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La giurisprudenza della «non sostenibilità» - Judicium

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Academic year: 2022

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BRUNO CAPPONI

La giurisprudenza della «non sostenibilità»

Al diritto processuale civile «non sostenibile», che sempre più spesso il nostro Legislatore ci somministra (mi permetto di rinviare all’intervento apparso in Judicium dal 5 maggio scorso), fa da pendant una giurisprudenza che – esaltandole – approfitta di incertezze lessicali per pervenire a soluzioni che, col diritto processuale civile, non hanno relazioni di parentela.

La sentenza della Corte d’Appello di Roma del 7 marzo 2012 è esemplare d’una «non sostenibilità»

di origine schiettamente giurisprudenziale. Si vuole che l’ordinanza emessa a conclusione del procedimento sommario di cognizione, se di rigetto, non sia soggetta ad appello e l’appello, se proposto, sia semplicemente da dichiarare inammissibile.

Essa crea – attingendo una soluzione “alla moda”: l’attuale parola d’ordine sembra quella di non definire le impugnazioni nel merito – una categoria di inammissibilità dell’impugnazione al di fuori di qualsiasi previsione legislativa, mettendo in collegamento norme di dubbia fattura tecnica osservate attraverso un prisma di lenti deformanti:

a) è destinata a passare in giudicato la sola ordinanza “provvisoriamente esecutiva che costituisce titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale e per la trascrizione”;

b) in conseguenza, tutto ciò che è fuori della portata del comma 6 dell’art. 702 ter – nella specie si trattava dell’ordinanza di rigetto – non è appellabile;

c) tutto ciò che non è appellabile perché non suscettibile di formare giudicato entra in un’area di libera riproponibilità, secondo il modello dell’art. 640 c.p.c.

Tutte queste proposizioni sono erronee.

Lo è la prima. Il comma 6 dell’art. 702 ter dice che l’ordinanza (si presume di accoglimento) è provvisoriamente esecutiva (oltre che titolo per la trascrizione, e se non lo avesse detto esplicitamente il conservatore non avrebbe trascritto ordinanze in luogo di sentenze). Tutte le ordinanze di accoglimento, è lecito chiedersi? Verosimilmente no, com’è vero che l’art. 282 c.p.c.

non si applica a tutte le sentenze di primo grado che pure siano di accoglimento (avevamo riflettuto su questo aspetto in Il procedimento sommario di cognizione tra norme e istruzioni per l’uso, in Corr. giur., 2010, 1103 ss., facendo il caso dell’art. 2932 c.c.). Sarebbe stata sufficiente questa banalissima considerazione per comprendere che non possono contrapporsi, come semplicisticamente fa la motivazione della sentenza in esame, l’ordinanza provvisoriamente esecutiva (o titolo per la trascrizione) e quella di rigetto, perché tra esse v’è un vastissimo repertorio di pronunce di accoglimento che non potranno essere provvisoriamente esecutive (né saranno titolo per la trascrizione). Se fosse attendibile il ragionamento della Corte, anche queste ordinanze non sarebbero appellabili né suscettibili di passare in giudicato. Non provvisoriamente esecutiva e non suscettibile di formare giudicato: quale utilità avrebbe allora l’ordinanza? Nessuna; però potrai, vittorioso, sempre riproporre la domanda ricominciando daccapo dinanzi al giudice di primo grado, per conseguire una nuova vittoria che non ti servirà a nulla, esattamente come la prima.

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Lo è la seconda. Occorre distinguere efficacia da autorità della sentenza. Nel diritto processuale civile le sentenze di merito passano in giudicato tutte, mentre alcune possono acquisire esecutorietà provvisoria prima del passaggio in giudicato (così come alcune sono titolo per la trascrizione). Ma un’ordinanza che nasce per volontà del legislatore come sentenza in senso sostanziale, senza limitazioni quanto all’oggetto della tutela somministrabile (sono gravi le responsabilità della dottrina che ha inutilmente ricamato per limitare la tutela a quella di condanna), non potrà non passare in giudicato, che sia di accoglimento come di rigetto, che sia dichiarativa costitutiva o di condanna.

Lo è la terza proposizione. L’art. 640 c.p.c. è norma del tutto eccezionale, che riconosce un regime speciale ad un provvedimento di rigetto (perché) adottato senza contraddittorio. Nel sommario di cognizione, il presupposto è che il contraddittorio sia sempre preventivamente instaurato. Basta questo per escludere l’applicazione in via analogica della norma speciale, anche senza impegnarsi in complicate ricostruzioni sulla natura del sommario, che sia davvero un procedimento speciale da Libro IV o (più verosimilmente) un procedimento di cognizione speciale da Libro II.

Che altro dire? Che la sentenza della Corte d’Appello è evidentemente conseguenza di un clima sempre più sfavorevole al sistema delle impugnazioni. Il messaggio trasmesso dalle recenti riforme, magari nate con tutt’altri obbiettivi dal 2006 in giù, sembra nel senso che, ogni volta che può, il giudice dell’impugnazione deve non decidere nel merito. La parola d’ordine è: inammissibilità.

Fatevi bastare la sentenza di primo grado: è questo lo slogan del diritto processuale civile in tempo di crisi, del diritto processuale «non sostenibile».

L’aspetto grottesco del caso esaminato, però, e che ne fa un curioso unicum (si spera), è che la strozzatura dell’appello dovrebbe portare …alla riproponibilità della domanda dinanzi al giudice di primo grado.

Che è quanto dire: fatevi bastare la sentenza di primo grado senza disturbare il giudice dell’impugnazione e, se proprio non potete farne a meno, tornate pure a battere al portone della Giustizia, ma presentandovi sempre dinanzi al giudice di primo grado.

Una piccola chiosa. Un buon codice, come una buona automobile, dovrebbe suggerire un utilizzo intuitivo, fluido. A seguito delle recenti riforme, il nostro codice denunzia però un difetto costruttivo: un linguaggio sempre più esoterico parla ad una cerchia di iniziati, che spesso non si comprendono tra loro. Alla fine tutti sono portati a mettere le mani nel motore. Forse la colpa non è tutta del pilota.

Stralcio della motivazione:

«l’articolo 702 quater c.p.c. esordisce stabilendo che: "L'ordinanza emessa ai sensi del sesto comma dell'articolo 702 ter produce gli effetti di cui all'articolo 2909 del codice civile se non è appellata entro 30 giorni dalla sua comunicazione o notificazione". Orbene, detta disposizione richiama così la sola ordinanza cui si riferisce il sesto

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comma del citato articolo 702 ter c.p.c., ossia l’ordinanza provvisoriamente esecutiva che costituisce titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale e per la trascrizione: val quanto dire che la norma posta a disciplinare il procedimento di appello stabilisce con tutta evidenza che solo l’ordinanza di accoglimento del ricorso introduttivo del procedimento sommario di cognizione possiede attitudine ad acquistare autorità di cosa giudicata e, pertanto, è suscettibile di impugnazione mediante appello. E, poiché nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole, secondo la connessione di esse, ai sensi dell’articolo 12 disp. prel. c.c., pur nel quadro della ratio legis, non v’è modo di ritenere che l’articolo 702 quater c.p.c., richiamando soltanto il sesto comma dell’articolo precedente, possa essere riferito anche al quinto comma. Se il legislatore avesse inteso rendere applicabile il rimedio dell’appello anche all’ordinanza di rigetto non avrebbe avuto alcuna difficoltà a riferirsi alle ordinanze del quinto e sesto comma e non solo del sesto, senza richiedere all’interprete inutili acrobazie ermeneutiche.

Ammettere il contrario, in un caso di solare evidenza letterale come l’attuale, significherebbe dire che il legislatore è incapace di esprimere compiutamente e comprensibilmente il proprio pensiero: il che è impensabile. Siffatta ricostruzione, quantunque criticata da parte della dottrina (mentre altra parte della dottrina concorda), è in realtà pienamente conforme ad un modello già accolto dall’ordinamento con riguardo ad un diverso procedimento sommario, quale quello per decreto ingiuntivo, giacché, mentre il decreto di accoglimento del ricorso monitorio è idoneo ad acquistare autorità di cosa giudicata, ove non opposto, il provvedimento di rigetto non possiede altra efficacia che quella di chiudere il procedimento, rimanendo in facoltà del ricorrente di riproporre la domanda anche in via ordinaria, ai sensi dell'articolo 640 c.p.c. Ciò, alla luce della previsione del combinato disposto degli articoli 702 ter e quater c.p.c., è quanto accade per l'ordinanza resa a conclusione del procedimento sommario di cognizione: l'ordinanza di accoglimento è appellabile ed altrimenti passa in giudicato; l'ordinanza di rigetto non passa in giudicato e non è per questo appellabile, ma la tutela del soccombente è affidata alla facoltà di riproporre la domanda, se del caso in via ordinaria, il che garantirà anche la successiva piena appellabilità».

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