Formulazione variazionale di un problema ai limiti o al contorno
Metodi degli elementi finiti per il caso 1D
Alessandra Sestini November 1, 2016
1 Formulazione variazionale di un problema ai limiti
Osserviamo che condizioni agli estremi non omogenee possono essere sos- tituite dalle analoghe omogenee senza perdita di generalit`a. Infatti basta considerare il problema differenziale verificato da ˆu := u − Rg dove Rg `e un polinomio di grado 1 (2 per le Neumann pure) che dicesi rilevamento dei dati sul bordo in quanto verifica le condizioni agli estremi, per esempio Rg(x) := g0(1 − x) + g1x nel caso di condizioni di Dirichelet e, tornando a far riferimento al problema modello, si ha
−ˆu00+ σ ˆu = (f − σRg) in I
Per quanto riguarda la regolarit`a, si osservi che, se f , σ ∈ Ck[0 , 1] , k ≥ 0, allora u ∈ Ck+2([0 , 1]) . Siamo per`o interessati a risolvere il problema differenziale anche in ipotesi di minore regolarit`a dei dati, richiedendo in particolare solo che f ∈ L2(I) e che σ ∈ L∞(I) e quindi lo riformuliamo in forma debole andando a moltiplicare l’equazione differenziale in (??) per una funzione test v ∈ V (spazio funzionale di Hilbert opportuno) e integrando per parti in modo da ottenere
−[u0v]|10 + Z 1
0
(u0(x)v0(x) + σ(x)u(x)v(x)) dx = Z 1
0
f (x)v(x)dx , ∀v ∈ V .
Di fatto, riferendoci al caso di dati agli estremi omogenei, siamo interessati a scegliere V in modo che gli integrali che appaiono nella suddetta formula siano tutti finitamente calcolabili e anche in modo che sparisca il primo addendo a sinistra del segno di uguaglianza. Se stiamo considerando il problema di Dirichlet, si sceglie allora V = H01(Ω) e si va a risolvere il seguente problema variazionale,
trovare u ∈ V | Z 1
0
(u0v0 + σuv) dx = Z 1
0
v f dx , ∀v ∈ V . (1) Nel caso del problema di Neumann (con σ 6= 0), si pu`o invece semplicemente assumere V = H1(Ω) mentre nel caso del problema misto si usa V = {v ∈ H1(Ω) | v(a) = 0} . Si osservi il diverso trattamento di condizioni di Dirichlet e di condizioni di Neumann ma anche che in ogni caso V risulta essere un sottospazio dello spazio di Hilbert H1(Ω).
Osserviamo che, nelle sole ipotesi che f ∈ L2(I) e che σ ∈ L∞(I), si pu`o comunque dimostrare che u ∈ H2(I) . Integrando allora per parti (in senso contrario a quanto fatto prima), si verifica allora che in questo caso quello che si pu`o dire `e che la soluzione del problema variazionale (1) verifica le condizioni omogeneee assegnate agli estremi e risolve l’equazione differenziale in senso variazionale, ossia si ha che
Z 1 0
(−u00+ σu − f ) v dx = 0 , ∀v ∈ V . (2) Infatti se si integra per parti il primo addendo dell’integrale a sinistra in (1) si ottiene che
u0v|10 − Z 1
0
(u00 − σ u + f ) v dx = 0 , ∀v ∈ V . (3) Se quindi v ∈ V = H01(I) (3) risulta sicuramente verificata e quindi ha senso dire che la soluzione del problema variazionale per il caso di Dirichlet omogeneo `e soluzione debole del problema differenziale ai limiti assegnato.
La cosa pu`o in effetti essere generalizzata anche al caso in cui si considerino condizioni ai limiti omogenee miste o di Neumann. Riferendoci per esempio al problema misto, questo significa che bisogna prima far vedere che u0(1) = 0 (utilizzare a tale scopo una funzione test v polinomiale tale che v(1) 6=
0, v(0) = 0 e tale che l’integrale in (3) si annulli). La seguente proposizione completa quanto ora asserito.
Proposizione 1. Supponiamo che f , σ ∈ C0[0 , 1], e che u ∈ C2[0 , 1], sia la corrispondente soluzione del problema variazionale in (1) per il caso omogeneo misto. Allora si ha che u `e soluzione del corrsipondente problema differenziale (soluzione forte).
Dimostrazione : Dobbiamo far vedere che in I risulta u00 − σu + f = 0 e che u0(1) = 0 in quanto gi`a si sa che u(0) = 0 per come `e definito V.
Ora utilizzando l’integrazione per parti in senso inverso, dalla formulazione variazionale si ottiene la (3). Se per assurdo non fosse w := u00− σu + f = 0 in I, trattandosi di una funzione continua esisterebbe [c , d] ⊂ [0 , 1] tale che w ha in [c , d] segno costante non nullo. Posto allora
v(x) = (x − c)2(d − x)2, se x ∈ [c , d] ,
0 , altrimenti ,
essendo v ∈ V e tale che v(0) = 0, avremmo cheR1
0 wv dx = 0 , il che `e assurdo in quanto in [c , d] si ha che wv ha segno costante non nullo e fuori da tale sottointervallo `e nulla. Quindi dobbiamo concludere che w = 0 in I che a sua volta implica che la (3) diventa semplicemente u0(1)v(1) = 0, ∀v ∈ V, da cui segue che u0(1) = 0 .
Il problema variazionale (1) pu`o essere formalmente riscritto come segue, trovare u ∈ V | a(u, v) = F (v) , ∀v ∈ V , (4) dove a : V × V → IR `e la seguente forma bilineare (simmetrica),
a(u, v) :=
Z 1 0
(u0v0 + σuv) dx , e F : V → IR `e il seguente seguente funzionale lineare,
F (v) :=
Z 1 0
v f dx .
La formulazione (4) dicesi formulazione astratta del problema differen- ziale in forma debole. Ora risulta essere un risultato importante di analisi funzionale il cosiddetto Lemma di Lax–Milgram che asserisce che se la forma bilineare a `e continua e coerciva nello spazio di Hilbert V , ossia esistono due costanti C ≥ α > 0 tali che, ∀u, v ∈ V risulta
|a(u, v)| ≤ Ckuk1kvk1, e |a(u, u)| ≥ αkuk21,
e il funzionale lineare F `e limitato ( il che significa che esiste una costante K >
0 tale che, ∀v ∈ V risulta |F (v)| ≤ Kkvk1) allora il problema variazionale (4) ammette una e una sola soluzione. Anche nel caso pluridimensionale che considereremo nel seguito saremo quindi interessati a poter riscrivere formalmente la formulazione debole del problema differenziale considerato in questa forma, in modo da avvalerci di questo importante Lemma.
Le ipotesi di regolarit`a assunte per f e per σ consentono di verificare agevolmente la continuit`a della forma a e la limitatezza di F mentre la coer- civit`a nel caso in cui si consideri il problema di Dirichlet e non esista una costante σ0 > 0 tale che σ ≥ σ0 quasi ovunque in Ω, richiede l’uso della cosiddetta disuguaglainza di Poincar´e valida appunto in H01(Ω),
kvkL2(Ω) ≤ CΩ|v|1 ∀v ∈ H01(Ω) , (5) dove CΩ `e una costante che dipende solo dal dominio. Da questa disug- uaglianza possiamo infatti dedurre che `e anche kvk21 ≤ (1 + CΩ2)|v|21 la quale quindi implica che
|a(u, u)| ≥ |u|21 ≥ 1
(1 + CΩ2)kuk21.
In tutti gli altri casi si dimostra la coercivit`a di a solo sotto l’ipotesi aggiuntiva che esista una costante σ0 > 0 tale che σ > σ0 quasi ovunque in Ω.
Il seguente teorema stabilisce che, quando la forma bilineare a `e continua, simmetrica e coerciva, il problema astratto (4) risulta equivalente al problema della minimizzazione del seguente funzionale J : V → IR,
J (v) := 1
2a(v , v) − F (v) . (6)
Teorema 1. Se la forma bilineare a `e continua, simmetrica e coerciva, u ∈ V
`
e soluzione di (4) sse risulta J (u) ≤ J (v) , ∀v ∈ V .
Dimostrazione : Supponiamo che u ∈ V sia la soluzione di (4). Posto w = v − u, essendo v = u + w con w ∈ V, si ha che
J (v) = J (u) + a(u , w) − F (w) + 1
2a(w , w) = J (u) + 1
2a(w , w) ≥ J (u) . Supponiamo invece che sia J (u) ≤ J (v) , ∀v ∈ V . Fissata v ∈ V, la funzione ψ() = J (u + v) deve avere un minimo in = 0 da cui segue che u deve verificare (4) per la v fissata. Considerando l’arbitrariet`a di v ∈ V si completa la dimostrazione.
2 Caso bidimensionale: problema di Poisson
Consideriamo sul dominio limitato e connesso Ω ⊂ IR2 il seguente problema detto di Poisson
−4u = f , in Ω , u = gD in ΓD,
∂u
∂n = gN in ΓN ,
(7)
dove ∂Ω = ΓD ∪ ΓN,
◦
ΓD ∩Γ◦N = ∅, e dove gD, gN sono i dati assegnati sul bordo e f `e una funzione assegnata definita su Ω. Se ΓN = ∅ o ΓD = ∅ il problema `e detto rispettivamente di Dirichlet o di Neumann, mentre nel caso generale `e detto problema con condizioni miste. Notiamo che il problema di Neumann non ha unicit`a di soluzione in quanto se si aggiunge una costante ad una soluzione si ottiene sempre una soluzione e che inoltre occorre assumere la seguente condizione di compatibilit`a sui dati,
− Z
∂Ω
gNdγ = Z
Ω
f (x) dx ,
che deriva dal teorema della divergenza considerando che 4u = ∇·(∇u) . Allo scopo di assicurare unicit`a di soluzione e di non aver bisogno di condizioni di compatibilit`a sui dati, nel seguito consideremo soltanto il problema di Dirichlet o il problema misto.
Osserviamo che, anche se f ∈ C0(Ω) e gD ∈ C2(ΓD), gN ∈ C1(ΓN), non
`
e detto che u ∈ C2(Ω). Se per esempio Ω = (0 , 1)2, ΓN = ∅ e si scelgono gD nulla e f costante e uguale a 1, si verifica facilmente che, mentre in Ω il laplaciano di u deve essere −1, si ha che esso nei quattro corner del dominio deve annullarsi. In generale quindi, anche se i dati sono super regolari come in questo esempio, dovremo accontentarci di cercare u in C0(Ω) ∩ C2(Ω).
Tuttavia siamo interessati a risolvere il problema anche in ipotesi di minor regolarit`a dei dati e quindi dobbiamo dapprima intenderlo in forma varia- zionale in modo che abbia senso assumere f ∈ L2(Ω). Per quanto riguarda la regolarit`a della soluzione si tenga comunque presente che, anche suppo- nendo di avere condizioni al contorno di Dirichlet omogenee, a differenza di quanto detto per il caso monodimensionale, se f ∈ L2(Ω) non `e detto che esista u ∈ H2(Ω) tale che in senso variazionale risulti −4u = f. Infatti `e stato dimostrato che una tale u ∈ H2(Ω) esiste solo se ∂Ω `e sufficientemente regolare, il che significa o che si tratta di una curva chiusa regolare (quindi senza spigoli o cuspidi) o di una poligonale chiusa tale che Ω risulti convesso.
In questi casi si dimostra anzi che
f ∈ Hs(Ω) ⇒ u ∈ Hs+2(Ω) e kukHs+2(Ω) ≤ Ckf kHs(Ω).
Si noti che comunque per il problema misto, anche quando ∂Ω `e regolare, non vale pi`u il suddetto risultato, si pu`o avere cio`e una perdita di regolarit`a.
Per tutti questi motivi, siamo allora interessati a risolvere il problema dif- ferenziale in senso debole ricercandone la soluzione in H1(Ω).
Del problema misto ci occuperemo nella sezione successiva, passando a considerare un problema pi`u generale di quello qui introdotto. Riferendoci quindi al problema di Dirichlet, ΓN = ∅ , consideriamone per ora il caso omogeneo, gD = 0, assumendo f ∈ L2(Ω). Osserviamo che, supponendo che gli integrali coinvolti siano calcolabili, dalla (7) deriva che
− Z
Ω
v 4u dx = Z
Ω
v f dx .
Dal teorema della divergenza, considerando che v4u = ∇ · (v∇u) − ∇u · ∇v , si ha quindi
Z
Ω
∇u · ∇v dx − Z
∂Ω
v∂u
∂ndγ = Z
Ω
v f dx . (8)
Poich´e vogliamo ricercare la funzione u nello stesso spazio funzionale V dove prendiamo le funzioni test v, tenendo presente le condizioni di Dirichlet omo- genee, scegliamo V = H01(Ω) e quindi otteniamo la seguente formulazione,
trovare u ∈ V | Z
Ω
∇u · ∇v dx = Z
Ω
v f dx ∀v ∈ V . (9) Notiamo che la suddetta formulazione pu`o essere anche scritta in modo as- tratto come in (4), dove ora, a : V × V → IR `e la seguente forma bilineare,
a(u, v) :=
Z
Ω
∇u · ∇v dx , e F : V → IR `e il seguente seguente funzionale lineare,
F (v) :=
Z
Ω
v f dx .
Verificare che la forma a `e continua `e semplice. Infatti, essendo a(u, v) =< u, v >1 −R
Ωuv dx , si ha che
|a(u, v)| ≤ kuk1kvk1+ kukL2(Ω)kvkL2(Ω) ≤ 2kuk1kvk1.
Anche verificare che il funzionale F risulta limitato `e semplice. Infatti, us- ando la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz in L2(Ω), si ottiene che
|F (v)| ≤ kf kL2(Ω)kvkL2(Ω) ≤ kf kL2(Ω)kvk1.
Per verificare la coercivit`a di a invece abbiamo bisogno di ricordare la validit`a della disuguaglianza di Poincar´e riportata in (5).
Dal Lemma di Lax–Milgram possiamo quindi concludere che anche in questo caso esiste ed `e unica la soluzione del problema (4).
Se consideriamo il problema di Dirichlet non omogeneo, sempre chiedendo che f ∈ L2(Ω) e che gD ∈ H1/2(∂Ω), dalla (8) arriviamo alla seguente formu- lazione,
trovare u ∈ VD | Z
Ω
∇u · ∇v dx = Z
Ω
v f dx , ∀v ∈ V = H01(Ω) , dove
VD := {v ∈ H1(Ω) | v|∂Ω = gD} .
Tuttavia non siamo soddisfatti di questa formulazione in quanto, per usare Lax-Milgram, abbiamo bisogno che le funzioni test v e la funzione ricercata u appartengano allo stesso spazio di Hilbert (si osservi che VD non `e neanche uno sottospazio di H1(Ω)). Allora definiamo
ˆ
u := u − Rg,
dove Rg `e una funzione di H1(Ω), detta rilevamento del dato di Dirichlet al bordo , che ha gD come traccia su ΓD, ossia tale che γΓD(Rg) = gD e quindi si ha γΓD(ˆu) = 0 (che per brevit`a scriveremo semplicemente ˆu|ΓD = 0).
Riformulato in termini di ˆu, il problema debole torna quindi ad essere quello in (9).
Osservazione 1. Costruire un rilevamento Rg del dato di Dirichlet gD pu`o in effetti non essere semplice. Tale compito risulter`a per`o molto pi`u semplice nell’ambito dell’approssimazione numerica, dove si costruisce soltanto un ri- levamento di un’approssimazione di gD.
Osservazione 2. La forma bilineare associata alla formulazione debole di un problema di Poisson risulta anche simmetrica. Ci`o sar`a utile in fase di risoluzione numerica.
2.1 Un problema bidimensionale pi` u generale
Consideriamo ora il seguente problema
−∇ · (µ ∇u) + σu = f , in Ω ,
u = gD in ΓD,
µ∂n∂u = gN in ΓN,
(10) dove, al solito gD e gN sono i dati assegnati sul bordo, rispettivamente di Dirichlet e di Neumann, f ∈ L2(Ω) e dove µ , σ ∈ L∞(Ω) sono anch’esse funzioni assegnate con µ(x) ≥ µ0 > 0 e σ(x) ≥ σ0 > 0 q.o. in Ω. Notiamo che l’ipotesi su σ garantisce l’unicit`a della soluzione anche per il problema di Neumann puro in questo caso. Circa la regolarit`a dei dati sul bordo, come per Poisson si richiede che gN ∈ L2(ΓN) e che gD sia in ΓD un po’ pi`u regolare (vedi quanto detto nella sottosezione precedente).
Per arrivare alla formulazione debole di questo problema si procede come prima moltiplicando ambo i membri dell’equazione differenziale per la fun- zone test v e utilizzando quindi il teorema della divergenza. Si ottiene quindi,
Z
Ω
(µ ∇u · ∇v + σ u v) dx − Z
∂Ω
v µ∂u
∂ndγ = Z
Ω
v f dx , che riscriviamo scindendo ΓD da ΓN,
Z
Ω
(µ ∇u · ∇v + σ u v) dx − Z
ΓD
v µ∂u
∂ndγ = Z
Ω
v f dx + Z
ΓN
µ v gNdγ . Al solito poniamo poi ˆu := u − RgD e riscriviamo formalmente il problema come in (4) in termini della funzione incognita ˆu, dove lo spazio di Hilbert V in cui si lavora `e l’insieme delle funzioni di H1(Ω) la cui traccia ristretta a ΓD `e nulla e ora
a(u, v) := R
Ω(µ ∇u · ∇v + σ u v) dx , F (v) :=R
Ωv f dx + R
ΓNµ v gNdγ − a(RgD, v) .
Si tratta quindi di determinare ˆu ∈ V tale che a(ˆu, v) = F (v) , ∀v ∈ V . Osservazione 3. Nel problema misto le condizioni di Neumann vengono dette naturali in quanto appaiono esplicitamente nella formulazione del prob- lema variazionale mentre quelle di Dirichlet sono dette essenziali in quanto concorrono alla determinazione dello spazio funzionale di Hilbert V nel quale il problema differenziale viene formulato in forma debole. Nel caso del prob- lema puro di Dirichlet, omogeneo e non, V = H01(Ω).
La forma bilineare a cos`ı modificata `e ancora continua e coerciva grazie alle ipotesi assunte sulle funzioni µ e σ. Infatti, indicando con µM e σM due costanti positive che rispettivamente maggiorano q.o. in Ω le funzioni µ e σ, si ha
|a(u, v)| ≤ µMkuk1kvk1 + σMkukL2(Ω)kvkL2(Ω) ≤ (µM + σM) kuk1kvk1.
Inoltre si ha
a(u, u) ≥ min{µ0, σ0} kuk21.
Il funzionale F `e ovviamente ancora lineare ed esso `e pure limitato essendo, grazie a (26),
||F (v)| ≤ kf kL2(Ω)kvkL2(Ω)+ kv|ΓNkL2(ΓN)kgNkL2(ΓN)+ (µM + σM) kRgk1kvk1 ≤ kf kL2(Ω)+ C0kgNkL2(ΓN)+ (µM + σM) kRgk1 kvk1.
Si conclude quindi che sotto le ipotesi assunte per le funzioni µ e σ anche la forma debole di questo problema ammette una e una sola soluzione.
Osservazione 4. Quando la forma a `e continua e corciva sulla spazio di Hilbert V e il funzionale F `e ivi lineare e limitato, l’unica soluzione u del problema astratto (4) verifica la seguente disuguaglianza,
kukV ≤ 1
αkF kV0. (11)
Infatti si ha αkuk2V ≤ a(u, u) = F (u) ≤ |F (u)| ≤ kF kV0kukV .
3 Metodo di Galerkin
Numericamente ci accontentiamo di determinare un’approssimazione uh ∈ Vh della soluzione u ∈ V del problema debole (4), dove Vh `e un sottospazio di V di dimensione finita Nh+ 1. Notiamo che qui h rappresenta uno scalare positivo tale che, quando h → 0, si ha che corrispondentemente Nh → +∞.
Naturalmente la cosa ha un senso se innanzi tutto l’approssimazione uh esiste ed `e unica per ogni h fissato e inoltre risulta che uh → u quando h tende a 0.
Nel metodo di Galerkin, fissato il sottospazio Vh di V, uh viene determinata come soluzone del seguente problema,
trovare uh ∈ Vh | a(uh, vh) = F (vh) ∀vh ∈ Vh, (12)
Notiamo che, essendo Vhun sottospazio di V, anch’esso `e uno spazio di Hilbert rispetto al prodotto scalare definito in V e quindi si pu`o ancora utilizzare il lemma di Lax-Milgram per concludere che esiste ed `e unica anche la soluzione uh ∈ Vh di (12). Al fine di determinare costruttivamente uh, osserviamo che, se {ϕj(·), j = 0, . . . , Nh} definisce una base per Vh, si ha che (12) `e verificato sse si ha che
a(uh, ϕi) = F (ϕi) , ∀ϕi, i = 0, . . . , Nh. Ponendo allora uh(·) =
Nh
X
j=0
ujϕj(·) si ottiene che deve essere
Nh
X
j=0
uja(ϕj, ϕi) = F (ϕi) , i = 0, . . . , Nh.
Queste Nh+ 1 condizioni, essendo lineari nelle alrettante incognite uj, j = 0, . . . , Nh, possono essere quindi compattamente riscritte come il seguente sistema lineare quadrato,
A u = f , (13)
dove si `e posto , u := (u0, · · · , uNh)T, f := (F (ϕ0), · · · , F (ϕNh))T , e dove Ai,j := (a(ϕj, ϕi)) . La matrice A dicesi matrice di rigidezza o anche matrice di stiffness mentre il vettore f dicesi vettore di carico. Riguardo alla matrice A si noti che, essendo la forma a coerciva, segue che A `e definita positiva, ossia
∀x ∈ IRn con x 6= 0, risulta xTAx > 0 . Infatti, tenendo in considerazione come `e definita A e la bilinearit`a della forma a, si ottiene che xTAx = a(wh, wh), dove si `e posto wh =PNh
j=1xjϕj. Segue quindi che xTAx ≥ αkwhk21 con α > 0 (coefficiente di coercivit`a) e wh 6= 0. Le definita positivit`a assicura quindi effettivamente l’esistenza e l’unicit`a della soluzione uh. Se poi la forma bilineare a `e anche simmetrica, come accade per i problemi ellittici esaminati, la A risulta essere sdp e quindi ci si pu`o avvantaggiare di ci`o per la risoluzione del sistema lineare in (13).
Osserviamo che (4) e (12) implicano la seguente propriet`a di ortogonalit`a della differenza u − uh rispetto allo spazio Vh,
a(u − uh, vh) = 0 , ∀vh ∈ Vh. (14) Inoltre, analogamente a quanto fatto per ottenere la disuguaglianza (11), si pu`o dimostrare che la norma di uh rimane limitata superiormente al tendere
di h a zero in quanto
kuhkV ≤ 1
αkF kV0. Dimostriamo ora il seguente importante risultato,
Teorema 2. La soluzione uh di (12) verifica la seguente disuguaglianza, ku − uhkV ≤ M
α infvh∈Vhku − vhkV , ∀vh ∈ Vh,
dove u `e la soluzione di (4) e α e M sono rispettivamente le costanti di coercivit`a e di continuit`a della forma bilineare a.
Dimostrazione : Osserviamo innanzi tutto che αku − uhk2V ≤ a(u − uh, u − uh) = a(u − uh, u − vh) + a(u − uh, vh − uh), ∀vh ∈ Vh. Ma, per la propriet`a di ortogonalit`a di u − uh, il secondo addendo `e zero. Quindi, dalla continuit`a di a si deduce che αku − uhk2V ≤ M ku − uhkVku − vhkV, da cui discende la tesi.
L’importanza di questo risultato `e insita nel fatto che se nello spazio Vh al tendere di h a zero si approssima sempre meglio u ∈ V (il che significa che l’inf a destra nella suddetta disuguaglianza tende a zero), allora anche l’errore di approssimazione ku − uhkV tender`a a zero e avremo che l’ordine di approssimazione (infinitesimo rispetto a h) con cui uh approssima u sar`a analogo a quello della migliore approssimazione di u in Vh.
4 Il metodo degli elementi finiti
Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, per completare la risoluzione numerica di un problema ellittico in forma debole utilizzando Galerkin, ab- biamo bisogno di fissare lo spazio Vh e di scegliere una base in esso. Vediamo in questa sezione come questo viene fatto utilizzando il metodo degli elementi finiti, riferendoci in particolare ad elementi finiti cosiddetti lagrangiani. Ci occuperemo esplicitamente solo del caso 1D e del caso 2D facendo riferimento ai problemi modello precedentemente introdotti.
4.1 Caso 1D: scelta di V
he delle basi
Assumiamo quindi qui Ω = I = (0 , 1) ⊂ IR e ricordiamo che in tal caso si ha H1(I) ⊂ C0( ¯I) . Fissata una partizione ∆h di (0 , 1), ossia un insieme
di ascisse xi, i = 0, . . . , N tali che 0 = x0 < x1 < · · · < xN −1 < xN = 1 , poniamo Ii := (xi−1, xi) , hi := xi− xi−1, i = 1, . . . , N e
h := max
i=1,...,Nhi.
Con questa notazione, nel metodo degli elementi finiti, fissato r > 0 ∈ IN , si sceglie Vh come segue,
Vh := {vh ∈ Xhr| vhverifica le cond. di Diric. omogenee assegnate} , (15) dove Xhr indica lo spazio delle splines generalizzate di grado r definite sulla partizione ∆h e che nei nodi devono solo essere continue,
Xhr := {vh ∈ C0([0 , 1]) | vh|Ik ∈ Πr, k = 1, . . . , N } .
Come sappiamo tale spazio ha dimensione N (r + 1) − (N − 1) = N r + 1 e effettivamente esso costituisce una scelta ammissibile in quanto Xhr ⊂ H1(Ω) . Infatti ogni funzione vh ∈ Xhr `e continua in [0 , 1] ed `e tale che vh0 ∈ L2(I), essendo v0h ∈ C(Ik), k = 1, . . . , N e con un salto finito in ciascun nodo interno.
Naturalmente in questo spazio potremmo usare la base delle B-splines definita usando il vettore esteso dei nodi (introducendo quindi nodi interni multipli tutti con molteplicit`a r). Facendo per`o qui riferimento all’implemen- tazione pi`u comune del metodo degli elementi finiti, andremo ad utilizzare una base diversa, per definire la quale introduciamo la seguente partizione allargata Y ⊃ ∆ di (0 , 1) ,
Y := ∪N
k=1{yi,k, i = 0, . . . , r} , con yi,k := xk−1+ihk
r , i = 0, . . . , r , (num. locale) . Si osservi che la partizione allargata Y `e ottenuta aggiungendo a ∆ altre (r − 1) ascisse equispaziate a distanza hk/r in ogni sottointervallo Ik. Si osservi inoltre che ]Y = N r + 1 e che nel caso particolare r = 1 risulta Y = ∆ . Come si diceva, la partizione Y viene utilizzata per definire una base {ϕi, i = 0, . . . , N r} lagrangiana di Xhr, ossia tale che
ϕi(yj) = δi,j, i, j = 0, . . . , N r , (16) dove δij indica il δ di Kronecker. e dove le ascisse di Y sono state rinumerate globalmente, ossia si `e posto
yj := yi,k, k := 1 + bjrc , i := j + r − rk , j = 0, . . . , N r − 1 ,
yN r := yr,N (num. globale) . (17)
Queste funzioni, grazie a (16), risultano essere sicuramente linearmente in- dipendenti. Inoltre esse si determinano facilmente utilizzando la loro rap- presentazione polinomiale a tratti. Infatti φj deve essere identicamente nulla in ¯Ik se yj ∈ ¯/ Ik mentre, se yj ∈ ¯Ik e in particolare si ha yj = yi,k, essa deve necessariamente coincidere con il polinomio di Lagrange definito utilizzando le r + 1 ascisse ys,k, s = 0, . . . , r . Se quindi yj ∈ Y \ ∆, la corrispondente ϕj sar`a diversa da zero solo in quel sottointervallo Ik cui appartiene yj. Se invece yj ∈ ∆, allora essa sar`a diversa da zero in quei due sottointervalli con- tigui che condividono yj come estremo (ad eccezione naturalmente del caso y0 = x0 = 0 e yN r = xN = 1).
Per capire meglio come sono definite queste funzioni, analizziamo in det- taglio i casi r = 1 e r = 2. Se r = 1 abbiamo detto che Y = ∆ e quindi avremo che ϕi sar`a la funzione continua lineare a tratti sulla partizione ∆ (spline classica) che vale 1 in xi e che vale 0 in tutti gli altri punti della partizione ∆ il cui grafico `e quello della funzione a tettuccio con supporto [xi−1, xi+1]. Essa `e quindi definibile a tratti come segue,
ϕi(x) :=
x−xi−1
xi−xi−1 se x ∈ [xi−1, xi) ,
xi+1−x
xi+1−x se x ∈ [xi, xi+1) , 0 altrimenti .
In questo caso quindi tutte le funzioni di base (escluse la prima e l’ultima) hanno come supporto due sottointervalli consecutivi.
Se invece r = 2, si ha che, quando j = 2k − 1 (dispari), ϕj `e diversa da zero solo in Ik e risulta definibile a tratti come segue,
ϕj(x) :=
( (x−y
j−1)(x−yj+1)
(yj−yj−1)((yj−yj+1) se x ∈ [xk−1, xk) ,
0 altrimenti . k = (j + 1)/2 (j dispari) . Quando invece j = 2k (pari), si ha che ϕj `e diversa da zero sia in Ik che in Ik+1 e essa risulta definibile a tratti come segue,
ϕj(x) :=
(x−yj−2)(x−yj−1)
(yj−yj−2)((yj−yj−1) se x ∈ [xk−1, xk) ,
(x−yj+1)(x−yj+2)
(yj−yj+1)((yj−yj+2) se x ∈ [xk, xk+1) ,
0 altrimenti .
k = j/2 (j pari) ,
con opportune modifiche per j = 0 e j = 2N . In generale, per come `e definita la numerazione globale si ha che, se yj = yi,k con j non multiplo di r, allora ϕj 6= 0 nel solo sottointervallo Ik e risulta
ϕj|Ik = L(k)i,r ,
dove L(k)i,r indica l’ i–esimo polinomio di Lagrange di grado r definito usando le ascisse (uniformi) di Y appartenenti ad Ik. Se invece j `e multiplo di r, essa risulta non nulla sia in Ik, con k definito come in (17), che nel precedente sottointervallo, con ϕj|Ik = L(k)0,r e ϕj|Ik−1 = L(k−1)r,r .
Ora, se per ogni sottointervallo Ik si definisce il mapping lineare x = mk(ξ) : [0 , 1] → Ik,
mk(ξ) = xk−1+ ξhk, si ha che
L(k)j,r(x) = `j,r(ξ) ,
avendo indicato con `j,r(ξ), j = 0, . . . , r i polinomi di Lagrange di grado r e nodi 0 = ξ0 < ξ1 < · · · < ξr−1 < ξr= 1 con ξj = j/r, j = 0, . . . , r, ossia
`j,r(ξ) =
r
Y
i=0,i6=j
rξ − i
j − i , j = 0, . . . , r .
Facendo allora riferimento al problema ellittico considerato in Sezione ??, avremo quindi per la matrice di rigidezza che
Ai,j =
N
X
k=1
Z
Ik
ϕ0j(x) ϕ0i(x) + σ(x)ϕj(x) ϕi(x)
dx i, j = 1, . . . , N r + 1.
Si osservi innanzi tutto che A `e simmetrica, il che implica che si possono sostanzialmente dimezzare i calcoli supponendo per esempio i ≥ j. L’assem- blaggio della matrice A comunque viene usualmente fatto element–by–element:
inizializzata A a zero, per ogni sottointervallo Iksi calcolano tutti gli integrali Ii,jk :=
Z
Ik
ϕ0j(x) ϕ0i(x) + σ(x)ϕj(x) ϕi(x) dx ,
che sono non nulli ossia per quelle coppie di indici i e j tali che esistono dei corrispondenti indici 0 ≤ si ≤ r e 0 ≤ sj ≤ r tali che yi = ysi,k e yj = ysj,k (limitandosi per la simmetria a quelli per cui si ≥ sj). Si tratta quindi in
tutto di (r + 2)(r + 1)/2 integrali da calcolare su ogni Ik. Utilizzando la sostituzione lineare x = mk(ξ), per ciascuno di tali sottointervalli si ha che
Ii,jk = 1 hk
I1(sj, si) + hkI0k(sj, si) , dove, per s1, s2 = 0, . . . , r, si pone
I1(s1, s2) :=R1
0 `0s1,r(ξ) `0s2,r(ξ) dξ , I0k(s1, s2) :=R1
0 σ(mk(ξ)) `s1,r(ξ) `s2,r(ξ) dξ .
Osserviamo per`o che solo I1(s1, s2) non dipende dall’intervallo Ik e il suo calcolo consiste nel calcolo dell’integrale di un polinomio. Il calcolo di I0k(s1, s2) richiede invece in generale l’uso di formule di quadratura.
Anche il vettore di carico f viene assemblato procedendo element–by–
element e tale assemblaggio richiede su ogni sottointervallo Ik il calcolo delle seguenti quantit`a,
Ifk(s1) :=
Z 1 0
f (mk(ξ)) `si,r(ξ) dξ , s1 = 0, . . . , r ,
dove il prodotto hkIfk(si) deve essere accumulato in f (i), essendo yi = ysi,k.
4.2 Caso 1D: convergenza di u
ha u
Naturalmente la scelta dello spazio Vh risulta adeguata solo se infvh∈Vhku − vhkV → 0 , quando h → 0 ,
dove u ∈ V ⊆ H1(Ω) `e la soluzione di (4) che, nelle ipotesi assunte per f e per σ sappiamo in effetti appartenere almeno ad H2(I). Dobbiamo quindi fare vedere che questo `e vero se si sceglie Vh ⊆ Xhr come definito in (15), con Xhr che indica lo spazio delle splines generalizzate definito nella sezione precedente. Ci`o si dimostra facendo vedere che
h→0limku − srhk1 = 0 ,
dove srh indica la funzione di Xhr che interpola u nell’insieme delle ascisse prima indicato con Y. Infatti si ha che
infvh∈Vhku − vhkV ≤ ku − srhk1.
Si noti che u ∈ C0[0 , 1] e che la sua interpolante su Y, srh ∈ Xhr, `e uni- vocamente definita. Per come `e definito Xhr, si ha che srh| Ik risulta es- sere il polinomio di grado r che interpola u sulle r + 1 ascisse equispaziate yi,k, i = 0, . . . , r appartenenti a Ik, ossia
srh(x) =
r
X
i=0
u(yi,k) L(k)i,r(x) , ∀x ∈ Ik, k = 1, . . . , N .
Avendo i polinomi di Lagrange somma costante uguale a 1, si pu`o scrivere
u(x) − srh(x) =
r
X
i=0
(u(x) − u(yi,k)) L(k)i,r(x) , ∀x ∈ Ik,
e quindi ottenere
|u(x) − srh(x)| ≤ ω(u, hk) k
r
X
i=0
|L(k)i,r|k∞,Ik, ∀x ∈ Ik,
dove ω(u, h) `e il modulo di continuit`a della funzione u che tende a zero per h che tende a zero, essendo u continua. Dato che per ascisse uniformi si ha
k
r
X
i=0
|L(k)i,r|k∞,Ik = k
r
X
i=0
|`i,r| k∞,[0,1], ∀k ,
indicata con Λr (costante di Lebesgue) tale quantit`a, si pu`o allora concludere che
max
x∈[0 , 1]|u(x) − srh(x)| ≤ Λrω(u, h) .
Questo ovviamente garantisce la convergenza di srh ad u nella norma uniforme di C0[0 , 1] . Ma vediamo ora l’ordine di convergenza con cui srh tende ad u al tendere di h a zero nella norma di H1(Ω), ricordando che u appartiene almeno a H2(Ω). A tale scopo si dimostra il seguente teorema,
Teorema 3. Sia Ω = (0 , 1) e u ∈ Hr+1(Ω), r ≥ 1 . Allora esistono due costanti C0,r e C1,r indipendenti da u e da h tali che
|u − srh|1 ≤ C1,rhr|u|r+1,
ku − srhkL2 ≤ C0,rhr+1|u|r+1. (18)
Dimostrazione : Facciamo la dimostrazione solo nel caso r = 1, ricordando che in tal caso, essendo il dominio monodimensionale, si ha che u ∈ C1(Ω) . Se quindi poniamo e := u − s1h, abbiamo che e ∈ C1(Ik) e, essendo e(xi) = 0, i = 0, . . . , N, si ha che per il teorema di Rolle esistono zk∈ Ik, k = 1, . . . , N tali che e0(zk) = 0 . Questo ci permette di scrivere
e0(x) = Z x
zk
e00(s)ds = Z x
zk
u00(s) ds , ∀x ∈ Ik, che implica che
|e0(x)| ≤ Z xk
xk−1
|u00(s)|ds , ∀x ∈ Ik.
Usando la disuguaglianza di Cauchy–Schwarz in L2(Ik) per le funzioni 1 e
|u00|, si ottiene quindi,
|e0(x)| ≤ h1/2k
Z xk
xk−1
(u00(s))2ds
!1/2
, ∀x ∈ Ik. (19)
A sua volta si ha quindi allora che Z xk
xk−1
(e0(x))2dx ≤ h2 Z xk
xk−1
(u00(s))2ds ,
dove hk `e stato maggiorato con h . Sommando su k e e elevando a 1/2 ambo i membri si ottiene allora la prima disuguaglianza in (18) ponendo C1,1 = 1. Dobbiamo ora maggiorare e(x). Per fare questo si nota che
e(x) = Z x
xk−1
e0(s)ds , ∀x ∈ Ik, e quindi, dalla (19), si ottiene che
|e(x)| ≤ Z xk
xk−1
|e0(x)|dx ≤ h3/2k
Z xk
xk−1
(u00(s))2ds
!1/2
, ∀x ∈ Ik.
Quindi, quadrando e maggiorando di nuovo hk con h si ottiene Z xk
xk−1
(e(x))2dx ≤ h4 Z xk
xk−1
(u00(s))2ds .
Infine, sommando su k e e elevando poi a 1/2 ambo i membri si ottiene la seconda disuguaglianza in (18) ponendo ancora C0,1 = 1.
Per quanto prima detto, questo teorema implica allora che, se la soluzione u del nostro problema variazionale appartiene a Hr+1(Ω) con r ≥ 2 e si usano elementi finiti proprio di grado r, allora esiste una costante indipendente da h e da u tale che
ku − uhk1 ≤ Chr|u|r+1.
Si pu`o inoltre dimostrare che se u ∈ Hs+1(Ω) con s ≥ 1 e si usano elementi finiti di grado r > s si ha soltanto
ku − uhk1 ≤ Chs|u|s+1.
Da questo si deduce che non conviene utilizzare elementi finiti di grado r > s.
Si noti che nell’approccio classico qui analizzato non si contempla la possi- bilit`a di utilizzare come Vh uno spazio di splines con regolarit`a globale mag- giore di C0.
5 Appendice A
In questa sezione si introducono le definizioni e gli enunciati dei teoremi di analisi funzionale cui viene fatto riferimento in queste note.
5.1 Gli spazi L
p(Ω), 1 ≤ p ≤ +∞
Si tratta di spazi di funzioni definite su Ω che sono tutti spazi di Banach (ciascuno rispetto ad una sua specifica norma) e che nel caso da noi assunto di Ω limitato sono annidati nel senso che, se q > p ≥ 1 si ha
L∞(Ω) ⊂ Lq(Ω) ⊂ Lp(Ω) ⊂ L1(Ω) . Se p < +∞ si ha:
Lp(Ω) := {v : Ω → IR | Z
Ω
|v(x)|pdx < +∞}
e, conseguentemente, la norma di v ∈ Lp(Ω) `e definita come segue, kvkLp(Ω):=
Z
Ω
|v(x)|pdx
1/p
.
In particolare L2(Ω) `e uno spazio di Hilbert rispetto al prodotto scalare
< v , w >L2(Ω):=
Z
Ω
v(x) w(x) dx .
Come in tutti gli spazi di Hilbert, vale quindi in L2(Ω) la cosiddetta disug- uaglianza di Cauchy-Schwartz,
| Z
Ω
u(x) v(x) dx | = | < u , v >L2(Ω) | ≤ kukL2(Ω)kvkL2(Ω).
(dimostrabile considerando che, ∀α ∈ IR, risulta < u − αv , u − αv >=
ku − αvk2 ≥ 0 e scegliendo α = <u , v>
<v , v>).
Osserviamo che, se u, v ∈ L2(Ω), anche |u|, |v| ∈ L2(Ω). Quindi Cauchy- Schwartz implica anche che (disuguaglianza di H¨older),
Z
Ω
|u(x) v(x)| dx ≤ kukL2(Ω)kvkL2(Ω). (20) Inoltre si ha che
L∞(Ω) := {v : Ω → IR | sup{|v(x)|, con x q. o. ∈ Ω} < +∞}
e
kvkL∞(Ω):= sup{|v(x)| , q.o. in Ω} .
Si noti che, essendo Ω aperto, non `e detto che una funzione continua in Ω appartenga ad L1(Ω) . Ad esempio la funzione f (x) = 1/x `e continua in Ω = (0 , 1) ma non appartiene a L1(Ω) . Naturalmente invece se f ∈ C( ¯Ω) , allora f ∈ L∞(Ω) .
5.2 Derivate nel senso delle distribuzioni
Vogliamo qui introdurre una generalizzazione del concetto di derivata che, fra l’altro, ci permetter`a di definire la derivata (nel senso delle distribuzioni appunto) per una qualsiasi f ∈ L2(Ω) (funzione a quadrato sommabile).
Preliminarmente comunque ricordiamo che se f ∈ Ck(Ω) con Ω ⊆ IRd, d ≥ 2, per brevit`a si utilizzano i multi–inidici α = (α1, · · · , αd) ∈ INd, |α| := α1+
· · · + αd = r ≤ k , per indicare una ben precisa derivata parziale di ordine r della f = f (x) = f (x1, · · · , xd),
Dαf (x) = ∂rf (x)
∂xα11· · · ∂xαdd , |α| = r .
Ma andiamo per ordine e definiamo innanzi tutto lo spazio delle distri- buzioni che indicheremo con D0(Ω) come lo spazio duale dello spazio
D(Ω) := {φ : Ω → IR | φ ∈ C∞(Ω) e φ ha supp. comp. in Ω}
Abbiamo quindi che D0(Ω) `e lo spazio dei funzionali lineari e continui definiti sulle funzioni di D(Ω). Ora possiamo osservare che L2(Ω) `e isomorfo a un sottospazio proprio di D0(Ω). Infatti `e possibile identificare ogni f ∈ L2(Ω) con la distribuzione Tf tale che
Tf(φ) :=
Z
Ω
f (x) φ(x)dx .
Notiamo che per brevit`a spesso si identifica f ∈ L2(Ω) con la distribuzione Tf ad essa associata. Con tale abuso di linguaggio possiamo quindi anche dire che L2(Ω) `e un sottospazio di D0(Ω). Il fatto che si tratti di un sottospazio proprio si dimostra facendo vedere che non `e possibile trovare f ∈ L2(Ω) tale che f = δa, (nel senso quindi di Tf = δa,) dove δa ∈ D0(Ω), a ∈ Ω, `e detta distribuzione di Dirac ed `e definita come segue:
δa(φ) := φ(a) . Definiamo quindi la derivata ∂x∂T
i di una distribuzione T come quella dis- tribuzione tale che
∂T
∂xi(φ) := −T (∂φ
∂xi) . (21)
In particolare avremo quindi che,∂δ∂xa
i(φ) = −∂x∂φ
i(a) . Inoltre, se f ∈ L2(Ω), per la derivata di Tf vale la seguente formula,
∂Tf
∂xi(φ) = − Z
Ω
f (x) ∂φ
∂xidx . (22)
Dalla definizione in (21) si deduce innanzi tutto che le distribuzioni sono infinitamente derivabili (nel senso delle distribuzioni!) e per recursione si ottiene che, se α ∈ INd `e un multiindice assegnato, ∀T ∈ D0(Ω) risulta
DαT (φ) = (−1)|α|T (Dαφ) .
Osserviamo poi che l’espressione in (22) implica che, se f ∈ C1(Ω), al- lora ∂T∂xf
i = T∂f
∂xi
che implica che in questo caso la derivata nel senso delle
distribuzioni coincide con la derivata classica. Infatti usando il teorema di Green (detto anche della divergenza) e considerando che ogni φ ∈ D(Ω) ha supporto compatto in Ω, si ha che
Z
Ω
φ(x)∂f
∂xi(x) + f (x)∂φ
∂xi(x)dx = 0 che implica che
∂Tf
∂xi(φ) = Z
Ω
φ(x) ∂f
∂xidx = T∂f
∂xi(φ) .
Se per`o si sa solo che f sta in L2(Ω) non `e neanche detto che esista g ∈ L2(Ω) tale che Tg = ∂T∂xf
i, cio`e, in altre parole, la derivata nel senso delle distribuzioni di una funzione di L2(Ω) non necessariamente `e una funzione di L2(Ω). Questo si verifica in modo costruttivo, considerando la funzione monovariata di Heaviside H(x) : IR → IR,
H(x) = 1 se x > 0 ,
0 altrimenti. (23)
Tale funzione appartiene naturalmente a L2(Ω), Ω ⊂ IR, essendo Ω limitato per ipotesi. Se Ω = (a , b) con a < 0 < b, avremo
dTH
dx (φ) = −TH(dφ
dx) = − Z b
a
H(x)dφ
dx(x) = − Z b
0
dφ
dxdx = φ(0) = δ0(φ) . Essendo quindi dTdxH = δ0, segue che dTdxH ∈ L/ 2(Ω).
5.3 Gli spazi di Sobolev H
m(Ω)
Il fatto che la derivata nel senso delle distribuzioni di una funzione di L2(Ω) non necessariamente appartenga ad L2(Ω), ci porta quindi ad introdurre un sottospazio di L2(Ω) che viene detto spazio di Sobolev H1(Ω),
H1(Ω) := {f ∈ L2(Ω)| ∂f
∂xi ∈ L2(Ω), i = 1, . . . , d} , (24) dove le derivate devono essere intese nel senso delle distribuzioni.
Si noti che H1(Ω) `e uno spazio di Hilbert rispetto al prodotto scalare
< f , g >1:=
Z
Ω
f g + ∇f · ∇g dx , che induce la norma
kf k1 :=
Z
Ω
f2 + |∇f |2 dx
1/2
.
E’ anche possibile definire una seminorma in H1(Ω) che talvolta viene utilizzata in certi teoremi,
|f |1 :=
Z
Ω
|∇f |2 dx
1/2
.
Dal punto di vista della regolarit`a puntuale, si dimostra che se d = 1 e Ω = (a , b) (caso monodimensionale), allora H1(Ω) ⊂ C0(Ω). Questo per`o non `e pi`u vero se d > 1. Si noti anche che pu`o succedere che si possa scrivere Ω =¯ ∪`
j=1
K¯j con Kj ∩ Ks = ∅ se j 6= s, e che risulti che una funzione f /∈ H1(Ω) sebbene sia f ∈ H1(Kj), j = 1, . . . , ` . Basti pensare alla funzione di Heaviside. In effetti si dimostra che se f ∈ H1(Kj), j = 1, . . . , ` e si ha anche che f ∈ C0( ¯Ω) , allora si pu`o concludere che f ∈ H1(Ω) .
La definizione di H1(Ω) pu`o essere generalizzata per definire lo spazio di Sobolev Hm(Ω), dove
Hm(Ω) := {f ∈ L2(Ω)| Dαf ∈ L2(Ω), |α| ≤ m} , (25) dove quindi naturalmente si ha Hm(Ω) ⊂ · · · ⊂ H1(Ω) ⊂ L2(Ω) . Il prodotto scalare in Hm(Ω) `e definito come segue,
< f , g >m:=
Z
Ω
X
|α|≤m
Dαf Dαg dx
Seminorma e norma in Hm(Ω) sono quindi rispettivamente definite come segue,
|f |m :=
Z
Ω
X
|α|=m
(Dαf )2dx
1/2
kf km :=
Z
Ω
X
|α|≤m
(Dαf )2dx
1/2
5.4 Traccia su ∂Ω di funzioni di H
m(Ω)
Se d > 1 e u ∈ H1(Ω), abbiamo visto che non necessariamente u `e continua in Ω. Occorre allora precisare cosa si intende per “restrizione di u a ∂Ω”, supponendo comunque ∂Ω sufficientemente regolare. A tale scopo ci viene in aiuto il teorema di traccia che asserisce che, ∀m ≥ 1, esiste una e una sola applicazione lineare e continua γ0 : Hm(Ω) → L2(∂Ω) tale che, ∀v ∈ Hm(Ω) ∩ C0(Ω) risulta γ0(v) = v|∂Ω. La continuit`a di γ0 implica che esiste una costante C0 tale che, ∀u ∈ Hm(Ω) si ha
kγ0(u)kL2(∂Ω) ≤ C0kukm. (26) Si noti che il risultato resta valido se si considera ΓD ⊂ ∂Ω, invece di
∂Ω, purch´e ΓD abbia misura non nulla. In tal caso usualmente si indica l’operatore di traccia con γΓD (operatore di traccia ristretta).
Osservazione 5. L’operatore γΓD non `e suriettivo in L2(ΓD) . Si indica al- lora con H1/2(ΓD), il sottospazio di L2(ΓD) definito come segue,
H1/2(ΓD) := {g ∈ L2(ΓD) | ∃v ∈ H1(Ω) : γΓD(v) = g} .
Tale spazio ha propriet`a di regolarit`a intermedie fra quelle di H1(ΓD) e di L2(ΓD) , essendo H1(ΓD) ⊂ H1/2(ΓD) ⊂ L2(ΓD) .
Mediante l’operatore di traccia γ0possiamo definire il seguente sottospazio di H1(Ω),
H01(Ω) := {v ∈ H1(Ω)| γ0(v) = 0} (27) Nel caso quindi della formulazione debole del problema di Poisson o anche della sua generalizzazione considerata, la condizione di Dirichlet u|ΓD = gD deve essere intesa come γΓD(u) = gD, con gD dato assegnato tale che gD ∈ H1/2(ΓD) .
Osserviamo che si pu`o anche dimostrare che D(Ω) risulta denso in H01(Ω).
Questo ci permette di dimotrare il seguente importante teorema (disug- uaglianza di Poincar`e),
Teorema 4. Se Ω ⊂ IRd `e limitato, allora esiste una costante positiva CΩ tale che
kukL2(Ω) ≤ CΩ|u|1, ∀u ∈ H01(Ω) . (28)
Dimostrazione : innanzi tutto osserviamo che, essendo D(Ω) denso in H01(Ω), se il teorema risulta dimostrato per ogni u ∈ D(Ω) , allora esso vale anche in tutto H01(Ω) (ragionare per successioni e passare al limite). Sia quindi u ∈ D(Ω) e sia r > 0 tale che la palla di centro g ∈ Ω e raggio r contenga Ω.
Allora, tenendo presente che ∇ · (x − g) = d , si ha che kuk2L2(Ω)=
Z
Ω
u2(x) dx = d−1 Z
Ω
u2(x) ∇ · (x − g) dx . Da questo discende che
kuk2L2(Ω) = d−1 Z
Ω
∇ · u2(x) (x − g) dx − 2d−1 Z
Ω
u(x) ∇u(x) · (x − g) dx . Usando il teorema della divergenza, si dimostra che il primo degli integrali a destra in questa formula risulta nullo, essendo u ∈ D(Ω) . Per quanto riguarda il secondo termine, esso pu`o essere maggiorato con
2d−1r
d
X
i=1
Z
Ω
|u(x)| |∂u
∂xi(x)| dx .
Utilizzando la disuguaglianza di H¨older in (20) si ottiene allora,
kuk2L2(Ω)≤ 2d−1r
d
X
i=1
kukL2(Ω)k∂u
∂xikl2(Ω) ≤ 2r kukL2(Ω)|u|1
e quindi la tesi ponendo CΩ = 2r .
References
[1] S. C. Brenner, L. Ridgway Scott (1994), The mathematical theory of Finite Element Methods, Spriger Verlag, New York.
[2] V. Comincioli (1990), Analisi Numerica, Metodi, Modelli e Aplicazioni, Mc Graw Hill, Milano.
[3] A. Quarteroni (2012), Modellistica Numerica per Problemi Differenziali, quinta edizione, Springer–Verlag, Milano.