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ʻNonluoghiʼ ed ʻeterotopieʼ: Michel Foucault e Marc Augé

Nel documento Durs Grünbein: poetiche dello spazio (pagine 34-40)

Mentre l’utopia garantisce uno spazio «meraviglioso e liscio», che può poggiare su un discorso, su una fabula, Foucault prevede, all’interno della sua archeologia del sapere, Le

parole e le cose, uno spazio altro: le «eterotopie», che impediscono al linguaggio di tenere

insieme le parole e le cose, «di nominare questo e quello»,113 e che lo fanno precipitare in una condizione di «atopia» e di «afasia».114 Secondo alcuni Foucault è uno dei pochi filosofi ad aver attratto l’interesse della geografia umana,115 anche se meno, da quei geografi solitamente intesi come teorici. L’eccezione rimane comunque E. Soja, che nel suo testo Postmodern

Geographies del 1989 esamina la spazialità ambivalente di Foucault e lo include a tutto diritto

fra i geografi postmoderni.

Il concetto di eterotopia, solo abbozzato nel testo sopra citato, trova sviluppo nel discorso tenuto presso il Cercle d’études architecturales nel Marzo del 1967, pubblicato nel 1984 e intitolato Des espaces autres. La riflessione da cui Foucault muove lo accomunerà ad altri rappresentanti del «Raumdenken» a partire da Lefebvre fino ad arrivare allo spatial turn e agli studi di E. Soja: l’ossessione del diciannovesimo secolo, rileva Foucault, fu notoriamente la storia, ma il nostro tempo si presenta al contrario come un’epoca dello spazio,116 un’epoca stesso diario (p. 63). E ancora, nel saggio Wir Buschmänner. Eine Erinnerung an Elias Canetti Masse und

Macht, in ID., Galilei, pp. 197-209 (p. 202), riprende lo stesso concetto e spiega come l’unico tipo di pensiero sopportabile, in quella situazione di dittatura, fosse «eine sarkastische Denkweise».

112

Ivi, p. 68. 113

M.FOUCAULT, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, cit., p. 8. 114

Ibid. 115

C.PHILO, Foucault’s geography, in M.CRANG,N.THRIFT, Thinking space, cit., p. 206. 116

Mike Crang e Nigel Thrift non sembrano d’accordo con l’affermazione del filosofo, tanto che nel loro studio sullo spazio si esprimono nei seguenti termini: «Thus Foucault’s celebrated announcement that the era of space was succeeding that of time needs to be taken with a pinch of salt». Ivi, p. 1. Dello stesso parere di Michel Foucault è invece anche Edward Soja, che già nelle prime righe della sua opera Postmodern Geographies afferma: «for at least the past century, time and history have occupied privileged position in the practical and

della simultaneità, dell’avvicinamento del vicino e del lontano, del disperso.117 La comprensione del mondo non si rifà più alla figura di un grande essere ma ad una «rete», i cui fili si incrociano in punti. In questa prospettiva di matrice strutturalista, perché privilegia la sincronia alla diacronia, Foucault riconosce che lo spazio non rappresenta nessuna novità all’interno di teorie o sistemi,118 dal momento che esso ha già una tradizione nella cultura occidentale così riassunta: nel Medioevo lo spazio si presenta come una quantità gerarchizzata di luoghi, sacri o profani, protetti o liberi, cittadini o rurali mentre per le teorie cosmologiche c’erano luoghi sopra il cielo e nel cielo, per lo più contrapposti a luoghi mondani. Si tratta di luoghi in cui le cose si trovavano per via di un’azione coatta, e luoghi in cui le cose si trovavano naturalmente e serenamente. Questo tipo di relazioni gerarchiche, di contrapposizioni e di incroci fra luoghi rappresenta uno «spazio della localizzazione»,119 che si è aperto, secondo Foucault, a partire da Galileo Galilei e la sua teoria eliocentrica e che ha rappresentato una messa in discussione dello spazio e della sua mappatura geocentrica. La caratteristica dell’estensione (ripresa poi da Cartesio) viene via via sostituita con quella delle relazioni tra punti o elementi.120 Sia Bachelard che gli studi dei fenomenologi hanno dimostrato, per Foucault, che non viviamo in uno spazio vuoto e omogeneo ma in uno spazio pieno di qualità e di caratteristiche meno visibili: è lo spazio della percezione, dei sogni e delle passioni, ossia di un tipo di spazio che Foucault chiama «interno». La sua analisi si sposta però sullo spazio esterno eterogeneo in cui l’essere umano vive, uno spazio formato da relazioni che definiscono luoghi. Di questi luoghi relazionali a Foucault ne interessano alcuni che presentano delle particolari caratteristiche, che rientrano, nella sua classificazione, in due gruppi: le «eterotopie» e le «utopie». Partendo da queste ultime, di cui è già stato accennato sopra, si può dire che esse creino degli spazi irreali che permettono il costituirsi di discorsi e di storie: le utopie sono luoghi senza un luogo reale, collegato direttamente alla società in quanto sua proiezione perfetta. Alle utopie Foucault contrappone dei luoghi che definisce invece reali, che appartengono alla società e che allo stesso tempo sono «Gegenorte», utopie theoretical consciousness of Western Marxism and critical social science. […] Today, however, it may be space more than time that hides consequences from us, the “making of geography” more than “the making of history” that provides the most revealing tactical and theoretical world. This is the insisten premise and promise of postmodern geographies». E. SOJA, Postmodern Geographies. The Reassertion of Space in Critical Social

Theory, Verso, London, 1989, p. 1;10.

117

J.DÜNNE,S. GÜNZEL (a cura di), Raumtheorie. Grundlagentexte aus Philosophie und Kulturwissenschaften, cit., p. 317.

118

Ibid. L’idea sarà ripresa più avanti dai teorici dello spatial turn: in modo particolare sarà Karl Schlögel ad imporre, non a torto, uno sguardo più cauto rispetto a quella che a molti è sembrata una nuova conquista dello spazio.

119

J.DÜNNE,S. GÜNZEL (a cura di), Raumtheorie. Grundlagentexte aus Philosophie und Kulturwissenschaften, cit., p. 293.

120

realizzate in cui i luoghi reali, che da una parte rappresentano tutti gli altri luoghi, dall’altra li mettono in discussione e li volgono nel loro contrario. Le eterotopie sono luoghi che si trovano al di fuori di tutti gli altri luoghi, anche se si lasciano ad ogni modo localizzare. Dato che conservano una radicale diversità dai luoghi che riflettono e dei quali parlano, essi vengono chiamati «eterotopie». Foucault non elenca soltanto i punti di divergenza fra questi due concetti ma ne sottolinea una caratteristica che li accomuna, ovvero l’esperienza dello

specchio: esso, in quanto luogo senza luogo, è un’utopia perché permette all’uomo di

guardare se stesso dove in realtà non è; dall’altra parte si tratta pure di un’eterotopia, perché lo specchio esiste veramente, e ha un effetto su un luogo dove una persona in effetti si trova.121 Lo specchio funziona da eterotopia, perché mentre un individuo si riflette, esso riproduce il luogo in cui egli si trova, da una parte in maniera assolutamente reale e dall’altra in modo totalmente irreale, perché questo luogo può essere percepito solo attraverso un punto virtuale al di là dello specchio.

Foucault procede poi con un inventario eterotopologico, proponendosi di classificare e descrivere questa specie particolare di luoghi: innanzitutto ogni cultura produce le sue eterotopie;122 in ognuna esse le eterotopie assumono però forme diverse. Foucault ne distingue due gruppi: nelle società primitive esisteva la cosiddetta «eterotopia della crisi»: luoghi privilegiati, sacri o vietati, in relazione a una società in uno stato di crisi ‒ il liceo nella sua forma originaria del 19 secolo; il servizio militare, oppure il viaggio di nozze, che prevedeva la deflorazione femminile in un «nonluogo».123 Queste eterotopie della crisi oggigiorno stanno scomparendo ma sono sostituite da altre eterotopie, «eterotopie della devianza»: sono luoghi come sanatori od ospedali psichiatrici, prigioni, case di riposo (che per Foucault stanno nel mezzo fra eterotopie della crisi e della devianza).

Il secondo principio di descrizione delle eterotopie enuncia che una società nel corso della sua storia può far funzionare le eterotopie in modi del tutto diversi, che varia al variare della cultura. Le eterotopie possiedono inoltre la capacità di porre vicino diversi spazi reali che solitamente condividono uno stesso luogo: ad esempio, sul palcoscenico teatrale così come al cinema, si susseguono molti luoghi di rappresentazione che sono tra di loro totalmente estranei.124 Per Foucault l’eterotopia più antica è costituita dal giardino, che originariamente in oriente era un luogo sacro, una specie di microcosmo. Le eterotopie inoltre, e questo si

121 Ivi, p. 321. 122 Ibid. 123 Ivi, p. 322. 124 Ibid.

vedrà nel casa grünbeiniano, sono generalmente collegate a fratture di ordine temporale, questo significa che sono in stretta relazione con «eterocronie».125

Esistono inoltre le cosiddette eterotopie del tempo, che prevedono «un alto fattore di accumulazione», come accade nelle biblioteche e nei musei. Il momento in cui si vuole creare un luogo che contenga tutti i tempi, ma che si mantiene al di fuori del tempo stesso e che non è sottoposto al suo scorrere, è tipico, per Foucault della modernità. Esistono anche delle eterotopie che sono collegate all’aspetto più mutevole, più fugace e più precario del tempo, ovvero la festa.126

Un altro principio che fa di un luogo un’eterotopia prevede che esso premetta sempre un sistema di apertura e di chiusura, che da una parte la isola, dall’altra autorizza un accesso. Di solito ad un’eterotopia non si arriva casualmente: piuttosto si viene costretti ad arrivarci, come nei casi di caserme o prigioni, oppure è necessario espletare rituali di purificazione o di iniziazione. Allo stesso modo esistono eterotopie della purificazione, come nel caso dell’hammam musulmano. Altri tipi di eterotopie creano invece l’illusione dell’entrata, ma in realtà rimangono chiuse.127 Queste eterotopie devono creare inoltre uno spazio illusorio, che svela però uno spazio reale ancora più illusorio, dei luoghi reali in cui la vita umana è rinchiusa. Oppure possono creare un altro spazio reale, che mostra un ordine perfetto in contrapposizione al disordine dello spazio in cui viviamo (es. le colonie del XVI secolo oppure le case del piacere).128

In tutta questa quantità di esempi «la barca è l’eterotopia par excellence»,129 la nave rimane l’eterotopia per eccellenza, e di conseguenza fonte inesauribile per la fantasia. Spazi al di fuori dello spazio ma con esso in relazione, topoi della realtà, utopie realizzate, che, se si vuole, impediscono il fluire e la linearità del discorso, la relazione fra les mots e le choses, ma d’altro canto rivelano il lato illusorio, e puramente fallimentare, della nostra realtà, le eterotopie risultano imprescindibili per il pensiero moderno e postmoderno sullo spazio. Accanto a Michel de Foucault anche l’etnologo Marc Augé si è occupato di analizzare e studiare quei luoghi, che come le eterotopie, non sono luoghi reali ma fanno pur parte della realtà, nella misura in cui sono luoghi antropologici, per dirla con Merleau-Ponty, oppure spazi, come li chiamerebbe invece De Certau avvalendosi della tassonomia topologica di cui si è trattato poc’anzi. Secondo la ricezione da parte di Karl Schlögel della lezione di Marc 125 Ivi, p. 324. 126 Ivi, p. 325. 127 Ivi, p. 326. 128 Ivi, pp. 326-327. 129 Ivi, p. 327.

Augé la vita dell’individuo ha il suo teatro d’azione in quelli che l’etnologo definisce «nonluoghi»: «Das Leben scheint sich gerade und immer mehr an Orten abzuspielen, die Marc Augé non-lieux, Nichtorte, genannt hat. Es sind eher Anlaufpunkte, Provisorien, keinen festen und definitive Orte, die sich eine gebaute Form gegeben haben».130

Marc Augé li chiama «nonluoghi», ma li distingue immediatamente dal senso che essi stessi hanno per Michel de Certeau, il quale si riferisce, con questo termine, a una qualità negativa del luogo. L’archetipo del «nonluogo» è, per Augé, lo spazio del viaggiatore: sono spazi non- identitari, non-relazionali e non-storici. Essi indicano due realtà complementari ma allo stesso tempo differenti:131 possono essere «costituiti in rapporto a certi fini (trasporto, transito, commercio, tempo libero) e [contemporaneamente possono rappresentare] il rapporto che gli individui intrattengono con questi spazi».132 I due aspetti, tuttavia, avverte Augé, sono sovrapponibili ma non possono essere confusi, perché mentre nel luogo antropologico è implicita l’idea della socialità che creano, il nonluogo crea, utilizzando le parole dell’antropologo, una «contrattualità solitaria».133

A proposito della discussione sui nonluoghi mi pare interessante il riferimento proposto da B. Waldenfels, il quale afferma che l’altrove, da cui scaturisce la nostra esperienza, è paragonabile alla zone bianche nella mappa del mondo: questo conferirebbe ai luoghi dell’esperienza il carattere dei nonluoghi. L’aspetto valido della sua riflessione è che nessuno è mai del tutto «gänzlich an seinem Ort».134 Il richiamo è all’Apologia di Socrate, in cui Platone descrive il filosofo come l’uomo senza luogo:

In diesem Sinne gilt Sokrates für Platon als der Atopos, als der Ortlose, der Seltsame, der als Bürger Athens zu seiner Heimatstadt gehört, aber eben nicht schlechterdings. In seiner Verteidigungsrede vor Gericht bekennt Sokrates: »Ganz ordentlich also bin ich ein Fremdling in der hier üblichen Art zu reden.« Die Fremdheit beginnt nicht nur im eigenen Haus, sie beginnt auch im eigenen Land.135

Nei nonluoghi, come osserva Schlögel, tutto è ancora in uno stato provvisorio, è in movimento o è movimento.136 Essi hanno una funzione centrale, poiché proprio da lì si sviluppano gli impulsi decisivi e in cui si contra l’energia vitale che infervora gli ambienti cittadini così come le comunità che li abitano. Il significato dei luoghi e dei non luoghi per

130

K.SCHLÖGEL,Im Raume lesen wir die Zeit: über Zivilisationsgeschichte und Geopolitik, cit., p. 292.

131

M.AUGÉ, Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, cit., p. 87. 132

Ibid. 133

Ibid., p. 87. 134

B. WALDENFELS, Topographie der Lebenswelt, cit., p. 82. 135

Ivi, pp. 82-83. 136

Schlögel non è fermo ma variabile: ciò significa che è possibile che i luoghi diventino nonluoghi, così come che i nonluoghi possano trasformarsi in luoghi.

In base a quanto detto fino ad ora si cercherà, nella seconda parte di questo studio, di tentare di riconoscere quali sono le eterotopie e i non luoghi grünbeiniani, e quali funzioni ricoprono all’interno della sua poetica. Come vedremo questo discorso sfocierà almeno in due tipi di riflessioni: la prima riguarderà la città in ogni sua manifestazione; la seconda porterà a una riflessione di tipo poetologico.

Nel documento Durs Grünbein: poetiche dello spazio (pagine 34-40)