3.4 Maternità nelle arti visive: le artiste cinesi contemporanee e le loro opere dal 1989
3.4.1.7 Jiang Jie 姜杰 (1963-)
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Figure 29 Lu Jiatong 吕近⽉ (1988-), The Lost Bond [I] The missing memory, 2016, fotografia.
Figure 30 Lu Jiatong 吕近⽉ (1988-), The Lost Bond [II] Retelling history, 2017, immagine dell’installazione video.
Dall’utilizzo del corpo, spesso gravido e nudo, usato da numerose artiste, si è vista, attraverso le opere di He Chengyao e Lu Jiatong, la declinazione possibile nell’utilizzo del corpo come mezzo per trattare il rapporto madre-figlia. In entrambi questi casi di studio, la Rivoluzione Culturale e la politica del figlio unico hanno rappresentato un tassello importante della storia delle artiste. Questi eventi storico- politici hanno influenzato la vita delle artiste e la loro relazione con le rispettive madri, le quali sono state poi rappresentate nelle loro opere. I loro lavori, quindi, sfidano i tabù relativi alla nudità, alla malattia mentale, alla tradizione, ma anche alle conseguenze che le politiche maoiste ebbero sui cittadini. L’obiettivo di queste opere, però, non è tanto la denuncia e la testimonianza di quanto avvenuto, quanto il racconto della loro esperienza personale.
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scopi, sono gli unici non materni. La rappresentazione di feti e la denuncia del loro abbandono sotto la politica del figlio unico, soprattutto nelle zone più rurali della Cina, furono già protagonisti della serie Motive (vedi fig.1) di Wang Peng. Questa fu realizzata negli anni Novanta, in seguito al suo interesse nei rifiuti, tra i quali nel 1996 trovò un feto racchiuso in un sacchetto di plastica con su scritto “rifiuto sanitario”. L’artista ne rimase talmente sconvolto da dedicare alla politica del figlio unico una serie di opere in cui con della pittura acrilica rappresentava la sagoma di un feto sulle pagine del Libretto Rosso di Mao. L’opera è difficile da reperire e l’artista stesso subì diversi tipi di repressione da parte delle forze dell’ordine: oltre a essere imprigionato per affronto alla morale, il suo studio a Pechino fu distrutto nel 2021. Una delle più recenti occasioni in cui l’artista parlò della serie, inoltre, fu l’intervista nel corso del documentario One-Child Nation (2019), realizzato da Wang e Zhang, entrambe nate sotto la politica del figlio unico, definitivamente rimossa nel 2015. Il film si sofferma sulle conseguenze vissute dalle donne sottoposte a sterilizzazioni, aborti forzati e adozioni nel momento in cui avessero avuto più di un figlio. Le autrici «esplorano non solo la politica, ma anche i suoi effetti di vasta portata, e offrono un'agghiacciante visione di ciò che può accadere quando una nazione sceglie di controllare il corpo delle donne per il proprio tornaconto politico» (Zacharek 2019).
Jiang Jie nasce nel 1963 e si laurea a Pechino, presso la Central Academy of Fine Arts nel 1991 in scultura. Nel 1995 completa un corso di studi superiori sempre presso la CAFA e attualmente vi insegna all’interno del Dipartimento di scultura. La scultura è quindi sempre stata il suo mezzo prediletto. Dagli anni Novanta, Jiang Jie è una delle poche scultrici attive, presentando una profonda sensibilità e una prospettiva femminile. I suoi lavori traggono ispirazione dalla natura, apparendo molto realistiche. Allo stesso tempo, però, veicolano altri significati, che vanno oltre la loro forma realistica. Queste non sono avvolte da un’aura di simbolismo, ma risultano più complesse ed elaborate di una “semplice” rappresentazione realistica. L’elemento importante per l’artista risulta essere l’umanitarismo; Jiang usa la sua arte per esplorare la natura di persone, oggetti ed eventi per poi narrarla attraverso una prospettiva femminile (Chen, Wang 2020). La sua attenzione è rivolta in particolare al microcosmico e al risvolto psicologico dell'esperienza, con un'osservazione attenta alla fragilità e all’effimero. Jiang, inoltre, unisce con grande consapevolezza l’estetica classica e il concettualismo dell'arte contemporanea, riuscendone a mantenere la tensione. Questa, a sua volta, trasmette un senso di assurdità e poesia alle opere. Tra le sue opere vi è anche Over 1.5 Tons (2014), creata per il Shanghai Pujiang OCT Ten-Year Public Art Project (24 ottobre 2014 – 24 gennaio 2015), che segna per la prima volta la partecipazione di una donna, che tratta il tema del desiderio.
L’opposizione e simbiosi tra fisicità massiccia, effetti d'ombra e materiali malleabili rendono l’opera complessa, ma anche simbolo del mondo in cui viviamo (Wang 2014).
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Il lavoro di Jiang, inoltre, «rivela come la Cina moderna abbia influenzato il corpo delle donne cinesi e la loro vita» (Chen, Wang 2020). Ispirata dalle conseguenze della politica del figlio unico e della pratica diffusa dell'aborto, soprattutto di feti femminili (Forward 2006, 11), Jiang ha realizzato diverse serie su questo tema, tra cui Zai (2001) (fig. 31) realizzata nel momento della nascita del figlio e Approching (1995) (fig. 32), che ha dei punti in comune con The Appearance of Life (1994) (fig.
33). Queste opere, insieme a Fragile Products (1994) (fig. 34), vedono la rappresentazione di bambini e neonati come centrali. Ciò incarna la vulnerabilità degli esseri umani e mette in mostra la crudeltà della vita (Wang 1998, 34-37). Le sue sculture, realizzate in cera, gesso, resina e fibra di vetro raffiguranti neonati e feti, «mettono a nudo la brutalità della politica cinese del figlio unico e la vulnerabilità delle vittime, implicita nella sua materialità frangibile» (Cui 2015, 28). Queste sculture non sono perfettamente realistiche e proporzionate; le braccia e le gambe sono rotte o mancanti e le dimensioni sono leggermente più grandi o più piccole di un normale bambino. In Fragile Products (1994) Jiang ha usato cinquanta neonati realizzati in tre differenti pose inserendoli in un foglio di plastica trasparente lungo sei metri e largo cinque. Gli angoli erano stati appesi verticalmente e i neonati si erano urtati e schiacciati in modo disordinato (Wang 1998, 34-37). L'opera consiste in un ponte tra la società degli adulti e il mondo dei bambini, ma anche tra l'anima degli esseri umani e gli oggetti che ne sono privi (Yin 2016, 20-22). Allo stesso modo, risulta evidente la fragilità di un neonato, la stessa di quelli che erano abortiti all’ottavo o nono mese di gestazione e abbandonati. Le opere di Jiang Jie non sono state classificate come scultura femminista cinese, ma piuttosto come un tipo di scultura contemporanea (Wang 1998, 34-37). Nonostante, ciò risulta evidente da questo genere di opere la sua attenzione alle tematiche femminili e femministe.
In parallelo, la produzione artistica di Jiang si è anche distaccata dai neonati e ha realizzato sculture di ragazze nude nel periodo adolescenziale, nel quale si sviluppano le differenze sessuali, come nel caso della scultura in resina laccata rosa Yule娱乐Entertain (2006) e Magic flower (1997).
In quest’ultima vi è una figura femminile in gesso distesa è collegata con dei fili ai punti di agopuntura di una figura maschile; questa ricorda la dinamica dello scambio di yin e yang nella filosofia cinese.
Al contrario, Men in Parallel with Woman (1996) rappresenta due modelli di gesso, uno appartenente a un uomo e uno di una donna; entrambi molto simili e privi di braccia, l’opera sembra contrastare assunto secondo cui la nudità affermi l’identità e l’individualità. In questo caso, invece, si vuole mostrare come il nudo possa enfatizzare la somiglianza, anche tra i sessi. (Forward 2006, 12).
Secondo Wang (1998, 34-37) fu dopo la diffusione del postmodernismo in Cina che la serie di opere di Jiang fu legata al femminismo. «Pur trattando spesso temi come lo stato embrionale, i bambini, la femminilità, la medicina e l'educazione, Jiang Jie evita le interpretazioni femministe standard e mira a collocare il suo lavoro in un contesto antropologico più ampio» (Wang 2014). Secondo lei, la
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questione di genere non è solo legata alle condizioni di vita, all’ambiente sociale e politico in cui viviamo, ma è anche legata a miti e conoscenze che fanno parte della singola cultura. Tuttavia, anche se di parlare di femminismo, le sue opere lo sprigionano «perché il femminismo non è una combinazione di pensieri, ma una visione della realtà» (Chen, Wang 2020). La sua ampia prospettiva di osservazione, priva di identificazione con movimenti specifici, fa sì che il suo lavoro superi la gamma della categoria di arte femminile e si occupi di questioni comuni all’umanità (Wang 2014).
Figura 31 Jiang Jie 姜杰 (1963-), Zai, resina, pittura, vetro, 200 x 160 x 140 cm, 2001.
Figura 32 Jiang Jie 姜杰 (1963-), Approaching, resina, seta, fili di seta, 100 cm x 30 sculture, 1995.
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Figura 33 Jiang Jie 姜杰 (1963-), The Appearance of the Life, gesso, dimensioni irregolari, 1994.
Figura 34 Jiang Jie, Fragile Products, garza, cera, pellicola di plastica, dimensioni irregolari, 1994.
In modo simile, anche Li Hong 李虹 (1965-) con Prebirth Certificate (2002) (fig. 35) tratta l’argomento. Li Hong, nata nel 1965 a Pechino due genitori nell’aeronautica, intraprese gli studi all’Accademia di Belle Arti di Pechino all’età di ventisette, concentrandosi sulla pittura di stile occidentale e conoscendo nello stesso periodo le artiste con cui costituirà il collettivo Sirene. La sua infanzia non fu tuttavia semplice; mandata con la famiglia in un villaggio remoto del Sichuan, senza elettricità di modo da insegnare loro le deprivazioni rurali, Li fu costretta a rimanere a casa da sola, in quanto troppo piccola per lavorare nei campi (Karetzky 2002, 28).
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Figura 35 Li Hong李虹 (1965-), Prebirth Certificate, 2002, olio su tela, 48x60 cm.
Femminista e tra le fondatrici delle Sirene, ha rappresentato le figure femminili in diversi contesti. Tra questi vi è la serie Conspiracy del 1996, in cui la società patriarcale è rappresentata da macchinari e automobili in cui le donne sono rinchiuse, mentre delle altre donne, spesso nude, subiscono atti di abuso e violenza nel vano motori di questi prodotti industriali (Lu 2010, 600).
Secondo Forward (2006, 8) si tratta di un chiaro riferimento al destino delle donne nella società odierna. In seguito, la sua tecnica cambiò, iniziando a includere anche disegni a matita, seppur continuando a usare la pittura a olio in modo meno tradizionale di prima (Forward 2006, 8). Un esempio in tal senso, che è anche il focus di questo paragrafo, è Prebirth Certificate (2002). L’opera vede un cospicuo utilizzo del colore rosso e del segnale stradale di “stop”, sia come elemento comunicativo che decorativo. Questi elementi sono affiancati alle immagini ad ultrasuoni realizzate in ospedale, una volta scoperto di essere incinta, e ai documenti che le negavano il certificato di “pre- nascita”. Tale documento, che fornisce il titolo all’opera, determina l’accesso agli ospedali e all’assistenza sanitaria. Secondo la politica del figlio unico, infatti, l’artista «non aveva il permesso ufficiale per rimanere incinta» e rimasta scioccata realizzò la suddetta opera (Karetzky 2004, 8).
Anche in questo caso, quindi, il corpo e la gravidanza non sono presenti fisicamente, ma appaiono come protagonisti, seppur ancora una volta costretti tra le fila delle leggi del controllo familiare.
Infine, è interessante e meriterebbe un’analisi che non trova spazio in questa ricerca, l’utilizzo dei feti da parte degli artisti Peng Yu (1974-) e Sun Yuan (1972-). Spesso abbandonati o donati alla scienza, i feti utilizzati in Honey (1999), Body Link (2000) (fig. 37) e Human Oil (2000) vedono delle connotazioni diverse da quelle riscontrabili nelle opere di Jiang Jie, Wang Peng e nei più recenti Prebirth Certificate (2002) di Li Hong. In particolare, le serie Bloodline: Big Family (1995-) e l’opera Bloodline: Red Baby (1993) (fig. 36) vede degli elementi di affinità sia con l’opera di Xing Danwen,
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che con i lavori di Sun Yuan e Peng Yu, nei quali figurano sia l’utilizzo di feti sia la connessione resa attraverso la trasfusione di sangue nell’opera Body Link (2000) e con delle semplici linee rosse nelle opere di Zhang (Fok 2013, 152-153).
Figura 36 Zhang Xiaogang 张晓刚 (1958-), Bloodline: Red Baby, 144.5 x 154 cm, 1993, olio su tela, Hanart TZ Gallery, Hong Kong.
Figura 37 Peng Yu (1972-) e Sun Yuan (1974-), Body Link (2000), fotografia della performance.