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Abd El Galil et al., 2004

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Academic year: 2021

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5. DISCUSSIONE

La difficile individuazione degli agenti virali nelle matrici idriche e la mancanza di tecniche adeguate ha spinto alla ricerca di tecniche molecolari più sensibili e rapide. La PCR, sebbene risponda a tali requisiti, è soggetta ad una diminuizione di sensibilità a causa degli inibitori che possono interferire con gli enzimi coinvolti nella reazione, quindi è importante verificare l’efficienza di alcuni protocolli di estrazione e purificazione da applicare nel monitoraggio virologico ambientale.

Le prove di sensibilità effettuate sui campioni artificialmente contaminati hanno mostrato la presenza di una maggiore positività alla PCR qualitativa negli estratti interi e nella diluizione 10-1 e una positività quasi assente alla diluizione 10-2 per entrambi i metodi; il metodo Qiagen è risultato più sensibile mostrando alla diluizione 10-4 una percentuale di positività maggiore rispetto a quella del metodo Biomerieùx.

Questi risultati possono trovare la spiegazione nella presenza di inibitori che interferiscono nella reazione di amplificazione (Shieh et al., 2000; Kingsley and Richards, 2001; Abd El Galil et al., 2004; Karamoko et al., 2005): molto probabilmente alle diluizioni intermedie si ha il prevalere degli inibitori, mentre alle diluizioni successive si ha anche una maggiore diluizione degli stessi.

La maggiore sensibilità del metodo Qiagen è confermata dalla stima dell’MPN che riporta valori maggiori rispetto a quelli ottenuti con il metodo Biomerieùx, nonostante il volume di partenza sia inferiore.

La tecnica utilizzata per la concentrazione dei campioni, l’ultrafiltrazione a flusso tangenziale, è molto efficace per il recupero virale, tuttavia non è in grado di eliminare gli inibitori presenti nei campioni, concentrando anche molti soluti inorganici e organici naturali che possono inibire la Taq polimerasi utilizzata nella PCR (Kopecka et al., 1993;

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Alcuni autori ritengono che il concentrato finale che si ottiene con questa tecnica contenga meno inibitori rispetto ad altre metodiche di concentrazione testate, anche se necessita della preliminare rimozione del sospeso solido (Jiang et al., 2001; Bigliardi et al., 2004). Tuttavia, le proteine e composti organici contenuti nel beef extract, eluente utilizzato nella concentrazione dei campioni, possono avere effetti inibitori sulla reazione di PCR (Schwab et al., 1995; Katayama et al., 2002).

Nei campioni ambientali di acqua di mare, il metodo Biomerieùx non ha mostrato alcuna positività, mentre il metodo Qiagen ha rilevato positività in 4 campioni (16,7%).

Questi dati confermano, ulteriormente, l’eventuale influenza degli inibitori della PCR, infatti il metodo di estrazione che utilizza una quantità di campione maggiore (5 ml) non ha evidenziato positivi.

I risultati della prova di recupero, effettuata mediante TaqMan QPCR, hanno evidenziato una maggiore percentuale di recupero per il metodo di estrazione Qiagen rispetto al Biomerieùx.

Questi risultati potrebbero essere dovuti al diverso meccanismo su cui si basano le due tecniche di estrazione: la tecnica Qiagen utilizza membrane di gel di silice a cui si lega l’acido nucleico e la maggior parte degli inibitori viene lavata via in due step utilizzando due differenti soluzioni di lavaggio; in quella Biomerieùx gli acidi nucleici si legano a particelle magnetiche di silice che vengono risospese con 3 diverse soluzioni di lavaggio (Boom et al., 1990). In questo metodo, durante i lavaggi si ha la perdita inevitabilmente di alcune particelle e quindi degli acidi nucleici ad esse legati.

Il metodo di estrazione scelto per la fase successiva di monitoraggio è stato quindi quello Qiagen in quanto, essendo più sensibile e avendo mostrato una maggiore efficienza di recupero, si applica bene alla ricerca dei virus nel liquame, matrice molto complessa e

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ricca di sostanze che possono inibire l’amplificazione genica e determinare risultati falsi negativi (Parshionikar et al., 2004).

Il ritrovamento di adenovirus nei liquami in entrata e in uscita degli impianti di depurazione è in accordo con molti studi su scala globale (Puig et al., 1994, Pina et al., 1998; Irving and Smith, 1981, Krikelis et al., 1985; Komninou et al., 2004; Myrmel et al., 2006). Nello studio preliminare effettuato nello stesso impianto preso in esame in questo lavoro di tesi, adenovirus è stato ritrovato nel 58,3% dei campioni prelevati all’entrata e nel 25% di quelli prelevati in uscita; inoltre, l’8% dei campioni analizzati è risultato positivo sia in entrata che in uscita (Carducci et al., 2006).

La presenza del virus nelle acque reflue depurate è indicativo della resistenza del virus ai trattamenti di depurazione, come riportato in vari studi (Meng and Gerba, 1996;

Gerba, 2002; Carter et al., 2005).

Il rilevamento di adenovirus non ha mostrato un andamento stagionale, anche se concentrazioni più alte del virus sono state osservate soprattutto durante i primi mesi di campionamento (marzo-aprile ’06). Uno studio sulla epidemiologia delle infezioni da adenovirus in Inghilterra ha riportato un occorrenza stagionale nel periodo Settembre- Novembre per il sottogruppo F (del quale fa parte adenovirus 41) (Cooper et al., 2000) sebbene altri studi riportino la mancanza di una vera e propria stagionalità di adenovirus (Kotloff et al., 1989, Barnes et al., 1998).

Nel presente studio, la mancata evidenza di stagionalità nei liquami grezzi per adenovirus può essere dovuta al ristretto periodo in cui sono stati effettuati i campionamenti.

L’ impianto di depurazione studiato si è dimostrato efficiente nel ridurre la carica virale di adenovirus determinando un abbattimento mediamente di 2 Log. Tuttavia, il virus permane nelle acque reflue depurate in concentrazione mediamente di 2,4 x 103 copie/ml.

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La PCR e la Real-Time QPCR, però, non forniscono alcuna informazione sull’infettività (Gassiloud et al., 2003; Ko et al., 2005; Guévremont et al., 2006), sebbene recenti studi dimostrino che l’utilizzo nella QPCR di frammenti di amplificazione più grandi possano essere invece indicativi (Simonet et al., 2006).

Le prove di infettività per adenovirus, effettuate mediante il metodo delle placche di lisi, non hanno fornito alcun risultato positivo. Ciò potrebbe essere dovuto all’isolamento di un tipo di adenovirus che non cresce facilmente in colture cellulari poichè mancante di un elemento proteico a livello della base pentonica che ne faciliterebbe l’entrata nelle cellule A549, utilizzate per le prove di infettività: questa mancanza porta ad una infezione ritardata (Albinnson and Kidd, 1999). Gli 8 giorni di incubazione previsti dal protocollo delle prove di infettività potrebbero non essere sufficienti per produrre un’infezione di livello adeguato.

La presenza costante di adenovirus nei liquami, in entrata e in uscita dell’impianto studiato, avvalora l’uso di questo virus come indicatore di contaminazione virale, così come proposto da molti autori (Enriquez et al., 1995; Pina et al., 1998; Wyn Jones and Sellwood 2001; Komninou et al., 2004; Myrmel et al., 2006).

Ad oggi sono stati effettuati pochi studi riguardo alla ricerca di TTV nel liquame, la maggior parte dei quali in paesi dove il virus è endemico come Giappone e India (Vaidya et al., 2002; Haramoto et al., 2005; Carducci et al., 2006).

Nel nostro studio TTV ha mostrato in entrata mediamente una concentrazione di 6,63 x 104 copie/ml: ciò conferma la modalità di trasmissione oro-fecale di questo virus (Vaidya et al., 2002).

In uscita l’impianto ha determinato una riduzione media della carica virale di 1,58 Log, anche se l’abbattimento non è stato costante, raggiungendo addirittura un picco di 4,6 Log. Il genoma virale quindi sembrerebbe resistente al trattamento di clorazione mostrando

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una concentrazione media nell’effluente di 6,71 x 103 copie/ml. Haramoto e colleghi hanno osservato che in un impianto di trattamento dei liquami in Giappone la percentuale di campioni positivi per TTV alla PCR qualitativa non è diminuita in seguito alla clorazione.

A differenza di adenovirus, TTV ha mostrato un andamento irregolare, per cui sembrerebbe essere meno indicativo della contaminazione virale, così come proposto da molti autori (Enriquez et al., 1995; Pina et al., 1998; Wyn Yones and Sellwood, 2001;

Myrmel et al., 2006).

Anche per TTV si pone il problema dell’infettività, ma non essendo un virus coltivabile non è possibile trarre alcuna conclusione a riguardo.

La letteratura è carente di dati quantitativi che permettano di valutare l’efficienza di rimozione virale negli impianti di depurazione e i pochi studi che sono stati condotti finora hanno fornito soltanto dati qualitativi sulla presenza/assenza dei virus enterici nei liquami.

Per quanto riguarda la ricerca del virus dell’epatite A, i risultati della PCR qualitativa hanno mostrato positività al virus soltanto in un campione di liquame grezzo, prelevato in data 12 marzo 2007 e in un campione prelevato all’uscita il 4 giugno 2007.

La discrepanza tra i dati dell’entrata e dell’uscita dello stesso campionamento potrebbe essere imputata alla normale variabilità dei campioni biologici.

Il fatto che siano stati rilevati solo due campioni positivi per HAV è in linea con quanto osservato in altri studi e in particolare nello studio preliminare, in cui durante il periodo di campionamento (Maggio ‘04 - Aprile ’05) addirittura non è stato rilevato nessun campione positivo né in entrata né in uscita dallo stesso impianto (Myrmel et al., 2006;

Carducci et al., 2006).

Inoltre, la scarsa presenza del virus dell’epatite A potrebbe dipendere dalla bassa endemia per tale infezione nella provincia di Pisa, i cui reflui convogliano al depuratore

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preso in esame in questo studio, e dalla sieroprevalenza per HAV presente in Toscana dovuta alla circolazione del virus in passato (Bonanno et al., 2000).

I risultati delle analisi batteriologiche, riguardanti Escherichia Coli e Enterococchi intestinali, mostrano un alta carica microbica nei liquami grezzi (per E.coli 7,18x106 MPN/100ml e per Enterococchi 1,41x106 MPN/100ml) e una riduzione nelle acque reflue depurate rispettivamente di 1,74 Log e di 1,99 Log. Questi risultati sono in linea con i dati osservati in letteratura (Payment et al., 2001; Bonadonna et al., 2002; Pusch et al., 2005;

Carducci et al., 2006).

L’impianto di depurazione studiato ha determinato una riduzione dei colifagi somatici di 2,2 Log. I colifagi somatici sono stati indicati in vari studi come potenziali indicatori di contaminazione virale (Fayzieva et al., 2005); tuttavia i dati in possesso della letteratura sono ad oggi discordanti ed esistono studi che mostrano la mancanza di correlazione tra colifagi e virus enterici nelle matrici idriche (Hot et al., 2003). Nel nostro studio i colifagi somatici non hanno mostrato alcuna correlazione con la presenza dei virus enterici ricercati, né tanto meno con E.coli ed Enterococchi fecali.

Le uniche correlazioni significative sono state evidenziate per Adenovirus e TTV, tra le concentrazioni osservate in entrata e in uscita dell’impianto.

Ciò indica che la concentrazione di questi virus nelle acque reflue depurate dipende dalla carica virale presente nel liquame grezzo che giunge all’impianto.

L’abbattimento della concentrazione dei virus indagati in relazione ai campionamenti effettuati non ha fornito alcuna correlazione significativa. Vari fattori infatti possono influire sull’abbattimento della carica virale: temperatura, adsorbimento su materiale sospeso, pH e sostanze inattivanti di origine microbica. Inoltre, la portata dei liquami in entrata del depuratore varia di giorno in giorno e può subire anche una forte diluizione in seguito al verificarsi di precipitazione atmosferiche.

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L’impianto di depurazione a fanghi attivi di S. Jacopo (Pisa) non effettua il riutilizzo dei reflui depurati, ma i risultati ottenuti da questo studio evidenziano il fatto che il solo utilizzo della clorazione, come trattamento terziario di disinfezione, non è in grado di fornire livelli di carica microbica conformi ai valori soglia previsti dal D.Lgs 152/99 in merito al riutilizzo dei reflui in agricoltura. L’utilizzo di altri disinfettanti (UV, ozono, PAA) singolarmente o in combinazione tra loro, potrebbe fornire riduzioni maggiori della carica batterica e nello stesso tempo anche della concentrazione dei virus ivi presenti (Bonadonna et al., 2002).

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