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Spunti dottrinari in tema di riduzione della capacità lavorativa specifica

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Academic year: 2022

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Spunti dottrinari in tema di

riduzione della capacità lavorativa specifica

di

Gian Aristide Norelli*

Il tema del risarcimento del danno alla persona, come ogni argomento scientifico, del resto, posto che con tale sistematica è da affrontare la materia, da molti anni dimostra fermenti di essenziale novità e pressante impulso a sostanziarsi di una identità nuova, ma nell’arco dell’ultimo decennio la materia si è connotata di una metamorfosi addirittura rivoluzionaria, che ha colto impreparati, nella applicazione pratica, per una sostanziale inadeguatezza delle fonti di diritto, della giurisprudenza e della stessa dimensione operativa, rispetto alla evoluzione dottrinaria che, con dinamismo del tutto originale, rapidamente veniva affermandosi.

Così che alla sempre tardiva accoglienza dei principi evocati dal Gerin e dal Barni, per ricordare i precursori del sostanziale rinnovamento medico-legale in materia di identificazione del danno alla persona, poi definiti nella loro concettualità più concreta dal Bargagna e dal Busnelli ed infine puntualizzati nella loro definizione percentualistica dalla Società Italiana di Medicina Legale, ha fatto riscontro una giurisprudenza ancora ondivaga e soprattutto una prassi giuridico-assicurativa, presupposto essenziale alla pratica esecutiva del risarcimento, ancorate tuttora ad una terminologia definitoria ed a modalità di interpretazione ormai superate e non più rispondenti alla nuova dimensione della materia.

Rinviando ad una neppure recente, ma ancora sostanziale e nitida letteratura (Barni) per una analisi storica del problema e segnatamente per una capacità di sintesi del pensiero medico-legale dalla quale non può prescindersi, considerando il tema che si deve trattare, è da dire, anzitutto, che la nozione di “capacità di lavoro” ha ancora un senso, nel solo momento in cui la si intenda connotare nel suo esclusivo significato medico-legale, aggettivandola, se del caso, ma comunque scandendo la diversità sostanziale che intercorre fra la nozione biologica della capacità, riferita cioè all’uomo come essere vivente ed operante e quella giuridico-assicurativa, in ambito privato o sociale, soprattutto quando si intenda equivocamente proporre una impossibile identità fra concetti biologici e valore patrimoniale, in una babele di termini ed in una confusione di ruoli, che ancora stenta a trovare un’utile risoluzione.

La nozione di “capacità di lavoro”, in primo luogo, esiste e permane in molti ambiti normativi perché ancora non si è compiutamente accreditata la traslocazione giuridica del concetto secondo cui può esistere qualcosa di diverso dal lavoro e soprattutto di ciò che dal lavoro discende in via diretta e cioè il guadagno, che meriti, se perduto o scemato, idoneo ristoro economico, secondo una logica, sostanziale, ma anche semplicistica e superata, secondo cui il denaro può compensare solo una perdita di denaro o comunque di ciò che del denaro rappresenta la materiale premessa.

In questa prospettiva, dunque, la capacità di lavoro, con varie aggettivazioni, ha trovato diritto di asilo in ogni ambito di indennizzo o di risarcimento e dovunque, in ogni modo, laddove potesse ipotizzarsi un beneficio economico avente valore sostitutivo di un bene patrimoniale perduto ovvero di integrazione ancorata alla logica del bisogno, prevista nel dettato costituzionale.

E’ indubbio, tuttavia, che la legislazione, sia in materia di assicurazione privata che sociale, ha costantemente operato una violenza concettuale, nel momento in cui ha preteso di trasferire, in modo più o meno surrettizio, una nozione quale la capacità di lavoro e la sua riduzione, che è medico- biologica nella misura in cui si riferisce alla persona nella sua essenzialità fisiopsichica, anche se proiettata nell’impegno lavorativo, in un valore attuariale quale la produzione di reddito, operando identità fuorviante, in quanto ascritte a fattori tra loro non omogenei; così derivandone:

* Ordinario di Medicina Legale, Perugia

Collana Medico Giuridica DANNO EMERGENTE LUCRO CESSANTE

ed. Acomep, 1998

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• capacità di lavoro generico: perdita di salario (INAIL)

• capacità di lavoro specifico: lucro cessante (RC)

• capacità di lavoro attitudinale: assegno o pensione (INPS)

E di tale incondivisibile pratica si ha dimostrazione, se ve ne fosse bisogno, nell’ambito dell’assicurazione privata contro gli infortuni e contro le malattie, in cui, realmente, non dovrebbe sussistere alcuna logica reddituale nella definizione dell’indennizzo, eppure ugualmente se ne ancora il computo alla capacità di lavoro (generico), quando per definizione, in siffatti contesti, il valore della persona è stabilito da ciascuno, commisurando la propria integrità fisiopsichica al massimale assicurato e questo al premio corrisposto. Con l’introduzione, nel sistema risarcitorio, del concetto di

“danno biologico”, non v’è chi possa ancora negare che la logica sin qui ispiratrice di ogni assetto assicurativo deve essere propriamente rivista, svincolandosi il valore economico della persona dalla pregiudiziale lavorativa.

Il danno, inoltre, nella sua scomposizione in “danno evento” e “danno conseguenza”, non dovrebbe ritenersi appannaggio esclusivo della dottrina civilistica, ma nozione comune ad ogni ambito in cui si dia luogo ad un risarcimento o ad un indennizzo o comunque ad una integrazione economica, differentemente misurabile: a) sulla menomazione (danno evento, di pertinenza medico- legale); b) sulla riduzione della capacità a lavorare (danno conseguenza, di pertinenza medico-legale);

c) sulla capacità o realtà a guadagnare (danno conseguenza, non di pertinenza medica).

Il danno biologico, allora, come misura della menomazione e dei riflessi di questa sulla validità individuale, intesa come integrità fisiopsichica della persona, allargate se del caso, come conviene al momento civilistico, alla componente sociale che ne completa il concetto di “salute”, può e deve (rectius: dovrebbe) esistere come tale, non solo in ambito risarcitorio, ma anche in riferimento all’indennizzo sia laddove la nozione puntualmente e di per sé definisce il bene assicurato, assai più propriamente della capacità di lavoro (ed è l’ambito dell’assicurazione privata contro gli infortuni e le malattie), sia nel caso in cui se ne debba opportunamente prevedere una parallela ed apposita tutela (ed è il caso della assicurazione sociale contro i rischi del lavoro, in cui la sola previsione del danno- conseguenza - ridotta attitudine lavorativa - già fu ritenuta inaccettabile dalla Corte Costituzionale, che perentoriamente invitò il Legislatore ad intervenire).

Anche la nozione di capacità di lavoro, del resto, nelle sue più tipiche aggettivazioni, deve rivisitarsi in una lettura più consona ed il riferimento è d’obbligo alla “capacità generica”, sulla cui insussistenza concettuale ormai ampiamente è stato detto dalla Dottrina medico-legale, ma la cui utilità si dimostra ulteriormente giubilata dall’avvento del danno biologico che ne ha eroso, con evidenza, ogni spazio di identità.

Delle due, infatti, l’una: o capacità generica significa capacità di muoversi e di operare con semplice manualità e medio intelletto ed allora la nozione è ampiamente ricompresa nella valutazione del danno biologico, posto che la comune e quotidiana potenzialità operativa quale può teorizzarsi per ciascuno, è nozione che prescinde da ogni finalizzazione reddituale: ovvero la capacità in questione è riferita ad una effettività reddituale quale discende da un lavoro semplice e mediamente esperibile da ciascuno ed allora deve identificarsi con una capacità specifica di lavoro propria ad un soggetto privo di definite potenzialità operative e concretamente tale da tradursi in reddito risultandone, in altri e tautologici termini, una sorta di “capacità specifica di un individuo generico”.

Ciò che ancora può permanere della capacità di lavoro, dunque, perché la nozione dimostri un senso compiuto, è il suo contenuto medico-legale di danno conseguenza e cioè l’effettivo tradursi della menomazione (misurata dal danno biologico) in effetto negativo sulla possibilità del soggetto di assolvere alle mansioni che sono proprie e pertinenti alla sua attività lavorativa.

E ciò, comunque, a prescindere dalla sussistenza o meno di una effettiva perdita reddituale, il cui accertamento esula dalle competenze e dagli interessi del medico legale, assumendo un significato di esclusiva pertinenza giuridico-attuariale. Non è prassi corretta, in altri termini, la traduzione tout court della perdita di capacità di lavoro in decurtazione di reddito e quindi in corrispettivo

Collana Medico Giuridica DANNO EMERGENTE LUCRO CESSANTE

ed. Acomep, 1998

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economico da risarcire, mentre è compito del medico legale caratterizzare la incidenza negativa della menomazione sulla componente specifica del lavoro individuale, ovviamente dedotta dalla anamnesi che il soggetto rende al valutatore; donde discende che:

a) l’accertamento deve vertere con puntualità sul lavoro effettivamente svolto dalla persona, secondo le dichiarazioni che egli rende al medico, il quale, dal canto suo, non avrà certo il compito di verificare la realtà effettiva del resoconto anamnestico, ma dovrà con scrupolo ed in dettaglio raccogliere ogni elemento di conoscenza utile ad esprimere il suo parere, informando la persona assistita delle motivazioni che sottendono l’indagine e delle conseguenze, d’indole valutativa, risarcitoria ed anche giuridica che possono derivare da un resoconto parziale, approssimativo, o, peggio, infedele rispetto alla realtà dei fatti;

b) la perdita o la riduzione della capacità di lavoro può sussistere sia in presenza di attività autonoma che dipendente, di attività esclusiva o di componente di un’attività più complessa, di attività remunerata o non, posto che non può negarsi che chiunque può aver decurtata la propria capacità di lavorare nel suo specifico ambito, a nulla medico-legalmente rilevando se da tale decurtazione derivi o meno una effettiva e commisurata decurtazione economica. Stimato il danno è conclusa l’opera del medico legale, essendo di competenza tipicamente attuariale la eventuale traduzione del danno stesso in perdita di guadagno (lucro cessante) e pertanto in forma specifica di risarcimento.

Così inteso l’interesse medico-legale per la capacità di lavoro (che a questo punto non può che indicarsi come momento “specifico” di valutazione), deve rendersi allora giustizia di molteplici incongruenze che inquinano l’ambito valutativo, procedendo, anzitutto, dal quesito posto al medico legale in materia risarcitoria, riferito sovente ad una non meglio definita “capacità economico- produttiva” o “capacità reddituale” del soggetto leso, confondendo un parametro d’indole giuridico- attuariale, con l’altro di effettiva competenza medico-biologica.

Ovvero allorché è il medico legale stesso che limita il suo ambito di pertinenza consapevole che la eventuale valutazione del danno in riferimento alla capacità specifica di lavoro, sarà acriticamente ed erroneamente tradotta in una riduzione presunta di reddito e quindi in una richiesta economica di risarcimento, iniqua in quanto risulti evidente l’assenza di una qualunque perdita di lucro. E’ il caso scolastico, esemplificando, di colui che, avendo reddito fisso, subisca una menomazione che in qualche misura ostacola l’espletamento delle mansioni, senza che da ciò presumibilmente derivi alcuna decurtazione reddituale o carrieristica ed accade sovente che il valutatore neghi il riconoscimento del danno specifico non perché questo non sussista sotto il profilo medico-legale, ma nella consapevolezza che la sua valutazione sarà erroneamente ed automaticamente tradotta in termini di lucro cessante.

Ad ognuno, invece, dovrebbe consentirsi di esprimere quanto compete alla propria professionalità ed il medico legale ha il dovere di considerare ogni aspetto valutativo del danno (inclusa, quindi, la ridotta capacità di provvedere alle specifiche mansioni) senza essere limitato da riserve opinabili, della cui considerazione, invece deve investirsi l’ambito attuariale che nella figura dell’assicurazione o del giudice esprime la più specifica e propria competenza.

Rimane da considerare, semmai, a questo punto, il modo in cui la capacità di lavoro e la sua riduzione può esprimersi in termini valutativi e particolarmente se di essa sia possibile dare una definizione solo qualitativa ovvero anche quantitativa e percentualistica. Non vi è dubbio che la prima ipotesi sia quella più convenientemente perseguibile, come sostenuto da illustre Dottrina medico-legale, posto che la capacità specifica è parametro a tal punto personalizzato ed individuale, da ben rifuggire inquadramenti numerici, necessariamente limitativi ed imprecisi nella delineazione di una concetto cui può ritenersi estraneo ogni schematismo.

Il compito del medico legale, in altri termini, convenientemente dovrebbe risolversi in una immagine descrittiva del rapporto negativo che intercorre fra la menomazione e le mansioni

Collana Medico Giuridica DANNO EMERGENTE LUCRO CESSANTE

ed. Acomep, 1998

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specifiche, rinviandosi alla valutazione economica ogni spunto di quantificazione. Anche vero è, tuttavia, che una stima del danno conseguenza, pur espressa in valori percentuali, è ormai prassi consolidata, dovendosi altresì ricordare, per non indulgere a squalificanti abiure, che in epoca anteriore all’avvento del danno biologico, era la capacità al lavoro specifico il solo parametro passibile di valutazione in responsabilità civile, procedendosi, senza scandalo, alla sua percentualizzazione.

Come si è anticipato, del resto, il danno-conseguenza è correntemente sottoposto a valutazione numerica in ambito assistenziale (basti pensare alla invalidità civile, ove la percentualizzazione della invalidità ne ha addirittura sostituito la misura in terzi, che sembrava, peraltro, assai più attinente allo spirito ed alla finalità della tutela), come in ambito assicurativo sociale (assicurazione contro i rischi del lavoro) ove il significato numerico si connota a tal punto da stabilirsi una franchigia che conferisce al grado percentuale un valore che supera addirittura la inevitabile e legittima opinabilità della valutazione medico-legale; né riserva alcuna può evocarsi sulla specifica natura consequenziale di un siffatto tipo di danno, solo se si considera che appunto tale qualifica ne rende possibile la surroga in via esclusiva, escludendo da essa il danno biologico che, in qualità di danno evento, non è riconducibile ad indennizzo.

Nella consapevolezza, in definitiva, di indulgere ad atteggiamento mediatorio, non consonante con una più condivisibile ortodossia di valutazione, si ritiene, tuttavia che la valutazione del danno alla capacità di lavoro, se richiesto come necessità attuariale e con i limiti che si sono sopra enunciati, sia passibile di valida, ancorché approssimativa percentualizzazione, fermo restando il presupposto secondo cui non se ne deduca un automatismo identificatorio con il lucro cessante e soprattutto una puntuale e documentata analisi traduca in termini percepibili la deduzione medico-legale, che risulti, quindi, espressione di una logica e consequenziale elaborazione concettuale e non come apodittica ed arida opinione numerica.

Collana Medico Giuridica DANNO EMERGENTE LUCRO CESSANTE

ed. Acomep, 1998

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