• Non ci sono risultati.

Il “terzo spazio” come metodo d’analisi della letteratura tedesca

Nel documento Durs Grünbein: poetiche dello spazio (pagine 62-84)

Wolfgang Emmerich afferma in un importante contributo apparso nel 2005 che la domanda «was ist deutsch?» ha sempre accompagnato la germanistica facendola diventare «la scienza

238

Per quanto riguarda Kafka mi sembra doveroso aprire una breve digressione. Negli studi più recenti sullo spazio, infatti, il suo nome compare molto spesso: la Freie Universität di Berlino, ad esempio, ha organizzato lo scorso Maggio un workshop dal titolo Die Literaturwissenschaften und der Spatial Turn. Modellanalysen zu

Kafkas Erzählung ›Der Bau‹. L’anno scorso, invece, in un volume edito in Italia sullo spatial turn, Il senso dello spazio. Lo spatial turn nei metodi e nelle teorie letterarie Vincent Jouve cita all’inizio del suo contributo Spazio e lettura: la funzione dei luoghi nella costruzione del senso proprio l’incipit del frammento Das Schloß: »Es war

spät abends als K. ankam. Das Dorf lag in tiefem Schnee. Vom Schloßberg war nichts zu sehen, Nebel und Finsternis umgaben ihn, auch nicht der schwächste Lichtschein deutete das große Schloß an. Lange stand K. auf der Holzbrücke, die von der Landstraße zum Dorf führt, und blickte in die scheinbare Leere empor«, per dimostrare come i luoghi descritti nell’opera siano funzionali all’immedesimazione del lettore. Così la Borsò: «Kafkas Der Bau kann zum Beispiel als topologische Metapher zur kritischen Reflexion des Raums der Macht und des wechselseitigen Verhältnisses von Inklusion und Exklusion, aber auch der technologisch herbeigeführten Steigerung dieser Strategien angesehen werden». V. BORSÒ, Topologie als literaturwissenschaftliche Methode: die Schrift des Raums und der Raum der Schrift, in S.GÜNZEL (a cura di),

Topologie. Zur Raumbeschreibung in den Kultur- und Medienwissenschaften, cit., p. 290. Cfr. E. GEULEN, S. KRAFT. (a cura di), Grenzen im Raum ‒ Grenzen in der Literatur, in «Zeitschrift für deutsche Philologie», 129, 2010, Sonderheft, p. 2.

239

V. BORSÒ, Topologie als literaturwissenschaftliche Methode: die Schrift des Raums und der Raum der

tedesca» par excellence. Negli ultimi anni per il germanista i fenomeni culturali e sociali sono legati ai termini di multiculturalità, interculturalità e transculturalità ‒ dove l’ultimo termine,

transculturalità, sta ad indicare la processualità e la molteplicità delle manifestazioni vitali,

fatta di sincretismi, ibridità, commistione di culture diverse, superamento di confini.240 Emmerich si riferisce di seguito alle teorie postcoloniali sul “terzo spazio” elaborate da Homi K. Bhabha, il quale analizza specificamente il fenomeno della transculturalità. Per colonizzati e colonizzatori, infatti, si apre secondo il pensiero di Bhabha un «Dazwischen», un “terzo spazio”, che si presenta, secondo le parole di Emmerich, nei seguenti termini:

Einen dritten Raum, der nicht mehr territorialisiert, sondern virtuell, imaginativ, als Bewußtseinsraum zu fassen ist […]. Freilich meint der Begriff ‒ das ist wichtig ‒ nicht die Vermischung der Elemente aus den beiden (ggf. aus mehreren) Kulturen zu einer neuen homogenen, integralen Einheit (die das verschiedene Alte zum Verschwinden bringt), vielmehr ist von einem bleibenden, unverbundenen Nebeneinander, einem multiplen Ich auszugehen […].241

Emmerich cerca quindi di adattare il discorso di Bhabha alla storia tedesca e al presente, staccandosi ovviamente dal contesto in cui opera Bhabha, ovvero quello della situazione postcoloniale e della globalizzazione: in Germania, a partire dal regime nazionalsocialista molte persone sono state costrette ad emigrare, sono state deportate, espulse, sono fuggite e di conseguenza sono entrate in quello spazio transculturale chiamato “terzo spazio”. Da qui Emmerich intravede l’urgenza e la necessità, per chi si occupa di letteratura e cultura tedesca, di tenere conto di questa specificità.242 Lo studioso applica l’approccio metodologico preso in prestito da Bhabha alla letteratura tedesca del Novecento, con una particolare attenzione ai seguenti periodi:

1. La letteratura dell’esilio in lingua tedesca, 1933-1945, e anche successiva; 2. Gli autori ebrei di origine tedesca, nati dal 1915 al 1925;

3. Gli autori ebrei di lingua tedesca della cosiddetta seconda, o anche terza generazione nati dopo il 1945;

240

W. EMMERICH, „Dritte Räume‟ als Gegenstand der Deutschlandforschung, in Germanistentreffen Deutschland ‒ Großbritannien, Irland 30.9. ‒ 3.10.2004. Dokumentation der Tagungsbeiträge, DAAD,

Siegburg: Daemisch Mohr, 2005, p. 67. Il termine transculturalità è il favorito fra i tre menzionati, perché la

multiculturalità pone ancora l’accento sul fatto che le culture sono entità fisse, mentre interculturà presuppone

già uno scambio, un incontro e un dialogo. 241

Ivi, p. 68. 242

Ivi, p. 72: «eine Germanistik oder Deutschlandforschung, die sich für die deutsche Geschichte und Kultur insgesamt zuständig sieht, wird sich dieser Thematik auch umfassend annehmen müssen, jenseits von Sprach- und Literaturwissenschaft im engeren Sinne».

4. Autori che hanno lasciato la Germania dopo il 1945; 5. La cosiddetta Migrantenliteratur;

6. Gli autori della DDR che dal 1949 al 1989 hanno lasciato la loro terra, più o meno volontariamente;

7. Dopo la riunificazione tedesca del 3 Ottobre 1990 l’intero campo letterario diventa un gigantesco “terzo spazio”.

La classificazione risulta particolarmente interessante, se si considera come la letteratura tedesca del secolo scorso, sia, in effetti, una storia connotata da una serie di specificità storico-politiche, e di riflesso anche culturali, molto diverse fra loro. Emmerich analizza i casi di trasculturalità della letteratura a partire da quegli autori nati poco prima e durante la Repubblica di Weimar, ma ai fini della mia analisi risultano utilissime più che altro le riflessioni riguardanti gli autori tedeschi della DDR e della post-DDR, tenute conto delle diversità e omogeneità che li caratterizzano. Per quanto riguarda quegli autori nati nella DDR che hanno lasciato la loro terra, Emmerich ritiene che il trasferimento non abbia avuto conseguenze soltanto sulla loro identità individuale, ma anche sulla loro scrittura, in quanto cambiamento di «spazio culturale».243 Questi autori hanno vissuto in anticipo ciò che, secondo Emmerich, vivranno i restanti 16 milioni di cittadini della DDR dopo la svolta del 1990. La riunificazione, infatti, fa diventare l’intero campo letterario un immenso “terzo spazio”, in cui si scontrano diverse ideologie, mentalità, habitus,244 concezioni di scrittura e l’idea di se stessi degli intellettuali della ex DDR. Emmerich non tralascia, in ogni caso, dovute precisazioni, relative al prestito della teoria postcoloniale di Bhabha per l’analisi della letteratura post-DDR: l’intenzione del germanista, infatti, non è certo quella di pensare alla «deutsch-deutsche Geschichte» come a una storia di colonizzatori e colonizzati, come invece secondo lui l’avrebbero volentieri intesa alcuni nostalgici del vecchio regime. Il discorso riguarda più che altro questo:

Ich behaupte, daß man die staatlich vollzogene Wiedervereinigung Deutschlands im Sinne Bhabhas als transkulturelle Situation (wenn auch nicht als postkoloniale) verstehen

243

Ivi, p. 76: «Meine These ist, daß nicht nur die individuelle Identität, sondern auch das Schreiben dieser Menschen von dem Staatenwechsel als einem Wechsel auch des kulturellen Raumes zutiefst geprägt ist». 244

Dal vocabolario che utilizza Emmerich si capisce quanto importante sia stato, per le sue riflessioni, il sociologo francese Pierre Bourdieu: «capitale simbolico», «campo» e «habitus», termini che Emmerich utilizza più volte all’interno dell’articolo, non sono pensabili, infatti, senza il suo apporto. Un’altra osservazione da fare è che Bourdieu è un pensatore sicuramente importante per quanto riguarda il pensiero sullo spazio, e in particolare sullo spazio sociale. Rinvio a J.DÜNNE,S. GÜNZEL (a cura di), Raumtheorie. Grundlagentexte aus

kann, die, pointiert gesprochen, ganz Ostdeutschland zu einem „dritten Raum‟ gemacht und gleichzeitig auch alle Ostdeutschen in einen virtuellen „dritten Raum‟ des Bewußtseins gestoßen hat, ob sie nun geblieben sind oder Ostdeutschland verlassen haben und jetzt irgendwo im Westen leben.245

Naturalmente, dato che, come ricorda in un altro punto del suo saggio Emmerich, la differenza fra DDR e BRD non era solo parziale ma anche costitutiva, nel senso che i miti fondatori dei due stati, ad esempio, erano diversi e quindi anche la costituzione di un’identità tedesca occidentale e orientale, «die Akteure der deutschen Vereinigung bilden ihre Identität also vor dem Hintergrund verschiedener Bezugssysteme in einem Dazwischen»:246 dopo la riunificazione, vengono meno, oltre che un territorio, anche le premesse per la costituzione della «deutsch-deutsche Identität», che ora può soltanto essere creata in un «Dazwischen», ed essere, come racconterà anche Grünbein, un’identità multipla e ibrida.

La trasposizione di Emmerich del “terzo spazio” alla cultura tedesca del Novecento e in particolare della post-DDR mi sembra di fondamentale importanza,247 poiché può rappresentare una chiave di lettura efficace anche per alcune specificità dell’opera grünbeiniana. L’analisi della produttività del confine e del suo superamento,248 ad esempio, riporterà a quanto detto in questa sezione, poiché per Grünbein il confine non è visto soltanto come linea di demarcazione fra un territorio e l’altro, ma costituisce un “terzo spazio” caratterizzato da un’altissima produttività poetica.

245

W.EMMERICH,„Dritte Räume‟ als Gegenstand der Deutschlandforschung, cit., p. 79: come per Bhabha il

terzo spazio non è soltanto quello dei colonizzati ma anche dei colonizzatori, Emmerich precisa che per la Germania dell’ovest è accaduta la stessa cosa, solo che con peculiarità diverse e in misura decisamente minore, perché le istituzioni e il sistema tedesco occidentale non sono stati messi in discussione come accade per la DDR.

246

M.HILLEBRAND,Die deutsche Einheit als transkulturelle Situation, Ostdeutschland als dritter Raum?, tesi di

Dottorato, cit. in W.EMMERICH,„Dritte Räume‟ als Gegenstand der Deutschlandforschung, cit., p. 76.

247

Non tutti sono d’accordo, afferma Emmerich, e sono già state sollevate numerose obiezioni in merito: ad esempio si è messa in discussione la validità della trasposizione di una teoria che fa parte dei postcolonial studies in altri contesti, come quello tedesco-tedesco, non sia fallimentare. E ancora, se questa applicazione non ne legittimi qualsiasi altro uso, e che in base a questo anche il trasloco da un paese a una altro non possa essere visto come una complicato processo transculturale con la conseguenza della costituzione di un’identità ibrida. La risposta di Emmerich alle due obiezioni è la seguente: «Es so zu sehen, könnte unser Verständnis (und unsere Toleranz) gegenüber den Schwierigkeiten zahlloser Menschen, einen kulturellen Ort zu finden, vermehren, im Kleinen wie im Großen. Und das wäre doch gut so». Ivi, p. 81.

248

Capitolo 2

2.1. «Großstadtmenschen» e «Großstadtgedichte»: immagini urbane fra

passato e presente

Dopo aver fornito un apparato metodologico, un excursus attraverso le teorie sullo spazio, la mia analisi d’ora in avanti si calerà nel vivo dell’opus grünbeiniano, con l’obiettivo di creare una «topografia» dei luoghi e degli spazi prediletti da Grünbein e di capire quale sia il loro significato all’interno della sua poetica. Per fare questo ho deciso di iniziare con i testi grünbeiniani che rientrano sotto la generica definizione di «Großstadtgedicht», in altre parole i lavori che riguardano la città, e in particolare Berlino, Dresda e Roma.

Mi si potrebbe facilmente obiettare di aver compiuto una scelta arbitraria perché queste non sono certo le uniche città a cui Grünbein dedica delle poesie: esistono, solo per citarne alcune, poesie su New York (Rhapsodie im Midtown; Grund, vorübergehend in New York zu sein)249 e un saggio dedicato alla stessa città, Manhattan Monolog;250 Los Angeles è tema della riflessione Aus der Hauptstadt des Vergessens251 e del componimento Grüße aus der Hauptstadt des Vergessens;252 e poi ancora Parigi (Pariser Euphorie),253 Tokyo e Copenhagen (Tokyo-Kopenhagen),254 Gotha (Gotha),255 Torino (Warum wir in Turin sind)256 Atene (Ankunft in Athen)257 e una serie di testi su Venezia (Ponte dell’anatomia; In Venedig mit

Kind; Veneziana; Venezianischer Sarkasmen; Venezianischer Dreisprung, Bones of Venice).258 Non solo. La gran parte della poesia grünbeiniana parla di luoghi o si sviluppa a partire da luoghi di qualsiasi genere e da qualsiasi epoca: citati esplicitamente all’interno dei testi, allusi in alcune descrizioni, indicati espressamente fra parentesi all’inizio dei componimenti, o addirittura ai luoghi può essere dedicata un’intera silloge, come nel caso di

Aroma. Ein römisches Zeichenbuch, pubblicato nel 2010 a seguito del soggiorno del poeta

presso Villa Massimo. 249

D.GRÜNBEIN, SfÜ, pp. 42-44; GZM, p. 48. 250

D.GRÜNBEIN, Manhattan Monolog, in ID., Galilei, p. 129-135. Sulle immagini di New York nella poesia di Durs Grünbein rinvio allo studio di C.HAMANN, Grenzen der Metropole. New York in der deutschsprachigen

Gegenwartsliteratur, Wiesbaden, Deutsche Universität Verlag, 2001, in particolare al capitolo 4.

251 D.GRÜNBEIN, AD, pp. 307-317. 252 D.GRÜNBEIN, NdS, p. 123. 253 D.GRÜNBEIN, SfÜ, pp. 39-40. 254 Ivi, p. 61. 255 Ivi, pp. 31-33. 256 Ivi, p. 41. 257 D.GRÜNBEIN, EN, pp. 79-81. 258

D.GRÜNBEIN, LG, p. 31; LG, pp. 32-34; LG, p. 67; NdS, pp. 164-183; SfÜ, pp. 179-190; EN, p. 26; EN, p. 30;

La mia intenzione però è quella di concentrarmi soltanto sulle città che ho menzionato, per diverse ragioni: innanzitutto sono luoghi a cui Grünbein dedica una cospicua parte dei suoi sforzi poetici (se volessimo farne una classifica al primo posto ci sarebbe Dresda, e a seguire Berlino, Roma), pertanto vale la pena di chiedersi che cosa ci sia, in quei luoghi, di così altamente “poetico”. Secondo, la mia scelta cade su Dresda e Berlino per un semplice motivo: esse sono città tedesche, anzi, sono le città tedesche del poeta, la prima luogo natìo, culla di ricordi d’infanzia, dei giorni trascorsi vicino alle «montagne di rifiuti» della periferia; la seconda, Berlino, città d’adozione del poeta dalla fine degli anni ’80, dove egli vive ancora oggi. Oltre a questo sfondo privato, biografico, le due città permettono un altro tipo di riflessione: esse sono archivi mnestici, luoghi di una memoria collettiva che ha a che vedere con la storia tedesca del Novecento. Sono cumuli di macerie o di rifiuti, come Dresda, o città che vivono una specie di «amnesia volontaria», come Berlino, ma in entrambi i casi i segni che la storia ha lasciato sul luogo permettono al flâneur contemporaneo (il modello, lo si evince dal componimento Daguerreotypie Baudelaire, è baudelaireano),259 mezzo dandy elettronico260 mezzo enfant perdu, come l’ha appellato la critica, ma soprattutto sapiente archivista, di garantire che il verso si inscriva come engramma, traccia mnestica e

Widerstand, resistenza contro l’oblio.

Laddove Grünbein trasfigura Berlino nel volto anonimo di una qualsiasi città contemporanea, nei labirinti delle metropolitane e nelle stazioni, allora essa potrebbe ‒ il condizionale, lo vedremo, è d’obbligo ‒ essere sostituita da New York, come osserva il poeta durante il discorso Kurzer Bericht an eine Akademie:

Seit dem entscheidenden Jahr 1989 bin ich auf Reisen. Berlin, die Stadt in der ich seit zehn Jahren wohne, in der Transitraum, von dem aus ich den verschiedenen Einladungen folge, es könnte ebenso gut auch New York sein, ihr Gegenüber und mein Metropolis seit frühesten Tagen.261

Questa specie di indifferenza che fa di Berlino una città “sostituibile” è però da verificare attraverso l’analisi del trattamento che Grünbein riserva ai due luoghi: potrebbe veramente Berlino essere una qualsiasi altra metropoli? Su questa domanda si cercherà di riflettere nel corso di questo capitolo.

259

D.GRÜNBEIN, NdS, p. 87. Cfr. con R.WINKLER, Dichtung zwischen Großstadt und Großhirn, Annährungen

an das lyrische Werk Durs Grünbeins, Hamburg, Kovaĉ, 2000, p. 100.

260

P. HAMM, Vorerst- oder: Der Dichter als streunender Hund, in «Manuskripte», 122, 1993, in W. HEIDENREICH (a cura di), Peter-Huchel-Preis. Ein Jahrbuch. 1995: Durs Grünbein. Texte. Dokumente.

Materialen, Baden Baden und Zürich, Elster, 1998, p. 91.

261

Su Roma invece la riflessione è di natura differente: da una parte si tratta della Roma delle satire di Giovenale, e in particolare della terza satira, che vede come protagonista Umbricio, un amico del poeta, il quale lascia la città, corrotta e pericolosa, per stabilirsi in Campania, dove condurre una vita modesta ma tranquilla. In Aroma, ein römisches Zeichenbuch Grünbein ripropone la traduzione della terza satira,262 mentre il saggio Bruder Juvenal,263 apparso qualche anno prima, suggella una fratellanza fra Giovenale e Grünbein che è già da far risalire alla raccolta Nach den Satiren,264 del 1999, dove nell’omonima sezione della silloge compaiono quattro satire, sul modello dei testi romani: la terza, che porta il sottotitolo

Der lange Schlaf, associa la Roma delle satire di Giovenale alla Berlino del Novecento. Come

osserva Fischer non solo, in questa satira, vengono citate delle note località Berlinesi ‒ ad esempio Wannsee, Unter den Linden oppure la Karl Marx Allee ‒ ma all’interno di essa viene tematizzata anche la Berlino del terzo Reich265 oppure quella contemporanea della caduta del Muro.266

Gli antichi per Michael von Albrecht, non interessano Grünbein in quanto «passato» ‒ nelle loro peculiarità storiche ‒ ma nell’ambito dello sviluppo della propria visione del mondo.267 Inoltre il sottotitolo della satira grünbeiniana, Il lungo sonno, introduce anche il discorso sulla

Schaflosigkeit in Rom, in cui il Grünbein fa dell’insonnia la caratteristica del poeta

contemporaneo.268 Roma però non è soltanto da considerare nella sua viva relazione con Berlino, ma anche nel suo forte contrasto con Dresda, soprattutto nel contesto degli esiti piuttosto sterili di una certa recente poesia grünbeiniana, in cui l’autore, dalla sua «Cashmere- Pullover-Perspektive» produce testi che sono stati ironicamente definiti «Postkarten- Gedichte», stroncati dagli stessi feuilletons che in molte altre occasioni ne avevano tessuto le lodi. 262 D.GRÜNBEIN, Aroma, pp. 71-82. 263 Ivi, pp. 85-100. 264

Cfr. con M. VON ALBRECHT, Nach den Satiren. Durs Grünbein und die Antike, in B.SEIDENSTICKER (a cura di), Mythen in nachmythischer Zeit: die Antike in der deutschsprachigen Literatur der Gegenwart, Berlin [u.a.], de Gruyter, 2001, pp. 100-116.

265

D.GRÜNBEIN, NdS, p. 106: «[..] Mit Schaum / Vorm Mund war hier ein Gnom die Attraktion gewesen / und seine Nummer war der Haßtanz zwischen Eintopf-Tellern. / Von Bierzelt führte ihn sein Weg in Sportpalast und Oper, / Bevor sein Publikum verstummte in Ruinenkellern. / Und übers Radio kam der Spruch Das war

Europa… (Das war Europa, ‒ und Stier ein Hexenbesen.)».

266

D. GRÜNBEIN, NdS, p. 106: «Und man sah Mauern wachsen, untertunnelt, Mauer fallen, / Die Stadt, den Riesenspielplatz, unter den vier Mächten / Zerstückelt und auf hellem Sand verhärten / zu transsibirischem Beton. / Berlin, das letzte, / Sah man verschwinden, wiederkehren und erneut verschwinden / Mit jeder Sprengung, wenn vom Grau die Staubwand fiel. / Wenn unter halben Himmeln, auf den kellern, nie geräumt, / Die neuen Häuser ihre Reihen schlossen, die zerfetzten / Platanen wieder Blätter trieben und Busse unter Linden / Für Sozialismus warben und Persil».

267

M. VON ALBRECHT, Nach den Satiren. Durs Grünbein und die Antike, cit., p. 102. 268

2.2. “Nonluoghi” metropolitani

Dann was ist Berlin? Ich würde sagen, Berlin ist ein Sack, in den seit Jahrhunderten alles mögliche hineingestopft wurde, viel Geschichtsgerümpel und jede Menge urbane Plunder, manche Prinzipien auch, vor allem preußische.269

Prima di procedere con l’analisi dei testi è utile fare il punto su un concetto molto caro a Grünbein, che ha a che vedere sia con la sua riflessione poetologica che con l’argomento del nostro discorso, i luoghi e gli spazi della città. Partirei quindi dal saggio Transit Berlin, dove il poeta inizia a riflettere sul concetto di “transito”: la situazione descritta nell’incipit del saggio vede un cosmonauta russo in orbita da più di cento giorni, che una volta ritornato a casa ritrova ogni cosa mutata in una notte. Il potere dello stato dopo più di settant’anni è crollato, il governo e il sistema politico dissolti nel nulla, la valuta è stata sostituita e la topografia dell’Europa dell’Est, una volta fatta di un «orizzonti chiusi»,270 ha lasciato il posto al dinamismo dell’Ovest:

Der geschlossene Horizont, die typische Campanella-Infrastruktur, das von Mauern, Grenzen, Baracken, Satellitensiedlungen und Kasernen gebildete Flächenraster reißt im Zeitraffer auf, und darunter implodiert wie eine alte Bildröhre der Raum. Dem Auswandern der Ikonen und unerfüllbaren Visionen folgt die Einfuhr der Waren und Werte.271

L’orizzonte chiuso da muri e da confini implode come un tubo catodico, fra l’emigrazione delle icone e delle visioni inappagate.272 Il poeta si cala successivamente nella situazione dell’artista «im Jahre zwei nach der Vereinigung»273 ‒ la Wende produce quindi un anno zero ‒ tratteggiando la figura di un artista di transito che si muove in zone di mezzo e in terre di nessuno, e che ha capito che l’identità è un rebus («Vexierbild»), somma di singole illusioni. Mentre l’io si dissolve diventando «millionenfach zerlegt», una moltitudine di stimoli, l’artista ha «solo nervi» e un «fine fiuto per le coordinate».274 Quello che nel ciclo Portrait

des Künstlers als junger Grenzhund era un poeta «cane guarda frontiere», che si muoveva al

Nel documento Durs Grünbein: poetiche dello spazio (pagine 62-84)