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2 Inquadramento dell’area di studio

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Academic year: 2021

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2 Inquadramento dell’area di studio

Per meglio capire l’importanza che il fiume Serchio ha nel territorio e l’alta valenza ambientale del sito è necessario fare un inquadramento più generale su tutta l’area attraversata dal corso del fiume sia dal punto di vista geologico che idrologico per arrivare a capire le deviazioni di percorso che questo ha conseguito durante la sua storia che hanno in tempi diversi condizionato la morfologia del territorio circostante e cambiato più volte anche il suo sbocco verso il mare.

Sembra opportuno inoltre analizzare l’uso che l’uomo ne ha fatto dall’epoca romana ad oggi per arrivare a capire le radici della fruizione antropica che tutt’oggi persiste molto forte.

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In figura 2.1 è raffigurata l’area di studio, sia grazie ad una foto aerea, sia schematicamente, dove sono visualizzati i punti in cui sono stati effettuati i profili di sponda e le sezioni di campionamento delle acque

2.1 Geologia della pianura di Pisa

La zona considerata è stata oggetto di numerosi studi nel corso del tempo, il lavoro di Mazzanti riporta un inquadramento generale dell' area e dello stato delle conoscenze. La pianura di Pisa, quella in cui scorre il tratto terminale del Serchio, può essere definita, dal punto di vista geologico, osservando la carta geomorfologica di figura 2.1.1

A: rocce del substrato pre-neogenico

B: sedimenti del Neogene e del Pleistocene inferiore

C: sedimenti del Pleistocene medio sul Terrazzo I

D: sedimenti del Pleistocene superiore sul Terrazzo II

E: sedimenti alluvionali della pianura olocenica

F: (a puntini) sabbie di Le Rene; (a barbette) limi e torbe palustri

G: sedimenti eolici e palustri del litorale olocenico

H: acque marine e lacustri I: linea di riva dell’VII-V sec a.C.

L: linea di riva attuale

Figura 2.1.1: carta geomorfologica schematica della Pianura di Pisa e dei rilievi contermini (Mazzanti, 1994)

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La pianura di Pisa si estende sopra un tratto del bacino neoautoctono di Viareggio-Pisa-Valli di Tora-Fine; sopra un tratto del bacino della Valdera; e, fra questi, si espande sopra la continuazione nel sottosuolo del Monte Pisano. Il fatto che la pianura sia più estesa a Sud di Pisa indica l’influenza che hanno avuto i due fiumi principali, l’Arno e il Serchio, i quali hanno riversato maggiormente i materiali alluvionali. Un altro fenomeno che ha caratterizzato lo sviluppo della Pianura di Pisa è dovuto ai cambiamenti gladio-eustatici del livello del mare. Questo è evidenziato dal fatto che sedimenti di origine fluviale di età recente si trovano sepolti nel sottosuolo retrolitorale da altri sedimenti di origine marina e più verso il mare si trovano sotto i sedimenti dei lidi del sistema deltizio tardo-olocenico dell’Arno. In superficie di questa pianura sono riscontrabili calcareniti e sabbie del Pleistocene superiore e nelle zone in vicinanza di Arno e Serchio si trovano, per uno spessore di 30-40 m, le sabbie e limi di Vicarello che affiorano a Coltano, Castagnolo, Palazzetto e lungo il bordo meridionale della pianura di Pisa, dal Mortaiolo al fianco destro della Caldera. Le sabbie e limi di Vicarello giacciono sopra limi fluvio-palustri, a loro volta ricoprenti il livello dei conglomerati dell’Arno e del Serchio riconducibile al Wurm II (Trevisan e Tongiorgi, 1953). Oltre alle sabbie e limi di Vicarello c’è un’altra formazione riferibile al Pleistocene superiore e si tratta delle sabbie di Ardenza. Queste giacciono sul terrazzo di Livorno, inciso durante la trasgressione eustatica tirreniana, su formazioni del Pleistocene inferiore, del Pliocene e dell’alloctono ligure (Barsotti, 1974). Inoltre hanno, a differenza delle precedenti, uno spessore molto minore, infatti difficilmente superano i 5 m e tale differenza è dovuta al fatto che questa formazione si è deposta su un terreno eustatico praticamente stabile che non ha subito i processi erosivi e sedimentari olocenici, mentre le sabbie e limi di Vicarello si sono deposte nell’area subsidente della pianura di Pisa soggetta a processi erosivi e deposizionali delle ultime fasi del Pleistocene superiore e di quelle oloceniche.

Questi depositi alluvionali, in prevalenza sabbiosi e limosi o argillosi e limosi, sono distribuiti nella maggior parte della pianura e risalgono all’Olocene, quando c’è stato il sovralluvionamento dovuto al livello del mare che è risalito durante la deglaciazione postwurmiana e allo stesso tempo è aumentato lo sbarramento a mare ad opera del sistema dei lidi del delta dell’Arno. In questi sedimenti prevalgono le sabbie nelle zone vicine ai corsi fluviali dell’Era, del Serchio e dell’Arno; le argille e le torbe nelle zone più lontane dai corsi d’acqua, che per questo sono rimaste più basse e più soggette a impaludamenti.

Lungo il litorale troviamo una fascia di sedimenti sabbiosi e limo argillosi originati da un sistema olocenico di lidi, dune e lagune, e paduli retrostanti. Questa fascia ha un’estensione

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massima verso l’interno di 7 km, all’apice del delta dell’Arno, e non è mai inferiore ai 4 km. I lidi, detti anche cotoni, sono allineati al litorale, sono poco elevati e rappresentano barre emerse per sovraccumulo di sedimenti, prima trasportati dalla deriva litoranea e poi scaricati sulle spiagge dal getto di riva, e in seguito sono stati stabilizzati dalla vegetazione. Le dune sono invece più elevate (6-8 m) e irregolari rispetto ai lidi per la loro origine eolica. Le aree lagunari e palustri, dette anche lame, corrispondono ai solchi tra barra e barra e, come i lidi, hanno un andamento parallelo al litorale.

Le conoscenze che riguardano il substrato profondo, inteso come l’insieme delle formazioni che stanno al di sotto dei primi sedimenti del complesso neoautoctono, sono scarse e puntiformi, in quanto vengono dai pochi pozzi profondi esistenti. Il substrato intermedio della pianura è compreso fra i sedimenti del Miocene superiore e quelli del Pleistocene inferiore. I primi mostrano, in circa 400 m di spessore, l’evoluzione paleogeografica caratteristica di quest’epoca in Toscana occidentale; cioè dopo una prima sedimentazione continentale fluvio-deltizio sono seguite fasi lagunari e marine, sulle quali però ha prevalso, per un tempo molto breve, l’episodio evaporitico della precipitazione dei gessi, per terminare poi con lo sviluppo dell’ambiente paralico di “lago-mare”. La precipitazione dei gessi è collegata all’interruzione delle comunicazioni tra il Mar Mediterraneo e gli oceani durante una fase di clima particolarmente arido; mentre l’episodio di “lago-mare” sarebbe una conseguenza di questo isolamento mediterraneo che si è protratto in una fase di clima umido, la quale ha favorito la ripresa delle attività fluviali (Mazzanti, 1994). I sedimenti pliocenici giacciono sopra gli strati di “lago-mare” del Miocene terminale, sono costituiti da banchi di argille, di sabbie e calcareniti e di conglomerati, per uno spessore cumulativo di circa 1000 m. Il substrato superiore della pianura di Pisa è formato dai sedimenti posteriori al Pleistocene inferiore e la sua formazione è stata influenzata dai cambiamenti climatici e dalle variazioni glacio eustatiche del livello del mare che hanno determinato le variazioni degli apparati fluviali. Le più recenti ricostruzioni del substrato superiore hanno evidenziato un livello di conglomerati costituiti in prevalenza da ciottoli di Verrucano (Nencini, 1983). Questo livello di ghiaie si trova intorno a 40 m di profondità in corrispondenza del sottosuolo di Bientina e di Calcinaia e presenta una leggera pendenza verso Ovest, così che raggiunge una profondità di 60 m nel sottosuolo di Stagno. La superficie inferiore di questo complesso sedimentario fluviale non compare come un semplice piano inclinato, ma è caratterizzata da solchi risalenti ad antichi percorsi fluviali a SW di Cascina e a Sud di Pisa (Fancelli et al., 1986; Della rocca et al., 1987; Federici e Mazzanti, 1988). Al di sopra del conglomerato dell’Arno e Serchio da Bientina i pozzi della pianura di Pisa hanno messo in

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evidenza dei sedimenti fluvio-lacustri attribuibili al passaggio dalla fase anaglaciale, di grande umidità ed approfondimento fluviale, alla fase cataglaciale del Wurm II, di clima più secco, in cui era prevalente la deposizione eolica (sabbie e limi di Vicarello) (Fancelli et al., 1986; Della Rocca et al., 1987). Dai pozzi che ricadono al di fuori delle aree in cui affiorano le sabbie e limi di Vicarello e che si spingono a 40 m di profondità si osserva la presenza di limi fluvio-palustri con lenti di torba, detti “di superficie” perché vengono ad affiorare nelle zone retrostanti il complesso dei lidi, tomboli e lame olocenici e marginalmente al complesso delle sabbie e limi fluviali. La deposizione di questi sedimenti, che raggiungono i 40 m, deve aver coinciso maggiormente con la fase olocenica di deglaciazione, ma in parte risale all’ultima fase di grande approfondimento wurmiano del livello del mare, che si è abbassato di circa 110 m rispetto a quello attuale (Fancelli et al., 1986).

2.2 Geomorfologia

Il comune di Vecchiano, nonostante comprenda un piccolo territorio, presenta paesaggi molto variabili tra loro. Dalla catena dei Monti d’Oltre Serchio, monti non per la loro altezza (circa 240 m), ma per la costituzione calcarea che conferisce loro una caratteristica pietrosità e pendii abbastanza ripidi, si passa ad aree pianeggianti che costeggiano il fiume Serchio e poi ad un’ampia fascia di cordoni sabbiosi del litorale. Lo sviluppo del tratto del Serchio che percorre la pianura di Pisa è legato alla tracimazione attraverso la stretta di Ripafratta, avvenuta non prima del Wurm II o Wurm I. Immagini satellitari e fotografie aeree hanno permesso di cogliere alcuni paleoalvei nel tratto terminale, quello che va da Pontasserchio al mare. Tali paleoalvei abbandonati, sia sepolti sia in superficie, testimoniano una serie di cambiamenti nel percorso del fiume e la maggior parte di essi si trova a sud del corso attuale del Serchio.

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Figura 2.2.1 Carta geomorfologia schematica della Pianura Settentrionale Pisana (Banti et al. 1988)

Dei tratti di alvei abbandonati che si vedono in figura 2.2.1, il più antico è quello sepolto che va da poco a Est di Pappiana fino a circa due chilometri a occidente di Gello. Molto probabilmente questo tratto risale al Wurm III, periodo in cui il Serchio passava per l’area in cui in seguito sarebbe sorta Pisa, proseguiva verso Sud-Ovest incidendo in due l’affioramento delle dune, risalenti al Wurm II, di Castagnolo e di Coltano, e poi andava ad immettersi in Arno, proprio a Nord-Ovest di questa località. Tra San Giuliano e Gello ci sono tratti meandriformi di un alveo fluviale superficiale che sembra dirigersi verso Pisa. E’ possibile che si tratti del corso dell’Auser indicato da Strabone e che ora non sia più rintracciabile a causa dell’espansione urbana verso Nord e Nord-Est. Per attribuire un’età ai tratti di alvei superficiali abbandonati è importante il fatto che il Fiume Morto inizia a essere conosciuto come tale a partire dal XII secolo. Questo indica che il Serchio aveva assunto il suo corso attuale, eccezione fatta per i meandri di Fiocina e Metato, il quale fu tagliato nel 1579 (Pardini, 1980). Il corso del Fiume Morto Vecchio risale all’alto medioevo e a questo

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corso apparteneva anche il tratto di alveo abbandonato che passa da San Iacopo e che avrebbe potuto riallacciarsi, a nord delle dune pleistoceniche del Palazzotto, a quello che è tutt’ora chiamato Fiume Morto Vecchio. Dalle fotografie aeree si notano altri alvei abbandonati nella zona di Pappiana che sembrano raccordarsi con il corso bassomedievale del Serchio e questo ci può far intuire che Vecchiano e Pontasserchio (prima chiamato “Veclano Liutri”) non erano staccati ed il fiume scorreva più a sud del corso attuale.

Mettendo in relazione i paleoalvei del Serchio e le zone in cui sono presenti le sabbie argillose di esondazione, di solito non lontane dai fiumi, possiamo confermare l’immissione del Serchio in Arno presso Pisa nel periodo romano. Poi il Serchio si è spostato verso Nord-Ovest saltando la depressione del Campaldo, zona, quest’ultima, che è rimasta più bassa in quanto distante sia dall’Arno che dal Serchio e che è stata maggiormente incisa durante il Wurm III dal corso del paleo Serchio. Infatti quella fu una fase in cui il livello del mare era molto inferiore rispetto ad oggi e ci fu, per condizioni climatiche anaglaciali, un forte approfondimento verticale degli alvei. A valle di Migliarino esiste un sistema litoraneo di lidi, dune e lame che si è costituito dal II secolo a.C. (Mazzanti e Pasquinucci, 1983) e che poi il Serchio ha lentamente tagliato. Il fiume, dopo un’ampia curva a destra, cambia direzione e va da Sud-Est a Nord-Ovest.

Le lame a destra del corso attuale mostrano la tendenza del fiume ad assumere tratti Nord-Nord Ovest in corrispondenza del tratto apicale della bocca a causa di una potente deriva litoranea. Quando poi questi tratti diventavano troppo lunghi la corrente principale del fiume li saltava per tornare a sfociare un po’ più a Sud e ciò che veniva abbandonato ha formato delle lame di lento colmamento. La grande quantità di torbide fluviali recate da Arno e Serchio ha portato allo sviluppo del litorale attraverso la formazione di una serie di barre sommerse separate da zone più depresse. Poi, per il sovraccumulo di materiali sedimentari, le barre sono emerse in lidi e su questi, per effetto dell’azione del vento, si sono formate le dune; mentre le zone più depresse sono rimaste sommerse a formare lagune costiere o lame di acqua dolce più interne. Questo è avvenuto con un andamento parallelo alla linea di costa, come si può vedere dai cordoni litoranei e dai fossi drenanti le antiche lame.

Fino a tempi molto recenti c’erano, nel comune di Vecchiano, ampie aree occupate da paduli. Essi si estendevano nell’area centro settentrionale, a sud del lago di Massaciuccoli, al piede occidentale del Monte di Vecchiano e nelle lame intradunali della fascia litoranea. La posizione di queste aree paludose, racchiuse tra il lago di Massaciuccoli a Nord, i Monti d’Oltre Serchio a Est, le sabbie dei cordoni litoranei a Ovest e le sabbie argillose di esondazione del Serchio a Sud, indica che il motivo principale della loro formazione è lo

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sbarramento al deflusso delle acque verso il mare ad opera dei cordoni litoranei. Le aree che oggi sono normalmente asciutte sarebbero di nuovo allagate se fosse interrotto o diminuito il pompaggio delle acque operato continuamente dalle idrovore. La tendenza generale del litorale della pianura di Pisa è di un netto arretramento, iniziato più di cento anni fa, che è più evidente alla foce dell’Arno con un apice deltizio appiattito e sommerso. Barre di foce sono presenti in corrispondenza dei due maggiori corsi d’acqua, l’Arno e il Serchio, gli unici che sono in grado di trasportare materiali solidi, anche delle dimensioni della sabbia e queste barre, specialmente dopo le piene, possono emergere ed ostruire i deflussi fluviali in mare. La tendenza all’arretramento di questi litorali dimostra che c’è una netta insufficienza degli apporti sedimentari fluviali.

In epoca olocenica, cui ha corrisposto un grande cambiamento climatico in senso temperato, si è avuto un cambiamento nelle dimensioni dei sedimenti. Ai ciottoli del Conglomerato dell’Arno e Serchio da Bientina si è sostituita la deposizione di depositi a granulometrie fini (sabbie) e molto fini (limi, argille). Questo è avvenuto durante l’innalzamento del livello del mare e i depositi clastici grossolani si trovano, nella pianura di Pisa, in profondità, mentre in superficie il cattivo drenaggio di limi e argille e i rialzi morfologici dei cumuli sabbiosi dei lidi e dune litoranei hanno facilitato la formazione di lagune e paludi. Il lato occidentale della pianura si è spostato verso oriente seguendo lo sviluppo della trasgressione eustatica olocenica, detta versiliana, fino a quando un incremento degli apporti detritici fluviali non ha determinato un avanzamento del litorale, nonostante il livello del mare abbia continuato a salire. Questa fase di avanzamento verso Ovest della pianura è durata, con una decelerazione nell’alto medioevo, fino verso la metà del secolo scorso e poi si è invertita a causa dello sfruttamento antropico dei materiali detritici fluviali, sia per colmare le paludi che, in seguito, come materiale da costruzione (Mazzanti e Pasquinucci, 1983).

L’Arno e il Serchio, prima di raggiungere Pisa, attraversano ampie conche lacustri ed è probabile che qui avvenga la maggiore deposizione di elementi clastici grossolani, impedendo così il rifornimento di materiale al litorale.

2.3 Idrogeologia

L’assetto idrodinamico delle acque sotterranee dipende dalle formazioni permeabili del sottosuolo pisano e dalle acque dolci e marine che vi si insediano. Le acque del sottosuolo

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della pianura provengono, oltre che dalle piogge, da falde in collegamento con il Monte di Vecchiano e, in vicinanza del mare e in profondità, dal cuneo di penetrazione delle acque marine. Apporti superficiali di torrenti non esistono e quelli del Serchio sono molto scarsi, fatta eccezione per rare esondazioni, che in passato sono state anche disastrose, ma che ora sono meno frequenti per il rinforzamento degli argini.

A differenza di molte altre pianure litoranee createsi in periodo postglaciale, in cui il complesso dei depositi alluvionali raramente supera i cento metri di profondità, le informazioni incoerenti della Pianura di Pisa hanno in gran parte origine molto più antica, risalendo alle deposizioni conseguenti ad un vasto movimento orogenetico che aveva provocato localmente, verso la fine del Miocene, l’innalzamento del massiccio dell’attuale Monte Pisano e lo sprofondamento delle aree verso il Tirreno. (Mazzanti, 1994) Questo sprofondamento provocò l’immersione in mare del substrato preneogenico che ora si trova in corrispondenza di Marina di Pisa a circa 2000 m di profondità ed il successivo graduale colmamento del litorale, dovuto all’inizio ai sedimenti lacustri e marini e poi al trasporto solido dei corsi d’acqua tributari (Arno, Serchio e rete idrica minore) (Ghelardoni et al. 1968). Gli ambienti e le forme in cui è avvenuta la sedimentazione e il tipo di materiale depositato hanno provocato una differenziazione idrogeologica delle formazioni della serie stratigrafica e ciò comporta una variazione della permeabilità e di altre caratteristiche idrodinamiche tra i vari livelli del sottosuolo. Tale differenziazione esiste anche in senso orizzontale, in funzione della distanza dal mare e dai corsi d’acqua tributari di sedimenti. Il movimento delle acque, la loro quantità e qualità dipendono quindi dalla geometria dei vari acquiferi che si sono formati, dalle loro caratteristiche idrodinamiche e dalle continuità idrauliche che ci sono tra di loro e le aree di alimentazione meteorica superficiale e marina. Il deflusso delle acque sotterranee dipende dal livello del mare che, in funzione della permeabilità dei bacini, regola anche la pressione piezometrica e, quindi, determina la differenziazione in falde freatiche o in pressione. Gli acquiferi in cui avviene la circolazione ipogea della Pianura di Pisa sono costituiti da strati di livello variabile, ciascuno caratterizzato da differenti valori dei coefficienti di permeabilità e di immagazzinamento, e a volte si presentano discontinui e lenticolari. Solo le acque che circolano in orizzonti continui ed omogenei hanno caratteristiche di falda ben definibili, mentre per gli acquiferi che sono tra di loro più o meno interconnessi è difficile individuare le variazioni piezometriche e gli eventuali scambi idrici. Le condizioni geologiche della sedimentazione hanno fatto sì che si formassero acquiferi migliori e di maggior potenzialità in determinate zone ed a profondità preferenziali. Esistono così varie falde sovrapposte che possono essere

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tra loro coalescenti e ciascuna è caratterizzata da una propria piezometria, legata, questa, alle caratteristiche idrodinamiche degli acquiferi, alle zone di alimentazione, alle zone di fuga e alle opere di captazione delle acque.

La pianura è caratterizzata, un po’ ovunque, da una prima falda superficiale freatica che è alimentata direttamente dalle precipitazioni ed è in scambio idrico con la rete idrica minore. Questa falda non è molto ricca ma è sempre presente nelle sabbie dunari, dove è in contatto con le acque marine sottostanti. In prossimità del mare si può trovare ad una profondità di qualche decimetro, fino ad affiorare nelle depressioni dove crea specchi d’acqua perenni o stagionali, favorendo anche una copertura stagionale spontanea, mentre verso l’interno, tale falda, la possiamo trovare ad una profondità di qualche metro. Le falde in pressione sono più profonde, hanno sede in acquiferi sovrapposti e le loro altezze piezometriche, anche se differenti, in genere non sono risalienti al di sopra del piano di campagna. L’andamento altimetrico dell’acquifero e della falda tende a decrescere verso la costa, inoltre il tetto dell’acquifero è molto più irregolare rispetto alla superficie piezometrica della falda a causa delle differenze di deposizione. La falda risulta essere più regolare in ragione delle perdite di carico dell’acqua, che crescono gradualmente con il defluire delle acque sotterranee verso il mare. Per la specificità delle falde in pressione abbiamo anche che i livelli della falda sono ovunque più alti rispetto al tetto dell’acquifero. (Dini, 1976)

Il contatto tra imponenti dune sabbiose formatesi all’epoca della sedimentazione quaternaria e livelli permeabili sottostanti più estesi può portare ad un collegamento idraulico degli acquiferi fino al piano di campagna. Da questo deriva un passaggio di acque tra le diverse falde che si può estendere fino in superficie, ma non si crea nessuno scompenso idrogeologico, in quanto le differenze di livello piezometrico tra le varie falde collegate, sono in genere molto piccole. Questa situazione però, rende le acque profonde più vulnerabili all’inquinamento e può essere riscontrata in corrispondenza delle dune di San Rossore e di quelle di Coltano.

La situazione stratigrafica può differire dal quadro generale fin qui fatto, a seconda della zona presa in considerazione, ma può essere specificata solo dove adeguate prospezioni forniscono gli elementi necessari alla sua ricostruzione.

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Figura 2.3.1: Schema della circolazione ipogea in corrispondenza del lago di Massaciuccoli (Ghezzi, 1986)

La figura 2.3.1 mostra la circolazione idrica ipogea di una sezione ortogonale al mare, passante per il lago di Massaciuccoli. Si osservano le varie forme di alimentazione delle acque sotterranee: piogge che si infiltrano nei terreni permeabili, una alimentazione dalle formazioni pre-plioceniche dei rilievi collinari che bordano la pianura litoranea, una intrusione di acqua marina che si mescola alle acque dolci mentre defluiscono in mare. (Ghezzi, 1986)

Dalle situazioni idrogeologiche esposte si possono trarre alcune considerazioni:

· Le acque superficiali facenti parte della rete idrica minore sono in contatto diretto con la falda freatica, ma questa assume interesse dove in superficie ci sono terreni più o meno permeabili, come ad esempio terreni sabbiosi. Con questo tipo di terreni avvengono scambi attivi, fra acque superficiali e sotterranee, che possono essere di ravvenamento o di drenaggio.

· La circolazione idrica superficiale influenza la circolazione ipogea solo dove i terreni permeabili superficiali sono in contatto con acquiferi più profondi ed è in questi casi che gli scambi fra acque superficiali e sotterranee possono interessare le falde inferiori. · Poiché gli alvei del Serchio e dell’Arno sono in genere scarsamente permeabili, gli

scambi tra le acque di questi fiumi e quelle sotterranee avvengono molto difficilmente. Inoltre tali scambi sono maggiori se andiamo verso monte, dove i materiali alluvionali subalvei sono più grossolani. Esempi sono rappresentati dai pozzi dell’acquedotto di

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Filettole, sul Serchio, e dalle possibili influenze delle piene dell’Arno sui livelli delle acque di Uliveto. (Cavazza, 1975)

2.4 Idrologia

La pianura di Pisa è costituita da un ventaglio di terreni che partono dal corso dell’Arno ai piedi del Monte Pisano e si allargano, degradando verso il mare, da Livorno fino a Viareggio. Alle spalle del Monte Pisano troviamo la pianura di Bientina, che si collega, morfologicamente e idraulicamente, alla Pianura di Pisa. Intorno a tali pianure si innalzano rilievi montani (Monte Pisano) e collinari (colline Livornesi, Pisane e delle Cerbaie) che creano una corona non molto ampia di bacini imbriferi tributari (Cavazza, 1975). Più importanti e più ampi sono i bacini imbriferi dei due fiumi principali, l’Arno che divide in due la pianura, e il Serchio che la lambisce a settentrione. I soli bacini di questi fiumi coprono un territorio di circa 10 mila km2, tuttavia l’idrologia della Pianura di Pisa è condizionata maggiormente dalle acque dei bacini minori che la circondano ai suoi margini e dalle acque meteoriche. Da questo deriva una presenza diffusa di acque lentamente fluenti e stagnanti e una grande abbondanza di falde sotterranee.

La vicinanza al mare accentua l’umidità della pianura e il livello di questo regola il moto delle acque, sia superficiali che sotterranee. Il sistema ambientale è quindi interconnesso agli idrosistemi marino e continentale, a quelli superficiale e sotterraneo e all’influenza che c’è tra l’ecosistema naturale e quello antropico. Le caratteristiche delle acque superficiali della pianura variano a seconda che si tratti dei deflussi dell’Arno e del Serchio, delle acque in circolazione nella rete idrografica minore e nei tronchi terminali dei canali direttamente collegati al mare.

Le acque dell’Arno e del Serchio hanno il regime tipico dei grandi bacini appenninici, con piene che possono essere violente e lunghi periodi di esaurimento. La parte terminale dei loro corsi d’acqua è caratterizzata dalla presenza di acque marine sul fondo degli alvei e queste si possono spingere nell’entroterra per vari chilometri. Le portate dei due fiumi principali che solcano la pianura rappresentano la maggior parte delle acque in circolazione nel territorio, ma defluendo molto velocemente in mare caratterizzano in minima parte gli aspetti idrici della pianura, regolati soprattutto dalla rete idrografica minore, che è, allo stato attuale, quasi completamente costruita dall’uomo. (Cavazza, 1975). La rete idrica minore

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comprende i torrenti e i fossi collinari che alimentano direttamente alcuni canali, le acque meteoriche che ruscellano sui terreni e defluiscono nei colletori, le acque percolate nei terreni della pianura e poi drenate dai canali di bonifica. Nelle zone in cui la quota è inferiore al livello medio del mare i canali drenano dai terreni anche acque di provenienza marina mescolate alle acque dolci. Le acque superficiali della pianura di Pisa tendono ad accumularsi generando paduli e lame, che rappresentano le ultime tracce di più ampi specchi d’acqua che si erano creati nei millenni più recenti tra le conoidi di sedimentazione delle acque di piena del Serchio e dell’Arno ed i cordoni sabbiosi litoranei.

2.4.1 Il Serchio e l’Arno

Il Serchio è alimentato da un bacino imbrifero di 1400 km2 e su di esso le precipitazioni sono particolarmente abbondanti. Il fiume entra nella pianura litoranea dopo aver oltrepassato la stretta di Ripafratta, scorre per qualche chilometro ai piedi del Monte Pisano e poi, da Vecchiano, si dirige verso il mare, che raggiunge dopo circa 12 km.

L’antropizzazione del bacino montano, che presenta un complesso sistema di utilizzo delle acque per la produzione di energia elettrica, si riflette sul regime dei deflussi, alterato rispetto alle condizioni naturali in funzione delle portate utilizzate dalle centrali idroelettriche. Il deflusso annuo medio del Serchio alla foce è stimato in circa 1750 milioni di m3. In condizioni di regime naturale il fiume avrebbe una portata massima a dicembre di circa 100 m3/s ed una minima a agosto di circa 13 m3/s, e trasporterebbe alla foce, mediamente ogni anno, circa 380 mila tonnellate di sedimenti terrosi, che contribuirebbero al ripascimento dei litorali (Cavazza, 1984). Attualmente si stima invece che arrivino in mare circa 23 mila tonn./anno, a causa dei bacini artificiali che trattengono gran parte del sedimento. Questa riduzione di apporto terrigeno si riflette sulla morfologia della foce, infatti i depositi trasportati lungo il litorale, fino a ridosso del porto di Viareggio, sono quelli dell’Arno, che quindi tendono a deviare verso settentrione la foce del Serchio e a sbarrarla in un cordone litoraneo. Solo quando è in piena il Serchio riesce a liberare la foce da tale cordone e a defluire normalmente verso il mare. La zona in cui scorre il tratto terminale del Serchio ha la caratteristica di essere molto bassa: 5 m a Pontasserchio e a Vecchiano, 4 m a Malaventre, 3 m al Podere Storrigiana, 1 m alle Case di Marina. Il cadente anche nella fascia prossima al fiume è molto debole (5 m in 11 km), ma è sufficiente per consentire alle acque del fiume stesso di scorrere verso il mare; mentre quelle della campagna drenano molto lentamente verso le aree più basse, intorno e nel Lago di Massaciuccoli. A valle del

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Podere Isola, invece, finiscono nei fossi delle Acquechiare, Poderi e Biancalana, per essere immesse poi nel Serchio in prossimità della foce.

Il bacino dell’Arno è molto più ampio e importante, infatti si estende su circa 8200 km2 e anche su esso è esercitata una forte pressione antropica che influenza, non tanto il regime delle portate, quanto la quantità e la qualità delle acque. La capacità di invaso dei serbatoi artificiali non è elevata, quindi è minima la differenza tra il regime delle portate naturali e quello delle portate reali. I prelievi d’acqua per usi antropici e, soprattutto, gli scarichi di tipo urbano, industriale e agricolo hanno, invece, molta influenza sulla qualità delle acque dell’Arno (Cavazza, 1986).

2.4.2 La rete idrica minore

La pianura di Pisa è solcata da una fitta rete di corsi d’acqua i cui bacini tributari sono di difficile determinazione, sia per le scarsissime pendenze del terreno, sia per i drastici condizionamenti esercitati sul territorio e sugli alvei dagli insediamenti, dalla bonifica e anche dalle vie di comunicazione. La maggior parte dei corsi d’acqua ha dei tracciati imposti dall’uomo e sono pochi quelli che oggi hanno un andamento naturale, situati soprattutto nei tronchi pedemontani ai margini della pianura o tra i cordoni dunari litoranei. In generale i corsi d’acqua di maggior rilievo seguono, orientativamente, il loro percorso naturale, anche se è stato canalizzato e rettificato (Cavazza, 1975). La rete minore è sfruttata principalmente per lo smaltimento delle acque locali, ovvero i deflussi collinari, gli afflussi meteorici che cadono direttamente in zona, gli scarichi di acque usate per usi antropici, le acque di drenaggio della falda freatica e anche le acque di intrusione marina che stazionano nei livelli inferiori degli alvei più profondi.

I vari interventi umani, destinati al recupero agricolo delle terre e al miglioramento delle condizioni di vita, hanno portato ad una diminuzione dei percorsi idrici e le reti idrauliche hanno assunto schemi geometrici con emissari orientati prevalentemente verso il mare. Le acque superficiali della pianura, eccetto quelle dei fiumi Arno e Serchio, hanno drenaggio lento e difficile, dipendente in gran parte dal pompaggio delle idrovore. La parte centrale infatti è stata prosciugata da operazioni che si sono succedute nel corso di centinaia di anni e oggi è mantenuta asciutta da una serie di canali e di fosse minori i cui assi portanti sono costituiti dal sistema Traversagna-Catersana-Crociale e da quello Barretta-Barra, facenti capo alle due idrovore che scaricano nel Lago di Massaciuccoli e sono dette di Vecchiano e di Massaciuccoli. Solo le porzioni più meridionali di questi sistemi hanno deflusso

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spontaneo. Un fosso delle Acque Alte drena la zona un poco più alta dei terreni più vicini al Serchio e immette nella Barretta. Altri fossi provvedono a drenare le aree immediatamente sottostanti il Monte di Vecchiano, ricche di acque che sgorgano dalla circolazione carsica, e sono il Fosso Maestro che immette nel Bellino, il quale porta alle idrovore e la Fossa Nuova che, attraverso il Fossaccio, scarica nel lago.

2.5 Cenni storici sulla fruizione del territorio

Per risalire alle più antiche presenze umane sul territorio di Vecchiano, il quale presenta coste acquitrinose che hanno subito nel tempo fenomeni di subsidenza e numerose ingressioni e regressioni marine, gli studi paleontologici si sono indirizzati soprattutto verso le grotte, le quali potevano fornire una sequenza diacronica delle culture. Gli scavi condotti dal centro di Studi Archeologici di Lucca, dal Gruppo Archeologico “A. C. Blanc” e dalla Soprintendenza Archeologica per la Toscana fra il 1975 e 1980 hanno evidenziato un uso delle cavità naturali come luogo di sepoltura da parte delle popolazioni neolitiche e dell’età del Bronzo (III-II millennio a.C.). Tali rinvenimenti non permettono di determinare in modo preciso l’utilizzazione del territorio, ma sicuramente saranno state svolte le attività di caccia, pesca e raccolta.

Dalla fine del III sec. a.C. e fino alla prima metà del III sec. a.C. la fascia costiera che va dall’Arno alle Alpi Apuane è stata popolata dagli Etruschi i quali vi crearono insediamenti portuali, in aree lagunari e alla foce dei corsi fluviali, che servivano da scalo per le navi che raggiungevano i mercati liguri, provenzali e della Spagna meridionale. Dopo il declino degli Etruschi non ci sono informazioni che ci aiutino a definire gli insediamenti nell’area oggetto di studio, almeno fino alla fine del I sec. a.C. Sul litorale erano situati porti usati come approdo per attività commerciali e militari, infatti Pisa era una base militare romana, e nell’entroterra si trovavano piccoli insediamenti ad economia agricolo-pastorale, oltre che caccia e pesca. Fra il 42 e il 27 a.C. Ottaviano determinò un riassetto della città e del territorio pisano che fu sottoposto a centuriazione. Le fattorie che vennero costruite furono inserite nel sistema centuriale e furono attive fino al V sec. d. c. provvedendo alla sussistenza e alla commercializzazione dei prodotti agricoli.

Grazie a testimonianze documentarie e cartografiche e alla fotografia aerea possiamo fare un quadro ben definito degli insediamenti presenti nel territorio in epoca medievale. La

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documentazione permette di cogliere la bonifica delle paludi e la messa a coltura dei terreni, in connessione con lo sviluppo dell’insediamento e con la viabilità fluviale e terrestre. I rilevamenti demografici di Marco della Pina mostrano un aumento della popolazione tra il XVI e il XVII sec. e tale popolamento ha come asse di sviluppo il corso del Serchio (Della Pina, 1984). I villaggi di San Frediano, Avane, Filettole e Nodica, oggi tutti nel comune di Vecchiano, si attestavano su un territorio diversificato da un punto di vista geomorfologico, esteso in parte nella fascia collinare lungo il Serchio, in parte nella pianura che va dal fiume al lago di Massaciuccoli. Le realtà agrarie che si trovavano sul territorio in quel periodo sono rimaste invariate ed erano rappresentate da colture boschive e pascolo nelle zone a maggior declività, da coltivazioni arboree nella bassa collina, da coltivazioni agricole nelle zone alluvionali affrancate dalle acque del Serchio e del padule e, infine, da risorse venatorie e ittiche nelle zone paludose. La caccia e la pesca rimangono, per la popolazione, un’importante risorsa destinata all’autoconsumo o al supporto e al completamento dell’attività agricola. Ad un così vario assetto territoriale corrispondono diversi modi e sistemi insediativi che si differenziano per densità, morfologia dell’abitazione e per l’impiego di materiali da costruzione. Negli ultimi decenni del ‘700 il Granduca Pietro Leopoldo scrive: “La campagna di là dal Serchio è sufficientemente coltivata e popolata… .le case sono tutte lungo il Serchio ed i terreni delle comunità formano una striscia la quale principiando da monti d’Avane va fino a Migliarino, parallela al Serchio e larga due miglia, la quale è molto ben coltivata e piantata di alberi, poi vi è una striscia di semente a grani e sagine senza alberi e finalmente le pasture che formano le gronde del padule e poi il padule medesimo”. (Banti et al. 1988)

I piccoli centri abitati, che nel medioevo sorgevano intorno alle chiese e sui luoghi fortificati, sono diventati la matrice di insediamenti sparsi nelle zone di pianura asciutta. Alla fine del XVIII sec. la zona più popolata è la pianura e presenta diversi tipi di abitazione. Ci sono le fattorie con gli edifici agricoli e le abitazioni raggruppati l’uno accanto all’altro, ci sono le grandi tenute, come a Migliarino e Vecchiano, ci sono insediamenti sparsi derivanti dall’esistenza di proprietà parcellizzate. Si sviluppano, intorno alla corte, nuclei abitativi con infrastrutture locali di uso collettivo, dove però una compartimentazione degli spazi assicura l’individualità di ogni famiglia. Sul padule troviamo le capanne dei pescatori che vi permangono fino al XIX sec.

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2.5.1 Le carte dell’Archivio Salviati

Per la conoscenza più approfondita del territorio comprendente la foce del Serchio sono di fondamentale importanza le carte dell’Archivio Salviati; tali carte, nate per rappresentare l’estensione dei possedimenti delle grandi fattorie Salviati di Migliarino e di Vecchiano, sono un prezioso documento perché ritraggono un gran numero di particolari riguardanti le condizioni geografiche, fisiche e antropiche della zona e la loro evoluzione dalla seconda metà del XVII a quella del XIX secolo. Tre di queste carte sono riportate nelle figure 2.5.1, 2.5.2 e 2.5.3.

Tutto il materiale dell’Archivio Salviati (5000 registri di commercio e amministrazione patrimoniale,600 pergamene dal secolo XII al secolo XVIII, una miscellanea di 300 buste, 292 mappe e disegni) è stato affidato nel 1984 dalla famiglia Salviati all’Archivio di Stato di Pisa e depositato presso la Scuola Normale Superiore. Tale archivio è un documento di grande importanza, in quanto la famiglia Salviati, di origine fiorentina, ebbe un ruolo di rilievo nella storia toscana e si distinse anche nello scenario italiano ed europeo del Quattro-Cinquecento, sia per le attività commerciali e bancarie che svolgeva, sia per gli stretti legami con la famiglia Medici.

La costituzione del consistente patrimonio fondiario nel pisano da parte dei Salviati ha inizio dalla metà del ‘400, infatti si hanno notizie che avevano grossi interessi commerciali che nel 1440 avevano portato alla nascita di un loro banco di commercio in Pisa. La scelta di acquisire territori nella pianura che si estende alla destra del fiume Serchio, rispecchiava la tendenza delle famiglie fiorentine benestanti di quell’epoca di andare alla ricerca di terreni caratterizzati da una situazione ambientale degradata, scarsamente coltivati e bisognosi di bonifica; queste caratteristiche infatti li rendeva disponibili immediatamente e a basso prezzo.

I beni che compongono attualmente la tenuta di Migliarino appartenevano alla famiglia pisana degli Orlandi e alla chiesa di S. Niccolò di Migliarino e una parte furono ottenuti dalla Mensa Arcivescovile. Un componente della famiglia che acquistò tra i primi una parte consistente di terreni fu Jacopo di Giovanni Salviati, genero di Lorenzo il Magnifico nel 1521. I proventi di Migliarino furono legati per lungo tempo alla rendita della macchia (la cui estensione era stimata nel 1721 in oltre 29000 staiora, cioè circa 1500 ha, di cui oltre il 50% derivava dal livello di S. Niccolò) ed a una grossa attività di allevamento del bestiame e dei suoi prodotti. Queste informazioni sull’utilizzo del territorio ci fanno dedurre che fino a quel momento la natura del terreno a macchia e pastura, in parte paludoso, non mutò, e questa situazione restò invariata fino alla fine del ‘700, in quanto queste condizioni e il fatto

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che la proprietà fosse condotta in affitto non avevano stimolato una vera e propria organizzazione di fattoria. Nel 1711 ci fu il passaggio dal ramo romano a quello fiorentino della famiglia Salviati, la tenuta fu disegnata da Vittorio Anastagi, ingegnere dei Capitani di parte di Firenze, questa purtroppo non si è conservata, ma ci è giunta la raffigurazione degli edifici citati e si può capire che ne esistevano solo pochi, testimonianza della scarsa attività umana. La situazione appare lievemente mutata nel 1783, anno in cui fu fatta una stima della tenuta da cui si rileva un incremento dei terreni coltivati, soprattutto quelli a viti e a pioppi, e un ampliamento degli immobili per uso amministrativo. Un maggiore impulso alla trasformazione di questo territorio da parte dei Salviati, si riscontra dopo l’acquisto della fattoria granducale di Vecchiano che era stata precedentemente affittata da Averardo Salviati, poi ceduta dallo Scrittoio delle Possessioni, nel 1784, al cardinale Gregorio Salviati. Insieme alla fattoria infatti, vengono acquistati anche molti terreni che comprendono un uliveto, una vasta estensione di prateria, e una altrettanto vasta estensione di paludi, che “dalla prateria arrivano allo stato Lucchese, al Lago di Massaciuccoli e al padule di Migliarino” (A.S., Buste I, 155, fasc.27, Memoria della fattoria di Vecchiano e Ibidem, fasc. 14, libri di commercio e di amministrazione patrimoniale, V, 11, cc.8-10). Per Migliarino gli interventi più significativi di bonifica iniziano proprio in questo periodo, cioè ala fine del ‘700, con il passaggio dei beni alle eredi del Cardinale Gregorio Salviati, Anna Maria Salviati Borghese e Laura Salviati Duchessa d’Atri. E’ da questo momento che il territorio subisce una serie di trasformazioni sostanziali, riscontrabili nella produzione di carte, che in questo periodo si intensifica. Nel 1797, sotto la direzione dell’ingegnere Caluri e la supervisione dell’Ufficio dei Fiumi e Fossi di Pisa, si arrivò alle colmate di una larga zona della tenuta (la prima in località Le Tagliatelle, Tagliate, Serchio Vecchio, Lama di Biagio, l’Ugnone, la Romita A.S., libri di commercio e di amministrazione patrimoniale, V, 123, Entrata e uscita della colmata che si fa a Migliarino) che permetteranno nei decenni successivi, quando la proprietà passa a Camillo Borghese e poi successivamente al fratello Francesco Borghese Aldobrandini, il costituirsi di una vera e propria organizzazione di fattoria con più di 300 poderi concessi a mezzadria. Alla morte di quest’ ultimo, nel 1839, il patrimonio Salviati di toscana passò ai suoi tre figli: Marco Antonio principe Borghese, Camillo Borghese principe Aldobrandini e Scipione Borghese duca Salviati, dai quali venne in gran parte venduto fra il 1843 e il 1848. Successivamente fu fatta una transazione e il proprietario rimase il terzogenito Scipione, al quale nel 1850 furono assegnati tra l’altro, la fattoria di Vecchiano e la tenuta di Migliarino. Il duca decise di impiegare un grosso apporto di capitali per il miglioramento, sia dal punto di vista agricolo che edilizio, della proprietà.

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A lui si deve la trasformazione della macchia di Migliarino fatta dall’agronomo austriaco Keller, il quale in circa un trentennio, a partire dal 1854, portò a termine i lavori di bonifica idraulica e forestale, tramite la divisione della macchia in compartimenti quadrati, la realizzazione di un reticolo di strade regolari e l’impianto del pino domestico che poteva offrire una buona rendita. I lavori interessarono anche il nucleo abitativo intorno alla vecchia fattoria, con la realizzazione della grandiosa villa padronale, e di una serie di edifici destinati alla vita sociale della comunità che dipendeva dalla tenuta come la nuova chiesa, la canonica in parte adibita a scuola maschile, il convento con la farmacia, l’asilo e la scuola femminile, gestiti dalle suore di Carità.

Figura 2.5.1: Pianta di una porzione della Tenuta di Migliarino con i suoi scoli e i paduli circostanti, n° 174, (Anonimo, 1679), Centro Archivistico della Scuola Normale Superiore di Pisa, Archivio Salviati.

La mappa rappresentata in figura 2.6.1 segnala la “Fossa Nuova di Valdestrat” che si affianca alla Fossa Magna. Si trattava di un tentativo, purtroppo fallito, di prosciugare i terreni di parte del Padule Maggiore utilizzando canali e idrovore azionati dal vento (Codini & Sbrilli, 1993).

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Figura 2.5.2: Pianta della Tenuta di Migliarino appartenente a S. Em. Za il S.re Cardinale Duca Salviati fatta nell’anno 1792 in occasione di doversi destinare per Caccia Regia, n°181, (Giovanni Caluri ingegnere, 1792), Centro Archivistico della Scuola Normale Superiore di Pisa, Archivio Salviati.

La carta di figura 6.5.2 mette in evidenza le aree boscate , distinguendole dalle “chiuse” e dagli spiazzi all’interno del bosco. Molta attenzione è prestata anche ai sentieri, alle strade e alle aree agricole (Codini & Sbrilli, 1993).

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Figura 2.6.3: Pianta dimostrativa delle Pasture di Migliarino, n°178, (Anonimo, sec. XVIII), Centro Archivistico della Scuola Normale Superiore di Pisa, Archivio Salviati.

Il disegno mostra i terreni a pascolo all’interno della Tenuta di Migliarino, che comprendevano anche un podere della Mansa Arcivescovile di Pisa allivellato ai Salviati e un altro podere appartenente alla famiglia Citti, con vedute prospettiche della casa di fattoria dei Salviati, della chiesa di Migliarino, della torretta di Filicaia (Cod ini & Sbrilli, 1993).

2.5.2 L’uso della foce del Serchio nel ‘900

L’incremento della presenza umana alla foce del Serchio, dagli inizi del novecento fino ad oggi, può essere messo in relazione sia con lo sviluppo del polo abitativo di Migliarino, che con l’avvento di nuove infrastrutture nell’area.Il formarsi di un nucleo abitativo più consistente ebbe inizio, come visto in precedenza, nella metà del 1800, e questo si è accresciuto ulteriormente nel 900. Gli abitanti erano inizialmente i contadini che lavoravano per la famiglia Salviati, ma anche i pescatori che tenevano le loro imbarcazioni lungo il tratto terminale del fiume e le persone che pensavano a traghettare persone e merci da una parte all’altra del fiume stesso, prima che venisse costruito il primo ponte di Migliarino. Questo, che inizialmente prese il nome di “Ponte presso Arbavola” (figura 2.5.4), fu

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costruito nel 1856 insieme alla nuova strada che portava da Viareggio a Pisa. A seguito dell’apertura del ponte in pochissimi anni la mole dei traffici era così aumentata che sorsero case, osterie e altri servizi.

Figura 2.5.4: foto del “Ponte presso Arbavola” all’ora di punta

La neonata ferrovia Pisa-Spezia chiese ed ottenne, dalla “Società anonima per la gestione del ponte”, di far transitare i convogli sulla metà della carreggiata della massiccia costruzione in pietra, ma dopo pochi anni si decise per un nuovo ponte in ferro solo per i treni, dato l’aumento del traffico veicolare e di quello ferrato che rendeva insicura l’opera. Dalla stazione partivano carri merci carichi di pinoli lavorati nella grande pinolaia dei Duchi, carri di carciofi coltivati nel piano (che erano fra i più ricercati d’Italia), enormi quantità di barbabietole da zucchero e di spinaci. Il paese continuava così a crescere e infatti vennero costruiti: un mercato ortofrutticolo, la sede della pubblica assistenza, le case popolari ed anche strutture di svago come il Teatro del popolo. Un nuovo assetto alla zona fu dato agli inizi degli anni ’50 dal tracciato della nuova Aurelia, che va dalla discesa del ponte sul Serchio fino al passaggio a livello di Mezzamacchia, saltando la vecchia strada che lambiva la fattoria dei Salviati. Alla nuova Aurelia è stata poi collegata la nuovissima autostrada Firenze-Mare, che senza dubbio ha reso più facile l’accesso a tutta la costa che va da Vecchiano fino all’alta Versilia da parte degli abitanti dell’entroterra toscano, e ha conseguentemente aumentato nella stagione estiva la presenza antropica sulla foce del Serchio. In prossimità della foce è presente un altro piccolo agglomerato di case che un tempo era chiamato le “Case di Marina”, ed oggi può essere abbinata alla nuova realtà balneare del comune di Vecchiano “Marina di Vecchiano”. Questa località era sempre stata

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un podere Salviati, dove era situata una fornace, per la disponibilità in vicinanza delle argille portate dal Serchio, e dove venivano fabbricati tutti i mattoni occorrenti alla costruzione delle case coloniche ducali.

Durante la seconda Guerra Mondiale, nella preparazione degli equipaggi della Decima Mas (reparto degli assaltatori italiani), si costituì una base segreta in Bocca di Serchio, situata vicino alla Tenuta di San Rossore. In una zona appartata e selvaggia gli assaltatori vivevano in comunità tra un allenamento e l’altro. I primi SLC (siluri a lenta corsa) vennero costruiti nel 1935 e in pratica erano dei siluri cavalcati da due assaltatori con respiratori ad ossigeno che permettevano la navigazione in immersione. Una volta raggiunto il bersaglio la testa del siluro (due quintali di tritolo) veniva sganciata e attaccata, al limite lasciata sotto, la nave nemica. Le prime esercitazioni fatte in Bocca di Serchio servivano per prendere o mantenere la padronanza del mezzo e per sperimentare nuove tattiche di attacco. Gli SLC, chiamati anche maiali (figura 2.5.5) dagli assaltatori, non avevano grande autonomia, per cui venivano normalmente portati in zona da un sommergibile e gli assaltatori erano allenati a portare cariche esplosive a nuoto che consentissero l’affondamento o il danneggiamento delle navi. Molto probabilmente per il trasporto del materiale bellico, veniva utilizzata una linea ferroviaria a scartamento ridotto che congiungeva Viareggio a questa zona, come è visibile da una carta topografica (scala 1:250000) del 1939 (figura 2.5.6)

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Ferrovia a scartamento ridotto

Figura 2.5.6: carta topografica del 1939

Per quanto riguarda il periodo di tempo che va dal dopoguerra ad oggi non sono presenti molte documentazioni che riferiscano il tipo di fruizione presente in Bocca di Serchio. Tale fruizione, comunque, è stata

per anni limitatissima, a causa della “fama” di sito ambientalmente degradato, acquisita prima della riqualificazione del territorio, ed anche a causa della difficoltà di accesso alle sponde. L’accesso alla riva destra, infatti, era subordinato ad autorizzazione delle proprietà private coltivate e recintate che, in questo tratto, raggiungono il ciglio dell’acqua. Con il progredire della riqualificazione del fiume e con l’apertura nel 1967 della “via del mare”, si è avuta una vera e propria invasione incontrollata della sponda destra del Serchio, con un conseguente aumento del traffico veicolare per accedere alle spiagge.

A Marina di Vecchiano esiste

oggi un poligono di tiro militare che opera su

un’area, di circa un ettaro, data in concessione al Ministero della difesa dal 1961 e che rappresenta l’ultimo residuo di utilizzo militare di tutta l’area compresa da Viareggio fino a Bocca di Serchio. Il poligono è a servizio di tutta la regione militare tosco-emiliana e viene

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utilizzato tra il 10 Ottobre e il 30 Aprile, mentre rimane inattivo in corrispondenza della stagione balneare. Alla fine di ogni esercitazione è prevista la bonifica del poligono da bossoli, proiettili e sagome. Il Parco Naturale di Migliarino-San Rossore-Massaciuccoli è meta di visite a carattere escursionistico per la presenza di specie animali e vegetali caratteristiche e certamente la presenza del poligono e l’uso militare di quell’area sono incompatibili con il valore ambientale e naturalistico del territorio.

Oggi l’area del comune di Vecchiano ha la strana caratteristica di essere ampiamente antropizzata, nonostante sia, nell’insieme, assai poco popolata. I centri abitativi (Filettole, Avane, Vecchiano, Nodica, Malaventre, Migliarino) fiancheggiano il corso del Serchio e nel resto dell’area comunale ci sono solo case padronali e coloniche sparse e molto distanti tra loro. Questa disposizione è dovuta al fatto che i terreni delle alluvioni vicino al Serchio hanno buone caratteristiche agricole e inoltre i paduli si estendevano, fino a poco tempo fa (anni ’30), per gran parte della pianura centrale.

Figura

Figura 2.1.1: carta geomorfologica schematica della Pianura di Pisa e dei rilievi contermini  (Mazzanti, 1994)
Figura 2.2.1 Carta geomorfologia schematica della Pianura Settentrionale Pisana (Banti et al
Figura 2.3.1:  Schema della circolazione ipogea in corrispondenza del lago di Massaciuccoli  (Ghezzi, 1986)
Figura 2.5.1: Pianta di una porzione della Tenuta di Migliarino con i suoi scoli e i paduli circostanti,  n° 174, (Anonimo, 1679),  Centro Archivistico della Scuola Normale Superiore di Pisa, Archivio  Salviati
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