INTRODUZIONE
Il termine “femminile” (ma lo stesso potrebbe dirsi per la sua controparte, il “maschile”) rimanda ad una pluralità di significati diversi. Questa gamma di sensi spazia da un contesto meramente biologico, nel quale l’aggettivo femminile costituisce un riferimento agli elementi distintivi degli organismi viventi di sesso femminile, ad un uso grammaticale. In questo secondo senso, il genere femminile, presente in molte lingue attuali, indica un gruppo di nomi e pronomi che non coincidono in senso assoluto con elementi di sesso femminile, comprendendo anche riferimenti ad enti inanimati. Tuttavia, anche in questa seconda accezione, il femminile include in gran parte elementi sessualmente caratterizzati; basti pensare che una sottocategoria di questo genere grammaticale comprende la maggior parte dei nomi degli esseri di sesso femminile1.
Un terzo significato del femminile rimanda ad una dimensione culturale ed indica un insieme di caratteristiche e di atteggiamenti che, nel senso comune, costituiscono il particolare modo di essere della donna. Essere femminile, infatti, è un'espressione che si riferisce ad un insieme, molto variabile, di tratti che nello stereotipo socio-culturale indicano la donna. Per esempio, se ci si rivolge alla cultura occidentale nelle sue molte manifestazioni (arte, poesia, narrativa, ecc.) i tratti riconosciuti al femminile sono caratteristiche quali la dolcezza, la fragilità, ma anche l'erotismo e la sensualità, elementi che sono legati a figure di donna e che contribuiscono a consolidare nell’immaginario collettivo l’idea che il
femminile sia l’attributo di un genere sessuale specifico.
Questo lavoro di tesi si concentra su un autore capace di dare più ampio respiro a questo concetto: Emmanuel Levinas. Il filosofo ebraico-lituano è sicuramente fra i più influenti pensatori di lingua francese del Novecento ed è noto soprattutto per essere il “filosofo dell'alterità”2
. Infatti, le sue riflessioni sin dalle prime opere
1
Cfr. Voce “Femminile”, in Treccani Vocabolario Online [consultato il 13 Agosto 2017], http://www.treccani.it/vocabolario/femmin ile/.
2
Cfr. S. Labate, La nascita latente del soggetto. Uno studio su Altrimenti che essere, in «Teoria», XXVI/2 (2006), p. 171.
sono incentrate sul tentativo fondamentale di rintracciare un rapporto autentico con l'altro che, diversamente dalla direzione principale del pensiero occidentale (essenzialmente dominato dalla centralità del soggetto conoscente), non si traduca in una forma di conoscenza o in una partecipazione dei soggetti coinvolti nella relazione ad un senso comune, modalità attraverso le quali l'alterità dell'altro viene inevitabilmente annullata. Rintracciare la fisionomia dell’altro in quanto altro è, sicuramente, uno degli elementi centrali del pensiero di Levinas. Il modo più noto del pensatore di affrontare il tema dell’alterità coinvolge termini come “Visage”, “epifania” ed “espressione”. Infatti, il tema della relazione etica come rapporto con altri che si mostrano nel loro Volto è il nucleo fondamentale del pensiero di Levinas.
Tuttavia, nonostante l'indubitabile importanza che questi elementi assumono nell’etica di Levinas, si tratta di elaborazioni più mature del pensiero del filosofo, le cui origini sono rintracciabili in forma embrionale fra la fine degli anni Quaranta e la prima metà degli anni Cinquanta. Se ci si rivolge alle prime opere di Levinas è significativo osservare come non sia il Visage a rappresentare la manifestazione privilegiata dell’alterità. Infatti, la differenza per eccellenza, l’altro in quanto altro e irriducibile all’orizzonte del soggetto, si mostra in un’altra modalità: il femminile. Non è l’etica, ma il rapporto erotico a costituire per Levinas la vera origine della società, quest’ultima intesa come relazione nella quale la differenza fra l’Io e l’Alterità risulta ineludibile.
Il mio interesse per il tema del femminile in Levinas nasce proprio dalla constatazione di questa “stranezza”. Ci si sarebbe attesi, leggendo la produzione filosofica, nonché letteraria di Levinas degli anni Quaranta ulteriori sviluppi sul tema del “femminile” come modo privilegiato di Altri e sull’erotico come origine del sociale. Invece, come anticipavo, Levinas da un certo momento in avanti orienta il proprio pensiero verso una direzione più specificamente etica. Questo cambiamento fa sorgere immediatamente alcune questioni fondamentali: perché Levinas indica originariamente il modo fondamentale dell’alterità come “femminile”? Il femminile si riferisce esclusivamente per il pensatore al modo d’essere della donna empirica? Come mai, ad un certo punto, la relazione per eccellenza fra esseri umani viene ripensata in termini etici? Che ruolo assume il
femminile in questo cambiamento? Rimane un interesse costante nel pensiero di Levinas o viene semplicemente abbandonato e surclassato in modo graduale dalle ben più famose riflessioni del pensatore sul Volto e sulla relazione etica?
È a tali domande che questa tesi vuole cercare di dare risposta. Si tratta di interrogativi che possono, tuttavia, prendere forma all’interno di una questione più ampia, ovvero la fisionomia assunta dal femminile nel corso dello sviluppo del pensiero di Levinas, la cui ricostruzione è l’obiettivo principale di questo lavoro. Il femminile è, sicuramente, uno degli elementi più controversi ed ambigui del pensiero di Levinas, nonché una tematica che risente molto della formazione culturale del pensatore, nella quale confluiscono orizzonti di ispirazione e stili di scrittura diversi che si intrecciano fra loro in modo complesso e non scevro da ambiguità. Appunti filosofici, commenti letterari, abbozzi di romanzi, trascrizioni di conferenze, opere filosofiche destinate alla pubblicazione, interviste, saggi sull’ebraismo e commenti talmudici: il femminile viene affrontato all’interno della produzione levinassiana con una molteplicità di strumenti e da punti di vista diversi che ci restituiscono un concetto molto denso, testimonianza di un costante lavoro di ripensamento da parte del filosofo.
Il presente lavoro si propone, dunque, di ricostruire il complesso sviluppo del femminile levinassiano, facendone emergere i tratti principali, le evoluzioni, le tensioni interne e le ambiguità.
Il primo capitolo si soffermerà sulla prima produzione di Levinas, nel tentativo di delineare la fisionomia del femminile, nonché il ruolo del binomio
virile/femminile come nuclei originari delle riflessioni del filosofo. Il capitolo
affiancherà alle considerazioni elaborate da Levinas nelle opere filosofiche più note della fine degli anni Quaranta (Dall’esistenza all’esistente e Il Tempo e
l’Altro) gli appunti contenuti nei Quaderni di prigionia, le trascrizioni di alcune
conferenze tenute in quegli anni al Collège Philosophique e gli inediti letterari, con particolare attenzione a due abbozzi di romanzi (Eros o Triste opulenza e La
signora di casa Wepler). In tal modo sarà possibile sottolineare sin da subito
l’intrinseca complessità del femminile e le molte prospettive che contribuiscono alla sua definizione.
Il secondo capitolo si concentrerà sull’evoluzione del femminile nelle opere levinassiane comprese fra la seconda metà degli anni Cinquanta e la pubblicazione di Totalità e Infinito (1961), opera che renderà famoso Levinas presso il grande pubblico filosofico e nella quale il femminile assume una fisionomia in gran parte inedita rispetto al passato, parallelamente all’evoluzione del pensiero del filosofo verso una sempre maggiore centralità della relazione etica. Oltre l’opera del 1961, elementi centrali del capitolo saranno alcune conferenze degli stessi anni che testimoniano il grande lavoro di rielaborazione che conduce Levinas al ripensamento del femminile e all’abbandono dell’originaria posizione dell’erotico come “inizio del sociale”. Si analizzeranno i rapporti complessi che l’etica, come relazione fra Volti, intrattiene con la “femminilità”, nonché le riflessioni coeve presenti in un articolo dedicato al rapporto fra giudaismo e femminile, testo che mette in luce la profonda influenza dell’ebraismo nella filosofia levinassiana.
Il terzo capitolo, infine, si collocherà su un registro in parte diverso e più complesso rispetto ai precedenti. Infatti, nella prima parte si rivolgerà alle opere levinassiane degli anni Settanta, con particolare attenzione a Umanesimo
dell’altro uomo e Altrimenti che essere o al di là dell’essenza. Sono testi nei quali
il femminile come caratteristica dell’alterità scompare. Tuttavia, un’attenta analisi di queste opere permetterà, forse, di gettare nuova luce sulla strana eclissi del femminile come modo di Altri, verificando un possibile spostamento del concetto dall’alterità alla soggettività, in un modo che permette di collocare nel cuore stesso del soggetto come responsabile per Altri una dimensione di “femminilità”. Inoltre, nell’ultima parte del capitolo si farà riferimento ad alcune considerazioni “isolate” rispetto alla direzione principale del pensiero di Levinas e nelle quali
altri-femminile compare esplicitamente dopo la svolta dell’altrimenti che essere.
Sono riflessioni presenti in due letture talmudiche degli anni Settanta e grazie alle quali sarà possibile sottolineare come il tema della femminilità di Altri sia caratterizzato da molte tensioni ed ambiguità, soprattutto rispetto alla ormai assoluta centralità dell’etica, la relazione fra Volti, come luogo del senso dell’umano.
Il metodo che mi sembra più adeguato per far risaltare la complessità del tema in questione consiste non nell’analisi separata di singoli testi, ma nel loro intreccio
e reciproco richiamo in modo da sottolineare la pluralità di registri e influenze culturali che caratterizzano il pensiero di Levinas e che contribuiscono a restituire una fisionomia complessa e sfaccettata alla sua visione della “femminilità”. Prima di intraprendere questo complesso percorso alla ricerca delle tracce del femminile nel pensiero di Levinas è necessario premettere che l’obiettivo di questa tesi non è di per sé nuovo, se si considera la numerosa bibliografia di riferimento disponibile sul tema e le molte, autorevoli voci si sono pronunciate in proposito. Solo per citare alcuni esempi fra i più noti, sono celebri le letture sul tema di Derrida, de Beauvoir e Irigaray. Tanto è stato scritto sul femminile in Levinas, sulla sua complessa evoluzione, sulle sue ambiguità e su eventuali asimmetrie di genere che il concetto comporterebbe, tutti aspetti ai quali avrò modo di fare riferimento nel corso della trattazione.
Tuttavia, un elemento nuovo del presente lavoro rispetto alle molte altre letture critiche elaborate su questo tema è rappresentato dalla possibilità di affiancare alle opere più note del pensatore l’analisi degli scritti inediti. Questi testi sono disponibili nella loro attuale versione solo a partire dal 2009 e sono stati tradotti in lingua italiana fra il 2011 e il 2012, ad esclusione del volume Eros, littérature et
philosophie, che riunisce i tentativi di scrittura letteraria di Levinas, in corso di
pubblicazione nella sua prima edizione in traduzione italiana e disponibile attualmente solo in francese. Sono scritti che permettono di affrontare con nuovi strumenti un tema già a lungo discusso e che, alla luce della sua complessità, potrebbe fornire ulteriori elementi e spunti di riflessione.
CAPITOLO I
Le origini del femminile fra letteratura e filosofia
1.1. Non solo filosofia: tracce del femminile nei Quaderni di prigionia
e negli inediti letterari
Un’analisi sul femminile nella filosofia di Emmanuel Levinas implica la necessità di rivolgersi al pensiero del filosofo sin dai primi scritti e di seguire lo sviluppo del concetto lungo il corso degli anni, nel tentativo di rintracciarne la fisionomia originaria e le successive evoluzioni. Tale prospettiva, alla luce della recente pubblicazione di tre volumi di scritti inediti3 dell'autore, si è arricchita con la possibilità di accedere ai Quaderni di prigionia, nonché ai tentativi di scrittura letteraria di Levinas, la cui parte più interessante al fine della presente analisi è rappresentata da due abbozzi di romanzi, Eros o Triste opulenza e La signora di
casa Wepler (alcune scene dei quali sono abbozzate nei Quaderni). Come i titoli
lasciano facilmente intuire, i romanzi contengono interessanti indicazioni sul femminile e sulla relazione erotica che vanno ad affiancarsi alle considerazioni filosofiche sul tema presenti in vari passaggi dei Carnets.
È proprio da questi due tipi di fonti che ritengo necessario iniziare la trattazione. La scelta è dettata non da una loro priorità cronologica rispetto alle opere filosofiche di Levinas nelle quali il tema del femminile fa la propria comparsa. In effetti, Calin e Chalier fanno notare come le annotazioni sui quaderni coprano un arco temporale più ampio degli anni della prigionia, anche se la maggior parte degli appunti risale proprio a quel difficile periodo. Levinas, in quanto prigioniero di guerra, non affrontò l’esperienza del campo di sterminio grazie alla tutela garantita dalla convenzione di Ginevra. Trascorse quel periodo in
3 Si tratta di un’edizione i cui primi due volumi in francese sono stati curati da Rodolphe Calin e Catherine Chalier ed editi da IMEC per le Éditions Grasset & Fasquelle nel 2009. Tale edizione non comprende comunque la totalità degli scritti inediti di Levinas contenuta negli archivi dell'IMEC e non ancora classificata completamente. Per quanto riguarda i primi due volumi, ho fatto riferimento alle corrispondenti traduzioni italiane: E. Levinas, Quaderni di prigionia e altri
inediti [2009], ed. it. a cura di S. Facioni, Bompiani, Milano 2011 e E. Levinas, Parola e silenzio e altre conferenze inedite [2009], ed. it. a cura di S. Facioni, Bompiani, Milano 2012. Relativamente
al terzo volume, non è ancora disponibile un’edizione in lingua italiana. Ho quindi utilizzato la versione francese del testo: E. Levinas, Eros, littérature et philosophie (inédits, oeuvres 3) , a cura di D. Cohen-Levinas e J. L. Nancy, IMEC/Grasset & Fasquelle, Parigi 2013.
un campo di prigionia: «fu assegnato al campo di Fallingsbotel, tra Brema e Hannover. Sopra il cancello di ingresso figurava un’iscrizione: XIB, il nome dello Stalag. E una cifra, 1492, che gli ricorderà sempre l’anno della cacciata degli ebrei dalla Spagna»4. Se il contesto nel quale i Quaderni di prigionia furono in gran parte elaborati ne giustifica pienamente il titolo, le prime annotazioni di Levinas risalgono agli anni Trenta e si spingono fino agli anni Cinquanta ed anche gli abbozzi letterari vengono più volte rimaneggiati nel corso del tempo, tanto da poter dire che l’ambizione a diventare scrittore abbia animato il filosofo almeno fino alla pubblicazione di Totalità e Infinito5.
Dunque, la scelta di trattare preliminarmente del femminile nei Quaderni e negli abbozzi di romanzi ha ragioni diverse da quelle cronologiche. Un primo motivo riguarda la maggiore linearità dell’esposizione che risulta dal seguire l’origine del medesimo tema nel registro letterario e negli appunti, separandolo da quello più propriamente filosofico destinato alla pubblicazione o allo svolgimento di conferenze; la seconda ragione è relativa, invece, alla volontà di lasciare il giusto spazio alle figure femminili “letterarie” che, se accennate brevemente come semplici esempi di concetti filosofici, non avrebbero avuto il giusto spazio. Non si tratta, naturalmente, di sostenere una cesura fra gli scritti come si trattasse di compartimenti stagni e questo perché i loro linguaggi si richiamano vicendevolmente: non si comprenderebbero adeguatamente alcune scene chiave nei tentativi di scrittura di Levinas o le riflessioni sulle protagoniste femminili delle letture che accompagnarono l’esperienza della prigionia (come l’Albertine di Proust o il femminile delle Lettere alla fidanzata di Bloy) se non rimandando alle riflessioni filosofiche sull’alterità che il pensatore stava elaborando. D’altra parte, i concetti filosofici potrebbero, alla luce dei romanzi, assumere maggiore concretezza agli occhi dei lettori.
Un’ultima ragione che mi ha spinta a non voler forzare una separazione totale fra letteratura e filosofia riguarda un loro intreccio riconosciuto da Levinas stesso: «a me sembra talvolta che tutta la filosofia non sia altro che una meditazione di
4
S. Malka, Emmanuel Levinas. La vita e la traccia [2002], trad. it. di C. Polledri, Jaca Book,
Milano 2003, p. 78.
5
Cfr. R. Calin e C. Chalier, Introduzione, in E. Levinas, Quaderni di prigionia e altri inediti, op. cit., pp. 19-20.
Shakespeare»6. In effetti, i riferimenti letterari – e non solo a Shakespeare – sono costanti nelle opere levinassiane e sovente utilizzati a scopo di chiarificazione di concetti filosofici e ciò non rappresenta affatto una scelta casuale. È possibile rintracciarne le ragioni nel complesso percorso di formazione di Levinas, segnato dalla presenza di tre grandi orizzonti d’ispirazione. Due di essi sono maggiormente noti, alla luce del loro ruolo di primo piano negli sviluppi della elaborazione filosofica di Levinas. Si tratta, naturalmente, della Bibbia (testo al quale il pensatore, per via delle proprie origini ebraico-lituane, ebbe modo di accostarsi precocemente) e dei grandi filosofi che influenzarono il suo percorso di studi universitari a Strasburgo e Friburgo negli anni Venti: Husserl e Heidegger. Su questi aspetti avrò modo di ritornare nei paragrafi successivi.
Levinas, tuttavia, riconosce come terza fonte di ispirazione alcuni grandi letterati: «tra la Bibbia e i filosofi ci sono stati i classici russi – Puskin, Lermontov, Gogol, Turgenev, Dostoevskij e Tolstoj – e anche i grandi scrittori dell’Europa occidentale, in particolare Shakespeare»7
. In questo contesto Levinas suggerisce che la letteratura svolge un ruolo diverso dal semplice intrattenimento o gioco d’immaginazione. È un luogo nel quale è possibile mettere in scena esperienze fondamentali dell'umano8. Non è possibile, naturalmente, in questa sede seguire tutte le riflessioni levinassiane sul ruolo e la struttura della letteratura9, trattandosi di un tema complesso che richiederebbe un’analisi a sé
6
E. Levinas, Il Tempo e l’Altro [1948], trad. it. di F. P. Ciglia, Il Melangolo, Genova 1993, pp. 43-44.
7
E. Levinas, Etica e infinito. Dialoghi con Philippe Nemo [1982], trad. it. di M. Pastrello, Città Aperta, Troina 2008, p. 50.
8
Tale tentativo, nonché la sensibilità a tematiche come l’esistenza, il suo senso, la finitezza, le sue tonalità emotive, ha accomunato molte personalità letterarie e filosofiche operanti tra la seconda metà dell'Ottocento e la prima metà del Novecento, inquadrate in categorie complesse e non univoche come “pre-esistenzialismo” ed “esistenzialismo”. Per la loro importanza dal punto di vista più specificamente letterario si possono ricordare, per esempio, autori come Kafka, Dostoevskij, Tolstoj, Cioran, Camus e Sartre. Per approfondire la questione è possibile far riferimento, oltreché alle opere letterarie degli scrittori nelle varie edizioni disponibili, a molti articoli e monografie dedicate ai singoli autori. Per esempio, fra le monografie più recenti in lingua italiana è possibile consultare F. Livi, Albert Camus. Alla ricerca della verità sull’uomo , Leonardo da Vinci, Roma 2013 o G. Pacini, Fëdor Dostoevsk ij, Mondadori, Milano 2002. Per un approccio generale al clima esistenzialista in letteratura, invece, è possibile far riferimento, per esempio, a X. Ducos, Histoire de la littérature française, Hachette, Parigi 1992, in particolare pp. 399-403. Si veda, infine, la voce “Existentialism” di Encyclopedia Britannica Online [consultato il 20 Aprile 2017], https://www.britannica.com/topic/existentialism.
9
Si vedano, per approfondire la questione, i saggi dedicati a Proust, Celan, Jabés, Laporte, Leiris e Picard, ma anche il testo di riflessione sull’opera d’arte nelle sue varie forme La realtà e la sua
stante. Tuttavia, non si può preliminarmente evitare il tentativo di capire perché il filosofo abbia coltivato l’aspirazione di scrivere opere letterarie.
Jean-Luc Nancy fa notare, a tal proposito, come l’utilizzo dello strumento del romanzo abbia in Levinas una funzione fondamentale: «il s’agit de faire et/ou de laisser apparaître une nudité décidément soustraite à la phénoménalité en tant que corrélat d'une viseé»10. La letteratura rende possibile una verità altra da quella conoscitiva, il dispiegarsi «de l’intrigue de l'autre et du rapport, de l’approche et du contact»11. È significativo, da questo punto di vista, che Levinas riconosca nell’opera di Proust proprio la capacità di mettere in scena il sorgere della vita interiore a partire dal rapporto con l’alterità e ciò lo rende un vero “poeta del sociale”, secondo la definizione presente nei Quaderni. Proprio commentando il significato più profondo delle opere di questo scrittore, Levinas presenta il sociale come incontro con l’alterità per eccellenza, il femminile:
tutta la sua opera consiste nel mostrare cos’è una persona davanti all'altra […]. Marcel e Albertine – è proprio questo. L’opera così ampia di Proust sfocia sui due temi di Albertine prigioniera e posseduta che non è distinto da Albertine scomparsa e morta. Il tormento che lo lega a lei consiste nel fatto che ci sono così tante cose che la riguardano – piccole cose, attitudini, gesti, pose – che egli non conoscerà mai. E quanto conosce di lei è dominato da quanto egli ignorerà per sempre – perché tutte le evidenze oggettive che la riguardano sono meno intense dei dubbi che gli resteranno per sempre dentro – e che sono il suo rapporto con Albertine12. Albertine ricalca la caratteristica saliente del femminile che Levinas andrà poi a sviluppare negli anni successivi alla seconda guerra mondiale: il mistero dell’alterità, il suo non “oggettivarsi” e non arrendersi ad alcuna presa. Il femminile è «altri prima di altri, ossia un'altra persona. Nuova via verso l’appercezione di altri. Altri=altro. Alterità pura»13
. Levinas collega il personaggio del romanzo di Proust14 all’ineffabilità di Altri, una presenza nutrita di assenza e
Marietti, Casale Monferrato 1984. Si veda, inoltre, E. Levinas, Su Blanchot [1975], trad. it. di A. Ponzio, Palomar, Bari 1994.
10 J. L. Nancy, Préface, in E. Levinas, Eros, littérature et philosophie (inédits, oeuvres 3) , op. cit., p. 15.
11 Ivi, p. 20. 12
E. Levinas, Quaderni di prigionia e altri inediti, op. cit., p. 152. 13
Ivi, p. 87. 14
Per approfondire il tema del rapporto tra Levinas e letteratura rimando a A. Gibson,
Postmodernity, ethics and the novel. From Leavis to Levinas, Routledge, Londra & New York
1999, in particolar modo al capitolo 4, Proustian ethics, che discute dell’intreccio tra etica e letteratura nei romanzi di Proust scorgendo in essi la messa in scena per eccellenza del rapporto con l’alterità. Gibson sostiene che «to read the Recherche in ethical terms is not merely to formulate it as an example or illustration of Levinas’s philosophy. It is to recognize, too, that,
riconosce anche il grande ruolo di Dante come poeta nel quale la donna non è più considerata al di fuori dell'amore, ma diventa nodo costitutivo ed imprescindibile di una relazione che è fondamento stesso della differenza e della molteplicità15.
Sin dai Quaderni la relazione con il femminile è caratterizzata da una ambiguità di fondo che ritorna come una costante nelle annotazioni del filosofo. Per esempio, Levinas scrive: «l’uomo che si imbarazza a dire “mia moglie, mia madre ecc.”. Forse per questo le {si} chiama “Signora Chicchessia”»16. La situazione evocata potrebbe, a mio avviso, prestarsi a due interpretazioni possibili:
I. il disagio di fronte all’alterità femminile sfocia nel tentativo di ricondurla
ad un generale “Chicchessia”, un pacificante concetto universale di donna, una donna-oggetto rispetto alla quale l’io è ancora saldo in sé e respinge il trauma suscitato dall'incontro con chi, per eccellenza, si sottrae; una simile scena di fuga dall’alterità femminile, lo si vedrà nel seguito del paragrafo, ritorna anche ne La signora di casa Wepler;
II. l’imbarazzo risiede nell’attribuire un aggettivo possessivo a chi rifiuta il
possesso. È impossibile dire “mia” ad un’alterità che per propria stessa essenza sfugge e, da ciò, la preferenza di un evanescente “Chicchessia”.
Quale che sia l’interpretazione corretta, credo che il senso della frase sia riconducibile al rapportarsi al mistero, a ciò che si ritrae infinitamente per via del proprio stesso carattere di alterità. Il turbamento di fronte al femminile è legato all’enigma fondamentale che reca sempre con sé.
Da ciò Levinas può trarre una conclusione importante, ovvero che il fondamento stesso del pluralismo dell’umanità risiede nella relazione erotica – «per me la collettività ha alla sua base una dialettica sessuale. È relazione diretta tra individui»17– e che la differenza sessuale è il dualismo per eccellenza, tutti temi che vengono ripresi nelle prime opere filosofiche nelle quali il tema del femminile
whilst Proust’s novel is constantly illuminated by Levinas’s thought, it also constitutes a complement and a challenge to that thought. In fact, the Recherche may be read as a powerful extension of Levinasian ethics into domains before which the philosoph ical vocabulary falters and fails» (Ivi, p. 112). Rimando, infine, a T. Sessler, Levinas and Camus. Humanism for the
Twenty-First Century, Continuum, Londra 2008. Sessler utilizza come linea guida del proprio studio
comparativo tra Levinas e Camus alcuni elementi comuni ai loro orizzonti di pensiero: la critica al nazismo e alla “politica nitzeschiana”, la presa di distanza dal pensiero della totalità e l’allontanamento dai fondamentalismi religiosi e geo-politici.
15
Cfr. E. Levinas, Quaderni di prigionia e altri inediti, op. cit., p. 87. 16
Ivi, p. 116. 17
viene affrontato più puntualmente: Dall’esistenza all’esistente e Il Tempo e
l’Altro.
Alla luce delle precedenti considerazioni è possibile anche comprendere i numerosi riferimenti presenti nei Quaderni a Léon Bloy ed alle sue Lettere alla
fidanzata, autore del quale ciò che Levinas apprezza è proprio la capacità di
rappresentare il prodursi della trascendenza e del mistero, ciò che fa delle esperienze più quotidiane «una messa, un’eucarestia […]. Qualche esempio: il sesso della donna – tabernacolo di Cristo»18. La donna è esplicitamente associata da Bloy al ritrarsi, al nascondersi, anche questo un concetto caro a Levinas e associato costantemente al femminile.
Tuttavia nei Quaderni, come anticipavo all’inizio del paragrafo, Levinas non si limita a riflettere sul femminile, annotando alcune riflessioni filosofiche o ritrovandone i tratti salienti nelle opere degli scrittori che stavano popolando le sue letture. Gli appunti contengono, in abbozzo, anche alcune scene che verranno poi riprese in due romanzi rimasti incompiuti: Eros o Triste Opulenza e La
signora di casa Wepler19. Nel Quaderno 2, in particolare, si trova uno schema contenente un progetto delle opere che Levinas aveva in mente di scrivere e che menziona, accanto ad un testo critico su Proust e a quattro progetti filosofici (i primi due dedicati ai temi “l’essere e il nulla” e “il tempo”, gli altri a Rosenzweig e Rosenberg20) due opere di carattere letterario: Triste opulenza e L’irrealtà e
l’amore. Risulta difficile far combaciare il secondo titolo con l'abbozzo de La signora di casa Wepler, mentre Calin e Chalier ritengono che più facilmente si
possa vedere in Triste opulenza il romanzo meglio noto come Eros, data la presenza di molteplici scene contenute nei Quaderni che vi verranno poi riprese.
18
Ivi, p. 161. 19
Nella presente tesi ho preso in considerazione, come anticipavo, esclusivamente i due abbozzi di romanzi perché in essi più evidentemente si riscontrano i tratti salienti del femminile che emergono anche nelle prime opere filosofiche di Levinas. La produzione letteraria del filosofo, comunque, comprende anche delle poesie e dei racconti in lingua russa risalenti agli anni Venti ed integrati nel terzo volume di scritti inediti grazie ad una traduzione in francese curata da Leonid Kharlamov. Questo materiale potrebbe fornire uno spunto per un’indagine più approfondita sulla scrittura letteraria di Levinas che in questa sede non mi è possibile compiere. A titolo esemplificativo suggerisco come, in un abbozzo di racconto del titolo Charles Mullen, Levinas utilizzi il pretesto della morte della fidanzata di uno dei personaggi per mettere in scena l’idea che la morte come nulla sia sperimentabile solo in quanto morte dell’Altro (cfr. E. Levinas, Charles
Mullen, in E. Levinas, Eros, littérature et philosophie [inédits, oeuvres 3] , op. cit., pp. 291-295),
tema importante negli sviluppi successivi del suo pensiero. 20
Tuttavia, non è comunque possibile dare un titolo univoco al romanzo, trattandosi di un testo scritto su un quaderno e su alcuni fogli aggiunti (su un verso dei quali si trovano delle note filosofiche sull’eros probabilmente rimaneggiate in periodi diversi, dato che alcune tematiche ivi affrontate sono molto vicine ad alcuni tratti del pensiero esposto da Levinas in Totalità e Infinito) nel quale il titolo in effetti non compare, risultando invece presente sul foglio cartonato che conteneva il materiale. È possibile, quindi, che Levinas abbia deciso di cambiare il titolo dell’opera nel corso del tempo21
.
A questa prima difficoltà se ne legano altre. Il protagonista nella parte iniziale di Eros è un interprete dell'esercito, Paul Rondeau, in procinto di partire per il fronte, ma il suo nome cambia successivamente in Jean Paul e Jules e non sempre appare chiaro il punto di vista dal quale gli eventi vengono raccontati. Vario è anche lo scenario, dato che le vicende prendono avvio in Francia nel 1940 e proseguono poi durante un viaggio verso la Germania con destinazione finale un campo di prigionia, seguendo le vicende del protagonista fino alla fine dell’esperienza ed al rientro in patria. Sicuramente la componente autobiografica del romanzo è molto evidente, così come la presenza di tematiche che rievocano i temi centrali della riflessione filosofica di Levinas. Calin e Chalier pongono, giustamente, l’accento sull’importanza del contesto del romanzo, la Francia della guerra e della disfatta, uno scenario di completa privazione di senso, di rottura del mondo e delle convenzioni che fa emergere quel tema dell’il y a che ossessiona il filosofo come «perdita di ogni stabilità, di ogni sostanzialità […], a essere annientate non sono più soltanto le cose e le persone, come durante la prima guerra mondiale, ma lo spazio stesso»22. Ciò che rimane quando il mondo oggettivo si decompone è la nuda esistenza che fa diventare il suolo della Francia come sabbie mobili incapaci di offrire un punto di appoggio23. Ma, di fronte al disorientamento sperimentato da Rondeau durante il viaggio in treno verso Creil, qualcosa sembra momentaneamente restituire un equilibrio agli eventi, un incontro: un operaio nello scompartimento sta tornando a casa dopo una lunga
21
Cfr. R. Calin e C. Chalier, Introduzione, Ivi, pp. 20-21, note 3 e 4. 22
Ivi, p. 23. 23
Cfr. E. Levinas, Eros ou Triste opulence, in E. Levinas, Eros, littérature et philosophie (inédits,
giornata di lavoro. Questa vicinanza offre al suo osservatore il pretesto di immaginare una dimora, «une petite maison avec jardin, de blancs rideaux aux fenêtres»24 e, forse, la possibilità di intravedere dietro le finestre aperte una giovane donna seduta al pianoforte. L’apertura delle finestre e la presenza discreta e silenziosa della giovane donna, per un momento, restituiscono una realtà al mondo, una prospettiva diversa dal senso offerto dalla ragione e dai valori nei quali fino a quel momento Rondeau aveva creduto e che la guerra aveva bruscamente fatto precipitare. Altrettanto importante è la rivelazione che il protagonista riceve nella scena immediatamente successiva. Alla stazione di Creil, mentre sta cambiando treno, assiste ad un breve scambio di battute fra un soldato ed un ufficiale. La moglie del soldato ha appena partorito ed egli chiede quando le licenze saranno ristabilite per poter andare a trovare lei e il figlio appena nato. La risposta che gli viene data, quel “forse mai più” pronunciato dall’ufficiale fa ripiombare la Francia nella disfatta, nel crollo di ogni ideale. Il particolare pathos di questo momento potrebbe spiegarsi alla luce della relazione tra paternità e speranza dell'io, nonché del futuro che essa rende possibile, uno dei temi centrali della riflessione di Levinas associata al tema dell’eros.
In quel momento, mentre il mondo sprofonda nell’assenza di significato, Rondeau è da solo, ma anche protagonista di un evento particolare: «Je suis seul […]. Seul avec Dieu»25
. Levinas introduce la possibilità che in questo momento, quando l’ordine razionale si interrompe, quando le istituzioni non hanno più senso, possa aver luogo un’apertura. Il ritmo dell’evento sembrerebbe poter essere accostato al sorgere dell’ipostasi, appropriazione dell’essere da parte del soggetto, ma ancora incatenamento a sé ed alla successiva apertura offerta dalla relazione con il mistero che ritornano in Dall’esistenza all’esistente.
Poche pagine dopo, si trova un’altra scena importante relativa al tema del femminile, questa volta attraverso un cambiamento di punto di vista. Viene evocato un certo prigioniero Weill anche se l’ortografia del nome è varia, dato che poche righe dopo lo si legge “Weil” e “W.”, dunque non è ben chiaro chi possa essere il protagonista. Il contesto è quello di un gruppo di prigionieri che, stipati su un camion, entrano nella cittadina di Ostenholz. Qui vedono passeggiare delle
24
Ivi, p. 41. 25
donne e Levinas lo definisce un evento straordinario26; le donne che camminano sono protagoniste di una strana esibizione, indossano calze e portano ombrelli con gesti lascivi ed equivoci. Proprio l’equivoco è ciò che distingue il rapporto col femminile e che marca la differenza rispetto all’infanzia, come sembra confermare ciò che avviene poco dopo: la visione di un gruppo di bambini e bambine, queste ultime ancora acerbe, intente a lanciare torsoli di mela contro i loro compagni, in un contesto di completa indifferenza di genere. La mancanza di equivoci è tratto distintivo dell’infanzia e solo quando la bambina diventerà donna:
se retirera de cette communauté enfantine qui en somme est le monde sensé – le monde masculin – pour entrer dans son mystère, se ramassera sur elle-même et y planera même en continuant à accomplir la fonction qui lui échoit dans le monde sensé – porter le filet, taper à la machine, peigner les enfants. Mais cette fille mystérieuse, la fiévre de ce mystère ne demeurera visible qu’aux yeux de ces prisonniers entassés sur la remorque du camion27.
Levinas sottolinea come solo i prigionieri riescano ad avere un presagio di ciò che le bambine saranno, quasi a rimarcare che tale presentimento del mistero dell’Altro possa essere occasione, per un breve istante, dell’uscita dalla prigionia, della non ricaduta del soggetto su sé medesimo (anche questo tema importante negli sviluppi filosofici sul femminile in Levinas). Calin e Chalier sottolineano28 come, poche righe dopo, avvenga un altro evento chiave legato al femminile: il camion passa di fronte ad una baracca di giovani donne tedesche appartenenti all'esercito e Levinas concentra l’attenzione su un paio di calze da donna stese e su una finestra aperta dalla quale è possibile vedere una giovane impegnata a pettinarsi i capelli. Qui, di nuovo si assiste ad una perdita di senso del mondo, come insieme di oggetti e di forme: oggetti innocui come il pettine e le calze sono come presi in una indecenza che fa sì che cessino di essere solo degli strumenti. Non sono più casti ma fanno parte del «mondo cannibale dell’erotismo»29
, come se una nuova essenza fosse loro propria: «ici tout est comme à manger dans l’indistinction de son agglomération massive – de peau élémentale»30
. Più volte, soprattutto nella sezione di Totalità e Infinito dedicata alla fenomenologia 26 Cfr. Ivi, p. 49. 27 Ivi, p. 50. 28
Cfr. R. Calin e C. Chalier, Introduzione, in E. Levinas, Quaderni di prigionia e altri inediti, op. cit., p. 24.
29
E. Levinas, Eros ou Triste opulence, in E. Levinas, Eros, littérature et philosophie (inédits,
oeuvres 3), op. cit., p. 51.
30
dell’eros, Levinas ritornerà sull’ambiguità dell’erotismo, dovuta al suo muoversi fra il desiderio mai appagato e l’ultramaterialità esorbitante, la crudezza e la profanazione31.
Si tratta di un elemento che ritorna anche ne La signora di casa Wepler, anch’esso attraversato dal medesimo senso di disorientamento ed insignificanza del mondo che fa muovere le vicende di Eros: qui, la follia della moglie del protagonista, Simon Riberat, fa esplodere il mondo sensato, riportando alla mente del marito un’analoga esperienza di mancanza di stabilità avvenuta anni prima e che dava l’impressione che «le pied qui s’enlise dans le connu consent de ne pas pouvoir marcher calmement sur les flots»32. Si tratta di una relazione amorosa giovanile che aveva fatto sperimentare a Simon l’incapacità di dimorare pacificamente in sé medesimo e l’inquietudine di fronte al mistero dell’alterità. Simon ricorda di aver amato all’età di vent’anni una giovane ragazza, Suzanne, la cui caratteristica fondamentale risultava essere una curiosità insolita, un misto di
confidenza, pudore e mistero33, unita ad un viso che, pur non essendo particolarmente degno di nota, era animato da una grande dolcezza. Riberat, durante il proseguire della relazione, mostra sempre più disagio sia nel parlare di sé che nel lasciare che Suzanne parli di sé stessa. Il tempo che trascorrono insieme sembra diventare interminabile e, così, egli scopre un’insolita via di fuga a due direzioni. Da una parte, le carezze diventando modo per tollerare l’amore di Suzanne come se il contatto potesse interrompere l’alterità della ragazza, un’illusione di vicinanza che, di fatto, non si realizza e non placa il disagio. Più volte Levinas tornerà in futuro sul vero significato della voluttà erotica, ambiguità nella quale la carezza non tocca mai veramente e si compie nel continuo cercare, non solo in Totalità e Infinito, ma anche nelle Note filosofiche sull’eros che contengono in abbozzo molti concetti che poi saranno ripresi nella
Fenomenologia dell’Eros34. D’altra parte, il protagonista cerca delle distrazioni,
dei luoghi popolati di persone come un caffè, dove «la présence de chacun se
31
Cfr. E. Levinas, Totalità e Infinito. Saggio sull'esteriorità [1961], trad. it. di A. Dell'Asta, Jaca Book, Milano 2016, pp. 263-264.
32
E. Levinas, La dame de chez Wepler, in E. Levinas, Eros, littérature et philosophie (inédits,
oeuvres 3), op. cit., p. 119.
33
Cfr. Ibidem. 34
justifiait»35, dove tutto è in ordine e può evitare il faccia a faccia, la presenza immediata di Suzanne. Tuttavia, il malessere ritorna a presentarsi man mano che il luogo si svuota, quando egli non può rivolgersi alla donna senza camuffarsi dietro concetti ed azioni comuni ed a questo punto iniziano l’infinito ed il turbamento della presenza di Suzanne, un essere umano che è lì direttamente, il cui appello si rivolge all’essere stesso dell’altro quando tutti gli alibi sono spariti e non c’è altro all’infuori della presenza di Autrui36
.
Così, può dire Levinas, si svela la natura spesso meramente convenzionale del matrimonio, il quale diventa il luogo nel quale soffocare l’inquietudine dell’alterità, dove ci si rifugia nelle cose da fare insieme e nelle idee in comune. Ciò permette di spiegare l’angoscia che si genera in Simon quando la moglie impazzisce: l’alterità rifiuta gli schemi sociali, la signora Riberat non è più una “signora Chicchessia”, fa esplodere la forma decente nella quale la sua ineludibile alterità si dissimulava, non è più la moglie resa sopportabile dal contesto di comunione con le cose37. L’essere umano che si sveste dalla forma e dal concetto provoca vertigine ed inquietudine.
Quando la moglie folle viene internata Riberat può di nuovo rifugiarsi nella libertà della solitudine, dove le donne tornano ad essere rassicuranti: «c’était la femme dépouillée de son humanité, quelque chose de semblable à ce qu’elle est dans le monde oriental, la femme comme instrument de plaisir»38. Tuttavia, l’inquietudine sollecitata dal femminile è destinata a ritornare presto e questo conduce verso un’ultima considerazione.
Il protagonista rievoca l’immagine di una prostituta incontrata nella hall di un albergo a Londra qualche anno prima. La donna si presenta con un aspetto “ferino”, offerto allo sguardo e al desiderio, ma in un’atmosfera irreale, dai contorni onirici, che non la copre di vergogna e non fa sparire la libertà dalla quale appare. La figura sembra come avvelenare l’anima del protagonista ed il suo ricordo getta nell’insignificanza anche le donne che camminano sugli Champs-Élysées. Scrive Levinas: «la femme du George V pouvait seule apaiser son besoin
35
E. Levinas, La dame de chez Wepler, Ivi, p. 120. 36 Cfr. Ibidem. 37 Cfr. Ivi, p. 121. 38 Ibidem.
douloureux de mordre sur le réel, elle était toute la douceur et toute la violence de la vie»39. Ciò fa sorgere il desiderio di accostarsi ad altre donne, ma il protagonista non sa come avvicinarsi perché il vestito che le cela invita al rispetto più che alla profanazione. Riberat si chiede come sia possibile accedere ad un essere rispettabile, protetto dalla sua forma. Le immagini sono equivoche e rimandano ad una nudità che il vestito sembra coprire e che è impossibile rivelare alla luce, a causa però di una preoccupazione particolarmente rivelatrice: la possibilità che l’alterità femminile scorga il viso del protagonista senza riserva. Si annuncia qui – parafrasando lo stile iperbolico che caratterizzerà Levinas qualche anno più tardi – la possibilità di una nudità più nuda della nudità della pelle, d’un faccia a faccia diretto ed insostenibile.
1.2. Virilità e libertà dell’esistente oltre l’il y a
Lasciato da parte il registro letterario, è adesso necessario rintracciare le caratteristiche originarie del femminile nelle opere filosofiche di Levinas relative al suo primo periodo di produzione autonoma, rappresentato principalmente da
Dall’esistenza all’esistente e da Il Tempo e l’Altro, due testi scritti alla fine degli
anni Quaranta. Il primo risale al 1947 e, come fa notare Pier Aldo Rovatti, rappresenta la prima vera opera nella quale il pensiero autonomo di Levinas viene esposto40. Tuttavia, una riflessione originale, seppure ancora in abbozzo, può essere rintracciata nel filosofo già prima di questo momento, facendo riferimento a due brevi articoli: Alcune riflessioni sulla filosofia dell’hitlerismo, apparso sulla rivista Esprit nel 1934 e Dell’evasione, pubblicato nel V volume delle Recherches
philosophiques fra 1935 e 193641. I due testi presentano già, in forma embrionale, il nodo centrale del pensiero di Levinas, il tentativo che dà senso a tutte le sue riflessioni: la necessità di infrangere la prigionia dell’essere, prospettiva
39
Ivi, p. 124. 40
Cfr. P. A. Rovatti, Premessa all’edizione italiana, in E. Levinas, Dall’esistenza all’esistente [1947], trad. it. di F. Sossi, Marietti, Casale Monferrato 1986, p. VII.
41
Nonostante sia leggermente precedente rispetto al testo del 1947, non può essere considerato insieme a questi due articoli un terzo lavoro, Il y a, pubblicato in «Deucalion», 1 (1946), pp. 141-154. Lo scritto viene infatti ripreso nell’Introduzione e nel secondo paragrafo del terzo capitolo di
Dall’esistenza all’esistente, quindi è chiaramente già nell’orbita della riflessione levinassiana della
fondamentale del pensiero filosofico occidentale da Parmenide a Heidegger. Levinas stesso riconosce, alcuni anni dopo42, come il dubbio che già allora animava le sue riflessioni risiedesse nella possibilità che il senso più profondo dell’umano e la sua dignità non fossero rappresentati dalla libertà del soggetto della tradizione occidentale e dall’adesione all’essere.
Tuttavia, pur tenendo presenti questi scritti, Rovatti sottolinea giustamente come l’impegno di Levinas in quegli anni si sia concretizzato principalmente in due direzioni fondamentali, ovvero l’elaborazione di testi critici su Husserl e Heidegger43 e di alcuni articoli sull’ebraismo44. Occorre, dunque, attendere gli anni Quaranta perché gli spunti sparsi negli articoli prendano forma più concreta, non solo con la pubblicazione di Dall’esistenza all’esistente, ma anche sotto forma di alcune conferenze – poi pubblicate con il titolo Il Tempo e l’Altro – che Levinas ebbe modo di tenere fra 1946 e 1947 al Collège Philosophique di Jean Wahl, un luogo particolarmente importante per il filosofo, tanto da poter essere considerato da lui stesso un cantiere di idee, un luogo dove «era possibile senza mezzi termini – e spesso senza precauzioni – e prendendosi qualche licenza nei confronti delle regole accademiche [...] darsi – e proporre ad altri – idee “da sviscerare”, “da approfondire” o “da esplorare”»45
.
Tenendo conto di questa importante considerazione, nel ricostruire le origini del femminile nei primi scritti filosofici di Levinas non ho potuto esimermi dal tenere in considerazione anche le conferenze coeve ai due lavori principali degli anni Quaranta, contenute nel secondo volume di scritti inediti precedentemente menzionato: Parola e silenzio ed altre conferenze inedite. Grazie a questi nuovi materiali è stato possibile approfondire alcuni aspetti del femminile e delle tematiche ad esso affini proposti da Levinas nelle opere edite del periodo. I testi delle conferenze sono stati rimaneggiati in momenti diversi, con fogli aggiunti
42 Cfr. E. Levinas, Prefazione, in E. Levinas, Alcune riflessioni sulla filosofia dell’hitlerismo [1934], trad. it. di A. Cavalletti, Quodlibet, Macerata 1996, pp. 21-22.
43
Per approfondire la questione si rimanda alle seguenti opere di Levinas: La teoria dell'intuizione
nella fenomenologia di Husserl [1930], trad. it. di V. Perego, Jaca Book, Milano 2002; Martin Heidegger e l’ontologia [1932] e L’opera di Edmund Husserl [1940], in E. Levinas, Scoprire l’esistenza con Husserl e Heidegger [1949], trad. it. di F. Sossi, Raffaello Cortina, Milano 1998.
44
Si vedano, per esempio: L’inspiration religieuse de l’Alliance (in «Paix et Droit», 8 [1935], p. 4), Fraterniser sans se convertir (in «Paix et Droit», 16/8 [1935], p. 12), L’actualité de Maïmonide (in «Paix et Droit», 4 [1935], pp. 6-7).
45
datati in periodi successivi fino alla pubblicazione di Totalità e Infinito. Le citazioni che ho inserito in questo capitolo riguardano in maggioranza parti del testo che più sicuramente, secondo i curatori, è possibile considerare come elementi delle conferenze originarie. L’edizione italiana, in particolare, ha mantenuto l’andamento frammentato del testo e lo stile conciso evitando di costruire un’uniformità incapace di rispecchiare il lavoro di ripensamento elaborato da Levinas sui testi. Fa eccezione la conferenza dal titolo Gli
insegnamenti, rispetto alla quale l’unica datazione certa è il 23 febbraio 1950, lo
stesso giorno in cui fu pronunciata secondo il calendario del Collège Philosophique perché non ci sono elementi che permettono di sapere se ci siano state redazioni posteriori della stessa46. Il tentativo non è, naturalmente, quello di esporre esaurientemente l’andamento dei singoli testi, ma di leggerli parallelamente ed intrecciarli in modo da delineare i tratti originari del femminile e dei concetti ad esso correlati: il virile, l’eros, il tempo, la paternità.
Ritengo necessario iniziare la trattazione considerando gli elementi fondamentali della “virilità”, a partire dalla constatazione del ruolo importante svolto dal binomio virile/femminile nella produzione filosofica levinassiana sin dalle sue origini e, naturalmente, nel tentativo di far emergere più chiaramente le caratteristiche del femminile rispetto alla sua controparte.
Virilità è un termine esplicitamente associato dal filosofo alla soggettività, la quale si qualifica nei termini di un “dominio” e di una “padronanza”, una dimensione attiva, un evento di appropriazione dell’essere47
.
Levinas riconosce una dimensione virile al soggetto perché questo non è una sostanza immobile, ma un’attività, si produce, si appropria della sua esistenza ergendosi da un fondo indeterminato che è il puro fatto dell’esistere come se fosse un signore. Più in particolare, la coscienza del soggetto è un inizio ed un potere sull’esistere: «con la coscienza il soggetto si pone e comincia – non ha niente prima di sé, trae tutto da sé, è signore»48. Significativamente, infatti, Levinas può parlare della soggettività nei termini di un’ipostasi, ciò che si erge rispetto al
46
Cfr. E. Levinas, Parola e silenzio e altre conferenze inedite, op. cit., p. 163, nota I. 47
Cfr. E. Levinas, Dall’esistenza all’esistente, op. cit., p. 11. 48
E. Levinas, Parola e silenzio [1948], in E. Levinas, Parola e silenzio e altre conferenze inedite, op. cit., p. 71.
neutro evento dell’essere, qualificato come il puro fatto dell’il y a, l’esistere senza
esistente che dà il titolo ad una delle sezioni del primo capitolo de Il Tempo e l’Altro49
.
L’interesse levinassiano per il tema dell’essere come puro evento ha un’origine complessa, riconducibile a tre elementi fondamentali che mi sembra opportuno richiamare brevemente. Da una parte, viene sollecitato dall’influenza di Martin Heidegger, che Levinas ebbe modo di incontrare a Friburgo e che viene riconosciuto nel corso degli anni successivi come uno dei maggiori ispiratori della sua filosofia. A Friburgo, Levinas si era recato nel 1928 per seguire l’insegnamento di Husserl che, pur essendo già in pensione, continuava a tenere dei corsi e in questo contesto era entrato in contatto con l’analitica esistenziale di Heidegger. Di Essere e Tempo, Levinas può dire: «ho provato una grande ammirazione per questo libro, uno dei più belli della storia della filosofia [...]. In francese si dice l’essere oppure un essere. Con Heidegger è stata risvegliata la “verbalità” nella parola essere, ciò che in essa è evento»50
. Infatti, la questione ontologica in Heidegger diventa elemento fondamentale dell’esistenza umana, non un problema teoretico ma un “evento” legato al tempo che non è «la cornice dell’esistenza umana, ma che, nella sua forma autentica, [...] è l’evento della comprensione dell’essere»51
. Il Dasein, l’esser-ci e le tonalità emotive di questa esistenza non sono pensate come categorie vuote, ma evento stesso del rivelarsi dell’essere.
La filosofia del primo Heidegger viene apprezzata da Levinas, d’altra parte, in quanto messa in atto fondamentale del metodo fenomenologico di Husserl, altro elemento che influenza notevolmente il suo pensiero. Levinas lesse Husserl durante il periodo di studio a Strasburgo e fu uno dei primi studiosi a far conoscere la fenomenologia husserliana tra i pensatori di lingua francese, grazie anche alla pubblicazione della sua tesi di dottorato del 1930: La teoria
dell’intuizione nella fenomenologia di Husserl.
49
Cfr. E. Levinas, Il Tempo e l’Altro, op. cit., p. 21. 50
E. Levinas, Etica e infinito. Dialoghi con Philippe Nemo, op. cit., pp. 59-60. 51
E. Levinas, Martin Heidegger e l’ontologia, in E. Levinas, Scoprire l’esistenza con Husserl e
La fenomenologia, se da una parte viene criticata da Levinas negli anni successivi a causa del suo ricadere inevitabilmente in una dimensione egologica – critica comprensibile alla luce della ricerca da parte del filosofo di un nuovo rapporto fra l’io e l’alterità che non sia “inglobante” – rimane il metodo autentico del filosofare perché, mettendo in discussione l’ingenuità del mondo come oggettivamente costituito sin dall’inizio, un “in sé” indipendente, riconosce la coscienza come intenzionalità, coscienza di qualcosa. La fenomenologia permette di superare l’ingenuo dualismo oggetto/soggetto, mettendo in luce che: «il soggetto, d’altra parte, non è una sostanza obbligata a ricorrere ad un ponte – la conoscenza – per arrivare all’oggetto, ma che, nella sua presenza di fronte all’oggetto, si trova il segreto della sua soggettività»52
. La soggettività è attività e la fenomenologia mette in atto una risalita all’intenzione o orizzonte che mira agli oggetti i quali non si risolvono nella questione “cos’è?”, ma il cui senso viene rintracciato nel loro modo di esistere53.
L’influenza di Husserl e Heidegger si riscontra chiaramente nelle opere degli anni Quaranta. Rovatti sottolinea come la ricerca della soggettività a partire dall’il
y a54, dalla scomparsa del mondo-oggetto, non sia che una radicale messa in atto del metodo fenomenologico dell’epoché, unitamente al riferimento heideggeriano alla vuota verbalità, il fatto che c’è l’essere come puro evento del quale nessun esistente si appropria. Occorre, tuttavia, riconoscere un terzo elemento capace di spiegare il fascino per il problema dell’essere suscitato in Levinas, oltre l’influenza dei suoi grandi maestri. L’il y a si impone alla sua attenzione anche a partire dai ricordi di certe esperienze dell’infanzia, un “brusio”55
nel silenzio che egli ritrova nelle descrizioni di Blanchot, colui che è stato capace di un pensiero audace, che fa parlare ciò che non è mondo, parlare impersonale e senza tu che è impossibile spegnere56. L’orrore dell’essere senza “io” riecheggia nelle molte descrizioni dedicate al tema presenti nelle opere levinassiane di questo periodo, proprio a sottolineare la sua inamovibilità: l’esperimento fenomenologico che
52
E. Levinas, La teoria dell’intuizione nella fenomenologia di Husserl, op. cit., pp. 39-40. 53
Cfr. E. Levinas, Etica e infinito. Dialoghi con Philippe Nemo , op. cit., p. 56. 54
Cfr. P. A. Rovatti, Premessa all’edizione italiana, in E. Levinas, Dall’esistenza all’esistente, op. cit., p. XV.
55
Cfr. E. Levinas, Etica e infinito. Dialoghi con Philippe Nemo, op. cit., p. 65. 56
Levinas tenta in Dall’esistenza all’esistente, il ritorno “al nulla” delle cose e delle persone, non conduce mai al niente in senso stretto, ma all’essere che rifiuta di essere circoscritto in un esistente, l’essere in quanto essere, non eludibile, non un
qualcosa di determinato, ma neanche un niente in senso assoluto. È l’opprimente
prigionia dell’essere, non l’angoscia heideggeriana del nulla della morte, che fa inorridire due fra i più celebri personaggi shakespeareani, Amleto e Macbeth, l’impossibilità di evadere, l’essere costretti senza rimedio in un’ “esperienza” (le virgolette sono opportune dato che di esperienza in senso stretto non è corretto parlare, non essendo propriamente presente nessun “io” che si appropri dell’esistenza) di vigilanza impersonale57
.
Proprio a partire dall’orrore dell’il y a, come si diceva, Levinas vuole rintracciare il momento nel quale emerge il soggetto come sospensione della vigilanza ed inversione della verbalità neutra in sostantivo. Il soggetto è l’esistente concreto ed il suo potere virile si realizza nella coscienza che viene descritta come la capacità di ritrarsi in sé, della solitudine, di avere un rifugio, ovvero l’evento
stesso dell’identità58
.
Essa non è da intendersi come un puro movimento del pensiero astratto, ma viene analizzata in tutta la concretezza dell’esistenza corporea del soggetto: il corpo è possibilità di ritirarsi in sé, è la base, ovvero non ciò che si aggiunge ad un pensiero ma la condizione stessa di porsi come soggetto. Il corpo, dunque, non è lo strumento dell’anima ma viene descritto da Levinas nel suo singolare essere un “evento”, il compiersi del soggetto: «grazie alla sua posizione, il corpo realizza la condizione di ogni interiorità. Non esprime un evento perché è esso stesso questo evento»59.
È necessario sottolineare nuovamente, rispetto a quanto si diceva all’inizio, come le descrizioni di Levinas relative al raccoglimento in sé della soggettività utilizzino un linguaggio ricco di riferimenti “maschili”: la coscienza come
padronanza dell’io sull’esistenza è un potere, una libertà di cominciamento, una virile esistenza di soggetto60. Più precisamente, il potere della coscienza si realizza
57
Cfr. E. Levinas, Dall’esistenza all’esistente, op. cit., pp. 50-56 e, inoltre, E. Levinas, Il Tempo e
l’Altro, op. cit., pp. 21-25.
58
Cfr. E. Levinas, Dall’esistenza all’esistente, op. cit., p. 59. 59
Ivi, p. 66. 60
nel presente, unica dimensione che la soggettività così delineata conosca. In effetti, il potere del soggetto saldo nell’identità è proprio quello di avere un presente, inteso non come frazione del tempo matematico, ma come il riferirsi a sé come punto di partenza. Levinas rilegge in modo originale il presente in termini di un arresto, di una posizione che ha una dinamica del tutto propria ed è estranea al tempo come fluire. Il presente non inizia che da sé, non ha un vero tempo, non ha storia:
in quanto non si riferisce che a se stesso, in quanto parte da sé, il presente è refrattario al futuro. La sua evanescenza, il suo deliquio fanno parte della sua stessa nozione. Se durasse si tramanderebbe. E così avrebbe ricavato il proprio essere da un’eredità e non da se stesso. Non può quindi avere nessuna continuità. La sua evanescenza è il prezzo della sua soggettività e cioè della trasmutazione in seno al puro evento d’essere dell’evento in sostantivo, l’ipostasi61
.
Il potere virile del soggetto è tutto espresso nel suo presente, nel suo porsi. A questo punto, Levinas fa emergere una problematica che conduce alla necessità di un ripensamento della soggettività e all’impossibilità che questa si esaurisca nella dimensione virile. Tale prospettiva è stata, secondo il filosofo, fatta propria dal pensiero occidentale, che qualifica la persona essenzialmente in termini di libertà, ovvero di potere che si realizza sia nella prassi che nell’intellezione, essendo questa, in effetti, una “presa” sulla realtà. «Il problema dell’uomo è un’ossessione del potere»62
, scrive Levinas.
Tuttavia, come dicevo, Levinas individua in questa visione della soggettività un limite fondamentale. Da una parte, l’io virile è libero di cominciare da sé, ha un presente ma è, al contempo, incapace di staccarsi dalla propria unicità e come
ingombrato da se stesso63. La solitudine, tema “esistenzialista” per eccellenza, è
condizione della soggettività, ma anche peso della propria esistenza. Il soggetto è solo, racchiuso in se stesso, non ha possibilità d’uscita e non è via del rapporto intersoggettivo perché si trova una dimensione del tutto privata: «nulla è più privato del fatto di essere. L’esistenza è l’unica cosa che non posso comunicare: posso raccontarla ma non posso condividerla»64. Dunque, la libertà è sempre irrimediabilmente legata ad un’impossibilità di fondo, quell’incapacità di evasione
61
E. Levinas, Dall’esistenza all’esistente, op. cit., pp. 66-67. 62
E. Levinas, Parola e silenzio, in E. Levinas, Parola e silenzio e altre conferenze inedite, op. cit., p. 71.
63
Cfr. E. Levinas, Il Tempo e l’Altro, op. cit., p. 29. 64
che già il filosofo evocava nell’articolo omonimo degli anni Trenta: «l’enchaînement le plus radical, le plus irrémissible, le fait que le Moi est soi-même»65. L’io, nel suo stesso potere di soggetto si rivela impotente.
Paola Ruminelli nota questa dualità nel soggetto, il fatto che la solitudine dell’io ne sia al contempo condizione fondamentale, virilità e fierezza, ma anche «disperazione e abbandono, e il ritorno a sé è anche materialità, perché chiusura che inchioda l’Io alla propria identità»66
.
A partire da queste considerazioni, Levinas vede nell’esistenza nel mondo un tentativo di evasione dell’io rispetto a sé che, come si vedrà, risulta essere fallimentare perché il concetto stesso di “mondo” implica un coinvolgimento del soggetto tale che egli non si libera davvero di sé. Analizzando l’esistenza nel mondo, Levinas contesta a Heidegger l’aver delineato tale condizione come un avere a che fare con degli utilizzabili il cui ultimo significato è quello di rinviare all’esistenza come cura.
Il mondo, lungi dall’essere un “casto insieme di utensili”67
è alimento offerto al godimento. La differenza che Levinas rileva rispetto alla prospettiva heideggeriana risiede proprio nella “gratuità” totale con la quale gli alimenti sono offerti al godimento: «non è esatto dire che viviamo per mangiare; ma non è più esatto dire che mangiamo per vivere [...]. Quando si aspira il profumo di un fiore, è all’odore che si limita la finalità dell’atto»68
. Proprio nel godimento può emergere concretamente la coscienza come un movimento verso “altro da sé”, verso gli alimenti che nutrono.
Si comprende meglio, dunque, quanto prima si diceva rispetto al ruolo fondamentale del corpo nella realizzazione come posizione del soggetto, giacché il nutrimento è possibile perché una base lo sostiene, perché un punto consente lo slancio: «non soltanto perché bisogna porsi da qualche parte per orientarsi verso gli oggetti; ma perché nella mia relazione con la terra stessa, il fatto di sentirne il
65
E. Levinas, De l’Évasion [1935-36], Fata Morgana, Montpellier 1982, p. 73. 66
P. Ruminelli, L’io nella relazione metafisica di Levinas, in «Idee», 16 (1991), p. 96. 67
Cfr. E. Levinas, Eros ou Triste opulence, in E. Levinas, Eros, littérature et philosophie (inédits,
oeuvres 3), op. cit., p. 51.
68