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Trib. Catania - Judicium

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N. R.G. 11039/2010

IL TRIBUNALE DI CATANIA

QUARTA SEZIONE CIVILE

Riunito in camera di consiglio, nelle persone dei seguenti magistrati:

dott. Adriana Puglisi Presidente dott. Antonella Vittoria Balsamo Giudice

dott. Giuseppe Fichera Giudice Relatore nella causa iscritta al n. r.g. 11039/2010

PROMOSSA DA

RACITI ADELE (C.F. RCTDLA72S64C351N), domiciliata in VIA TOSELLI 43, CATANIA;

rappresentata e difesa dall’avv. MARINA MARCELLO giusta procura in atti.

ATTRICE

CONTRO

RADELPIIMMOBILIARE S.R.L. (C.F. 04587420870), domiciliata in VIA UMBERTO 143,

CATANIA; rappresentata e difesa dall’avv. FRANCHINA GAETANO giusta procura in atti.

CONVENUTA

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

Rilevato che con atto di citazione notificato il 5 novembre 2010, Raciti Adele ha impugnato la delibera dell’assemblea straordinaria dei soci della Radelpi Immobiliare s.r.l., assunta il 5 maggio

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2010 ed iscritta nel registro delle imprese il successivo 25 maggio 2010, con la quale sono state approvate talune manovre determinanti la riduzione e la contestuale ricostituzione del capitale sociale della stessa;

che costituitasi in giudizio la Radelpi Immobiliare s.r.l. ha eccepito l’improponibilità della domanda e la decadenza dall’azione – in presenza di clausola compromissoria per arbitrato rituale in seno all’art. 36 dello statuto sociale –, concludendo nel merito per l’integrale rigetto dell’impugnativa in quanto infondata in fatto e in diritto;

che respinto dal Giudice Istruttore ricorso cautelare avanzato dall’attrice teso ad ottenere la sospensione della delibera impugnata ex art. 2378 c.c., in ragione dell’esistenza della eccepita clausola compromissoria, il successivo reclamo proposto dalla medesima istante è stato rigettato dal Collegio;

che omessa ogni attività istruttoria, la causa è stata posta in decisione all’udienza del 26 marzo 2012, sulle conclusioni come in atti formulate dalle parti;

ritenuto che il collegio valuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionalità dell’art. 819-ter, comma 2, c.p.c., sollevata in sede di precisazione delle conclusioni dalla difesa dell’odierna attrice, laddove siffatta norma, nei rapporti tra arbitrato e processo civile, prevede espressamente che non si applichi, fra le altre disposizioni del codice di rito, l’art. 50 c.p.c., a tenore del quale quando la riassunzione della causa davanti al giudice dichiarato incompetente avviene nel termine fissato “il processo continua davanti al nuovo giudice”;

che, invero, l’applicazione di siffatta norma, introdotta per la prima volta nell’ordinamento processuale italiano dal codice di rito del ’40 e in origine prevista per regolare esclusivamente i rapporti di mera “competenza” tra giudici tutti appartenenti al complesso della giurisdizione ordinaria, determina che si esplichi la c.d. translatio iudicii, con l’effetto che occorre fare riferimento all’originario atto introduttivo al fine di verificare l’ammissibilità della domanda in

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relazione ai termini di decadenza a cui la legge sottopone la proponibilità della stessa (tra le tante, Cass. 30.1.1998, n. 974);

che, com’è noto, mutando il granitico orientamento manifestato in precedenza dalla S.C., le sezioni unite della Cassazione, con sentenza del 22.2.2007, n. 4109, considerato che il giusto processo non è diretto allo scopo di sfociare in una decisione di mero rito, ma di rendere una pronuncia di merito stabilendo chi ha torto e chi ha ragione, in base a una lettura costituzionalmente orientata della disciplina della materia, hanno ritenuto che nell’ordinamento processuale oggi sia stato dato ingresso al principio della translatio iudicii dal giudice ordinario al giudice speciale, e viceversa, anche in caso di pronuncia resa sulla “giurisdizione” nell’ambito cioè dei rapporti tra giudici appartenenti ad ordini diversi;

che, successivamente, con sentenza del 12.3.2007, n. 77, la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale l’art. 30 della l. 6.12.1971, n. 1034-Istituzione dei tribunali amministrativi regionali, nella parte in cui non prevede che gli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione si conservino, a seguito di declinatoria di giurisdizione, nel processo proseguito davanti al giudice munito di giurisdizione;

che anche il Giudice delle Leggi, nella cennata pronuncia, ha avuto modo di evidenziare come il vigente codice di procedura civile, nel regolare questioni di rito – ed in particolare nella disciplina che all'individuazione del giudice competente – si ispira al principio per cui le disposizioni processuali non sono fine a se stesse, ma funzionali alla miglior qualità della decisione di merito, non sacrificando il diritto delle parti ad ottenere una risposta, affermativa o negativa, in ordine al

“bene della vita” oggetto della loro contesa;

che il legislatore ordinario, preso atto dei descritti arresti giurisprudenziali, è intervenuto per regolare i rapporti tra giudici appartenenti a diverse giurisdizioni, prima con l’art. 59 della l.

18.6.2009, n. 69 e poi con l’art. 11 del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104-Codice del processo amministrativo, norme in forza delle quali oggi, nel caso in cui il giudice adito dichiari il proprio

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difetto di giurisdizione, se il processo è tempestivamente riproposto innanzi al giudice indicato nella pronuncia che declina la giurisdizione, “sono fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda”;

che, allora, alla luce della descritta recente evoluzione del quadro giurisprudenziale e normativo, la norma qui sospettata di incostituzionalità, quale espressione del sistema delle c.d. vie parallele (che consente la contemporanea pendenza della medesima lite sia innanzi al giudice ordinario che all’arbitro rituale), facendo espresso divieto di applicare il richiamato art. 50 c.p.c. nei rapporti tra giudici ordinari e arbitri rituali, finisce tuttavia per mostrarsi in contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost., poiché irragionevolmente e in plateale disarmonia con la vigente disciplina codicistica che regola i rapporti tra i giudici ordinari e tra questi ultimi e quelli speciali, violando il diritto di difesa delle parti e i principi del giusto processo, determina in caso di pronuncia di diniego della competenza del giudice ordinario adito in favore dell’arbitro, l’impossibilità di fare salvi gli effetti sostanziali e processuali dell’originaria domanda,, proposta dall’attore davanti al giudice ordinario, nel giudizio arbitrale successivamente instaurato;

che in direzione contraria non pare oggi potersi sostenere – come mostra di ritenere, negli scritti difensivi finali, la difesa della società convenuta – che osterebbe all’accoglimento della questione di legittimità costituzionale la natura dell’arbitrato quale atto di mera autonomia privata, configurandosi il compromesso quale deroga alla giurisdizione, restando la pronuncia che decide sulla deferibilità agli arbitri di una controversia, astretta nell’ambito delle questioni di merito e non di rito (così, a partire da Cass. s.u. 3.4.2000, n. 527; Cass. 3.9.2003, n. 12855; Cass. 21.7.2004, n.

13516; Cass. 8.2.2005, n. 2524; Cass. 27.5.2005, n. 11315; Cass. 21.10.2005, n. 20351);

che, invero, pure a ritenere il compromesso come atto di rinuncia alla giurisdizionale statale, rimane arduo rinvenire la ratio di un assetto normativo che, a fronte della medesima domanda giudiziale spiccata originariamente innanzi ad un giudice ordinario, faccia conseguire la perdita irrimediabile degli effetti sostanziali e processuali che discendono dalla ridetta domanda, nel caso in

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cui venga accertato che la stessa si palesi come “improponibile” innanzi al giudice adito – poiché doveva essere promossa innanzi all’arbitro privato –, mentre escluda qualsivoglia decadenza sostanziale o processuale quando resti acclarato il difetto di competenza o di giurisdizione, in favore di altro giudice, rispettivamente, ordinario o speciale;

che, inoltre, pure dovendosi riconoscere la persistente problematicità dell’esatta qualificazione dei rapporti fra la giurisdizione ordinaria e quella arbitrale, va evidenziato come già il Giudice delle Leggi, nella nota pronuncia che ha riconosciuto all’arbitro il potere di sollevare in via incidentale questione di legittimità costituzionale delle leggi, ha avuto modo di chiarire che il giudizio arbitrale non si differenzia da quello che si svolge davanti agli organi statuali della giurisdizione, trattandosi di un giudizio che è potenzialmente fungibile con quello degli organi giurisdizionali (così Corte Cost. 28.11.2001, n. 376);

che, del resto, dopo la novella della disciplina dell’arbitrato introdotta dal d.lgs. 2.2.2006, n. 40 – pacificamente applicabile ratione temporis alla odierna controversia –, alla luce del nuovo 819- ter, comma 1, c.p.c., a tenore del quale “La sentenza, con la quale il giudice afferma o nega la propria competenza in relazione a una convenzione d'arbitrato,è impugnabile a norma degli artt.

42 e 43”, occorre prendere atto, alla stregua del c.d. diritto vivente formatosi in base alle più recenti pronunce della Corte regolatrice, che il legislatore ha inteso inequivocabilmente ricondurre nell’ambito della “competenza” siffatti rapporti, avendo espressamente approntato come mezzo di reazione contro una pronuncia in uno di tali sensi, il regolamento di competenza, necessario o facoltativo, a seconda che la pronuncia al riguardo sia esclusiva oppure concorrente con una decisione su una questione di merito (così: Cass. 4.8.2011, n. 17019; Cass. 5.6.2011, n. 5510; Cass.

26.11.2010, n. 24082; Cass. s.u. n. 6.9.2010, n. 19047);

ritenuto che la questione di costituzionalità dell’art. 819-ter, comma 2, c.p.c. prospettata dall’attrice è altresì rilevante, in quanto la pronuncia di incompetenza del tribunale adito sull’impugnativa della delibera assunta dall’assemblea straordinaria dei soci della Radelfi

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Immobiliare s.r.l., ove non fossero fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda in precedenza spiccata dalla Raciti innanzi al giudice ordinario, mediante il meccanismo offerto dall’art. 50 c.p.c., determinerebbe comunque la decadenza dell’attrice (ex art. 2377, comma 6, c.c.) dal potere di impugnare la medesima delibera innanzi all’arbitro unico designando.

P.Q.M.

Visti gli artt. 1 l. Cost. 9.2.1948 n. 1, 1 e 23 l. 11.3.1953 n. 87.

Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 819-ter, comma 2, c.p.c., nella parte in cui prevede che non si applichi l’art. 50 c.p.c. nei rapporti tra arbitrato e processo.

Sospende il giudizio in corso.

Dispone la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale ed ordina che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza venga notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.

Così deciso in Catania, nella camera di consiglio della quarta sezione civile, il 21 giugno 2012.

IL PRESIDENTE

dott. Adriana Puglisi

DEPOSITATO TELEMATICAMENTE

EX ART.15D.M.44/2011.

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