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IL PUNTO SULL’EVOLUZIONE DEL PENSIERO MEDICO LEGALE

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IL PUNTO SULL’EVOLUZIONE DEL PENSIERO MEDICO LEGALE

Marino Bargagna+

Benché non ci siano state grandi innovazioni nel nostro settore negli ultimi dieci anni, possiamo tuttavia esaminare gli sviluppi recenti richiamando alcuni aspetti che possono risultare interessanti e aggiornare la materia. Cercherò di illustrare questi accadimenti in forma sintetica.

In primo luogo il ruolo del medico legale. L’osservazione di quanto verificatosi in questi anni ha evidenziato che il medico legale s’imbatte in varie difficoltà nella pratica forense ed assicurativa in relazione alla coesistenza in settori non trascurabili del Foro della nuova concezione (per intenderci, danno biologico) con parti o relitti di quella tradizionale incentrata sulla capacità lavorativa generica od ultragenerica. Egli ha voluto fare i conti con le difficoltà che ogni nuovo orientamento incontra a misurarsi con gli effetti ritardanti causati da inerzie ed assuefazioni radicatesi nella prassi e dalla ricerca del massimo vantaggio economico che frequentemente anima le parti. D’altra parte il medico legale della teoria del danno biologico ha colto soprattutto, come del resto appare naturale, gli aspetti più strettamente pertinenti al nucleo essenziale della sua preparazione medica. E’ talora sfuggita la portata innovativa di tale concezione nella sfera del diritto, e di conseguenza nell’esercizio della specifica attività medico legale, e non sembra che sia stata diffusamente ed adeguatamente percepita l'importanza del ripudio di ogni riferimento reddituale per quanto concerne il risarcimento delle menomazioni dell’integrità psicofisica.

In particolare non è stata avvertita adeguatamente la necessità che il giudice e l’assicuratore hanno, di ricorrere a riferimenti monetari diversi dal reddito e di rapportare a questi, secondo gli attributi personali di ciascun danneggiato, il compiuto ristoro di ciò che è andato perduto dell’integrità psicofisica, indipendentemente dalla concreta riduzione della capacità di ridurre il reddito. Dal medico legale non è stata sempre avvertita la centralità del nocumento danno biologico, rispetto ad altri nocumenti ed altrettanto si è verificato per quanto concerne la sua unitarietà.

Talvolta queste incomprensioni derivano da insufficiente conoscenza della materia, altre volte ha l’impressione che conseguano a necessità contingenti in relazione alla controversia che deve essere risolta.

Comunque l'esperienza di questi anni ha confermato che gli apprezzamenti medico legali sono della massima utilità nel processo liquidativo del danno alla persona, quale oggi si svolge a seguito dei prevalenti indirizzi dottrinali e giurisprudenziali, quando di esso sono definiti i principi e la procedura, quando questi sono riversati in quesiti mirati e quando il medico legale ricorre a valide guide operative di stima (altro aspetto che merita qualche considerazione).

E' anche opportuno richiamare le concezioni e le definizioni che ancora oggi si confrontano in sede forense sul punto specifico. Di fatto le concezioni cui si ispirano le pronunce dei diversi tribunali sono: quella tradizionale, incentrata sulla capacità lavorativa ultragenerica, e quella che pone a suo fondamento il danno biologico.

La concezione tradizionale a volte sopravvive autonomamente e a volte si trova in anomala simbiosi con la concezione del danno biologico. Quest'ultima può essere ripartita in "genovese" e

"pisana". La "genovese" ha preceduto la "pisana", ma questa si è poi sensibilmente differenziata dalla prima.

+ Ordinario di Medicina Legale, Università di Pisa.

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LE NUOVE FRONTIERE DEL DANNO RISARCIBILE ed. Acomep, 1998

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La concezione incentrata sul parametro della capacità lavorativa ultragenerica è stata mutuata con aggiustamenti da quella infortunistica.

Non c'è dubbio che la concezione Dott. Cazzaniga proviene dall'infortunistica, seppur adattata a quelle che erano le necessità dei codici dell'epoca. Essa è fondata sul parametro della compromissione della capacità lavorativa ultagenerica, considerata quale ipotetica o reale capacità di produrre reddito, e si avvale del connaturato calcolo tabellare per stabilire l'ammontare della liquidazione.

Nei casi nei quali non appare sussistente una compromissione della capacità lavorativa specifica, la contrazione della capacità lavorativa ultragenerica diviene il nocumento centrale del risarcimento, mentre gli altri eventuali nocumenti, danno alla vita di relazione, danno alla capacità sessuale ecc., vengono a trovarsi ai margini del danno da lucro cessante, oppure sconfinano nell'ambito del danno morale. Gli attributi della persona del danneggiato vengono scomposti, considerati separatamente e non in maniera congiunta.

La concezione pisana del danno alla salute si incentra non sulla riduzione dell'attitudine lavorativa generica o sulla capacità lavorativa ultragenerica, ma sulla menomazione dell'integrità psicofisica e sulla necessità di risarcimento differenziato in funzione della peculiare influenza di questa sui singoli danneggiati. Pertanto, il danno biologico, dal punto di vista medico-legale, è la conseguenza o addirittura l'identificazione della menomazione, in qualunque modo avutasi, dell'integrità psicofisica.

Esso è in posizione centrale, indefettibile, prioritaria in ordine agli nocumenti che vanno risarciti: il danno da lucro cessante ed il danno morale. L'integrità psicofisica costituisce un insieme unitario, non scindibile, a nostro avviso, allorché, nel caso in cui sia andata incontro a menomazione, si voglia il risarcimento integrale del danno alla persona.

La menomazione dell'integrità psicofisica quale danno biologico è risarcita con criteri equitativi e non reddituali-tabellari. Quale corollario di questo presupposto della concezione del danno biologico richiede di tener conto, in sede di valutazione del danno, della restante efficienza psicofisica, un aspetto molto importante e spesso trascurato, non altrettanto avvertito in ambito infortunistico. Il danno da lucro cessante, inteso come danno alla capacità reddituale, deve essere concretamente dimostrato o ritenuto presumibile con ogni fondatezza.

E' nostro convincimento che la concezione tradizionale e quella innovativa, "genovese" o "pisana"

che siano, sono alternative, mutuamente si escludono, per cui non possono confondersi o mescolarsi o od essere accoppiate tra loro, anche soltanto attraverso qualcuno dei loro principi o componenti, in particolare quelli portanti dell'una e dell'altra: la contrazione della capacità lavorativa ultragenerica, risarcita con definiti parametri reddituali, e la menomazione dell'integrità psicofisica, risarcita in via equitativa.

Molto importante è l'aspetto relativo all'unitarietà del danno biologico; esso è al centro della nostra attenzione, dopo le sentenze della Corte Costituzionale del 1991 a proposito del danno biologico nell'INAIL.

In proposito occorre ripetere che da un punto di vista medico-biologico l'integrità psicofisica costituisce un insieme unitario, non scomponibile o scindibile in singole parti ai i fini propri del risarcimento integrale del danno alla persona. La scomposizione potrà invece essere ammessa per finalità puramente convenzionali nell'ambito dell'infortunistica privata e della protezione sociale.

Essa non può essere assimilata ad un mosaico a tessere mobili o ad un gioco ad incastro. Di conseguenza, salvo casi particolari, non può essere attribuito, se non per convenzione o necessità pratiche, uno specifico corrispondente nocumento, tra quelli che vengono ordinariamente presi in considerazione ai fini pratici del risarcimento del danno, ad una particolare menomazione o anche tipologia di menomazione.

Può essere utile richiamare alcune definizioni. Per indicare la menomazione dell'integrità psicofisica considerata in sé, viene da molti anni adottato in medicina legale la dizione danno biologico. Quando il questo danno compromette la salute nelle espressioni che vanno al di là del compimento degli atti essenzialmente esistenziali, di più immediata e diretta espressione dell'integrità

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psicofisica, in quanto vengono a soffrire le esplicazioni del modo di essere della persona in una cerchia assai più ampia e più strettamente individuale, rappresentata da rapporti interpersonali, dalla vita di relazione, dalla estrinsecazione, in senso più generale, della capacità ed efficienza sociale, il pregiudizio viene espresso nella dizione "danno alla salute" in senso stretto. La distinzione dovrebbe essere sufficientemente chiara, e invece nella pratica sembra che non lo sia e non si sa se perché qualche volta fa comodo intendere i concetti in un modo o in un altro o se vi è realmente una difficoltà distintiva fra un concetto e l'altro.

Nella pratica forense ed assicurativa danno biologico e danno alla salute vengono ricondotti ad unità nella dizione danno biologico, preferita perché ritenuta più definita, più concreta e quindi più facilmente apprezzabile e traducibile in somme di denaro. La distinzione tra i due nocumenti è comunque necessaria per meglio individuare i presupposti di carattere medico che costituiscono il fondamento tecnico della dottrina del danno alla salute.

La dizione "danno alla salute" può risultare fuorviante ed ingannevole in senso amplificativo quando si tende a ricondurre nel suo contesto nocumenti che di solito non possono essere di apprezzamento medico, quali quelli relativi alla serenità familiare, ai godimenti spirituali, ai piaceri dell'esistenza e così via. In altri termini, l'accertamento della normalità dello stato di salute o della sua compromissione (con peggioramento della "qualità di vita") richiede sempre competenza medico legale.

Al fine di rendere più comprensibile il punto di vista del medico legale in materia, può essere richiamata l'immagine di una serie di cerchi concentrici. Posta al centro la menomazione dell'integrità psicofisica, o danno biologico, intorno possono immaginarsi più cerchi. I più periferici tra loro sono presenti soltanto se vi sono quelli più centrali. La distanza del cerchio "danno alla salute" da quello del "danno biologico", può essere così esigua in molti casi da rendere mal distinguibili tra loro i due nocumenti.

In altri casi il danno alla salute è più lontano ed allora assume il suo più distinto significato (danno alla salute in senso stretto). Il cerchio espressione del lucro cessante è presente occasionalmente, soltanto quando vi sia quello relativo al danno biologico. Il cerchio che rappresenta il danno morale è incostante per i noti motivi.

Vorrei tornare brevemente alla capacità lavorativa generica. Si tratta di materia che merita ulteriori riflessioni e che fa parte dell'evoluzione del pensiero medico legale. La confusione sul punto permane grande, anche perché il medico legale deve ovviamente ricorrere a criteri diversi a seconda del settore nel quale è chiamato a prestare la propria opera.

Un apprezzamento in sede di responsabilità civile è sensibilmente diverso da un accertamento in ambito dell'infortunistica privata, ed a maggior ragione, nell'ambito della cosiddetta protezione sociale. Quindi è necessario intenderci sul significato e la portata di questo termine, che lo si ritrova, per esempio, nelle condizioni di polizza; e siccome i medici legali hanno frequentemente a che fare con le necessità applicative di tale polizza, il concetto di capacità lavorativa generica è loro ben presente, ma bisogna che si tenga conto che tale concetto è un'astrazione convenzionale per dare attuazione alle condizioni di polizza e non va confuso con altre entità concettuali che attengono alla materia della responsabilità civile. In effetti, la dizione capacità lavorativa generica viene frequentemente impiegata attribuendo ad essa significati diversi.

Nell'ambito delle assicurazioni obbligatorie contro gli infortuni, la giurisprudenza ha finito per equiparare tale capacità con l'attitudine al lavoro, la cui compromissione costituisce il fondamento del rischio assicurato. Ma l'attitudine lavorativa INAIL fa riferimento a prestazioni lavorative impegnative, da svolgersi continuativamente, sostanzialmente di tipo manuale, di solito gravose.

Il rischio protetto in ambito INAIL è un rischio particolare e peculiare, che non può essere confuso con gli altri rischi connessi alla materia assicurativa e tanto meno deve essere confuso con il concetto di danno biologico con riferimento alla necessità di risarcire integralmente il danno alla persona nella concezione del danno biologico. Questo aspetto richiede di chiarire che la generica attitudine al lavoro fa parte e si esprime nell'integrità psicofisica.

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Il problema più attuale e sul quale sarebbe interessante discutere, riguarda il merito di risarcimento. Anche nell'ambito del Gruppo pisano sono stati fatti, e sono tuttora in corso, tentativi che si cerca di rendere il più possibile significativi e coerenti attraverso una ricerca giurisprudenziale sistematica.

Ho toccato ora l'aspetto relativo al danno biologico e l'attitudine lavorativa INAIL. Sapete tutti che la Corte Costituzionale ha ritenuto di suggerire una scomposizione nell'ambito del danno che può subire il lavoratore assicurato: una parte di questo danno sarebbe collegabile alla capacità lavorativa generica e l'altra parte sarebbe il restante del danno biologico.

A nostro avviso questa scomposizione non può avere rilevanza: riteniamo che la Corte abbia deciso così perché doveva affrontare un problema di ben più ampia portata, dove questo aspetto, di tipo quasi sistematico, appariva marginale. Certamente questo è uno dei punti più critici, più significativi, che sono maggiormente discussi e che hanno dato luogo ad una giurisprudenza contrastante, pur prevalendo, per quanto ne so, la giurisprudenza in base alla quale il danno biologico è da considerare completamente al di fuori delle prestazioni assicurative INAIL, che ineriscono ad un rischio ben determinato, quello della contrazione dell'attitudine lavorativa.

Infine, un cenno ai rapporti tra danno biologico e la capacità reddituale. Tuttora questi due aspetti relativi al danno alla persona creano un bel po' di difficoltà. Sapete che il disegno di legge approvato dal parlamento, naufragato a seguito di una "picconata" dell'ex Presidente Cossiga, prevedeva la spedizione "capacità reddituale", termine che poi è stato ripreso nel successivo disegno di legge (naufragato anch'esso).

La dizione "capacità di produrre reddito", che circola nella giurisprudenza, nella prassi, deve essere adeguatamente soppesata. A n ostro avviso essa deve essere identificata con la capacità lavorativa specifica e solo con quella. Non deve essere comunque ricondotta alla capacità lavorativa generica, altrimenti la via della duplicazione è spianata, con conseguenti iniquità.

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