1. Introduzione
1.1 Premessa
In una realtà industriale dinamica e governata dalle dure leggi della flessibilità, la ricerca frenetica delle prestazioni è ormai un problema quotidiano. Le maggiori industrie manifatturiere europee hanno potuto sperimentare che il successo dei loro prodotti è proporzionale alla diversificazione dell’offerta ed alla conquista di nuove nicchie di mercato.
Contemporaneamente, la vita commerciale dei prodotti si è contratta a causa della continua evoluzione tecnologica e della periodica necessità di restyling: attualmente nel campo dell’industria automobilistica una vettura di media cilindrata è sottoposta a cambiamenti della linea, aggiornamenti nell’elettronica e rinnovo della gamma delle motorizzazioni, uscendo definitivamente di produzione dopo circa cinque anni.
In quest’ottica è facile comprendere come la ricerca si sia direzionata non solo sull’abbattimento del “time to market” ad esempio attraverso la tecnologia dell’alta velocità con i moderni centri di lavoro ma abbia reso appetibili per le industrie anche tecnologie fino a pochi anni fa ritenute non convenzionali ed in fase di sperimentazione.
Allo stesso modo si cerca di snellire il processo produttivo sostituendo, dove possibile, i metalli e le leghe con materiali non convenzionali come i tecnopolimeri ed i materiali compositi che offrono paragonabili caratteristiche meccaniche ed un notevolissimo risparmio in peso e tempo di lavorazione, ma necessitano, allo stesso tempo, di utensili di nuova concezione, adeguati parametri di lavorazione, tecnologie produttive alternative e più economiche. Forti spinte innovative vengono imposte anche da nuovi materiali dalla difficile lavorabilità, come il magnesio, che caratterizzato da bassissima densità, permette forti riduzioni di peso sui componenti meccanici.
Nuove metodologie di lavorazione si affacciano sul mercato, spesso supportate da un complesso sistema di controllo numerico (fino a cinque o sei assi) che le rende un ottimo e veloce strumento di CAM; è il caso dell’elettroerosione EDM a tuffo per la realizzazione di stampi per iniezione di materie plastiche, del getto d’acqua addizionato di particelle abrasive AWJ per la lavorazione di materiali lapidei, del laser per il taglio e lo scribing di metalli, polimeri e materiali compositi.
La competitività tra le molteplici tecnologie attualmente disponibili per l’ottenimento di un medesimo prodotto, è particolarmente elevata nel campo delle lavorazioni di precisione,
dove il metodo di scelta è fortemente influenzato dalla possibilità di personalizzare il macchinario corrispondente in base alle esigenze del cliente (grado di “customizzazione” del prodotto). A questo proposito, l’obiettivo di questa introduzione sarà quello di fornire una panoramica, senza la pretesa di essere esaustiva, delle tecnologie esistenti nell’ambito delle lavorazioni di precisione per la realizzazione di impronte e cavità su metalli e materiali non convenzionali.
1.2 Tecniche tradizionali di lavorazione per sottrazione di materiale
Le macchine utensili sono, ancora oggi, il mezzo più usato per le lavorazioni per sottrazione di materiale; il processo avviene mediante l’asportazione di un truciolo la cui formazione è dovuta all’azione di un utensile sul pezzo. La dinamica del processo di asportazione del truciolo, ben nota in letteratura, e le forze che si sviluppano, sono influenzate dalla velocità di taglio (che può essere posseduta sia dall’utensile che dal pezzo), dalla velocità di avanzamento, dalla profondità di passata e dalla geometria dell’utensile.
Per quanto riguarda la realizzazione di cavità, come ad esempio la parte inferiore di uno stampo per formatura ad urto od i gusci di uno stampo per iniezione di materie termoplastiche, la procedura convenzionale prevede che l’impronta definitiva venga realizzata mediante allargamento di una cavità iniziale ottenuta per fusione o deformazione a caldo, nel blocco dello stampo; aggredire il pezzo dal pieno sarebbe, infatti, antieconomico vista l’elevata quantità di materiale da asportare.
Mediante tornitura si lavorano impronte assialsimmetriche, le altre, mediante fresatura. I materiali degli stampi così lavorati presentano resistenze medie Rm<1400N/mm2 [30].
Molte impronte non hanno, però, un contorno matematicamente definito e si possono lavorare solo parzialmente sulle comuni fresatrici.
La soluzione impiegata fino al termine degli anni ’70 per la fabbricazione di stampi a geometria complessa era costituita da fresatrici a copiare in grado di effettuare la lavorazione del pezzo in base ad un modello. In queste macchine, tuttora utilizzate per produzioni di serie, il palpatore segue un modello di materiale facilmente lavorabile, come ad esempio legno, gesso o resine sintetiche, e guida i movimenti della fresa. La copiatura tridimensionale automatica di un modello avviene solitamente per passate contigue su due assi di avanzamento mentre sul terzo avviene la tastatura.
Successivamente, con l’integrazione dell’elettronica nelle macchine utensili e lo sviluppo dei moderni centri di lavoro, che offrono la possibilità di controllo dei movimenti reciproci tra pezzo ed utensile anche per traiettorie complesse, si è avuta la possibilità di realizzare direttamente il contorno dell’impronta fornito alla macchina da ambiente CAD-3D, eliminando la fase di realizzazione del modello. In questo modo si aggredisce il blocco dello stampo dal pieno con punte a forare o direttamente con frese a candela foranti munite di tagliente al centro; questa iniziale fase di penetrazione è seguita da un’operazione di contornatura che definisce il perimetro della cavità da realizzare. A questo punto si asporta il materiale interno alla contornatura e si procede alla passata successiva ripetendo il processo fino ad arrivare alla profondità finale della cavità. Naturalmente la velocità del processo ed il grado di finitura della superficie interna dell’impronta dipendono strettamente dai parametri di taglio e quindi dalle caratteristiche della macchina e degli utensili.
Attualmente l’impiego di nuovi materiali e geometriedegli inserti per utensili, la possibilità di sviluppare maggiori velocità di taglio su potenti centri di lavoro e l’abbinamento a sistemi di controllo numerico su di un elevato numero di assi hanno consentito di ottenere cavità con ottima finitura superficiale (rugosità inferiori ad Ra=0,4µm) in un’unica fase di lavorazione e senza il consueto trattamento di finitura manuale.
1.2.1 Parametri di taglio ed utensili per stampisti
Al fine di aumentare il livello di produttività e ridurre significativamente i tempi morti, generati dal processo sopra descritto, negli ultimi anni si è andata sviluppando la tecnologia dell’alta velocità (High Speed Machining) sia per la lavorazione di acciaio e ghisa, con i quali vengono realizzati stampi per l’imbutitura di lamiere e per pressofusione, sia per la lavorazione delle leghe leggere e dell’alluminio che trovano attualmente un vasto impiego per la realizzazione di stampi per iniezione di materie termoplastiche.
Le lavorazioni ad alta velocità consentono, dunque, di ridurre il tempo di fresatura ma presentano anche ulteriori vantaggi, quali la riduzione delle forze di taglio, un maggior trasferimento di calore al truciolo ed una migliore qualità superficiale in funzione di una riduzione della rugosità sia lungo la direzione di avanzamento, che secondo la direzione di incremento di passata. E’ stato dimostrato che ad ogni dimezzamento della profondità di passata nella fresatura ad alta velocità l’altezza della cresta generata dall’utensile si riduce
di quattro volte; questo ha indotto alcuni ricercatori a parlare di rugosità cinematica invece che di rugosità di taglio come avviene per le macchine utensili tradizionali [25].
I parametri di riferimento usati per caratterizzare l’HSM sono la velocità media di avanzamento definita come il rapporto tra la distanza effettiva percorsa dall’utensile ed il tempo impiegato per coprirla e la velocità di taglio relativa tra il tagliente ed il materiale da rimuovere. Utilizzando questi parametri si definiscono fresature ad alta velocità tutte le lavorazioni che vengono eseguite ad una velocità media superiore ai 2000mm/min con utensili capaci di sostenere una velocità di taglio su ghisa od acciaio di almeno 250m/min [KochErtl]. Per dare i termini di paragone la tecnologia tradizionale permette di raggiungere, su superfici complesse, velocità medie inferiori a 1000mm/min e l’utensileria tradizionale in metallo duro richiede velocità di taglio attorno ai 150m/min.
La velocità di taglio e le dimensioni degli utensili normalmente usate nelle lavorazioni di semifinitura e finitura ad alta velocità definiscono i regimi di rotazione del mandrino per queste applicazioni: per velocità di taglio comprese tra i 300 ed i 500mm/min si ottiene un range di velocità di rotazione di 3800-6400giri/min per un Фutensile=25mm ed un range di
9600-16000giri/min per un Фutensile=10mm. Per queste applicazioni si ricorre pertanto a
motomandrini caratterizzati da un ingombro relativamente ridotto, regimi di giri elevati ma con coppie e potenze piuttosto basse; da queste semplici considerazioni si desume che se un centro di lavoro convenzionale poteva eseguire completamente il processo, adesso conviene conservare le macchine tradizionali per sgrossare la cavità, e solo dopo eseguire semifinitura e finitura su un centro ad alta velocità con controllo numerico. La precisione delle lavorazioni e la rugosità delle superfici realizzate sono quindi fortemente influenzate dalla rigidezza del mandrino, dalla lunghezza dell’utensile e dal tipo di attacco utilizzato in quanto viste le elevatissime velocità di rotazione del mandrino si sviluppano forze centrifughe (le quali sono funzione lineare del diametro dell’utensile) tali da innescare, in presenza anche soltanto di modestissime eccentricità, un dannoso regime vibratorio.
Nei processi di realizzazione di impronte e cavità per la realizzazione di stampi è di fondamentale importanza la scelta dell’utensile sia in termini di materiale che di geometria; solitamente per le operazioni di finitura, soprattutto se ad alta velocità, si preferisce utilizzare frese a testa sferica rispetto a quelle di forma torica e, soprattutto, a quelle cilindriche che danno un profilo scalettato. Le forme difficili, come ad esempio i profili a doppia curva interna, sono realizzabili facilmente con la fresa a candela con testa sferica. La particolare geometria degli inserti, combinata con la possibilità di lavorare in tutte le direzioni, rende questo utensile altamente produttivo nelle lavorazioni dal pieno, con ottime
capacità di foratura, per le operazioni di copiatura, nonché per l’esecuzione di profili concavi e convessi con continuo contatto con il pezzo.
Nel caso di utensili sferici è stato dato ampio spazio allo studio dell’influenza della geometria dell’utensile sul grado di finitura superficiale, proponendo una nuova geometria con tagliente trasversale “attivo”; in questo caso la punta dell’utensile ha velocità di rotazione nulla (essendo pari a zero il raggio della sua traiettoria circolare) e quindi lavorando con l’utensile perpendicolare alla superficie si avrebbe velocità di taglio nulla.
Fig.1.1 Frese a candela a testa sferica della ditta Sandvik®
Per ovviare a questo inconveniente si interviene sulla geometria dell’utensile facendo in modo che il raccordo tra tagliente trasversale e tagliente principale avvenga con un angolo sostanzialmente inferiore rispetto alla geometria convenzionale; in tal modo il tagliente in presa con velocità di taglio prossima allo zero è reso minimo.
Fig.1.2 Geometria dei taglienti in una fresa sferica [25]
Recenti studi svolti nel settore dell’alta velocità, hanno dimostrato come la vita dell’utensile triplichi mantenendo un angolo di inclinazione rispetto alla perpendicolare di 15° così come la rugosità superficiale si riduca drasticamente. La possibilità di variare la
posizione del mandrino in funzione della forma della superficie e della zona che viene lavorata è quindi indispensabile per un maggior rendimento dell’utensileria e per una migliore qualità della superficie; poter inclinare il mandrino consente di raggiungere con utensili relativamente corti, zone altrimenti lavorabili solo attraverso prolunghe (causa di una riduzione di rigidezza) con probabile insorgere di moti vibratori.
Fig.1.3 Finitura della matrice di uno stampo su fresatrice a CN
Il mercato dell’utensileria è, ad oggi, estremamente dinamico e variegato in quanto l’approccio alla scelta dell’utensile avviene in base alle necessità dell’intero contesto di utilizzo e non solo attraverso i parametri della macchina e le caratteristiche meccaniche del materiale da lavorare. A questo proposito, una prima conseguenza tecnica delle lavorazione ad alta velocità, è il ritorno in auge degli acciai HSS come materiale base per utensili che, ricoperto con opportuni rivestimenti antiusura, presenta un vantaggioso bilancio prestazioni-prezzo; Sandvik Coromant consiglia rivestimenti in TiCN o TiN, anche dopo riaffilatura, per aumentare la durata dei taglienti.
I rivestimenti in diamante policristallino (PCD) per la lavorazione ad alta velocità di materiali non ferrosi come alluminio, magnesio, compositi a matrice metallica e polimerica, stanno attualmente godendo delle ultime novità nel campo della ricerca: le nuove strutture nanocristalline permettono notevoli incrementi delle prestazioni in termini di velocità di taglio e di avanzamento mentre i problemi di adesione che affliggevano le strutture microcristalline, sembrano ormai superati. Anche la riscoperta degli utensili ceramici si rivela rispondente a criteri di flessibilità imposti dalle diverse tipologie di materiali utilizzati per la fabbricazione di stampi, in quanto permettono di avere al contempo una superficie del tagliente estremamente dura ed una struttura interna ad elevata tenacità.
1.2.2 Taglio di materiali non convenzionali
Come è già stato accennato precedentemente la tendenza attuale è quella di sostituire gli acciai con materiali alternativi che consentano un notevole risparmio in termini di denaro e tempi di fabbricazione. La dicitura “non convenzionale” si riferisce ad un materiale il cui impiego in un determinato processo produttivo non è usuale o riferibile all’esperienza consolidata in quel settore. La vita di un materiale dipende, infatti, dalla scoperta di altri che potrebbero sostituirlo vantaggiosamente; affinando le conoscenze si riescono a diminuire i costi di lavorazione (inizialmente assai onerosi a causa della necessità di sviluppare ricerche a riguardo) e ad allargare i campi di applicazione del materiale stesso. Il settore aerospaziale è stato il campo che ha dato maggior impulso allo sviluppo dei materiali non convenzionali; oggi, invece, vengono usati in diversi settori tra cui quello automobilistico per la riduzione dei pesi e, conseguentemente, dei consumi dell’autovettura, il settore della nautica da diporto e di molte altre discipline sportive. Notevoli sono anche le caratteristiche meccaniche e strutturali di alcune resine termoindurenti rinforzate con fibra di carbonio (Carbon Fiber Reinforced Plastics) che, se confrontate con l’acciaio, permettono di sopportare una medesima sollecitazione monoassiale con il risparmio del 90% in peso.
Per quanto riguarda il settore della produzione di stampi, gli acciai continuano ad essere la soluzione migliore per realizzare parti sollecitate termicamente (ad esempio i semigusci per l’iniezione plastica di metallo fuso) e meccanicamente (come il semistampo inferiore nel caso della formazione per urto) anche se esistono alcuni processi che sfruttano stampi in materiali polimerici (generalmente elastomeri). Un esempio di sostituzione economicamente vantaggiosa dell’acciaio nella realizzazione di stampi, è quello della colata centrifuga o spin casting le cui potenzialità vanno dalla tradizionale produzione di bigiotteria alla realizzazione di serie di prototipi funzionali in lega leggera di grande complessità e con precisione spinta a +0,2mm [8]; grazie alle loro caratteristiche fisiche le gomme siliconiche sono in grado di sopportare il contatto con il metallo fuso ad alta temperatura (circa 650 °C) per un numero di cicli di colata assai elevato.
Dato l’uso sempre crescente di elementi costruttivi in materia plastica con le più diverse dimensioni e forme geometriche, la lavorazione per asportazione di truciolo, inizialmente non molto diffusa, ha assunto maggior rilievo. Questo perché un gran numero di elementi
costruttivi, per la forma complicata, le dimensioni ed anche per la precisione richiesta, non può venir prodotto con lo stampaggio ad iniezione, che è il procedimento altrimenti preferito. Benché il procedimento di lavorazione sia analogo, le vaste conoscenze sull’asportazione di truciolo nei metalli possono essere utilizzate solo parzialmente nel caso delle materie plastiche poiché queste hanno una struttura chimica e fisica assai diversa. Gli sforzi di taglio specifici per il taglio delle materie plastiche sono bassi, pari a circa 200N/mm2 per i termoindurenti e 100N/mm2 per i termoplastici; i parametri di taglio sono, dunque, simili a quelli delle operazioni di finitura per i metalli, con elevate velocità di taglio (2000m/min in fresatura, 100-200m/min in foratura) bassi avanzamenti (0,5mm/giro in fresatura, 0,1-0,5mm/giro in foratura) e piccolo angolo di spoglia superiore (2°-10° in fresatura, 3°-5° in foratura). Il fine è quello di ridurre al massimo il pericolo di rottura dei materiali plastici fragili (come il polistirolo cristallo, alcuni policarbonati PC, il polimetilmetacrilato PMMA, meglio noto con il nome commerciale Plexiglass® ed il
polivinilcloruro PVC, che essendo polimeri amorfi sono suscettibili a frattura di tipo vetroso) e di ridurre l’accumulo di calore. Le materie plastiche hanno, infatti, bassa conduttività e dilatazione termica elevata quindi un eccessivo riscaldamento, sviluppatosi durante il processo di taglio, può indurre sia un degradamento chimico superficiale del materiale, sia una bruciatura o ricottura dell’utensile. Il miglior raffreddamento della zona di taglio è l’evacuazione del calore sopra il truciolo con un getto d’aria, cosa possibile soltanto nel caso dei termoplastici che generano trucioli lunghi e compatti; contrariamente i trucioli dei termoindurenti sono costituiti da una polvere fine e facilmente disperdibile nell’ambiente di lavoro che deve essere aspirata con opportune cappe. Anche l’uso di lubrorefrigeranti è limitato dalle caratteristiche chimiche dei materiali in quanto termoplastici come il poliammide (PA), il PC, il PMMA, il polistirolo (nelle forme ABS e SAN) tendono ad assorbire l’acqua in soluzione, con conseguenti fenomeni di decomposizione e riduzione delle caratteristiche meccaniche [23]. Per quanto riguarda i materiali per utensili vengono utilizzati acciai rapidi per i termoplastici ed acciai super-rapidi ed inserti in carburi delle classi da K10 a K40 per i termoindurenti.
I risultati di ricerche sulle superfici di materie termoplastiche tornite, hanno messo in evidenza che si possono ottenere strutture superficiali diverse a seconda delle condizioni di taglio, delle caratteristiche del materiale (fragile, elastico o tenace) e del contenuto di acqua. Il consueto profilo a solchi può essere alterato da frequenti scheggiature in materiali fragili o da bruciature e zone fuse in materiali a bassa conduttività termica lavorati con
basse velocità di avanzamento (minori di 0,05mm/giro) ed angoli di spoglia superiore prossimi a 0° [30].
Le materie plastiche termoindurenti (come resine epossidiche, poliesteri e poliammidiche) nonostante la loro fragilità sono largamente utilizzate come matrici per i materiali compositi poiché offrono maggiore rigidezza, resistenza alle temperature ed alle sollecitazioni rispetto ai termoplastici.
I materiali compositi sono non omogenei ed anisotropi ed ogni interruzione della continuità delle fibre o degradazione termica della matrice, comporta una riduzione della resistenza e delle proprietà meccaniche. Le lavorazioni alle macchine utensili tradizionali sono sempre da considerarsi di finitura e molti possono essere i danni causati al materiale in prossimità della zona lavorata, tra cui:
• distacco delle fibre
• delaminazione superficiale • delaminazione degli strati interni • danneggiamento termico della matrice
L’aspetto della zona danneggiata dipende dalla natura, dalla geometria e dall’orientamento del materiale di rinforzo; qualora queste siano in vetro o carbonio tale zona è costituita da scheggiamenti e sbavature, mentre nel caso di fibre aramidiche (kevlar) si riscontra una sfilacciatura delle fibre deformate plasticamente. Viene evitata, invece, la lavorazione delle fibre di boro per non comprometterne le prestazioni, visto il costo di produzione elevatissimo.
Per limitare gli effetti sopra esposti è indispensabile utilizzare tecniche appositamente studiate ed adattate alla lavorazione dei materiali compositi; il problema della delaminazione, particolarmente sentito in foratura, si manifesta con il distacco delle fibre e la disgregazione della matrice in prossimità della lavorazione. Per ovviare a tale difetto si usano maschere di foratura capaci di opporsi al distacco degli strati e sottili tessuti protettivi incollati direttamente sul laminato impedendo che le fibre vengano forzate nei solchi elicoidali dell’utensile . Altro problema caratteristico di foratura e lavorazioni dal pieno in materiali compositi è l’insorgere di vibrazioni causato da una continua variazione di inclinazione tra direzione del taglio ed orientamento delle fibre. La temperatura di taglio, e quindi la velocità di asportazione, è limitata dalla soglia di polimerizzazione della matrice, di solito assai più bassa di quella di decomposizione delle fibre (550°C per le fibre aramidiche, 1300°C per le fibre di vetro, 3600°C per quelle in carbonio) [9]. A livello
indicativo, nella foratura di plastiche rinforzate con fibre di vetro sono utilizzate velocità di taglio di 60-70m/min ed avanzamenti inferiori a 0,2mm/giro.
La geometria del tagliente dipende principalmente dalla natura delle fibre da tagliare: le fibre di vetro e carbonio non richiedono configurazioni dissimili da quelle impiegate per il taglio dei metalli, mentre per evitare la sfilacciatura delle fibre aramidiche si usano taglienti con geometria tale da precaricare a trazione le fibre superficiali prima del taglio. Un fattore molto importante che determina la scelta del materiale dell’utensile è la notevole azione abrasiva esercitata da alcune fibre di rinforzo. E’ quindi indispensabile l’uso di materiali dotati di un’elevata resistenza all’usura: nel caso di fibre di vetro, carbonio o boro, altamente abrasivi, sono da preferirsi utensili in metallo duro a grana ultrafine rivestiti con nitruro di titanio o allumina allo scopo di prolungarne la durata. Nel taglio delle fibre aramidiche le maggiori durate di vita dell’utensile sono state ottenute con carburi rivestiti. Per quanto riguarda le fresature di contornatura , si utilizzano elevate velocità di taglio, bassi avanzamenti e frese con più di quattro taglienti per ridurre la pressione specifica agente sul materiale. La migliore qualità di lavorazione si ottiene sulla superficie lavorata in opposizione contrariamente a quanto accade nei metalli dove questa modalità causa un incrudimento superficiale dovuto allo strisciamento dell’utensile. Anche in questo caso devono essere adottati particolari accorgimenti nello studio della geometria del tagliente per la fresatura di compositi a fibra aramidica per evitare il fenomeno della sfilacciatura. In caso di composti ibridi un criterio generale è quello di adottare condizioni di taglio raccomandate per la fibra che presenta maggiori aspetti critici.
1.3 Tecniche non tradizionali di lavorazione per sottrazione di materiale
Sotto la spinta dell’innovazione volta alla riduzione dei costi attribuibili alle lavorazioni sulle macchine utensili, alcune tecnologie sperimentali hanno trovato impiego in vari settori dell’industria, aumentando anno dopo anno la loro versatilità e la loro importanza. Si tratta di tecnologie tese all’ottenimento di un elevato valore dell’energia specifica ovvero di energia limitata ad una ristretta superficie di un corpo. L’elevata concentrazione di energia può essere ottenuta tramite un fascio laser, una scarica elettrica od un getto di acqua pressurizzata. In questi processi si parla più propriamente di asportazione di materiale invece che di truciolo poiché la superficie lavorata subisce un processo disgregativo ad opera dell’elevata energia specifica o in forma di vaporizzazione come accade per il fascio
laser e l’elettroerosione o in forma di microabrasione come nell’AWJ. Non è, infatti, possibile individuare una geometria definita del materiale asportato come nel caso del truciolo nelle lavorazioni alle macchine utensili.
Un campo di impiego nel quale è possibile confrontare le caratteristiche di laser e getto d’acqua (WJ) con le tradizionali tecniche per asportazione di truciolo è il taglio di lamiere e laminati di materiale composito. I processi con getto d’acqua e laser offrono la possibilità di aumentare molto la velocità di taglio con lo svantaggio di una minore penetrazione nello spessore del materiale; per elevati spessori della lamiera o del laminato sono quindi ancora da preferire il taglio con segatrice o con cannello ossiacetilenico per i metalli che lo consentono.
La possibilità di concentrare una notevole quantità di energia su una porzione superficiale estremamente ridotta, ha reso il processo elettroerosivo ed il processo di vaporizzazione laser, particolarmente adatti alle lavorazioni di precisione, anche sui materiali più duri, surclassando le macchine utensili nel settore della micromeccanica. La caratteristica intrinseca di asportazione localizzata, consente, a questi due processi, di ottenere incisioni con spessori dell’ordine del centesimo di millimetro ed un’ottima precisione dimensionale; si riescono, inoltre, ad ottenere cavità dotate di spigoli vivi, contrariamente a quanto accade nell’asportazione di truciolo che lascia sempre un raggio di raccordo pari raggio dell’utensile utilizzato per la lavorazione.
Vengono, di seguito, illustrate alcune tra le tecnologie speciali sopra menzionate, in termini di modalità di asportazione e parametri influenti nel processo.
1.3.1 Elettroerosione
L’EDM (electrical discharge machining), cioè la lavorazione per elettroerosione, è tra quelle che hanno avuto, nel mercato delle macchine industriali, la penetrazione più importante degli ultimi anni (coprendo circa il 6% del settore), sia nel campo della lavorazione a tuffo (die sinking), che a filo. Solo le macchine per fresare, tornire e rettificare si vendono in numero maggiore rispetto alle macchine EDM.
La lavorazione avviene in immersione in un liquido dielettrico (idrocarburo o acqua deionizzata) contenuto in una vasca nella quale viene posizionato il pezzo; l’asportazione di materiale avviene a mezzo di scariche elettriche tra un elettrodo sagomato ed il pezzo. La distanza minima elettrodo-pezzo viene chiamata gap e può essere sia frontale che laterale.
Secondo la teoria dell’elettroerosione, la scarica avviene quando, applicando una differenza di potenziale tra utensile e pezzo, gli elettroni accumulandosi acquistano un’energia sufficiente a superare il gap, andando ad impattare sul pezzo. Il processo di scarica, comandato da un azionamento automatico a controllo numerico, dura solo pochi millisecondi; in questa frazione gli elettroni accelerati dal campo elettrico stabilito tra utensile e pezzo provocano la ionizzazione per urto del dielettrico con la formazione di plasma ed il raggiungimento di temperature elevate (8000-12000 °C). In queste condizioni si produce, attorno al canale di scarica, una bolla di vapore che causa l’immediata vaporizzazione, nel punto di scarica, della superficie del pezzo e dell’elettrodo. All’aumentare della durata dell’impulso il tasso di asportazione che ne deriva prima si stabilizza e successivamente diminuisce, in quanto le forze di pressione interne alla bolla prevalgono su quelle di inerzia degli ioni del dielettrico, e la scarica risulta meno concentrata. La polarità della corrente deve essere tale che la scarica provochi una maggiore erosione sul pezzo che non sull’elettrodo.
La caratteristica principale dell’elettroerosione è l’attitudine a lavorare metalli e leghe duri o difficilmente aggredibili con le macchine utensili tradizionali ed ha comportato l’utilizzo di questo processo per la realizzazione di matrici ed utensileria in acciaio temprato ed in carburo di tungsteno. Il processo prescinde, dunque, dalla durezza del materiale da lavorare e da ogni sua caratteristica meccanica e tecnologica, rimanendo condizionato, in pratica, soltanto dalla temperatura di fusione; più alta è la temperatura di fusione e minore risulterà, a parità di energia erogata, la massa di materiale asportata nell’unità di tempo.
La seconda importante proprietà è la capacità di riproduzione automatica di forme; con l’asportazione di materiale localizzata sulla superficie dell’elettrodo-pezzo, si ottiene l’impronta dell’utensile a meno di un difetto dovuto al consumo dell’elettrodo innescato dalle scariche laterali. Il tasso di usura degli utensili non supera, di norma, l’1% del materiale asportato.
Grazie ad entrambe queste proprietà l’elettroerosione a tuffo ricopre un ruolo di grande importanza sia nel settore della stampistica che in quello della meccanica di precisione (micromachining) per la realizzazione di cavità ed impronte. Le macchine EDM sono, infatti, in grado di lavorare rapidamente e con precisione spinta all’ordine del micron in un intervallo di dimensioni assai vasto [16].
Un notevole svantaggio dell’elettroerosione, oltre all’impossibilità di lavorare materiali isolanti come i polimeri, è dato dalla necessità di fabbricare preventivamente un elettrodo-utensile corrispondente all’impronta da eseguire. La precisione raggiungibile è in rapporto
diretto con la precisione dell’elettrodo di grafite i cui processi produttivi sono notevolmente migliorati con l’impiego di fresatrici dedicate ad alta velocità.
Fig.1.4 Elettrodo in grafite per lavorazioni ad elettroerosione. Lo spessore delle pareti è di 0,75mm, la profondità di 25mm. Nel 1960 veniva fabbricato in 4 ore; oggi richiede meno
di 30min.
1.3.2 Lavorazioni elettrochimiche
L’asportazione elettrochimica si basa su di un principio simile a quello dell’elettroerosione soltanto che il fenomeno non è più provocato da scariche elettriche, bensì da dissociazione anodica. Il pezzo da lavorare viene immerso in una soluzione elettrolitica (generalmente una soluzione acquosa a base salina) che consente il passaggio di notevoli intensità di corrente le quali provocano la dissociazione del metallo all’anodo e la produzione di idrogeno al catodo secondo le reazioni chimiche all’equilibrio:
metallo ↔ metallon+ + ne -2H++2e- ↔ H2 .
Gli ioni metallon+ passano in soluzione formando idrossidi di consistenza fangosa che si depositano sul fondo della vasca. Gli ioni positivi H+ derivanti dalla dissociazione dell’elettrolita si combinano con gli elettroni rilasciati dal metallo generando idrogeno che si disperde nell’ambiente. Non avviene alcuna deposizione di ioni sul catodo, la cui forma rimane quindi inalterata; conseguentemente l’impronta generata sul pezzo non subisce variazioni durante il processo.
Fig.1.5 Schema di una cella elettrolitica
La massa di materiale asportato (m) dipende dal numero di cariche che fluiscono nell’unità di tempo (I), dalla durata del processo (t) e dal rapporto tra numero atomico (A) e valenza (z), secondo la legge di Faraday:
zF AIt
m= (1.1) dove F=96500 coulombs [16].
Le forti densità di corrente, ottenute applicando una debole differenza di potenziale e riducendo a pochi centesimi di millimetro la distanza tra gli elettrodi, assicurano una notevole asportazione di materiale. Il flusso turbolento dell’elettrolita in questo ridottissimo meato impedisce qualsiasi passivazione ed il profilo della superficie lavorata è funzione unicamente della forma del catodo. Dopo un certo tempo l’effetto di asportazione ottenuto avvicinando l’utensile (catodo) al pezzo (anodo) tende ad annullarsi; per avere costantemente effetti sensibili sulla lavorazione è sufficiente spostare l’utensile verso il pezzo con una velocità pari alla velocità di erosione mantenendo, conseguentemente, una distanza costante tra i due elettrodi. Quando la superficie del pezzo grezzo è caratterizzata da una marcata rugosità esistono numerose zone in cui la distanza tra utensile e pezzo è inferiore alla distanza che si stabilisce con l’equilibrio tra velocità di avanzamento dell’utensile e velocità di erosione; in queste zone la velocità di erosione risulterà quindi maggiore di quella all’equilibrio fino all’istante in cui le asperità si saranno ridotte quel tanto che basta a rendere la distanza tra utensile e pezzo pari al valore costante di equilibrio. L’asportazione anodica tende, quindi, al pareggiamento automatico delle asperità.
Il processo di lavorazione elettrochimica consente di lavorare tutti materiali conduttori con velocità di asportazione dell’ordine di 5-10mm/min e basse temperature che evitano di causare indurimento superficiale e perturbazioni metallurgiche sul pezzo. Si possono riprodurre forme complicate e realizzare impronte per stampi senza il pericolo di una variazione dimensionale dovuta all’usura dell’utensile come accade invece nel processo elettroerosivo; l’elevata qualità della finitura superficiale rende, inoltre, questo processo particolarmente adatto alle lavorazioni di precisione e di micromeccanica, come dimostrano i suoi variegati impieghi nel campo dell’industria aerospaziale.
Gli elevati costi derivanti dalla necessità di smaltire le scorie del processo ed aspirare l’idrogeno volatile altamente esplosivo uniti all’impossibilità di realizzare spigoli vivi ed al consumo di grandi quantità di corrente elettrica rendono, comunque, preferibile l’elettroerosione rispetto all’asportazione elettrochimica.
1.3.3 Lavorazioni con getto d’acqua
Tale lavorazione consiste nel concentrare su una piccola superficie l’elevatissima energia di un getto d’acqua contenuta in un serbatoio in pressione; con i primi prototipi di macchinario l’acqua era tenuta ad una pressione di 4000atm ed il getto aveva una velocità pari a 2-3 volte quella del suono. Attualmente si cerca di arrivare all’utilizzo di maggiori pressioni per poter lavorare materiali duri anche senza l’aggiunta di abrasivo. Nella modalità water jet è l’energia cinetica dell’acqua che causa l’asportazione di materiale, mentre nell’abrasive water jet questa è generata dall’azione di particelle di abrasivo (naturali come polvere di diamante o silice, artificiali come allumina e carburo di silicio) accelerate dall’acqua. Il metodo water jet viene utilizzato per le lavorazioni di materiali teneri e facilmente deformabili come le gomme ed alcuni polimeri termoplastici; vista l’elevatissima velocità con cui l’acqua colpisce la superficie del pezzo, questo per effetto della grande inerzia, non ha il tempo di deformarsi come farebbe, invece, se sottoposto agli sforzi di taglio dovuti alla presenza dell’utensile nelle lavorazioni tradizionali. Come è intuibile, questo processo di asportazione è inadatto alla lavorazione di tutti quei materiali polimerici in cui la marcata attitudine all’assorbimento di acqua genera un degradamento chimico della superficie e delle corrispondenti caratteristiche meccaniche.
L’abrasive water jet è preferito per i materiali compositi, i metalli ed i lapidei (marmi, pietre).
Il processo di taglio è assai veloce mentre per quanto concerne la realizzazione di impronte e cavità, lavorando dal pieno, il pessimo grado di finitura dovuto alle craterizzazioni, consente di applicare il getto d’acqua (con o senza abrasivo) solo nei casi in cui sia tollerata una marcata rugosità della superficie. Il getto possiede, inoltre, una scarsa stabilità in direzione trasversale al taglio; se durante il processo di asportazione incontra un ostacolo, come ad esempio la fibra di rinforzo in un materiale composito, il flusso viene deviato provocando un’erosione preferenziale del materiale meno resistente (nel tal caso la matrice) generando una superficie caratterizzata da delaminazioni ed incrinature. La qualità della lavorazione è valutata attraverso la misura del danneggiamento subito dal materiale in corrispondenza della zona di taglio analogamente all’asportazione di truciolo su polimeri e compositi.
L’entità di questi deterioramenti può essere agevolmente controllata agendo sulla velocità di avanzamento del getto, sulla distanza tra ugello e pezzo (generalmente 25mm) e sulla geometria dell’ugello da cui dipende il profilo delle pressioni [17].
1.3.4 Lavorazioni con ultrasuoni
L’ asportazione di materiale a mezzo di particelle di abrasivo sotto l’effetto di ultrasuoni è un processo puramente meccanico che permette di eseguire fori e cavità di forma qualunque in materiali duri e fragili (come vetri e ceramiche), irrealizzabili con le procedure convenzionali. Un generatore elettronico trasforma la corrente di rete a 50Hz in un segnale a frequenza più elevata (20-40kHz) che viene trasformato in vibrazione meccanica da un trasduttore o attraverso il fenomeno della piezoelettricità inversa dei cristalli di quarzo o attraverso il fenomeno dell’elettrostrizione caratteristico di alcuni materiali ceramici. La vibrazione meccanica viene poi amplificata prima di essere trasferita al sonotrodo che rappresenta l’utensile di foratura; quest’ultimo ha la geometria della cava da realizzare. L’utensile non attacca direttamente il pezzo ma si limita ad accelerare le particelle di abrasivo (generalmente si scelgono carburi di boro per l’elevata durezza); i grani che si trovano in sospensione in un velo di fluido tra il pezzo ed il sonotrodo vibrano nella stessa direzione dell’utensile che li proietta contro il pezzo causandone il martellamento. Sulla superficie vengono prodotte delle microrotture sia per tranciatura che per fatica [16].
Utilizzati prevalentemente per la lavorazione del vetro, gli ultrasuoni hanno avuto un’importanza crescente nell’industria elettronica per la realizzazione di placche di silicio, germanio e materiali ceramici; nell’indotto dell’energia nucleare sono utilizzati, invece, per la lavorazione del plutonio. L’inconveniente principale di questa lavorazione è la bassa velocità del processo rispetto a quella ottenibile con punte a forare o mole diamantate.
1.3.5 Lavorazione dei metalli con fascio laser
Un laser è un dispositivo in grado di generare un tipo di luce fondamentalmente diversa da quella emessa dalle comuni sorgenti luminose. L’emissione generata dal laser è costituita da radiazioni che hanno tutte la stessa lunghezza d’onda (monocromaticità), la stessa fase (luce coerente nel tempo e nello spazio) ed una bassa divergenza angolare; queste tre importanti caratteristiche consentono di concentrare mediante un sistema ottico, l’energia prodotta su una superficie assai ridotta ottenendo condizioni locali di riscaldamento particolarmente intense. Concentrando, a titolo di esempio, una potenza di 2kW (potenza medio-alta per una sorgente laser) su una superficie circolare di diametro 0,2mm, si ottiene una densità di flusso termico pari a oltre 60kW/mm2, cioè mille volte quella che esiste sulla superficie del sole. In queste condizioni qualsiasi materiale conosciuto fonde o volatilizza localmente, in un breve lasso di tempo.
Il fascio laser viene utilizzato per operare su diversi materiali indipendentemente dalla loro durezza o dalle loro caratteristiche meccaniche; si lavora, infatti, senza contatto con il pezzo e l’asportazione di materiale non è un processo meccanico bensì di tipo termodinamico (se si assiste alla vaporizzazione della superficie) o fotochimico (se il processo di asportazione avviene per degradazione chimica del materiale, senza la formazione di vapori). La capacità di asportazione del fascio laser è strettamente collegata alla capacità del materiale di assorbire radiazioni alla lunghezza d’onda caratteristica del fascio, mentre il grado di danneggiamento superficiale dovuto alla lavorazione è legato alle proprietà termiche del materiale ed ad una sua eventuale infiammabilità (come avviene per i polimeri ed i materiali compositi).
In questo paragrafo verrà descritto brevemente il processo di incisione laser su metalli, mentre le lavorazioni dei materiali non convenzionali saranno trattate in modo più specifico nel secondo capitolo.
I vantaggi principali dell’asportazione di materiale tramite laser sono la possibilità di lavorare anche gli acciai più duri, un’altissima risoluzione che consente di eseguire incisioni molto piccole e definite ed una facile automatizzazione del processo dato che non si richiedono particolari staffaggi (il peso proprio del pezzo è, nella maggior parte dei casi, sufficiente a mantenere il corretto posizionamento sul banco di lavoro). Come già accennato in precedenza, l’efficienza dell’asportazione di materiale è proporzionale alla potenza radiante assorbita dal materiale ed è quindi importante capire che percentuale dell’energia incidente venga persa a causa della riflessione sulla superficie del pezzo. Si definisce, a tale scopo, un parametro adimensionale, detto riflettività, che è dato dal rapporto tra la potenza radiante riflessa da una superficie e la potenza radiante incidente sulla superficie stessa.
Fig.1.6 Riflettività in funzione della lunghezza d’onda per alcuni metalli [21]
La riflettività di una superficie metallica è funzione di condizioni variabili come la finitura superficiale e lo stato di ossidazione, per cui non è possibile stabilirne con esattezza i valori per un determinato metallo; nella figura 1.6 viene mostrato un andamento qualitativo della riflettività, a temperatura ambiente, di diversi metalli ed acciai da costruzione, in funzione della lunghezza d’onda della radiazione.
Si nota che la riflettività di tutti i metalli diventa più alta nel lontano infrarosso (λ>10µm); a lunghezze d’onda maggiori di 5µm, infatti, la riflettività dipende dalla conducibilità elettrica del materiale ed i metalli conduttori come il rame e l’oro sono, dunque, i più difficilmente lavorabili con laser che emettono nell’infrarosso come quelli a CO2 la cui
radiazione ha una lunghezza d’onda λ=10,64µm. L’alluminio e l’argento hanno invece un’alta riflettività che è quasi uniforme in tutto lo spettro visibile (0,4µm -1µm) il che spiega il naturale aspetto biancastro di questi metalli [21].
Per temperature superiori a quella ambiente il comportamento dei metalli varia, in quanto l’aumento della temperatura superficiale causato dall’assorbimento di una piccola quantità di energia iniziale consente un progressivo aumento dell’assorbimento della radiazione successiva. In questo modo si spiega come sia possibile lavorare con laser a CO2 gli acciai
e l’alluminio che presentano una riflettività quasi unitaria dello spettro ad infrarosso mentre permangono le difficoltà legate all’asportazione di rame, oro ed argento che essendo ottimi conduttori elettrici diffondono il calore generato dall’energia per effetto Joule.
La quantità di luce assorbita da una superficie metallica è proporzionale ad (1-R), essendo R la riflettività, e strettamente dipendente dalla lunghezza d’onda dell’emissione laser. La parte di densità di energia incidente, assorbita dalla superficie, porta velocemente il metallo a fusione nella ristretta area colpita dal laser; a causa della grande rapidità con cui inizia il processo di ebollizione, non c’è tempo sufficiente per la fusione di molto materiale. Perciò, ad elevate densità di potenza laser (maggiori di 106W/cm2) e per durate dell’impulso
comprese tra 10ms e 100µs, il processo fisico dominante è la vaporizzazione mentre il ruolo della fusione tende ad essere meno significativo.
Per impulsi di breve durata (tra 10-7s e 10-5s), non c’è tempo sufficiente per la conduzione termica in direzione trasversale, e le dimensioni del foro realizzato sono quindi inferiori rispetto al convenzionale diametro dello spot; contrariamente per durate degli impulsi maggiori di 10-4s l’energia specifica fornita alla superficie del metallo ha il tempo di diffondersi trasversalmente e le dimensioni dello spot diventano influenti sulla forma del foro o della cava da realizzare. Minore è il diametro dello spot, più elevati saranno i gradienti termici trasversali che diffondono il calore fuori dall’area focale causando una notevole variazione dell’impronta del foro rispetto ai valori teorici.
L’assorbimento dell’energia che non viene persa per riflessione, avviene secondo la legge:
I(x)=I0e-αx (1.2)
dove I(x) è l’intensità di luce trasmessa nel materiale a distanza x, α è il coefficiente di assorbimento (per i metalli è dell’ordine di 10-5cm-1) ed I0 è l’intensità della luce incidente.
L’energia assorbita viene rilasciata in uno strato di circa 10-5cm di spessore e penetra nel materiale provocandone repentinamente la fusione; con il proseguire dell’irraggiamento la superficie comincia a vaporizzare ed inizia la formazione del foro. Come già accennato in precedenza per elevate densità di energia e durate dell’impulso brevi la fusione è quasi del tutto assente ed il metallo sublima.
Un certo numero di vantaggi sono associati all’utilizzo del laser per operazioni di asportazione di materiale:
• non esiste possibilità di contaminazione chimica della superficie;
• si possono forare materiali duri e fragili come ad esempio la ceramica e le pietre preziose (laser ad eccimeri che emettono nel campo dell’ultravioletto, vengono comunemente usati per eliminare le impurità nei diamanti);
• è possibile effettuare con grande facilità, lavorazioni di precisione (con fori di diametro dell’ordine della decina di micron) muovendo il fascio laser sulla superficie del pezzo mediante un sistema di specchi controllato da un calcolatore. Per quanto riguarda le applicazione del laser nel campo dei metalli gli impieghi più comuni sono sicuramente la saldatura ed il taglio ma esistono anche altri settori come la marcatura e l’incisione in cui il laser è ormai diventato insostituibile.
Il taglio di metalli, a velocità utilizzabili nella pratica, richiede spesso l’uso di un getto di gas, generalmente ossigeno che produce una reazione esotermica con il metallo ad alta temperatura, migliorando fortemente l’efficienza del processo. La maggior parte dei sistemi di taglio utilizza laser a CO2 quando si richiedono elevati valori di potenza in modo
continuo, o laser a Nd in YAG per funzionamenti impulsati; i metalli, infatti, a causa della loro riflettività e della buona conducibilità termica, necessitano di potenze elevate.
Fig.1.7 Valori di densità di potenza e di durata dell’impulso per la lavorazione di metalli [21]
In fig.1.7 sono riassunti i parametri che contraddistinguono alcune applicazioni riguardanti la lavorazione dei metalli; si noti come le condizioni che consentono la saldatura siano insufficienti a provocare asportazione di materiale.
La marcatura laser è, invece, un innovativo sistema per l’identificazione di prodotti precedentemente realizzata per stampigliatura, incisione manuale o chimica e granigliatura. Il laser è stato, da principio, utilizzato per marcare prodotti piccoli e realizzati in materiali fragili come vetro e porcellane ma ha avuto un rapido incremento anche nel campo dei metalli come è dimostrato dal fatto che sta sostituendo l’elettroerosione nell’incisione degli stampi. Sono infatti evidenti i vantaggi in termini di tempo e di costo, che derivano dalla eliminazione della necessità di realizzare elettrodi.
Le applicazioni principali del sistema di incisione laser sono la marcatura di superfici curve di stampi per soffiaggio in plastica (bottiglie in PET), stampi per vetro, cristallerie ed argenterie, stampi a caldo per l’ottone (marcatura del valvolame), stampi per pressofusione di bottoni e minuterie.