò significa che il successo del genere è dovuto alla varietà del linguaggio ricco di giochi verbali, dialetti, parlate, battute e doppi sensi (soprattutto nell’espressione dialogata) che concedevano un privilegio maggiore allo spettacolo rispetto all’originalità dell’argomento e dell’azione; come scrive Casalduero J.: «Hay una grán fruición lingüística. […] El Renacimiento da la impresión de que por primera vez se le ha concedido al hombre el don de la palabra»9. Oltre a questo, concorrevano ad accattivare il pubblico e a intrattenerlo con la massima concentrazione, anche il dinamismo, reso con istantanei movimenti, colpi, rumori, ecc., e la pantomima con la gestualità e il vestiario, mezzi, quest’ultimi, con cui si riusciva a decodificare un personaggio a livello socio-letterario. Per quanto riguarda il vestiario e la scenografia, bisogna dire che erano piuttosto semplici: formavano un elemento decorativo fine a sé stesso perché la scena, strutturata sul dialogo, non aveva bisogno di un grande spazio di rappresentazione, dato che la vista doveva concentrarsi soltanto sugli attori e lo

9 Casalduero, J. (1996): Sentido y forma del teatro de Cervantes. Gredos, Madrid, p. 8.

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11 spettacolo era pensato per l’ascolto. Infatti, sempre Casalduero poco più avanti scrive: «El segundo Barroco a la descripción, a la acción, a los elementos escenográficos unirá la fuerza creadora de la palabra y su contenido imaginativo»10.

Gli attori intervenivano rappresentando personaggi rustici, di bassa condizione sociale, le cui caratteristiche si ripetevano a creare tipi umani, soggetti stereotipati: il marito ingannato, il vecchio geloso sposato con una ragazzina, il vizcaíno, il soldato povero rivale del sagrestano profano, il sindaco rozzo, le donne insoddisfatte, gli studenti impostori, i delinquenti spregiudicati, i rufianes, le prostitute, ecc. Si muovevano nelle città principali della Spagna barocca, dove si concentrava la vita amministrativa e commerciale, e attuavano in situazioni quotidiane di un eccessivo realismo, quasi carnevalesco, esaltando gli istinti più rudi, glorificando i banchetti, compiacendosi dell’ignoranza, degli inganni coniugali e delle beffe a danno di qualcuno. I temi religiosi e moralizzanti continuavano a essere messi in scena, ma la caratteristica nuova del teatro barocco era la maggiore rilevanza attribuita al profano: l’amore carnale, le feste, la vita quotidiana, la satira ecclesiastica con l’istituzione del matrimonio, la gelosia, l’onore, la stirpe, il denaro, il contrasto tra illusione e realtà, inganno e disinganno.

Questi aspetti contrassegnano lo stile della satira degradante e della caricatura, ma sono specchio della società del tempo nei suoi usi e costumi e riescono così a trasmettere, con la complicità degli spettatori, sentimenti di indifferenza o superiorità che inducono a riflettere e a sanzionare, tramite l’ottica giocosa della burla, determinate forme di condotta sociale. Sotto questo clima culturale e sociale, alimentato dall’interesse per questi tratti

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12 letterari, Cervantes propose la sua opera Ocho comedias y ocho entremeses, come ci spiega Socrate M. nella sua monografia dedicata all’autore:

Ma era proprio l’irrilevanza e l’inapprezzabilità letteraria del genere (o sottogenere) a legittimare, come un’innocua convenzione, l’impunità quasi carnevalesca del suo linguaggio insubordinato, della sua spregiudicata antiufficialità, a esimerlo, insomma, dall’ideologia etica del teatro speculum vitae, da fini didattici ed edificanti, almeno dichiarati: solo puro gioco, burla, scherzo, l’entremés, tanto da non meritare, a pubblicarlo, neanche il tempo di uno sguardo della censura. È in questa zona franca, impune, dello spettacolo e della scrittura che trova il suo terreno congeniale l’uomo di teatro Cervantes […]11.

11 Socrate, M. (1998): Il riso maggiore di Cervantes: le opere e i tempi. Ed. La Nuova Italia, Firenze, cap. VII, p. 268.

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Capitolo 2

IL TEATRO DI CERVANTES

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Cervantes scrisse le sue opere nelle condizioni più sfavorevoli, rubando tempo per i suoi studi ai quali si dedicava con molta affezione, sperando in compensi economici e gloria. Costretto a viaggiare sin da piccolo a causa dell’occupazione poco fruttuosa del padre Rodrigo che seguì nelle sue peregrinazioni, dopo essersi formato in una scuola di gesuiti a Madrid e nella biblioteca alla corte di Giulio Acquaviva a Roma, iniziò la carriera militare che durò un quinquennio, occupandogli la maggior parte del tempo e degli anni della sua vita. Nel 1571 partecipò alla battaglia di Lepanto durante la quale venne ferito alla mano sinistra che rimase lesa per sempre, poi seguì alcune spedizioni in Sicilia, in Sardegna, a Napoli, maturando da autodidatta, per quanto possibile, la sua cultura. Nel 1575, mentre rientrava in Spagna, la galera Sol su cui era imbarcato venne catturata dai pirati e lui fu fatto prigioniero: rimase ad Algeri fino al 1580, alienato, in cattività, condizione che ricorderà espressamente ne El trato de Argel, finché non verrà riscattato e liberato da frati missionari. Tornato in Spagna, povero e afflitto, ricominciò secondo vocazione a scrivere opere di teatro e di narrativa, azzardando di dedicarsi principalmente all’egloga e al romanzo arcadico, anche se questo genere all’epoca era ormai in declino; finì di scrivere, infatti, La Galatea nel 1582, ma l’opera fu pubblicata solo nel 1585, mentre ancora stava alternando questa attività a quella lavorativa al servizio dell’Armada invencible.

12 Per le notizie contenute in questa sezione ci siamo riferiti a: Cervantes, M. (1987): Teatro completo. Edición, introducción y notas de Florencio Sevilla Arroyo y Antonio Rey Hazas, Barcelona, Planeta / Autores Hispánico.

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14 Coinvolto in bancarotte, illeciti amministrativi e delitti d’onore, fu incarcerato più volte. Malgrado gli stenti che non l'abbandonarono mai e la reputazione intaccata, nel 1606 seguì la corte di Filippo III di Spagna e si trasferì a Madrid dove potè dedicarsi più intensamente all’attività letteraria; aveva già pubblicato la prima parte del Quijote e in pochi anni scrisse, infatti, la maggior parte della sua produzione. Con l’ansia di recuperare gli anni persi nel silenzio, compose opere di diverso genere e natura, tono e registro, ricche di sperimentalismo e innovazione. Dal 1611 fino all’anno della sua morte, nel 1616, uscirono i suoi lavori più recenti, permeati di una scrittura che era il frutto di letture colte e di esperienze di vita, che lo consacrarono come uno degli autori più famosi al mondo.

Cervantes, però, com’è noto, è passato alla storia come romanziere e narratore piuttosto che come commediografo, nonostante il teatro fosse un’attività creativa su cui l’autore tornò con frequenza e passione, come si può dedurre dalla lettura del prologo delle Ocho comedias y ocho entremeses; qui, con un certo orgoglio misto a risentimento, ripercorre le tappe del teatro castigliano contestualizzando la sua produzione specifica. Sotto questo punto di vista, alcuni critici suddividono la sua opera in tre epoche: la prima, dal 1581 al 1587, a Madrid, sancisce l’inizio della sua produzione teatrale quando, al ritorno da Algeri, reinserendosi nella società alla ricerca di una sistemazione, si dedica alla composizione di comedias scritte e rappresentate, quali El trato de Argel (1582), la Numancia (1585) e alcune andate perdute, tra cui La batalla naval e La gran Turquesca, a testimonianza della tendenza del tempo secondo cui i testi difficilmente venivano pubblicati, per cui tanti andavano persi o ritrovati corrotti. Già dai titoli, comunque, si comprende che si tratta di opere drammatiche, tragedie eroico-classiche, anche autobiografiche sotto un certo

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15 punto di vista. El trato sviluppa un sottogenere nuovo nel teatro, quello del cautivo, ricordando con asprezza lo scontro storico tra mori e cristiani che l’autore visse in prima persona ad Algeri (non a caso, uno dei due protagonisti si chiama Saavedra). La sua riduzione in schiavitù sotto i turchi, cui si è fatto riferimento, lo indusse a sprigionare un forte orgoglio nazionalista per paura di perdere, in quel seducente mondo arabo, l’identità cristiana e spagnola. L’originalità del contributo cervantino con questo testo fu resa tramite l’utilizzo di una struttura episodica e metrica non rigidamente classicista, e di figure allegoriche e morali come la Ocasión y la Necesidad per dare voce, all’interno di monologhi drammatizzati, alle inquietudini interiori e ai pensieri nascosti nell’anima del protagonista Aurelio.

La Numancia, considerata «l’esito più alto dell’opera drammatica cervantina e da non pochi la migliore tragedia della letteratura spagnola, se non l’unica […]»13, tratta di una materia classicista concentrata sull’eroica resistenza spagnola durante l’assedio, durato nove mesi per mano di Scipione Emiliano nel 143 a.C., della roccaforte della città di Numanzia nell’attuale Castilla y León. L’opera è di stampo epico-cavalleresco: richiama l’Eneide, la Pharsalia, i temi dell’amicizia, dell’intervento dei riti macabri e funesti, dell’osservazione dei presagi, del destino delle donne dei vinti, ecc., sotto tipiche forme metriche rinascimentali, fatta eccezione per le redondillas, utilizzate per i personaggi minori e gli avvenimenti secondari.

La seconda epoca comprende gli anni di un periodo poco operoso, dal 1587 al 1606, in cui forse compose alcune delle Ocho comedias, riprese poi dopo il ritorno a Madrid durante il

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16 1615 (la terza epoca), periodo segnato, invece, da un vivace fervore letterario, da cui risultano le altre ocho comedias e gli entremeses. Queste ultime opere di teatro, però, non ebbero lo stesso successo delle prime due: passati circa trent’anni, i gusti erano cambiati, il verseggiare di Cervantes sembrava molto lontano da quel “monstruo de naturaleza” di Lope de Vega che si era andato affermando, nel frattempo, con il suo nuovo modo di hacer comedias, facendo declinare e crollare il tipo di spettacolo classicista.

Lope de Vega iniziò la sua attività scrivendo commedie di carattere arcaico, imitando i personaggi e i dialoghi degli autori contemporanei come Cervantes e Lope de Rueda; intorno al 1604 sentì la necessità di stabilire la propria voce nel panorama teatrale spagnolo dell’epoca e cominciò a sperimentare; infatti, nel 1609 compose un’opera intitolata Arte nuevo de hacer comedias in cui spiegava la nuova concezione del teatro diffusasi in Spagna e cercava di difendersi dalle critiche sollevategli contro dagli accademici per essersi opposto alla vecchia tradizione. Contrapponendo «i precetti dell’arte all’uso, il “giusto” delle antiche precettistiche al “gusto” del pubblico»14, propose un discorso non purista per il teatro, basato su un nuovo concetto di diegesi, sull’unione di comico e tragico, sulla rottura delle unità di tempo e spazio, sul rispetto dell’unità di azione, su un linguaggio funzionale fatto di locuzione raffinate, preziosismi e metri in grado di rispondere alle necessità pragmatiche, disprezzando e declassando quella che era la lingua del volgo. Conquistò talmente le esigenze del pubblico che scrisse centinaia e centinaia di commedie richieste dagli stampatori, e consacrò il suo nome nel

14 Profeti, M. G. (1998): L’età d’oro della letteratura spagnola. Il Seicento. Ed. La Nuova Italia, Firenze, p. 88.

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17 teatro spagnolo facendo da esempio per autori contemporanei e successivi.

Cervantes, presa coscienza di questo nuovo andamento, tornato a Madrid non volle seguire la linea dei suoi colleghi, soprattutto non volle scrivere alla maniera di Lope (che ormai era diventata quasi proverbiale; era comune il detto “pare di Lope”); scrive Zimic:

La idea de imitar el advenedizo Lope debía seguramente estremecerle, pero el deseo de fama era incontenible en Cervantes. Esta, de manera irónicamente cruel, sólo podía conseguirla imitando a su rival. […] Lo que por fin determinó a Cervantes a servirse de formas dramáticas lopescas fue la firme convicción de que en sus propias obras él podía mejorar y aun superar aquéllas15.

Dunque Cervantes, per questi fatali vincoli iniziali, incontrò delle difficoltà nella recezione delle sue opere da parte del pubblico e da parte degli impresari: per lui, amante e autore di teatro, fu duro vedere le sue opere rifiutate e non rappresentabili, come ci suggerisce il titolo completo delle Ocho comedias y ocho entremeses nunca representados. Un teatro mai rappresentato, non messo in scena, era poco concepibile per Cervantes che, allora, non potendo combattere i tempi, privato di un palco e di un pubblico di spettatori, decise di farne un libro destinato alla lettura e di pubblicarlo ugualmente. Bisogna leggere tra le righe di questa scelta una certa amarezza, invidia ed ammirazione nei riguardi di

15 Zimic, S. (1976): «Cervantes frente a Lope y a la Comedia nueva (Observaciones sobre “La entretenida”)». Anales Cervantinos, vol. XV, p. 28.

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18 Lope, ma anche un dignitoso e inamovibile orgoglio rispetto a se stesso e alle sue capacità, quasi come se volesse osare, sfidare e beffare il tempo e le coscienze letterarie, come si può evincere nella Dedicatoria al Conde de Lemos quando dichiara che: «[…] estas comedias y entremeses […] ni han salido al teatro, merced a los farsantes que, de puro discretos, no se ocupan sino en obras grandes y de graves autores, puesto que tal vez se engañan»16. In effetti, la critica ha premiato questa determinazione e ha riconosciuto che, nonostante la letteratura spagnola dell’epoca vantasse un’ampia produzione di testi entremesiles, nessuno era ancora riuscito a eguagliare Cervantes in «gracia, habilidad, chiste, donaire, finura de sátira, destreza del diálogo, pintura de caracteres cómicos y pureza de forma»17.

16 Cervantes, M.: Entremeses. Ed. cit., «Dedicatoria al Conde de Lemos», p. 97. 17 Cotarelo Valledor, A. (1915): El teatro de Cervantes; estudio crítico. Tip. de la "Revista de Archivos, Bibliotecas y Museos", Madrid, p. 68.

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Capitolo 3

IL GENERE DELL’ENTREMÉS

NELL’OTTICA CERVANTINA

Abbiamo accennato alla travagliata esperienza teatrale di Cervantes, teso tra due Lope: un Lope de Rueda esemplare per il suo stile che Cervantes stimò, nel prologo all’opera delle Ocho comedias y ocho entremeses, come «el primero que en España las [comedias] sacó de mantillas y las puso en toldo y vistió de gala y apariencia»18 e un Lope de Vega che «alzóse con la monarquía cómica. Avasalló y puso debajo de su jurisdicción a todos los farsantes; llenó el mundo de comedias proprias, felices y bien razonadas»19, dando un’impostazione quasi “autoritaria” al nuovo panorama teatrale e letterario, decidendo il futuro di Cervantes che non volle conformarsi. Sempre nel prologo, però, l’autore delinea i passaggi che il teatro seguì, inserendo anche il suo autorevole e orgoglioso contributo. Dopo Lope de Rueda e prima dell’avvento di Lope de Vega, Cervantes ci dice, infatti, di aver composto e rappresentato venti o trenta commedie, con la peculiare caratteristica di aver osato ridurre il numero delle giornate e mostrare i sentimenti profondi dell’animo umano. Fiero del suo lavoro e sicuro delle sue possibilità, «pensando que aún duraban los siglos donde corrían mis alabanzas»20, nel “dopo Lope” Cervantes non si diede per vinto e continuò la sua attività. Il 1615 rappresentò una data importante per la sua carriera e la sua produzione letteraria: uscì, infatti, la seconda parte del Quijote e apparve a Madrid la raccolta Ocho comedias y ocho

18 Cervantes, M.: Entremeses. Ed. cit., «Prólogo al lector», p. 93. 19 Ibid., p. 95.

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20 entremeses nunca representados. Compuestos per Miguel de Cervantes Saavedra. Dirigidas a Don Pedro Fernández de Castro, Conde de Lemos, de Andrade, y de Villalba, Marqués de Sarria, Gentilhombre de la Cámara de su Majestad. Los títulos destas ocho comedias, y sus entremeses van en la cuarta hoja. Due anni prima diede alle stampe le Novelas ejemplares, nel 1614 il Viaje al Parnaso e nel 1616, poi, pochi mesi dopo la sua morte, uscirà il Persiles.

Per quanto riguarda la genesi dell’opera che ci riguarda, Ocho comedias y ocho entremeses, bisogna ribadire che quel “nunca representados” individua sia una sorta di presuntuosa superiorità autoriale, sia la costretta condizione a cui dovette sottoporre il suo teatro, relegato alla scrittura e alla lettura. Da notare, anche, la consacrazione a genere, e non più a sottogenere, degli entremeses, avvicinati alle commedie tramite la congiunzione “y”.

È difficile fissare con precisione la data della sua redazione. Sappiamo che Cervantes smise di scrivere quando dovette allontanarsi da Madrid durante il periodo andaluso, in cui aveva mansioni di commissario per l’approvvigionamento per l’Armada invencible e successivamente di percettore di imposte. Al suo ritorno, riprendendo la produzione, si rese conto che il tempo ormai aveva introdotto un altro gusto in ambito teatrale, ossia quello della comedia nueva di Lope de Vega, lontana dai versi cervantini. Racconta, infatti, nel Prólogo:

Tuve otras cosas en que ocuparme; dejé la plumay las comedias, y entró luego el monstruo de naturaleza, el gran Lope de Rueda, […]. Algunos años ha que volví yo a mi antigua

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21 ociosidad, […] pero no hallé pájaros en los nidos de antaño; quiero decir que no hallé autor que me las pidiese, puesto que sabían que las tenía, y así las arrinconé en un cofre y las consagré y condené al perpetuo silencio. En esta sazón me dijo un librero que él me las comprara si un autor de título no le hubiera dicho que de mi prosa se podía esperar mucho, pero que del verso nada; […]21.

Cervantes, con un certo rammarico nel vedere che il teatro si era ridotto ormai a una mera attività di consumo, decise comunque con fierezza di pubblicare il suo teatro non rappresentato, anche se sapeva che non si adeguava alla tendenza dominante, e nell’Adjunta al Parnaso (1614) parlò già di sei commedie e sei intermezzi. Quando nel 1615 uscì l’opera, il pubblico spagnolo si trovò davanti a ocho comedias y ocho entremeses.

Come spiegato nell’introduzione e dedotto finora, il mio lavoro si concentrerà sugli ocho entremeses dell’opera. Questi, infatti, scritti tutti più o meno a ridosso della pubblicazione, tra il 1611 e il 1615, sono stati raggruppati in un libro stampato e, quindi, ormai abbandonata la loro prima destinazione a causa del cambio di gusti nel tempo, non hanno subito la verifica della scena e del pubblico di spettatori, ma soltanto quella dei critici e di un pubblico di lettori che si sono espressi a riguardo con opinioni diverse. Nella maggior parte dei casi questa forma d’arte cervantina ha riscosso molto entusiasmo, ma qualche critico ha sostenuto che l’autore volesse soltanto suscitare il riso con questi

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22 «giochetti di un quarto d’ora privi di una complessa psicologia»22. In realtà, il riso rinascimentale che contraddistingue i lavori di Cervantes è lo stesso che si ritrova negli intermezzi, un riso profondo, dissacrante e indulgente volto a smascherare le convenzioni e i pregiudizi sociali e a proporre visioni morali diverse da quelle vigenti. È un senso umoristico sottile, da cogliere al di là della comicità apparente evocata dalle situazioni, dagli incidenti, dalle battute dei personaggi, perché «depende de una considerable agudeza intelectual, de una fina sensibilidad y de una clara conciencia de la realidad social, política e histórica»23.

Vediamo ora come Cervantes riprende sì dalla tradizione di Lope de Rueda di cui, abbiamo detto, elogia il lavoro nel Prólogo, ma anche come sviluppa e innova il genere con peculiari caratteristiche proprie del suo ingegno creatore. Possiamo osservare, infatti, negli ocho entremeses, una continuazione nell’utilizzo di un certo linguaggio burlesco e di alcuni personaggi, ma con delle differenze e una stilizzazione più raffinata. Anzitutto alla fine di ogni intermezzo vengono aggiunti elementi musicali, canzoni e ritornelli accompagnati dai balli tipici del folklore spagnolo; poi, sempre riguardo al materiale tradicional, viene incrementato il numero degli attori (dai soliti quattro o cinque a nove/dieci) e il repertorio delle figure farsesche, ampliandone la varietà con attinenza alla società urbana del tempo. Ovviamente i personaggi, per la brevità degli atti, non riuscivano a essere individuati come soggetti nel loro carattere in maniera approfondita, ma venivano presentati come “tipi” e distinti per professione, attività, sfera sociale, difetti, ecc. Fondamentale,

22 Asensio, E. (1973): Entremeses. Suma cervantina. Ed. de J. B. Avalle-Arce y E. C. Riley, Tamesis Books, Londra, «Introducción», p. 42.

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23 però, era conoscere gli abiti spagnoli dato che, oltre a una caratterizzazione generale della società, questi permettevano un’interpretazione adeguata del teatro di quei secoli; ecco perché, ad esempio, la denominazione delle comedias de capa y espada, dalla “capa” classica indossata dai cavalieri sopra il farsetto a collo rigido alto e insieme al cappello a tesa larga. Inoltre, sempre in riferimento ai personaggi possiamo aggiungere che anche gli scenari entro cui si muovono vengono descritti con più attenzione e prendono parte nell’azione dello spettacolo, assumendo lo spazio una prospettiva e un ambiente più preciso.

Ma è sotto il punto di vista linguistico che, ancora una volta, Cervantes offre maggiori spunti d’indagine: conferendo una qualità migliore al dialogo, utilizzando il verso (espediente adottato in passato per innovare e arricchire il genere) dell’endecasillabo sciolto in due intermezzi (El rufián viudo e La elección de los alcaldes de Daganzo) per delle citazioni più elaborate (ma in funzione di incremento parodico, in quanto è il verso adatto alla comicità e qui fa da contrasto tra la materia della scena e il rango dei personaggi), la lingua di quella Spagna unita ma divisa linguisticamente, tra espressioni gergali e dialettali, tra volgarismi e latinismi, tra idiomatismi e citazioni colte e basse, è uno dei tratti su cui Cervantes interviene di più, cercando di renderla più espressiva possibile.

Il realismo espressivo pervade tutto l’insieme delle opere cervantine, quindi non possiamo esimerci dal citare il capolavoro del Don Quijote, con cui gli Entremeses condividono questo naturalismo e la sagace comicità24. A riguardo, cito alcuni lavori

24 Cfr. Maestro, J. G. (2008): «Cervantes y el Entremés, poética de una comicidad crítica». Con los pies en la tierra. Don Quijote en su marco geográfico

e histórico: XII Coloquio Internacional de la Asociación de Cervantistas (XII-CIAC), Argamasilla de Alba, 6-8 mayo de 2005 / coord. por Felipe B. Pedraza

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24 critici che non si sono occupati direttamente del testo che qui indago, ma che richiamano degli elementi comuni e importanti a cui possiamo fare riferimento.

Rosenblat, filologo e ispanista di origine polacca, nel suo studio intitolato La lengua del “Quijote” del 1971, tratta appunto dell’attitudine di Cervantes di fronte alla lingua, sia popolare che colta. Partendo da un excursus storico-linguistico sulla vita letteraria del castigliano in lotta con la vecchia e forte tradizione della lingua latina, Rosenblat sin dal prologo vuole esaltare l’importanza, l’influenza ed il successo che ebbe Cervantes scrivendo il Quijote, arrivando addirittura ad identificare la lingua castigliana come la sua: «Y es significativo que su lengua, la lengua de Cervantes, sea el título más alto y la denominación por antonomasia de la lengua castellana»25.

Lo studioso riconosce a Cervantes la capacità di aver saputo far convivere in un unico testo tutte le sfere sociali, dalla nobiltà alla malavita, con le rispettive parlate ed i diversi modi di esprimersi. Il punto su cui si concentra maggiormente il suo lavoro e attorno a cui ruotano i vari paragrafi è quello del ripudio dell’affettazione e degli artifici retorici, per un ideale stilistico che si basava sulla naturalezza e sulla semplicità d’espressione, ottenuta tramite parole chiare, significanti e sonore. L’affettazione infatti, sia nel Quijote che negli Entremeses, quando compare, lo fa sempre in un momento inopportuno che rende la situazione comica, oppure viene dalla bocca di personaggi insospettabili, come vedremo.

Jiménez, Rafael González Cañal, Universidad de Castilla-La Mancha, pp. 525-536.

25 Rosenblat, A. (1971): La lengua del “Quijote”. Gredos, Biblioteca Románica Hispánica, Madrid, «Prólogo», p. 11.

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25 Rosenblat continua dicendo che Cervantes ha attinto dal teatro comico la caratterizzazione dei personaggi attraverso il loro linguaggio26 e, come nel Quijote col famoso e brillante Sancho Panza, anche negli intermezzi è riuscito a delineare l’individualità dei suoi soggetti per mezzo della lingua. La naturalezza è una virtù basilare del dialogo, ogni discorso ha il suo stile e la sua forma espressiva e «una lengua no se concibe sin expresión de la persona»27, così come Cervantes scrive nel prologo che «el lenguaje de los entremeses es proprio de las figuras que en ellos se introducen»28.

Di questo aspetto in particolare si è occupato Juan Herrero Cecilia, indicando sotto il nome di “effetto-personaggio”29 la strategia che si produce, appunto, quando il narratore riesce a far percepire al lettore un dato personaggio direttamente attraverso il suo modo di esprimersi. I procedimenti testuali con i quali il lettore riconosce e si relaziona col personaggio, in questo senso, sono tre: il codice narrativo, riferito ai punti di vista e alle prospettive sulla storia; il codice affettivo, cioè il “sistema di simpatia” che ci fa apprezzare un certo soggetto piuttosto che un altro; e il codice culturale, quello che trasmette le ideologie e i valori sociali di una certa epoca, nel quale ricorrono le massime e i proverbi, di cui anche gli Entremeses sono ricchi.

26 Rosenblat, A.: op. cit., cap. I, p. 46.

27 Maestro, J. G. (1998): «Construcción e interpretación del diálogo en los

Entremeses de Miguel de Cervantes», Actas del Tercer Congreso Internacional de la Asociación de Cervantistas / coord. por Antonio Pablo Bernat Vistarini,

Universitat de les Illes Balears, Palma de Mallorca, p. 591.

28 Cervantes, M.: Entremeses. Ed. cit., «Prólogo al lector», p. 96.

29Herrero Cecilia, J. (2013): «Sobre la dimensión persuasiva de la máxima y del refrán en El Quijote y su contribución a la configuración del “efecto-personaje”». Anales Cervantinos, vol. XLV, pp. 57-92.

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3.1 Ocho entremeses

Prima di entrare specificatamente nell’argomento avente a oggetto le risorse linguistiche di cui fa uso Cervantes, mi sembra opportuno delineare i temi, le storie e, successivamente, i soggetti che ogni singolo intermezzo tratta. Per farlo, mi aiuterò seguendo l’ordine dell’editio princeps del 1615, prendendo come punto di riferimento la classificazione che il critico Canonica propose nel suo studio «Los Entremeses de Cervantes como sistema»30 che, a sua volta, richiama quella strutturata precedentemente da Rafael de Balbín Lucas31.

Il parere dei due studiosi racchiude gli intermezzi in tre gruppi secondo uno schema tematico, o meglio sotto due nuclei tematici centrali, quello del matrimonio e quello della satira sociale, così disposti:

1. Tema amoroso matrimoniale, di cui fanno parte El juez de los divorcios (I) e El Rufián viudo (II);

2. Tema sociale, in cui rientrano La elección de los alcaldes de Daganzo (III), La guarda cuidadosa (IV), El vizcaíno fingido (V) e El retablo de las maravillas (VI);

3. Tema amoroso matrimoniale che si differenzia dal primo gruppo per essere basato sull’infedeltà; comprende La cueva de Salamanca (VII) e El viejo celoso (VIII).

30 Canonica, E. (2011): «Los Entremeses de Cervantes como sistema». Anales

Cervantinos, vol. 43, pp. 221-242.

31 Mi riferisco all’articolo «La construcción temática de los entremeses de Cervantes», pubblicato nel 1948, ma di difficile reperimento.

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27 Inoltre possiamo anche aggiungere che nei primi quattro intermezzi il punto di vista è centrato sulla serie particolareggiata e tipicizzata dei personaggi e delle situazioni, e che risalta più il discorso dialogato che l’azione, mentre gli altri e ultimi quattro sono basati su delle trame più articolate che si sviluppano su intrecci, inganni, raggiri e beffe.

Questa divisione, però, non va considerata come un meccanico schematismo, che era lontano dall’intenzione dell’autore; noteremo, infatti, presto come questi nuclei tematici si sovrappongano e richiamino a vicenda, mescolando personaggi e situazioni talvolta molto simili. Vediamoli, allora, più nello specifico.

3.1.1 El juez de los divorcios

In questo entremés una serie di coppie di coniugi chiedono il divorzio, tema centrale dell’operetta, davanti a una terna giudicante (un giudice, un cancelliere e un procuratore). L’ambiente non è specificato dato che viene messa in scena l’azione emotiva più che quella fisica. Particolare risalto, invece, viene attribuito alla caratterizzazione dei personaggi che risultano figure topiche dell’infelicità coniugale.

La prima coppia, infatti, è formata da Mariana e dal suo anziano marito, un Vejete, il cui invierno lei poco sopporta perché contrapposto alla sua “primavera”; la ragazza non può «sufrir sus impertinencias»32 e il dover passare tutta la vita ad accudirlo, riducendosi alla condizione di infermiera nella cura di tutte le malattie della sua vecchiaia. Esige, dunque, la sua libertà rifiutando le convenzioni sociali.

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28 Nella seconda coppia una donna inappagata e assillante, Doña Guiomar, chiede il divorzio dal marito, un Soldado che è un leño, inetto, passivo, impotente, parassitario, che non aiuta nel sostentamento della casa e della famiglia, preferendo passare le mattine «en oír misas y […] murmurando, sabiendo nuevas, diciendo y escuchando mentiras»33, e le sere giocando a carte andando «de casa en casa de juego»34 (particolare, qui, il lessico riferito al gioco delle carte). Entrambi protestano per l’inganno in cui sono caduti sposandosi, credendo l’uno che il titolo di Doña e l’altra che il mestiere del soldato implicassero delle condizioni economiche più agevoli rispetto a quelle in cui, in realtà, ora vivono.

Poi entrano in scena «uno vestido de médico, y es Cirujano»35 e Aldonza de Minjaca, sua moglie, che si presentano lui con quattro, lei con quattrocento ragioni per separarsi. La donna si appella al fatto che il marito l’ha ingannata spacciandosi per medico quando in realtà era soltanto un Cirujano.

L’ultimo richiedente il divorzio è un Ganapán che arriva solo, senza moglie, spiegando che è un’attaccabrighe, superba, una prostituta «de tan mala condición»36 con cui si è sposato da ubriaco.

La sentenza dei giudici rimane in sospeso e sostanzialmente nessun divorzio viene concesso, come si deduce dalla rassegnata constatazione dell’ingresso dei musici che cantano e suonano un ritornello che dice “que vale el peor concierto más que el divorcio mejor”. Questo sembra rivelare la morale dell’intermezzo: in fin dei conti, il matrimonio compie una funzione stabilizzatrice

33 Cervantes, M.: Entremeses. Ed. cit., p. 105. 34 Ibid., p. 106.

35 Ibid., p. 109. 36 Ibid., p. 111.

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29 all’interno della struttura sociale e nell’ottica cristiana quest’unione deve durare in eterno, finché morte non ci separi, al di là dei litigi e delle discordie. Ovviamente Cervantes, le cui disavventure matrimoniali sono conosciute, pone in ridicolo le contraddizioni del matrimonio cristiano sotto un’ottica burlesca.

3.1.2 El rufián viudo

È il folklorico compianto funebre in versi di una prostituta, la Pericona, moglie defunta del rufián Trampagos, dal lavoro della quale dipendeva il suo sostentamento. A questo evento, apparentemente triste, subito segue un matrimonio: altre tre prostitute (la Mostrenca, la Pizpita e la Repulida) si propongono e si offrono a Trampagos come sostitute, elogiando i propri meriti e garantendo beni materiali e lealtà in cambio di protezione. La scelta ricade sulla Repulida e la loro unione viene sancita dall’intervento del re dei rufianes Escarramán37 che irrompe d’improvviso dividendo in un certo senso l’entremés in due parti; infatti, dopo di lui, il protagonista vedovo viene quasi dimenticato. Con catene da schiavo, Escarramán invita i musici a festeggiare la sua liberazione e le nozze, dando vita a un’atmosfera baccanale che si conclude col ritornello «¡Viva, viva Escarramán!»38. Si tratta, in questo caso, di un’imitazione burlesca del tipico

37 È un personaggio leggendario della delinquenza spagnola, protagonista di alcune jácaras e di balli lascivi, da cui uno prende il nome. Qui si presenta con addosso le catene da schiavo, appena liberato dalla prigionia di Algeri, reduce dalla penna di Quevedo nella jácara “Carta de Escarramán a la Méndez” del 1611 che lo convertì in un mito per il mondo hampesco.

Cfr. Rodríguez Mansilla, F. (2011): «Escarramán y la Germanía cervantina en El rufián viudo». Visiones y revisiones cervantinas: actas selectas del VII

Congreso Internacional de la Asociación de Cervantistas / coord. por Christoph

Strosetzki, Centro de Estudios Cervantinos, Alcalá de Henares, pp. 777-786. 38 Cervantes, M.: Entremeses. Ed. cit., p. 147.

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30 intervento regale che avveniva in molte commedie dell’epoca per ristabilire l’ordine sociale mediante l’istituzione del matrimonio.

Anche questa, dunque, è una satira insolente del matrimonio ma, se nell’entremés precedente si prendevano di mira i conflitti tra coppie coniugate, qui si dimostra che l’unione ai margini delle norme sociali è l’unica che può funzionare. I malfattori che apparentemente vogliono stare alla larga dalla tirannia delle leggi e convenzioni, ricreano un altro ordine in un mondo parallelo a quello che stanno combattendo; scrive, infatti, Spadaccini, autore di un’edizione degli Entremeses:

Irónicamente, es en el mundo del hampa donde el matrimonio funciona sin conflictos y tensiones. Allí la unión entre hombre y mujer se opera a base de instintos e intereses y el sistema de valores que rige esas relaciones existe paralelamente, y como parodia, a los impuestos por las clases dominantes39.

Di particolare rilevanza, inoltre, è anche il fatto che questo intermezzo sia scritto in endecasillabi sciolti, un metro solitamente impiegato per la poesia che tratta di argomenti elevati e che qui va a contrapporsi al linguaggio burlesco e alla parlata hampesca (che approfondiremo più avanti nei prossimi capitoli) propria di tutti i personaggi ruffianeschi che intervengono quasi fosse un tentativo, a sfondo ridicolo, di conferire un tono alto alle loro riflessioni e dichiarazioni, ma invano.

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3.1.3 La elección de los alcaldes de Daganzo

Ci spostiamo dal tema matrimoniale a quello della satira sociale, che qui pone l’attenzione sull’ignoranza e sull’irresponsabilità della vita politica popolare.

Una giunta paesana dai nomi rustici e a doppio senso, composta da un bachiller e un consiglio di giudici, si trova alle prese con l’elezione di due sindaci tra i quattro candidati. Rustici contadini, arroganti, quasi analfabeti, con millantati e discutibili meriti, primo tra tutti quello di essere cristianos viejos quindi difensori della “pureza de sangre” («[…] con ser yo cristiano viejo, me atrevo a ser un senador romano»40), essi sono: Humillos, incapace di leggere e nemico dei libri, ma molto abile nel rammendare scarpe; Jarrete che ha appena imparato a leggere l’abbecedario, ma in compenso è molto bravo a tirare con l’arco, cacciare e arare; Berrocal, uno sbruffone e tracotante bevitore di vino, che dichiara di essere più saggio quando è ubriaco; e Rana che canta male (da qui il nome), ma che dimostra di possedere buon senso, rettitudine e moralità. È lui, infatti, che verrà scelto in quanto possiede meno inabilità e difetti degli altri.

Cervantes qui fa una chiara allusione ai conflitti tra i signori feudali e i sindaci paesani sottoposti a una giurisdizione secondo cui non potevano essere eletti candidati con un provato «defeto o inhabilidad». Richiama, precisamente, un trattato politico del 1597 di risonanza e diffusione pubblica in cui il conte di Coruña, signore feudale di Daganzo, negò l’elezione per incompetenza di alcuni sindaci scelti dai suoi vassalli.

L’autore sembra sollevare anche una critica nei confronti della Chiesa quasi alla fine dell’atto quando, come ormai abbiamo

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32 capito essere tipico, intervengono i gitani per la festa finale con musiche e balli lascivi; subito il baccano viene interrotto dai rimproveri di un sagrestano per la poca serietà della funzione, ma questo a sua volta viene ammonito per l’invadenza da Rana. Qualche critico ha voluto leggere in questa scena la situazione reiterata dell’intromissione della Chiesa nella vita politica che Cervantes, attraverso il personaggio di Rana, sembrerebbe biasimare.

Un’ultima nota va dedicata al fatto che anche questo entremés è scritto in endecasillabi sciolti che qui fanno da parodia ai discorsi colti giuridico-politici del bachiller e agli strafalcioni del regidor Algarroba, molto insofferente rispetto alle correzioni dei colleghi. Il linguaggio, comunque, è comico e i registri e i costrutti sono adeguati ai livelli dei personaggi.

3.1.4 La guarda cuidadosa

Sotto una vena comico-seria, Cervantes mescola in questo entremés dei vecchi topici letterari con la crisi sociale ed economica della Madrid del 1611, includendo pure allusioni alla vita privata di Lope de Vega41.

I protagonisti/antagonisti sono un soldato logoro e malconcio e un sagrestano di modeste condizioni economiche (definito «un mal sacristán»42) che si contendono la servetta Cristina. Dietro al topico paragone fra le armi e le lettere e, ancora più precisamente, fra il soldato antieroico, lacero e aggressivo e il sagrestano stipendiato e innamorato che non rispetterà il voto di

41 Nella figura del soldato, acceso di gelosia per Cristina, sembra celata la persecuzione amorosa di Lope de Vega per Elena, ormai diventata una favola di corte.

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33 castità, il tema principale è quello del denaro che vincola tutti i tipi di relazione sociale, incluso il matrimonio. Cervantes, infatti, per chiarire meglio le strutture economiche e offrire una visione di quella che era la società urbana, inserisce nella scena altri personaggi come un mozo che chiede l’elemosina, un venditore ambulante di tessuti di nome Manuel e un calzolaio, i quali vagano per la città per guadagnarsi da vivere e passano davanti alla casa di Cristina, scrupolosamente vigilata dal soldato geloso appostato fuori dalla porta affinché nessuno le si avvicinasse.

Tra il soldato e il sagrestano si instaura un dibattito che, a suon di rivendicazioni, insulti, proverbi e paragoni presi dal gioco delle carte, gira su un’opposizione tra i meriti e l’onore acquisiti in guerra e applicabili all’ormai anacronistica vecchia nobiltà vicina ai valori dell’amore cortese personificati nel soldato, e la consapevolezza del sagrestano che solo uno stipendio e un sicuro benessere economico avrebbero conquistato la ragazza. Il conflitto si risolve a favore di quest’ultimo: il padrone di Cristina non riconosce nessun valore tangibile al soldato e la spinge a scegliere quello che “gli darà da mangiare”, cioè il sagrestano Lorenzo Pasillas, come infatti avviene. Alla fine dell’atto entrano i musici per festeggiare le nozze e il soldato canta il suo orgoglio e il suo risentimento nei confronti dell’altro:

Siempre escogen las mujeres aquello che vale menos, porque excede su mal gusto a cualquier merecimiento. Ya no se estima el valor, porque se estima el dinero, pues un sacristán prefieren a un roto soldado lego43.

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34 Come nella maggior parte degli intermezzi cervantini, anche qui sotto un tono divertente si impone un importante contenuto ideologico. Vediamo ora come, con un riso molto più enfatizzato alimentato da travestimenti, mistificazioni e giochi allucinatori, si inserisce nella serie degli entremeses della beffa.

3.1.5 El vizcaíno fingido

La trama, enfatizzata tramite le strategie dell’accumulo e dell’intensificazione, è abbastanza semplice: una prostituta, Cristina, viene ingannata con la vendita di una catenella d’oro sostituita poi con una falsa da due giovani truffatori presunti nobili, oziosi e avventurieri di nome Solórzano e Quiñones; quest’ultimo assume il ruolo di un finto biscaglino mentecatto e ubriacone che parla in un castigliano distorto e poco comprensibile, com’era stato tipicizzato nel repertorio letterario castigliano. La beffa si sviluppa in un alterco intriso di proverbi e termina con l’arrivo dell’alguacil che ristabilisce l’ordine iniziale con, a seguire, un banchetto riconciliatore in cui i musici cantano scherzosamente le donne vanitose, saccenti e burlate.

Esta trama convencional se ve circunscrita a un discurso en que se alude a una degradación de conceptos que pertenecen originariamente al campo de la vida noble44.

Come si può ben intendere, infatti, il dramma urbano messo in scena in questo intermezzo richiama tanto la perdita dei valori etico-sociali della classe nobile, ora abbandonata all’ozio e ai vizi,

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35 quanto la nuova morale basata sul denaro e la ricchezza. Cristina e la sua amica Brigida sono così accecate dal bagliore dell’oro da farsi ingannare e da non percepire nemmeno la falsità dell’habla vizcaína di Quiñones; tutta la vicenda, dunque, è finta, ingannevole, teatralizzata, e all’incapacità di parlare del vizcaíno fingido corrisponde l’incapacità di leggere e interpretare la realtà delle due prostitute.

Queste, inoltre, mettono in luce anche un’altra crisi sociale dialogando sulla “nueva reglamentación de los coches” secondo cui le donne alegres non potevano più “fare le cortigiane” e dissimulare una falsa cortesia nelle carrozze, ma dovevano andare a piedi e col viso scoperto, di modo che niente sarebbe cambiato perché entrambe le classi sociali avrebbero continuato a fingere e a ingannarsi vicendevolmente.

Tutti i valori, dunque, vengono ribaltati, tutti i personaggi appaiono sciocchi e tutte le relazioni risultano ambigue e confuse, orientate al lusso, al consumo, all’ozio e alla finzione. Zimic apprezzò particolarmente questi tratti dell’entremés e scrisse, infatti:

El Vizcaíno fingido es, de hecho, una obra perfecta en su género, al observarse la habilidad en llevar la sencilla trama, la caracterización excelente, las frases ricas y llenas de color, malicia e intención, y la magnífica armonía de todos estos y otros aspectos dramáticos y artísticos con la idea fundamental, tan significativa e iluminadora45.

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3.1.6 El retablo de las maravillas

Un gruppo di attori girovaghi portano in un paese contadino il loro straordinario e meraviglioso spettacolo, sotto lauto compenso dell’alcalde. Questo teatrino magico, opera del saggio Tontonelo e ha ideato sotto l’influenza degli astri, è privo di elementi scenografici, accessori ed effetti scenici, ma rimedia a questa povertà chiamando in azione la complicità dell’immaginazione: mostrerà, infatti, l’arca di Noè, animali pericolosi, leoni, il toro di Salamanca, topi, Sansone, la ballerina Erodiade e altre strabilianti figure, ma soltanto a chi è nato da legittima unione e non sia ebreo. Tutti gli spettatori allora accorrono e fingono di partecipare a quello spettacolo, si affannano e ostentano la loro facoltà di “vedere”, ansiosi di legittimare la loro appartenenza al lignaggio dei cristianos viejos e di non passare da falsi cristiani, conversi o giudei. Si compromettono così tanto che non possono più retrocedere per non mostrare la loro ipocrisia, nemmeno quando la finzione diventa realtà nel momento in cui arriva un furiere a chiedere alloggio per la notte e, ignaro della situazione, non si rende conto delle meraviglie cui tutti gridavano e svela l’arcano. L’intermezzo si conclude con una rissa e un grande subbuglio tra gli attori, gli spettatori, il furiere, che viene tacciato e insultato di essere un converso, e i consiglieri del comune; è l’unico senza un finale in musica e balli perché, in realtà, questi sono già interni al teatrino messo su e perché i girovaghi truffaldini annunciano di ripetere lo spettacolo il giorno seguente, dato il grande successo.

La materia e il motivo sono archetipici: da El conde Lucanor di Don Juan de Manuel alla fiaba di Andersen I vestiti nuovi dell’imperatore, è l’inganno da parte di un truffatore e

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37 abbindolatore che vuole far accettare come reale qualcosa che non esiste, sfruttando qualche imperante principio etico o convenzione sociale come ricatto, cosa che qui è centrata sull’ossessione razziale spagnola per la pureza de sangre. Questo concetto, così strenuamente difeso, aveva implicazioni etico-morali e socioeconomiche perché da un lato metteva in dubbio la relazione parentale, dall’altro ostacolava la salita nella gerarchia sociale e l’accesso a qualsiasi tipo di lavoro. Si identifica, quindi, oltre alla crisi della classe minoritaria dei villani arricchiti, anche il dramma umano causato dall’intolleranza, dall’alienazione, dalla «discriminazione inferta dalla società spagnola […] basata su quel nulla che gli spettatori e i lettori effettivi o virtuali realmente vedono sulla scena»46; il mondo sociale si mostra come un teatro, una farsa.

3.1.7 La cueva de Salamanca

Torniamo al tema del matrimonio, contraddistinto adesso per l’infedeltà e l’inganno coniugale mescolato all’aspetto ideologico della critica verso le credenze soprannaturali e astrologiche a cui si dava molto credito, come già accennato con la figura di Tontonelo nell’entremés precedente. Con quest’ultimo intermezzo, infatti, condivide il motivo della magia e delle false credenze.

Ma vediamo la trama, sviluppata su un tempo molto concentrato e addensato più simbolico che realistico: Pancracio parte per un viaggio di lavoro e la moglie, Leonarda, sembra molto triste e si lamenta della mancanza che sarà costretta a sentire e subire, fino a svenire; in realtà, la donna insieme alla serva

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38 Cristina ne approfitta per invitare a casa per una cena orgiastica i rispettivi amanti, un tipico e folklorico amante occasionale, il sagrestano Reponce, e il cervantino barbiere Nicolás, ma ecco che all’improvviso arriva uno studente di Salamanca, Corraolano, a chiedere alloggio e riparo per la notte, e poco dopo, anche il marito, d’imprevisto ritorno per un incidente alla carrozza. La situazione precipita, le donne cercano di ritardare l’ingresso di Pancracio con degli stratagemmi a parole che richiamano comicamente l’epica, mentre nascondono lo studente nel pagliaio e i due amanti nello sgabuzzino della carbonaia. Il marito ingannato, però, si rende conto che qualcosa non va e avverte le presenze. A provare a salvare la situazione ci pensa lo studente che, cosparso di paglia, in veste di negromante, esce allo scoperto e inizia a recitare con grande eloquio le formule magiche apprese nella famosa grotta di Salamanca47, per poi presentare anche i due anneriti amanti che non possono fare altro che intraprendere la parte assegnatagli, quella dei diavoli che, venendo risibilmente frustrati, finiscono per giocare lo stesso ruolo del marito beffato.

Corraolano, il personaggio più attivo e dinamico di questa operetta, si presenta come il discepolo del demonio e possessore dei poteri magici proibiti dalla Chiesa e dall’Inquisizione, ma si identifica nel diavolo stesso usando la sua arma distintiva: la tentazione. È grazie a questa, infatti, che riesce a sedurre il credulo marito, il quale si manifesta incuriosito e affascinato verso quella scienza, dimostrando che il suo desiderio di sapere non è più orientato alla realtà quotidiana, cioè al tradimento della moglie, ma all’insolito e, sostanzialmente, all’inutile. La comicità

47 Secondo una leggenda, nella cueva di Salamanca il diavolo dava lezioni di magia e stregoneria. Per questo, nella tradizione folkloristica è diventata il simbolo dell’occulto, dell’esoterico e del luogo per relazioni diaboliche.

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39 critica dell’atto continua anche sul finale, quando l’opera si conclude con l’invito a cenare tutti insieme.

In questa farsa entremesil dunque non si tratta delle condizioni socioeconomiche del matrimonio, ma si colpevolizza per l’infedeltà il marito responsabile di essere un credulone accecato dalla fiducia nella superstizione e nella magia.

3.1.8 El viejo celoso

Si riprende il tema del marito burlato, vecchio e svigorito, che prende in moglie una ragazzina che recrimina la sua giovane condizione come nel primo entremés della raccolta. Qui, però, di elemento caratteristico non c’è soltanto la critica alle norme sociali sfociata nell’adulterio come reazione al potere, ma degna di nota è la scrittura di Cervantes transcodificata, cioè tra narrativa e scena, che impone al lettore una visione virtuale e ne richiede lo sguardo attento per concepire lo spettacolo.

Infatti, l’azione dell’intermezzo avviene in condizioni che, se non si possono vedere, vanno almeno immaginate: la ribellione di Doña Lorenza, serrata in casa per l’eccessiva gelosia del marito Cañizares, viene aiutata e istigata dalla serva Cristina e dalla vicina Ortigosa, che fa da mezzana tra la ragazza e un galán, fatto entrare in casa nascosto dietro un arazzo di pelle a stampature proposto in vendita al vecchio marito. I due amanti consumano il tradimento sotto l’orecchio di Cañizares che ascolta da dietro la porta il piacere della moglie, finché non decide di entrare per provarne l’infedeltà, ma viene accecato da una bacinella d’acqua tiratagli sugli occhi per facilitare la fuga del galán. L’intermezzo si conclude convenzionalmente con l’arrivo per il troppo trambusto dell’alguacil, dei musici e di un ballerino, presto respinti da

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40 Cañizares che, per ristabilire la situazione, spiega che «ya mi esposa y yo quedamos en paz»48.

Dei quattro intermezzi satirico-sociali, possiamo proporre un’ulteriore ripartizione: La guarda cuidadosa e El vizcaíno fingido, infatti, vertono sull’ambiente cortigiano e i suoi vizi passivi, configurati nel soldato ozioso e abbandonato a cui non vengono riconosciuti i meriti di guerra, e nella passività di Cristina nel lasciarsi facilmente e ingenuamente ingannare; ne La elección de los alcaldes de Daganzo e ne El retablo de las maravillas, invece, lo scenario di sottofondo è quello popolare carico di vizi che stavolta si possono considerare “attivi”, nel senso in cui i personaggi si muovono nella vita collettiva con un eccessivo e irrazionale attivismo impregnato da presuntuosi pregiudizi sociali e di appartenenza di classe (la limpieza de sangre, l’essere cristianos viejos, avere una legittima discendenza, fino a esaltare l’analfabetismo e il lavoro contadino come meriti effettivi per poter concorrere alla carica di sindaco).

Una stessa bipartizione può essere applicata anche ai quattro entremeses sul tema matrimoniale, considerando il punto di vista per cui ne El juez de los divorcios e ne El rufián viudo si difende satiricamente il matrimonio fedele e cristiano, una volta negando il divorzio a delle coppie palesemente separate e un’altra concedendo spudoratamente il matrimonio a uno appena rimasto vedovo; ne La cueva de Salamanca e ne El viejo celoso avvengono, invece, due tradimenti, il cui castigo non si riflette tanto sulle mogli adultere, quanto sui mariti e le loro debolezze (la credulità di Pancracio nella Cueva e la vecchiaia e l’eccessiva gelosia del viejo) che, implicitamente, li hanno indotti ad agire in

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41 modo sbagliato. Da notare, inoltre, che il primo e l’ultimo entremés degli otto dell’opera toccano uno stesso tema, quello della differenza di età tra marito e moglie, e si chiudono con lo stesso ritornello («las riñas de por San Juan/todo el año paz nos dan»49), quasi a creare una struttura ciclica.

Le corrispondenze tra gli intermezzi, abbiamo visto, sono molte e possono essere individuate in questo contesto anche e soprattutto nei personaggi. Dopo aver brevemente passato in rassegna le trame, allora, soffermiamoci un attimo sulla caratterizzazione di questi soggetti, aiutandoci con lo studio culturale condotto sul Secolo d’Oro da Ludwig Pfandl50.

49 Cervantes, M.: Entremeses. Ed. cit., p. 112 e 289.

50 Pfandl, L. (1994): Cultura y costumbres del pueblo español de los siglos

XVI-XVII: introducción al estudio del Siglo de Oro. Visor Libros, Biblioteca Filológica

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