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CAPITOLO 3

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Area di studio

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LAME DI FUORI

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Area di studio

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3.1

Descrizione dell’area di studio e sua collocazione

La Tenuta di San Rossore è situata ad ovest della città di Pisa (43°41’N, 10°19’E) (cartina 3.1). La superficie complessiva è di 4650 ha, di cui 979 risultano aree agricole recintate inaccessibili agli Ungulati della Tenuta. La sua lunghezza nord-sud varia da circa 7 km (lato est) a 11.5 km (linea di costa, lato ovest) e la sua larghezza è di circa 5.5 km. I limiti nord e sud sono rappresentati rispettivamente dal fiume Serchio e dal fiume Arno, il limite occidentale è dato dal Mar Ligure e quello orientale da una recinzione che corre da nord a sud, costeggiata da un fossato per quasi tutta la sua lunghezza (foto 3.1).

Foto 3.1 Vista aerea della Tenuta.

Nel periodo del presente studio, l’ingresso al pubblico (a piedi o in bicicletta) era consentito nel settore est di Coton Vacche, a sud del fiume Morto, nei giorni di sabato, domenica e durante le festività ufficiali. In altre zone della Tenuta, anche se limitate, erano possibili escursioni guidate.

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3.2

Geomorfologia e storia

Il territorio su cui si estende la Tenuta di San Rossore è un sistema dunale quaternario creatosi a seguito della deposizione di materiale sabbioso di provenienza marina e fluviale (depositi alluvionali dei fiumi Arno e Serchio).

Questo aspetto geomorfologico è ancora oggi evidente nella Tenuta, il cui territorio è costituito da cordoni dunali, disposti parallelamente alla costa, intercalati da zone depresse (interdunali), in cui spesso affiora la falda e ristagna l’acqua.

L’assetto odierno della Tenuta non corrisponde sicuramente a quello originale, considerando gli innumerevoli interventi umani. Fino al II secolo a.C. il fiume Serchio formava un lago nella pianura della città di Lucca, per poi sboccare direttamente nel fiume Arno, che formava a sua volta un ampio sistema deltizio e lagunare. La zona che si estendeva tra i monti Livornesi e Filettole, occupata sin dai tempi degli Etruschi, venne in seguito denominata Selva Palatina durante l’Impero Romano. Nel IX secolo d.C. il Vescovo San Frediano, su richiesta dei lucchesi e allo scopo di bonificare la piana di Lucca, intraprese l’opera di deviazione del fiume Serchio, spostandone il corso più a nord e portandolo a sfociare direttamente in mare all’altezza di Migliarino (Pi).

Nel 1084 la zona della Selva fu donata dall’Imperatore Arrigo III al Capitolo dei Canonici di Pisa; nel 1568 fu realizzata la deviazione del fiume Morto per farlo sfociare nel Serchio, ma il corso originario fu in seguito ripristinato nel 1600. Sempre in questo secolo fu operato il “Taglio Ferdinandeo” sotto la direzione di Ferdinando II dei Medici, con conseguente spostamento della foce dell’Arno verso nord per impedire eventuali insabbiamenti del porto di Livorno. Nel 1784 il Granducato di Toscana entrò in possesso della Tenuta: Pietro Leopoldo II di Lorena fece eseguire ulteriori modifiche dell’assetto naturale, incluse varie opere idrauliche e di disboscamento.

Successivamente la Tenuta passò alla Corona d’Italia e infine, con la proclamazione della Repubblica Italiana, San Rossore divenne di proprietà della Presidenza della Repubblica (Simoni, 1910; Corti, 1955).

Dalla fine del 1996 la gestione è di competenza della Regione Toscana, che nel maggio 2000 l’ha ceduta definitivamente all’Ente Parco Regionale di Migliarino-San Rossore-Massaciuccoli.

Bisogna aggiungere che le opere di canalizzazione dell’Arno, effettuate negli anni ’50, hanno amplificato l’azione erosiva del mare sulla linea di costa, che in 50 anni è

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arretrata di alcune centinaia di metri, soprattutto nelle zone limitrofe alla foce del fiume. In compenso a nord della foce del Serchio, fino a Viareggio, e subito a sud, nelle parti di costa più settentrionali della Tenuta, la linea del litorale è in lieve accrescimento per l’apporto di sedimenti trasportati dalla corrente litoranea.

3.3

Aspetti climatici

Il clima che caratterizza l’area di studio è di tipo submediterraneo, tipico della costa, con autunno piovoso, inverno mite ed estate calda e secca. La media delle precipitazioni annue registrata nell’ultimo ventennio è di circa 950 mm. La distribuzione mensile delle piogge mostra un massimo autunnale nel mese di ottobre ed un minimo estivo nel mese di luglio; in primavera e in inverno le precipitazioni si attestano su livelli intermedi (figura 3.1).

Figura 3.1

3.4

Vegetazione

La Tenuta di San Rossore è caratterizzata da una spiccata diversità vegetazionale, all’ampliamento della quale l’uomo ha partecipato nel corso dei secoli con l’introduzione di varie specie. Il clima mediterraneo è particolarmente adatto all’insediamento e allo sviluppo di piante termoxerofile; nel passato, infatti, l’uomo ha potuto piantare con straordinario successo piante che, pur non essendo autoctone, presentano questo particolare adattamento climatico. Gli esempi più evidenti di questi interventi sono dati dalle grandi pinete di pino domestico (Pinus pinea), tutte di

DIAGRAMMA DI BAGNOULS E GAUSSEN

0 10 20 30 40 50 60 70

gen feb mar apr mag giu lug ago set ott nov dic T 0 50 100 150 200 P(mm)

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impianto antropico, che oggi rappresentano una delle caratteristiche più rilevanti della costa tirrenica.

Nel 2003 la D.R.E.A.M. Italia S.c.r.l. ha realizzato, per conto dell’Ente Parco Migliarino-San Rossore-Massaciuccoli, la nuova carta forestale della Tenuta di San Rossore (D.R.E.A.M. Italia 2003). Sulla base di queste nozioni, integrate con i dati raccolti dal gruppo del prof. Apollonio, è stato possibile creare e digitalizzare una nuova carta della vegetazione, mostrata nella figura 3.2, che ha permesso di effettuare studi più accurati di selezione dell’habitat del daino in ambiente submediterraneo.

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All’interno dell’area di studio si possono individuare quattordici diverse tipologie vegetazionali:

- Pineta di pino domestico (Pinus pinea): ha una consistenza di 1117 ha. Questi popolamenti sono in gran parte monoplanari, anche se si possono trovare individui isolati di leccio (Quercus ilex) o di erica scoparia (Erica scoparia); quest’ultima è presente soprattutto nella zona centrale della Tenuta.

- Pineta di pino marittimo (Pinus pinaster): costituisce una fascia di protezione contro gli aerosol marini, è presente su 335.6 ha dislocati prevalentemente a nord di via del Gombo ed è stata piantata per la prima volta nel 1771. La pineta presenta una copertura compatta sulle dune con scarso sottobosco e sporadico leccio; nelle Lame sono invece frequenti porzioni di bosco di ontano nero (Alnus glutinosa) e frassino mediterraneo (Fraxinus oxycarpa) o vegetazione palustre.

- Bosco di leccio con pini: occupa 67.3 ha. E’ formato da pino domestico e, verso il mare da pino marittimo, insieme a leccio misto ad arbusti della macchia, come fillirea (Phillyrea latifolia), lentisco (Pistacia lentiscus), mirto (Myrtus communis), e alberi caducifogli, come orniello (Fraxinus ornus), olmo (Ulmus minor) e, più raramente, farnia (Quercus robur).

- Bosco mesoigrofilo con pino: occupa 67.8 ha. E’ formato da pino domestico misto a farnia, pioppo bianco (Populus alba) e, più sporadicamente, frassino, olmo e leccio. Si ritrovano associazioni arbustive di tipo mesofilo, come rovo (Rubus

ulmifolius) con biancospino (Crataegus monogyna), melo (Malus sylvestris) e

fusaggine (Euonymus europaeus), ed altri più xerofili, come alloro (Laurus nobilis) e fillirea.

- Bosco igrofilo con pino: è costituito da 64.8 ha di pino domestico e nuclei isolati di latifoglie igrofile (frassino, ontano, pioppo) con pochi arbusti.

- Bosco igrofilo: occupa 323.4 ha ed è formato da vari popolamenti: bosco a prevalenza di ontano nero con o senza frassino meridionale, bosco a prevalenza di frassino meridionale con o senza ontano nero e bosco misto con pioppo bianco, frassino meridionale, ontano nero e raramente farnia.

- Bosco mesoigrofilo: si estende per 740.7 ha. E’ formato da vari popolamenti: bosco misto di farnia e frassino meridionale, bosco puro di pioppo bianco e bosco di farnia e carpino (Carpinus betulus). Il bosco di farnia è il vero bosco mesofilo ed è anche il bosco tipico della pianura dell’Arno. La struttura del bosco di pioppo bianco è

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monoplana per l’elevata eliofilia, la copertura è leggera e permette il passaggio di molta luce con un sottobosco denso di rovo.

- Giovane impianto di latifoglie: occupa 37.7 ha e si trova dislocato lungo il viale di S. Bartolomeo: è costituito da un’area di impianto di farnie. Nella zona della Palazzina, invece, è formato da una pioppeta di pioppo bianco.

- Bosco di neoformazione: occupa una superficie di 85.4 ha. E’ una zona di origine naturale che si sviluppa in aree recintate a carico animale nullo, interessando coltivazioni e pascoli abbandonati da lungo tempo; è strutturata in aree aperte a vegetazione erbacea e aree chiuse con vegetazione arbustiva e/o arborea.

La vegetazione palustre è rappresentata spesso da Phragmites australis ed

Erianthus ravennae, perimetralmente alle quali si dispone una fascia di arbusti come

rovo, prugnolo (Prunus spinosa), sanguinello (Cornus sanguinea) e biancospino. I nuclei boscati sono formati da frassino meridionale, olmo e Periploca graeca.

- Bosco di leccio: occupa 6.5 ha. Questa tipologia vegetazionale è poco diffusa ed è costituita da leccio, orniello, frassino e qualche farnia.

- Vegetazione palustre: attualmente occupa una superficie di 244.7 ha. E’ in fase di espansione, essendo invasiva in terreni recentemente abbandonati dall’agricoltura. In quest’habitat sono presenti tipologie legate all’acqua dolce (cariceti e canneti) e all’acqua salmastra (salicornieti e giuncheti).

La vegetazione d’acqua dolce è presente soprattutto nella parte settentrionale ed orientale dell’area di studio, a differenza della vegetazione salmastra, che si estende nella zona meridionale e occidentale della Tenuta.

- Vegetazione dunale: si estende per 187.6 ha ed è caratterizzata da una fascia prossima al mare formata da entità perenni ed una più arretrata composta da specie annuali. A nord di via del Gombo è presente una fascia di consolidamento delle dune ad Ammophila arenaria e Helichrysum stoechas, mentre a sud della stessa via è presente una formazione a Spartina juncea, recentemente considerata come pioniera nella colonizzazione delle dune (D.R.E.A.M. Italia 2003).

- Fascia costiera di protezione: occupa 64.6 ha. Dal 1960 al 1985 è stata soggetta ad opere di recupero, con rinsaldamento delle dune attraverso l’apposizione di siepi morte e ricostruzione boschiva in zona retrodunale, utilizzando pino marittimo, pino d’Aleppo (Pinus halepensis), tamerici (Tamarix spp). Interventi diversi sono stati realizzati sulle dune prossime al mare, utilizzando piante più tipiche di quest’area (Spartina juncea, Ammophila arenaria, ecc.).

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- Pascoli: si estendono per 360.3 ha e sono costituiti da superfici prive di copertura arborea e non più soggette a coltivazione.

3.5 Fauna

La Tenuta di San Rossore presenta una notevole varietà di macro- e microambienti, che accolgono numerose specie animali, sia residenti che migratrici.

Tra gli Anfibi spiccano come presenza il rospo comune (Bufo bufo), il rospo smeraldino (Bufo viridis) e la raganella (Hyla arborea).

Tra i Rettili sono degni di nota: tra gli Ofidi, la natrice dal collare (Natrix natrix), la natrice tessellata (Natrix tessellata), il biacco (Coluber viridiflavus); tra i Cheloni ricordiamo Emys orbicularis, testuggine palustre assai frequente nel fosso delle Cateratte, nel fosso Berti e nei fossati limitrofi a via del Gombo.

La classe degli Uccelli è sicuramente quella di gran lunga più rappresentata nella Tenuta: per dovere di sintesi non verranno nominate tutte le specie avvistate (Gambogi Riccardo, com.pers.). Tra le specie residenti ricordiamo: nelle zone umide e lungo i fossi la garzetta (Egretta garzetta), l’airone cenerino (Ardea cinerea) (foto 3.1), il germano reale (Anas platyrhynchos), il martin pescatore (Alcedo atthis); nei boschi e nelle radure il picchio verde (Picus viridis), il picchio rosso maggiore (Dendrocopos major), il fagiano (Phasianus colchicus), il colombaccio (Columba

palumbus). Tra i rapaci diurni è facile avvistare la poiana (Buteo buteo), il gheppio

(Falco tinnunculus), il falco lodolaio (Falco subbuteo), il falco di palude (Circus

aeruginosus), mentre fra gli Strigiformi troviamo l’allocco (Strix aluco), la civetta

(Athene noctua) ed il barbagianni (Tyto alba).

Durante i periodi di migrazione passano l’avocetta (Recurvirostra avosetta), la spatola (Platalea leucorodia), l’airone rosso (Ardea purpurea), il piovanello (Calidris

ferruginea), il combattente (Philomachus pugnax), il beccaccino (Gallinago gallinago),

la pittima reale (Limosa limosa), il chiurlo (Numenius arquata), il totano moro (Tringa

erythropus), la pettegola (Tringa totanus), il piro-piro culbianco (Tringa ochropus) e

boschereccio (Tringa glareola) e molti altri limicoli; occasionali sono il falco pescatore (Pandion haliaetus) e l’aquila anatraia maggiore (Aquila clanga).

Tra le specie svernanti sottolineiamo la presenza dell’oca selvatica (Anser anser), l’alzavola (Anas crecca), la pavoncella (Vanellus vanellus) ed il cormorano (Phalacrocorax carbo), del quale è presente un discreto contingente invernale, con

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posatoio localizzato lungo il fiume Morto. Tra le specie che giungono nel periodo primaverile per nidificare, infine, citiamo il succiacapre (Caprimulgus europaeus), l’upupa (Upupa epops), il gruccione (Merops apiaster), la ghiandaia marina (Coracias

garrulus), la tortora (Streptopelia turtur) ed il cuculo (Cuculus canorus).

Foto 3.1 Airone cenerino (Ardea cinerea) lungo Fiume Morto Nuovo.

Tra i Mammiferi presenti nella Tenuta, il daino ed il cinghiale (Sus scrofa) (foto 3.2) sono sicuramente i più facili da avvistare. Entrambi gli Ungulati sono stati introdotti dall’uomo per scopi venatori ed ornamentali.

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Mancano del tutto i grandi predatori; tra gli altri Carnivori sono presenti la volpe (Vulpes vulpes) e alcune specie di Mustelidi come il tasso (Meles meles), la donnola (Mustela nivalis) e la puzzola (Mustela putorius), anche se rara.

Tra i Roditori menzioniamo il ghiro (Myoxfuf glis), lo scoiattolo (Sciurus vulgaris), l’istrice (Hystrix cristata), il topo quercino (Eliomys quercinus), i topi selvatici (Apodemus spp.), la nutria (Myocastor coypus), e tra i Lagomorfi il coniglio selvatico (Oryctolagus cuniculus). Quest’ultimo fu introdotto sotto il regno di Vittorio Emanuele II e si diffuse in modo talmente rapido che per cacciarlo fu utilizzato il furetto (una puzzola domesticata), per ridurre gli enormi danni che arrecava alle colture (Simoni, 1910). Attualmente la consistenza numerica di conigli selvatici fluttua in base alle epidemie di mixomatosi che periodicamente devastano la popolazione.

3.6 Storia della popolazione di daini della Tenuta

La regione di origine dei daini della Tenuta è sicuramente la Sardegna, dove fino alla metà del secolo scorso era presente una consistente popolazione. Inoltre in passato il daino è stato spesso usato come merce di scambio. Nel “Breve Gabellarium porte Degathie de Maris” del 1362 viene riportato che, su ogni centinaio di daini introdotti in Pisa attraverso la Porta a Mare, gravava una gabella di 5 libbre (Simoni, 1910). L’introduzione iniziale è sicuramente riconducibile a scopi venatori. Sotto il regno di Vittorio Emanuele II, appassionato cacciatore, la “popolazione” di daino arrivò all’impressionante numero di 7000 capi, con l’aggiunta di cervi ed antilopi. Il risultato di un tale soprannumero fu la morte, in un solo anno, di ben 2000 daini ed a ciò si aggiunse un diffuso degrado vegetazionale, dovuto all’eccessivo sfruttamento delle risorse trofiche. In seguito a questo episodio il numero di capi fu ridotto a non più di 3000; con Umberto I la consistenza fu abbassata ulteriormente, scendendo a 250 capi e contemporaneamente furono eliminati i cervi e le antilopi.

Alla fine degli anni ’60 il numero dei daini aumentò di nuovo fino a circa 7000 esemplari, arrecando ulteriori danni alla vegetazione. Per ovviare a questo problema, dal 1983 i daini della Tenuta vengono monitorati annualmente attraverso censimenti e controllati mediante idonei piani di prelievo.

La gestione di questa specie, realizzata dal corpo delle Guardie della Tenuta, è finalizzata al controllo numerico della “popolazione”. I prelievi risultano necessari in funzione delle caratteristiche ecologiche del contesto della Tenuta: un’area “chiusa” e

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con assenza di predatori. In tale situazione, in mancanza di prelievo naturale o umano, la popolazione raggiungerebbe ben presto consistenze che determinerebbero un forte degrado ambientale. Il prelievo attuato a San Rossore, correttamente distribuito tra le classi di sesso e d’età, ha consentito di evitare conseguenze negative che sarebbero potute derivare da un’errata gestione.

Le catture vengono effettuate nei mesi invernali, quando i piccoli sono ormai autosufficienti ed il periodo riproduttivo è finito.

Figura

Foto 3.1 Vista aerea della Tenuta.
Figura 3.2 Carta della vegetazione della Tenuta di San Rossore.
Foto 3.1 Airone cenerino (Ardea cinerea) lungo Fiume Morto Nuovo.

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