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La responsabilità nelle strutture private

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Academic year: 2022

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La responsabilità nelle strutture private Avv. Roberto Trinchero

L’argomento affidatomi, che riguarda l’individuazione e l’analisi delle responsabilità penali in relazione ai ruoli ed alle situazioni di rischio nelle strutture sanitarie private, assume certamente un interesse particolare.

Particolare perché trattasi, a mio avviso, di un argomento meno

“frequentato”, in quanto generalmente si è privilegiato lo studio e l’analisi della responsabilità tipica del medico, in altre parole quella che comunemente viene definita “professionale” (di cui si è parlato ieri) rispetto a quella che, come vedremo, assume delle caratteristiche in una certa misura più complesse ed articolate, dal momento che riguarda un’attività di tipo manageriale piuttosto che sanitaria in senso stretto.

Particolare anche perché destinata ad assumere un interesse sempre maggiore, sia perché le cosiddette strutture private divengono da una parte sempre più necessarie sul mercato “sanità”, sia perché i medici professionalmente indirizzati a funzioni dirigenziali in strutture sanitarie private sono maggiormente sensibili ad acquisire la consapevolezza dei rischi cui sono esposti nello svolgimento di quelle funzioni.

L’argomento così delineato assume peraltro dimensioni che non potrebbero essere coperte nel corso di un intervento quale quello che mi occupa e che necessariamente deve essere contenuto in limiti di tempo ragionevoli.

Credo pertanto di dovermi limitare a fornire un quadro delle linee di carattere generale, allo scopo di individuare i principali obblighi e doveri incombenti sui soggetti responsabili delle strutture private, non potendomi nel

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contempo, e me ne scuso, addentrare più di tanto nell’analisi delle specifiche varie possibili concrete situazioni.

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Per semplicità e sinteticità affronterei il tema del mio intervento utilizzando i termini “struttura privata” per indicare sia la tipica struttura sanitaria, sia essa clinica o laboratorio diagnostico, che lo studio professionale, non avendo il tempo per poter differenziare le trattazioni, e potendo peraltro già specificare che sostanzialmente tutte le “responsabilità” che verranno individuate per le prime strutture sono altrettanto rinvenibili, anche se in termini concreti più semplificati, per gli studi professionali.

Le case di cura private sono strutture di assistenza sanitaria, estranee all’apparato pubblico, gestite da privati – sia persone fisiche che persone giuridiche – “che provvedono al ricovero ed, eventualmente, all’assistenza sanitaria ambulatoriale ed in regime di degenza, di cittadini italiani e stranieri al fine di diagnosi, cura e riabilitazione”.

Rientrano in questa categoria anche gli istituti ed enti ecclesiastici civilmente riconosciuti ed esercenti attività ospedaliera, gli ospedali acattolici previsti dalla L. 817/73, gli istituti privati aventi finalità di recupero funzionale e sociale dei soggetti affetti da minorazioni fisiche e gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico aventi personalità di carattere privato.

Ai sensi dell’art. 43 della L. 833/78, le case di cura private sono regolate da leggi regionali. La loro struttura organizzativa, di carattere aziendale, fuori dai limiti previsti dalla normativa regionale, è rimessa alle libere disposizioni delle aziende stesse.

Venendo ora più in particolare al tema della responsabilità penale, poiché quest’ultima non può che essere attribuita ad una persona fisica per il noto principio che “societas delinquere non potest”, il primo aspetto che deve essere considerato concerne appunto l’individuazione dei ruoli e delle situazioni di rischio, ovvero dei soggetti penalmente responsabili.

A tal fine soccorre l’art. 53 della legge 12 febbraio 1968 n.128 c.d. “legge di riforma ospedaliera”, la quale prevede l’obbligo per le strutture ospedaliere

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private di nominare un Direttore Sanitario il quale deve garantire l’efficienza organizzativo-tecnico-funzionale ed il buon andamento dei servizi igienico-sanitari.

Il Direttore Sanitario ricopre quindi, per espressa previsione legislativa, il ruolo di maggiore responsabilità nella gestione della casa di cura sia sotto il profilo sanitario, sia avuto riguardo ai diversi servizi tecnici della struttura.

Tali attribuzioni hanno poi ricevuto la loro concreta determinazione con il D.P.C.M. 27 giugno 1986 c.d. “Atto di indirizzo e coordinamento dell’attività amministrativa delle Regioni in materia di requisiti delle case di cura private”

che all’art. 27 individua i compiti del Direttore Sanitario ribadendo, in ogni caso, la sua responsabilità diretta nei confronti dell’amministrazione della clinica e dell’autorità sanitaria competente.

L’atto di indirizzo si è poi ancora tradotto nelle varie normative regionali (per la regione Lombardia con la L. 7/90, e per la Regione Piemonte con la legge del 14 gennaio 1987 n.5). Tali normative prevedono che le strutture di ricovero private debbano avere un direttore sanitario “che è responsabile della organizzazione e della funzionalità dei servizi igienico–sanitari” (art. 4 comma terzo Legge Reg: Piemonte); il direttore sanitario deve in particolare svolgere i compiti e possedere i requisiti stabiliti dall’Allegato alla legge medesima (art.

4, quarto comma).

L’art. 23 individua i requisiti che deve possedere chi ricopre la qualifica di Direttore Sanitario ed al successivo art. 24 elenca tutte le funzioni-attribuzioni del Direttore Sanitario.

Tra i compiti maggiormente rilevanti ai fini della presente trattazione voglio ricordare il dovere di stabilire, in rapporto alle esigenze dei servizi, l’impiego, la destinazione, i turni ed i congedi del personale medico, infermieristico, tecnico ed esecutivo addetto ai servizi sanitari; di vigilare sul comportamento del personale addetto ai servizi sanitari proponendo, se del caso,

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all’amministrazione i provvedimenti disciplinari; di proporre all’amministrazione, d’intesa con i responsabili dei servizi, l’acquisto di apparecchi, attrezzature ed arredi sanitari e di esprimere il proprio parere in ordine ad eventuali trasformazioni edilizie delle case di cura; di vigilare, infine, sulla efficienza delle apparecchiature tecniche, degli impianti di sterilizzazione, disinfezione, condizionamento dell’aria, della cucina e lavanderia, per quanto attiene gli aspetti igienico–sanitari.

E’ appena il caso di notare che con riferimento a strutture più piccole, ossia gli studi professionali, il responsabile non può che esserne il titolare, o i titolari, in caso di associazione professionale, o infine colui che in virtù di una delega deve essere individuato come tale, e che, nel merito, gli obblighi incombenti su tali soggetti possono sostanzialmente ritenersi identici.

Per entrare maggiormente nel tema assegnatomi, si rendono necessarie due puntualizzazioni.

Se è vero che la responsabilità nelle strutture private, relativa alle attività che coinvolgono la materia igienico-sanitaria e l’organizzazione dei servizi tecnici della casa di cura deve essere ricondotta, per espressa previsione legislativa, alla figura del Direttore Sanitario, è altresì innegabile che tale responsabilità, all’atto di specifiche contestazioni di reati, debba essere verificata in concreto, proprio in considerazione anche della presenza di altri ruoli, nell’ambito della struttura, destinatari anch’essi di obblighi giuridici specifici.

E’ indubbio infatti che in sede di accertamento delle responsabilità il giudizio non possa prescindere dalla concreta addebitabilità al direttore sanitario della condotta risultata in contrasto con le norme, e ciò in particolare sotto il profilo della esigibilità, da parte del soggetto, del comportamento ritenuto omesso o inadeguato.

A tale proposito infatti assumono sicuramente rilievo ai fini dell’esclusione di una sua personale responsabilità penale sia le eventuali deleghe-procure che

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il Direttore Sanitario abbia rilasciato ad altri soggetti per l’assolvimento dei singoli compiti (la delega, per essere valida, ossia trasferire gli obblighi dal delegante al delegato, deve contenere tutti i requisiti individuati a livello normativo e giurisprudenziale), sia anche le norme contrattuali stipulate dal Direttore Sanitario con il titolare della struttura.

In secondo luogo occorre evidenziare che le responsabilità connesse alla figura del Direttore Sanitario non si esauriscono in quelle menzionate dalle varie disposizioni in materia di organizzazione delle strutture sanitarie, ma trovano altre fonti in quelle leggi di settore (si pensi a solo titolo esemplificativo alle norme concernenti l’igiene del lavoro, la prevenzione infortuni e la tutela della salute dei dipendenti, l’inquinamento ambientale, la tutela della privacy ecc..) che di volta in volta prescrivono degli obblighi in capo a colui che è al vertice di una certa struttura, in altre parole il dirigente.

Abbiamo così distinto due grosse “fonti” di responsabilità del Direttore Sanitario.

Illustrerò brevemente quelle individuate dall’art.27 del D.P.C.M. 27/6/1986, per poi passare a quelle legate alla sua figura “dirigenziale”.

Controllo sulla regolarità ed efficienza dell’assistenza agli infermi e vigilanza sul comportamento del personale addetto ai servizi sanitari.

Eventuali omissioni nell’espletamento delle predette attività di controllo sono sicuramente portatrici di responsabilità penali ove ad esse conseguano danni ai pazienti: si pensi al caso di una accertata non adeguata assistenza infermieristica, connessa ad una omissione di controllo e vigilanza sulla stessa da parte del Direttore Sanitario.

Si ipotizzi in particolare che un paziente, a causa di tale inadeguatezza, abbia riportato una lesione o ne sia addirittura derivata la morte, e che si sia riscontrato il nesso causale tra l’evento-danno e la carenza-omissione: in una tale evenienza il Direttore Sanitario verrebbe certamente chiamato a

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risponderne in sede penale, potendo anch’egli essere ritenuto responsabile dei reati di lesioni personali colpose o omicidio colposo di cui agli articoli 589- 590 c.p. a causa della sua condotta negligente, imprudente o imperita, in concorso con gli altri soggetti responsabili diretti.

La responsabilità colposa del Direttore Sanitario si sostanzierebbe pertanto in un espletamento negligente ed imprudente dei compiti di controllo e vigilanza connessi alla sua attività, potendo così integrare non solo la colpa generica (imprudenza, imperizia, negligenza) ma altresì un profilo di colpa specifica quale violazione di quei doveri derivanti dalle attribuzioni di cui all’art.27 del D.P.C.M. del 27/6/86.

E’ evidente peraltro che sarà sempre necessario accertare nel singolo evento lesivo se il personale abbia agito in piena autonomia o sotto il controllo di altro sanitario, ovvero se l’evento stesso sia ricollegabile ad un comportamento del personale del tutto imprevedibile ed eccezionale e quindi fuori dalla sfera di controllo e di intervento del Direttore Sanitario (Es. AMPAX/PEDALI).

Sempre in ordine a tale profilo di responsabilità si può riportare un ulteriore recente indirizzo della Suprema Corte (Sez. IV penale 3/10/1995 n. 10093 - Ric. Noè) che ha individuato anche nei confronti del Direttore Amministrativo la responsabilità per omicidio colposo, per non aver predisposto un’organizzazione sufficiente a garantire l’assistenza notturna post-operatoria, tale da essere causalmente collegata al decesso di una paziente.

Controllo sull’efficienza delle apparecchiature tecniche.

Sempre sotto il profilo degli obblighi generali di controllo e vigilanza deve essere ricordato quello relativo all’efficienza delle apparecchiature tecniche presenti nella struttura, e cioè sul regolare funzionamento e sulla manutenzione delle stesse.

E’ questa un’attribuzione di compiti che può originare tutta una serie di responsabilità che riguardano materie specifiche disciplinate da apposite

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normative alle quali il direttore sanitario dovrà attenersi onde non incorrere in sanzioni penali anche relativamente a danni causati ai pazienti.

Appare sufficiente in proposito sottolineare che una struttura organizzativa predisposta dal direttore sanitario, che preveda un servizio di manutenzione ben organizzato ed efficiente, può far ritenere meno probabili eventi comportanti responsabilità penali, così come queste ultime sarebbero da ritenersi escluse in ipotesi di guasti improvvisi ed eccezionali, non prevedibili secondo la comune esperienza e l’ordinaria diligenza e prudenza.

Peraltro incomberebbe pur sempre al direttore sanitario, non avendo egli normalmente autonomia di spesa, l’onere di segnalare, ove lo ritenga necessario ai fini della sicurezza ed idoneità dei macchinari, al titolare della clinica la necessità di provvedere alla sostituzione ed all’acquisto dei macchinari ed attrezzature tecnologicamente più avanzati.

Ulteriore compito affidato al Direttore Sanitario dall’art.27 del citato DPCM attiene al controllo sulla scorta dei medicinali, dei prodotti terapeutici, ed alla vigilanza sul funzionamento dell’emoteca; sotto tale angolo visuale, un’eventuale somministrazione a favore di pazienti della struttura privata di medicinali guasti o scaduti ovvero di sangue non correttamente conservato, comporterebbe una sicura responsabilità in capo al Direttore Sanitario per i delitti di cui agli artt. 443-452 c.p., con l’ovvia ed anche più gravosa conseguenza di vedersi contestare, se dal fatto fosse derivata una lesione o la morte del paziente, anche il reato di lesioni personali colpose ovvero di omicidio colposo.

Nel caso invece della somministrazione di prodotti alimentari guasti, la responsabilità del Direttore Sanitario derivante da una omessa vigilanza sul funzionamento delle cucine, sulla conservazione degli alimenti e sull’approvvigionamento degli stessi integrerebbe le fattispecie previste dal codice penale agli artt. 440-452.

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E’ ovvio che l’omissione di controllo del Direttore Sanitario integrerebbe in tal caso un reato caratterizzato dall’elemento soggettivo della colpa e, quindi, la previsione normativa cui fare riferimento è l’art. 452 c.p. che individua, appunto, le ipotesi colpose dei delitti contro la salute pubblica.

Queste testé descritte sono, in estrema sintesi, le responsabilità del Direttore Sanitario derivanti dalla normativa “sanitaria” nell’ambito delle strutture private.

Non meno importanti sono altresì le ulteriori “fonti” di responsabilità per la figura di vertice delle strutture private. Alcune di esse possono individuarsi tra le norme del Codice Penale.

In particolare:

Art. 365 – Omissione di referto. E’ compito del DS di comunicare all’Autorità Giudiziaria i fatti avvenuti nell’ambito della Casa di Cura relativamente alle prestazioni di assistenza e cura ai pazienti, e pertanto un

“consapevole” ritardo od omissione di comunicazione integra certamente il delitto di omissione di atti d’ufficio. Ho utilizzato forse in modo non tecnico il termine “consapevole” per evidenziare l’intenzionalità della condotta, ossia il carattere doloso del delitto in questione.

Art. 622 – Rivelazione di segreto professionale. Tale fattispecie può concretizzarsi allorquando il direttore sanitario consegni copia della cartella clinica, o qualsiasi altro documento sanitario, a persona diversa da quella cui il documento si riferisce. Perché tale delitto sussista è necessario che non vi sia alcuna “giusta causa” alla consegna del documento a soggetto diverso dall’interessato o che l’impiego di tale documento determini un profitto e che dal fatto scaturisca un nocumento. Si tratta pertanto di un’ipotesi dolosa caratterizzata da dolo specifico.

La ratio della norma in esame è quella di evitare che dei fatti che devono rimanere a conoscenza di una cerchia ristretta di persone vengano conosciuti da

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altre che non ne hanno titolo; in sostanza si vuole tutelare la “privacy” del paziente o, più in generale, dell’assistito.

Proprio in tema di “privacy” la legge 675 del 31 dicembre 1996 introduce delle fattispecie particolari: l’art.23 concerne il trattamento di dati inerenti alla salute e, nel disciplinare come tale attività possa avvenire, pone un esplicito divieto alla diffusione dei dati idonei a rivelare lo stato di salute, salvo nel caso in cui la divulgazione sia necessaria per finalità di prevenzione, accertamento o repressione dei reati.

Il legislatore ha strutturato la fattispecie principale sul modello del reato doloso a dolo specifico prevedendo, per colui che al fine di trarne profitto per sé o per altri o per arrecare ad altri un danno comunica o diffonde dei dati personali in violazione a quanto disposto dall’art. 23, la sanzione della reclusione da tre mesi a due anni, ma formulando altresì un’ipotesi colposa, di maggior interesse per l’argomento in esame, che concerne non la diffusione dei dati, bensì la mancata osservanza del recentissimo regolamento, per altro non ancora in vigore (D.P.R. 29/7/1999 n.318 ), in materia di sicurezza dei dati.

Il regolamento testè segnalato, sicuramente applicabile anche alle strutture sanitarie private, tratta in particolare di una serie di norme volte a garantire la limitazione all’accesso alle banche dati sia da parte degli incaricati (ovvero di quei lavoratori addetti al trattamento dei dati), sia a maggior ragione da parte del pubblico. Per la sussistenza del reato non è necessario che vi sia un’

effettiva diffusione incontrollata di dati, ma è sufficiente la violazione delle prescrizioni di legge.

Si parlava di cartelle sanitarie e mi pare opportuno esaminare il problema relativo ad una possibile responsabilità del direttore sanitario in conseguenza di accertate falsità nei predetti documenti.

Non potendosi individuare una responsabilità del direttore sanitario nella compilazione delle stesse, non essendo la redazione della cartella un suo

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compito, pur tuttavia potrebbe residuare un’eventuale sua responsabilità per le modifiche, le aggiunte o l’allegazione di altri documenti sanitari successivi alla compilazione della cartella.

Occorre allora a questo punto aprire una parentesi e distinguere a seconda che la casa di cura sia o meno in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale.

Nel caso in cui la struttura privata operi in regime di convenzione, il direttore sanitario e gli altri soggetti privati agiscono in regime “pubblico” e quindi concorrono a formare e a manifestare la volontà della pubblica amministrazione in materia di assistenza sanitaria, assumendo quindi poteri autoritativi e certificativi; costoro sono quindi pubblici ufficiali e conseguentemente l’eventuale falsità nella redazione degli atti in questione è punita ai sensi degli artt. 479 e 476 c.p., norme che sanzionano rispettivamente le false attestazioni in un atto pubblico e la formazione di un atto falso o alterazione di un atto vero.

Nell’ipotesi in cui invece la struttura privata non operi in regime di convenzione, le persone che prestano la loro opera rimangono soggetti di diritto privato (benchè esercitino un servizio di pubblica necessità) con la conseguenza che la cartella clinica resta una scrittura privata con rilevanza penale delle sole falsità materiali e delle false attestazioni.

Ovviamente le false attestazioni inserite in un certificato medico sono sempre punibili dall’art. 481 c.p., che sanziona la falsità ideologica in certificati commessa da esercenti un servizio di pubblica necessità.

Per proseguire nel tema delle ulteriori “fonti di responsabilità” se ne possono individuare altre in varie leggi speciali che possiamo brevemente ricordare.

Il D.P.R. 309/90 (T.U. in materia di stupefacenti) all’art. 60 pone un preciso obbligo di annotazione nel registro di carico e scarico degli stupefacenti, di

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regolare compilazione e conservazione del registro; l’inosservanza è sanzionata dal successivo art. 68.

In tema di sicurezza ed igiene del lavoro si registrano importanti obblighi in capo al DS, basti por mente al Dlgs 277/91 (è l’attuazione delle direttive comunitarie n. 80/1107/CEE, n.82/605/CEE, n. 83/477/CEE, n.86/188/CEE, n.88/642/CEE in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro) ed al Dlgs.

626/94 che dà attuazione a tutta una serie di direttive della Comunità Europea, tra le quali ricorderò la n. 90/394/CEE in tema di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti cancerogeni durante il lavoro (VI° direttiva ai sensi dell’art. 16 della direttiva 89/391/CEE) e la n.

90/679/CEE, che detta principi in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti biologici durante il lavoro (VII°

direttiva ai sensi dell’art.16 della direttiva 89/391/CEE).

Ancor prima di evidenziare le norme cogenti di tali decreti è opportuno ricordare che i destinatari degli obblighi sono i Datori di lavoro, i Dirigenti ed i Preposti.

Nell’ambito dei ruoli, pur evidenziando che il direttore sanitario non può essere considerato come datore di lavoro poiché non è il titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore, ma si deve riconoscere che è sicuramente a tutti gli effetti un dirigente, trovandone conferma, come abbiamo visto prima, nei poteri e nelle attribuzioni che gli sono conferite dal DPCM 27/6/86.

Gli altri soggetti della struttura si inquadrano generalmente come preposti con specifici doveri di controllo.

Posta questa premessa si possono quindi evidenziare gli obblighi che hanno come destinatario il direttore sanitario.

Il Dlgs 277/91 trova applicazione in quelle attività ove vi è la presenza di piombo, amianto e rumore.

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Nelle disposizioni generali contenute nel primo capo vengono individuati i doveri generali di tutela nei confronti del dirigente e nell’ambito delle sue specifiche attribuzioni e competenze si sancisce un obbligo di attuare tutte le misure di tutela idonee ad evitare i rischi per la salute (rischi che dovrebbero essere già stati oggetto di valutazione da parte del datore di lavoro in un apposito documento), ed in particolare di informare i lavoratori dei rischi cui sono esposti e di formarli all’uso dei mezzi di protezione individuale e collettivi idonei a fronteggiare tali rischi.

Inoltre è sempre compito del dirigente attuare un’attività di vigilanza a che i lavoratori utilizzino i mezzi di protezione, ma anche gli strumenti di lavoro, in modo corretto.

L’inosservanza di questi obblighi espone il dirigente, nel nostro caso il DS, alla sanzione prevista dall’art. 50 del Dlgs 277/91.

Si tratta invero di una contravvenzione alla quale, una volta che si è adempiuto alle prescrizioni impartite dall’organo di controllo, (generalmente l’USL ma talvolta anche l’ARPA) è possibile accedere all’istituto dell’oblazione ed estinguere il reato attraverso il pagamento in via amministrativa di una somma che, per effetto delle ultime modifiche legislative (l.758/94), non è di entità trascurabile.

Per il tema che ci riguarda, suscitano ancora più interesse le norme contenute nel Dlgs 626/94.

In primo luogo anche in ordine a tale normativa valgono tutte le considerazioni già svolte in merito alla qualifica di dirigente del direttore sanitario.

Nessun dubbio deve essere sollevato sull’applicabilità di tale normativa alle case di cura private e ciò per due ordini di ragioni: in primo luogo si tratta sempre di attività ove sussiste un rapporto di lavoro e quindi dei lavoratori subordinati. L’art. 1 comma I° del Dlgs. individua infatti il campo di

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applicazione disponendo che il decreto prescrive misure per la tutela della salute e per la sicurezza dei lavoratori durante il lavoro, in tutti i settori di attività sia pubblici che privati.

In secondo luogo un chiaro ed inequivocabile segnale lo si ricava dal V°

comma lett. g) dell’art. 8 del Dlgs 626/94.

Quest’ultimo dispone infatti che il datore di lavoro (ed in questo caso, a meno che il “titolare” della struttura rivesta anche il ruolo del direttore sanitario, la figura del direttore sanitario è estranea a tale obbligo) deve organizzare all’interno dell’azienda il “Servizio di prevenzione e protezione”

oppure incaricare persone o servizi esterni all’azienda secondo le regole di cui al presente articolo.

Orbene, esaminando il comma V°, ove si legge che: “l’organizzazione del servizio di prevenzione e protezione all’interno dell’azienda è comunque obbligatoria nei seguenti casi: lett.g) nelle strutture di ricovero e cura sia pubbliche che private. (Questo comma è stato modificato dal Dlgs. 242/96 art.

6 comma 3), ne consegue pacificamente l’applicabilità del Dlgs 626/94 alle case di cura private.

Resta da analizzare quali possono essere le responsabilità penali del direttore sanitario nella specifica materia.

Certamente egli sarà responsabile per tutte quelle omissioni in tema di misure generali di tutela previste dall’art. 4 comma IV° e V° in capo al datore di lavoro, ma che all’art. 89 vengono sanzionate anche in capo al dirigente. Ciò vuol dire che tali obblighi possono essere concretamente adempiuti nell’ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, o per effetto di delega, anche dal dirigente, nel nostro caso direttore sanitario.

Come accennavo più sopra, il decreto legislativo in esame recepisce alcune direttive europee, tra le quali due assumono una certa importanza: quella riguardante gli obblighi di protezione da agenti cancerogeni (artt. 60-72) e

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quella concernente la protezione da agenti biologici (artt. 73-88) due rischi che possono essere presenti, con alta probabilità, nell’ambito delle strutture sanitarie private.

Non è mia intenzione tediarvi e leggervi le varie norme, ma credo opportuno soffermarsi su alcuni punti.

L’art. 81 (siamo nelle misure di protezione da agenti biologici) individua alcuni particolari obblighi di tutela, non solo con riferimento agli agenti biologici esistenti nel luoghi di lavoro, ma anche rispetto a quegli agenti biologici presenti nell’organismo dei pazienti.

Apro a questo punto una parentesi: qualche tempo fa si celebrò un processo nei confronti del primario di un reparto e del produttore di uno strumento perché un’infermiera si infettò, a causa di uno zampillo di sangue, da HIV.

L’accusa contestò varie ipotesi di colpa, tra le quali quella di non aver debitamente istruito l’infermiera, di non averle fornito idonei mezzi di protezione, di non aver controllato l’efficienza degli strumenti. Bene, è questo un chiaro esempio di applicazione della normativa in questione; se tale fatto fosse successo oggi sicuramente sarebbe stata contestata la violazione del Dlgs 626/94 non solo al primario ma anche al direttore sanitario.

L’art. 82 detta specifiche misure e modalità di manipolazione di agenti biologici quando questi avvengano in laboratori di diagnostica a fini di ricerca o di didattica.

Questi due obblighi che il Dlgs pone in capo al datore di lavoro sono però sanzionati (vds. art. 89) solo nei confronti del dirigente (e non anche nei confronti del datore di lavoro).

Un ultimo rilievo: se come ho detto precedentemente la violazione di tali precetti comporta la responsabilità per una contravvenzione, il più delle volte oblazionabile, non si deve trascurare peraltro la possibilità che gli effetti di tali omissioni possano assumere maggior gravità sotto il profilo della

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responsabilità penale (omicidio colposo o lesioni personali colpose) nell’ipotesi in cui tali violazioni abbiano causato tali eventi lesivi di danno.

Le competenze e le possibili responsabilità del Direttore Sanitario rilevano anche con riferimento agli obblighi in tema di esercizio dello scarico delle acque reflue della casa di cura e dello smaltimento dei rifiuti.

Seppure in tale sede non appaia opportuna una dettagliata elencazione di tutti gli incombenti derivanti dall’applicazione delle normative suindicate, in quanto richiederebbero da una parte troppo tempo e dall’altra potrebbero apparire anche fuori tema specifico, ritengo peraltro necessario sottolineare, quantomeno in termini generali, che proprio le attribuzioni del direttore sanitario in tema di organizzazione dei servizi igienico-sanitari, fanno sì che non si possa escludere un suo diretto intervento e quindi una sua eventuale conseguente responsabilità, sia nella gestione degli scarichi dei reflui che del regolare smaltimento finale dei rifiuti prodotti dalla casa di cura.

Nell’ottica esemplificativa si può sottolineare che una responsabilità del direttore sanitario sarebbe ravvisabile, ad esempio, per il superamento dei limiti di accettabilità dello scarico, ove quest’ultimo sia dipeso dalla mancata o inadeguata adozione delle forme di depurazione imposte, ovvero dall’insufficiente manutenzione delle strutture dello scarico, e per ciò che concerne invece lo smaltimento dei rifiuti, per un’omessa preventiva richiesta di autorizzazione, ovvero per carenti o insufficienti controlli a che gli smaltimenti avvengano nei modi conformi alle prescrizioni delle autorizzazioni coinvolgenti tutti i soggetti incaricati.

Si deve ricordare che tali normative ambientali prevedono forti sanzioni anche economiche, ed alcune di esse tra l’altro non consentono neppure l’accesso all’oblazione (istituto processuale che comporta l’estinzione del reato) per coloro che nell’ambito della gestione di un’attività quale una casa di cura (leggasi direttore sanitario) compiono attività non autorizzata di gestione

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di rifiuti, ovvero non conforme alle autorizzazioni, ovvero ancora violano gli obblighi di comunicazione e/o tenuta dei registri obbligatori e dei formulari dei rifiuti.

Ancora un brevissimo accenno agli obblighi derivanti dall’applicazione della normativa concernente lo smaltimento dei rifiuti radioattivi (art. 30-35 Dlgs 230/95) la cui gestione deve avvenire nel rispetto delle specifiche norme di buona tecnica e delle eventuali prescrizioni tecniche contenute nei provvedimenti autorizzatori al fine di evitare rischi di esposizione delle persone, ricordando altresì che tale decreto tratta anche della protezione dei degenti e del personale dalle radiazioni ionizzanti e che tale aspetto è stato espressamente previsto dal D.P.C.M. 27.6.1986 di cui si è parlato all’inizio.

In via conclusiva mi sembra significativo sottolineare che dal complesso delle attribuzioni del direttore sanitario normativamente sancite, ne deriva la configurazione dello stesso anche quale figura di garante della compatibilità ambientale dell’attività della clinica, quale logico ed inevitabile corollario delle attribuzioni di carattere igienico-sanitario che costituiscono le caratteristiche di tale figura.

Pertanto appare ineluttabile che la figura del direttore sanitario venga in evidenza, per il giudizio di eventuale attribuzione di responsabilità, tutte le volte in cui si dovranno esaminare condotte che comunque interferiscono con le esigenze di tutela della salute e dell’ambiente nell’ambito delle strutture di ricovero private.

Per concludere vorrei ricordare ancora un aspetto molto attuale, sempre in tema di obblighi relativi alla sicurezza per i fruitori di servizi sanitari.

Una recente Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 10.9.1999 concernente “l’Adeguamento dei sistemi informatici al cambio di data dell’anno 2000” ha previsto la predisposizione di piani di continuità ed

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emergenza (PCE) per la gestione delle conseguenze derivanti da possibili malfunzionamenti conseguenti al cambio data.

Lo scopo è quello di garantire da un lato “la sicurezza delle persone” e dall’altro che “non subiscano interruzioni o disfunzioni i servizi fondamentali per la collettività”, tra i più importanti dei quali si deve individuare il sistema sanità, e non solamente quello pubblico.

Sono state predisposte delle linee guida nelle quali vengono indicate e suggerite ad esempio le tipologie di strutture organizzative di cui dovrebbe dotarsi l’azienda, sia pubblica che privata (in quanto tutte tenute alla salute e sicurezza degli assistiti), per gestire correttamente le contingenze e le emergenze determinate dal passaggio del millennio, le fasi in cui potrebbe articolarsi il piano di continuità e di emergenza, e la classificazione, a seconda del rischio, degli apparecchi che potrebbero subire malfunzionamenti.

In particolare il Ministero della Sanità ha inviato a tutti gli Enti di competenza una lettera circolare nella quale segnala tali problematiche, individuando obblighi e tempistiche, indicando espressamente un termine al 20.11.1999 entro il quale “ogni struttura sanitaria…effettuerà prove pratiche e simulazioni del proprio piano di continuità ed emergenza, dando comunicazione dei risultati all’Assessorato regionale competente”. Entro il 30.11.1999 gli Assessori regionali alla sanità “redigeranno il definitivo piano di continuità ed emergenza”.

I relativi aggiornamenti in tempo reale sono reperibili su Internet ai siti del Ministero della sanità (www.sanità.it) denominato “Sanità e Anno 2000”

oppure al sito www.comitatoanno2000.it.

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