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Lo spatial turn

Nel documento Durs Grünbein: poetiche dello spazio (pagine 44-54)

Il geografo Henri Lefebvre, dopo un lungo insuccesso con l’uscita del libro che ora rappresenta un’opera fondamentale per i geografi e gli urbanisti contemporanei ‒ La

157

Ivi, p. 36. 158

produzione dello spazio159 ‒ fu riportato all’attenzione del pubblico, seppur ancora in maniera marginale, grazie a David Harvey e in seguito attraverso gli studi di Edward Soja, Fredric Jameson, Derek Gregory e in fine, entrò nel canone della human geography grazie alla sua traduzione inglese nel 1991. Il progetto di Lefebvre consiste nel voler ripensare allo spazio fisico, mentale e sociale come elementi non separabili l’uno dall’altro, errore che invece avrebbero commesso molti filosofi, sociologi e scienziati. Lo spazio, inoltre, nella teoria di Lefebvre, smette di essere descritto come un oggetto morto e inerte, ma come un qualcosa di vivo, di fluido e di organico che fluttua e collide con altri spazi.160 Queste interconnessioni e collisioni creano il cosiddetto spazio presente, di cui Lefebvre vorrebbe ricostruire il processo di genesi e di sviluppo di significato.

Lefebvre distingue tre momenti nella sua concezione della produzione dello spazio: rappresentazioni dello spazio, spazio di rappresentazione e pratiche spaziali. Le

rappresentazioni dello spazio (représentations de l’espace) si riferiscono a un tipo di spazio

concettualizzato, creato da tecnici e professionisti, come architetti, urbanisti, geografi. È uno spazio concepito nel senso che è una rappresentazione carica di ideologia, potere e conoscenza, ed è lo spazio che domina la nostra società: lo spazio del capitale.

Lo spazio di rappresentazione (espace de représentation) è invece uno spazio vissuto, lo spazio dell’esperienza quotidiana: è uno spazio di cui si fa esperienza attraverso una simbologia complessa e le immagini dei suoi abitanti e dei suoi utilizzatori. A. Merrifield afferma che è uno spazio più vissuto che pensato, e che pertiene ad un regno esperienziale che lo spazio concepito cerca di governare e di controllare. Sono spazi «penetrati di immaginario e simbolismo»,161 sono strettamente collegati con la parte meno evidente della vita sociale e con l’arte, che può essere definita come il codice degli spazi di rappresentazione.

Le pratiche spaziali (pratique spatiale) dietro cui si cela lo spazio sociale, possono essere rivelate decifrando lo spazio e hanno molte affinità con lo spazio percepito. Le pratiche spaziali strutturano la realtà quotidiana e comprendono la produzione e la riproduzione dello spazio, la sua concezione ed esecuzione, lo spazio concepito e quello vissuto e assicurano una coesione sociale, una continuità e quella che Lefebvre chiama «competenza spaziale».162

159

Raumtheorie. Grundlagentexte aus Philosophie und Kulturwissenschaften, cit., pp. 330-342. H.LEFEBVRE,La production de l’espace, Paris, Anthropos, 1974.

160

A.MERRIFIELD, Henri Lefebvre. A socialist in space, in M.CRANG, N.THRIFT,Thinking space, cit., p. 171.

161

V. VAGAGGINI (a cura di), Spazio geografico e spazio sociale. M. Castells, A. Fremont, D. Harvey, H.

Lefebvre, V. Vagaggini, Yi-Fu Tuan, cit., p. 139.

162

J.DÜNNE,S. GÜNZEL (a cura di), Raumtheorie. Grundlagentexte aus Philosophie und Kulturwissenschaften, cit., p. 333.

La tripartizione spaziale di Lefebvre non mira alla distinzione fra uno spazio e l’altro, ma indica che lo spazio è sottoposto a una tripla determinazione dove ogni istanza interiorizza e trova significato nell’altra.163 In questo senso si può dire che, attraverso le rappresentazioni dello spazio, che si possono collegare alle scienze naturali, e allo spazio di rappresentazione, ovvero lo spazio dei filosofi e degli artisti, Lefebvre supera la suddivisione fra

Geisteswissenschaft e Naturwissenschaft. È anche per questo che il suo pensiero dà un forte

impulso allo spatial turn nelle Kulturwissenschaften tedesche. Nel volume curato da Tristan Thielmann e Jörg Döring, dal titolo e Spatial turn. Das Raumparadigma in den Kultur- und

Sozialwissenschaften, i due studiosi hanno il merito di aver cercato di fare chiarezza su un

concetto che, di recente, è spesso utilizzato in maniera ingiustificata: ogni disciplina proclama il suo spatial turn ma ognuna utilizza un «transdisziplinäres Raumparadigma» che invece non si motiva da nessuna parte se non in nome del fatto che ‘in altre discipline’ si sia già stabilito.164 Data la difficoltà di ritrovare un comune denominatore dello spatial turn, è più immediato rilevare alcune caratteristiche di questa svolta. Di solito si riconduce il concetto di

spatial turn al 1989, quando il geografo urbanista Edward Soja nel suo celebre Postmodern Geographies critica lo storicismo materialistico e si richiama a Henri Lefebvre che nel 1974

con La production de l’espace supera l’oblio dello spazio del pensiero occidentale. Nei casi di Lefebvre e di Soja, tuttavia, per Döring e Thielmann turn allora non significava nè un cambio paradigmatico,165 tanto meno un rivolgimento di tipo interdisciplinare, come Soja vorrebbe invece dire ora.

È solo a partire dal 1996 con Soja che il cambio diviene paradigmatico, come egli osserva in

Thirdspace: «contemporary critical studies have experienced a significant spatial turn […]

Scholars have begun to interpret space and the spatiality of human life with the same critical insight and emphasis that has traditionally been given to time and history on the one hand, and to social relations and society on the other».166

All’interno dello spatial turn Döring e Thielmann riconoscono varie posizioni: quella più empatica proposta proposta da Soja e quella invece più neutrale e strategica supportata da Nigel Thrift e Mike Crang. I due studiosi sostengono inoltre che la geografia può essere reinventata al di fuori di essa, anche grazie alla letteratura: «So kann die Geographie ausserhalb der Geographie immer wieder neu erfunden werden – von Stadtsoziologen,

163

A.MERRIFIELD, Henri Lefebvre. A socialist in space, in M.CRANG, N.THRIFT,Thinking space, cit., p. 175.

164

J. DÖRING, T. THIELMANN (a cura di), Spatial turn. Das Raumparadigma in den Kultur- und

Sozialwissenschaften, Transcript, Bielefeld, 2008, p. 10.

165

Ivi, p. 8. 166

Germanisten, Naturphilosophen, manchmal sogar von emphatischen Geographen selber: Sojas Thirdspace wird als bizarre Rueckwaerts-Neuerfindung der Geographie bezeichnet».167 Per Augé, Foucault, Jameson e Castells, come è già stato osservato, la supremazia dello spazio non è collegabile a una scomparsa del tempo, ma più a un cambiamento nei loro rapporti di forza;168 inoltre, quando si parla di scomparsa dello spazio si intende spazio fisico (comunicazione ecc.) mentre con «ritorno dello spazio» si intende non solo spazio fisico ma anche spazi sociali, virtuali, transnazionali, di identità.169

All’interno del volume citato Edward Soja afferma:

Der spatial turn beschleunigt sich mit ungeheuer Geschwindigkeit. Mittlerweile bleibt kaum ein theoretisches oder empirisches Unternehmen davon unberührt. Vielleicht war räumliches Denken – oder in den Worten von Derek Gregory: “geographische Imagination” – niemals so weit verbreitet wie heute. An dieser Stelle indes will ich mich nicht damit begnügen, den spatial turn zu beschreiben und zu feiern».170

Per Soja spatial turn non è nè mapping nè remapping: «Ich hingegen behaupte, dass der spatial turn von einer viel tiefer gehenden Wirkung ist als diese Klein-turn-Versammlung in der Sekundärliteratur».171 Egli elabora poi il concetto di thirdspace, che rappresenta una specie di svolta ontologica nella terminologia spaziale. Il geografo ritiene che lo spazio di per sè possa essere qualcosa di dato primordialmente, ma l’organizzazione e il significato di spazio è prodotto di una traduzione, di una traformazione e dell’esperienza.172

Mi pare invece importante riprendere quanto proposto da Nigel Thrift, secondo cui non si può più parlare di confine, perché ogni spazio è poroso, non più così nettamente circoscrivibile. È uno spazio sempre in movimento, non più statico e stabile, molteplice e multiforme: «Es gibt nicht nur eine Art von Raum. Der Raum erscheint in vielen Verkleidungen: Punkten, Flächen, Parabeln; Blots, Blurs and Blackouts».173

Doris Bachmann-Medick dedica allo spatial turn una parte del suo volume Cultural turns.

Neuorientierungen in den Kulturwissenschaften, un excursus attraverso le «svolte» che hanno

caratterizzato gli orientamenti delle Kulturwissenschaften negli ultimi decenni. Secondo Bachmann-Medick lo spatial turn è figlio della postmodernità («der spatial turn ist ein Kind 167 Ivi, p. 36. 168 Ivi, p. 130. 169 Ivi, p. 135. 170

E.SOJA, Vom „Zeitgeist“ zum „Raumgeist“. New Twists on the Spatial Turn,in J.DÖRING,T.THIELMANN (a cura di), Spatial turn. Das Raumparadigma in den Kultur- und Sozialwissenschaften, cit., p. 241.

171

Ivi, p. 243. 172

J. DÖRING, T. THIELMANN (a cura di), Spatial turn. Das Raumparadigma in den Kultur- und

Sozialwissenschaften , p. 370.

173

der Postmoderne»)174 perché in ragione della sua «raumgeprägten Selbstverständnis», a una coscienza postmoderna sincronica, scardina la bussola orientativa del tempo e privilegia quella dello spazio in tutte le sue manifestazioni. Tempo,175 storia ed evoluzione anche per la studiosa cedono il posto a spazio, contemporaneità e costellazione («Raum, Gleichzeitigkeit und Konstellation») dove lo spazio diviene unità percettiva ma allo stesso tempo anche concetto teorico. Oltre che essere figlio della postmodernità, lo spatial turn è successore del

linguistic turn, poiché pone il sincronico sopra il diacronico, il sistemico sopra lo storico, il

sistema linguistico oltre il «sukzessiven Redegebrauch».176 Anche il concetto di sviluppo viene rimosso nella sua accezione di rappresentazione legata al tempo oppure evoluzionistica. Lo spazio viene concepito, in questa svolta, in prima linea non tanto come Diskursproblem, problema teorico oggetto della «Raumtheorie» classica, ma come costruzione sociale: si vedrà che questa posizione si pone sulla scia di una serie di pensatori attivi prima degli anni ’80, come Henri Lefebvre.177

La spatial turn è dunque un discorso e insieme un processo produttivo sociale,178 che si dipana dalla nuova definizione concettuale di una categoria sociologica e culturale per arrivare alla sua rappresentazione. Tuttavia, come osserva Flavio Sorrentino, la definizione di

spatial turn non è universale: esistono infatti dei rapporti di tensione fra discipline, quello più

chiaro per la Bachmann-Medick è tra prospettive politiche di tipo postcoloniale, che vedono lo spazio legato al potere a un remapping eurocentrico fra centro e periferia, e ad esempio le idee espresse dallo storico Karl Schlögel, secondo il quale lo spatial turn non è altro che una maggiore attenzione spaziale del mondo storico. In un articolo apparso nel 2007 Schlögel osserva:

174

D.BACHMANN-MEDICK, Cultural turns. Neuorientierungen in den Kulturwissenschaften, cit., p. 284. 175

Yi-Fu Tuan così si esprime a rigurado: «la dimensione tempo ha un maggiore significato, si può asserire, poiché sembra che le persone siano più interessate alla narrazione che a configurazioni statiche, ad eventi che si dispiegano nel tempo (lavori teatrali) che ad oggetti dispiegati nello spazio, che possono essere compresi simultaneamente. La dote esclusiva delle specie umane, il linguaggio, è molto più adatto alla narrazione di eventi che alla descrizione di scene». Sembra però, che, in questo punto, Yi-Fu Tuan abbia fatto una considerazione un po’ frettolosa. Mentre il geografo assegna al teatro la caratteristica della temporalità, che non è sbagliato ‒ cosa che si potrebbe dire però anche del romanzo ‒ dimentica la lirica, come genere che offre la possibilità, a un’arte, di dispiegarsi nello spazio, attraverso immagini simultanee che giustappone. La riflessione tornerà utile alla nostra analisi grünbeiniana. V. VAGAGGINI (a cura di), Spazio geografico e spazio sociale. M. Castells, A.

Fremont, D. Harvey, H. Lefebvre, V. Vagaggini, Yi-Fu Tuan, cit., p. 96.

176

D.BACHMANN-MEDICK, Cultural turns. Neuorientierungen in den Kulturwissenschaften, cit., p. 285. 177

Ad esempio il discorso è affrontato nelle prime righe di una miscellanea curata da Stephan Günzel, il quale nell’introduzione Raum ‒ Topographie ‒ Topologie premette: «Für kultur- und medienwissenschaftliche Fragestellungen relevant ist nicht der Raum als Begriff einer physikalischen Entität, sondern die Möglichkeit einer Beschreibung räumlicher Verhältnisse hinsichtlich kultureller und medialer Aspekte». S.GÜNZEL (a cura di), Topologie. Zur Raumbeschreibung in den Kultur- und Medienwissenschaften, cit., p. 13.

178

Das Resultat dieser Reflexion [sulla storiografia, A. C.] ist nicht die Proklamation eines

spatial turn, sondern die Überzeugung, dass die Steigerung der Aufmerksamkeit für die

räumliche Dimension geschichtlichen Geschehens unabdingbar für eine Geschichtsschreibung auf der Höhe der Zeit ist. Die Fähigkeit gesteigerte Aufmerksamkeit zu entwickeln ist nicht primär die Sache eines methodischen Dezisionismus und einer paradigmatischen Wende, sondern hat mehr zu tun mit Geschichtskultur, mit Erfahrung im Umgang mit Materialien, Dokumenten, mit der Ausbildung der Register transtemporaler, generationsübergreifender, eben: historischer Kommunikation, kurz: mit der Erfahrung des Geschichte Recherchierenden und Geschichte Schreibenden. So etwas muss man lernen ‒ die Einsicht und die Bereitschaft vorausgesetzt.

Ich halte die Geschichtsschreibung, die nun (nach einer langen Zeit einer gewissen Blindheit oder Unaufmerksamkeit) partout zu einer »Geschichte von Räumen« werden will, für einen Irrweg und eine Sackgasse, eine jener grassierenden Moden mit immer kürzerer Verfallszeit: Der »Raum« der Geschichtsschreibung steckt zwischen den Zeilen, in der Ausbildung des Blicks, in der Entfaltung der Register der Wahrnehmung und der Geschichtsschreibung.179

Schlögel dunque, pur ammettendo una rinnovata attenzione per l’elemento spaziale da parte della storiografia, critica la proclamazione di uno spatial turn come decisione metodica di una svolta paradigmatica così come quella storiografia che vuole diventare la storia una «storia di spazi». Lo spatial turn sarebbe, alla luce di quanto detto, una di quelle mode dilaganti con una data di scadenza sempre più breve. Qui si inserisce perfettamente, a mio parere, la riflessione di H. Böhme, il quale è scettico sul fatto che un turn indichi una dimensione del tutto nuova, ma crede piuttosto che si tratti di richiamare alla memoria un sapere rimosso o dimenticato.180 Proprio la rivalutazione attuale dell’elemento spaziale implica, giocoforza, che in un momento passato questa sia andata perduta: Bachmann-Medick riconosce la perdita di una prospettiva spaziale nell’Illuminismo e più tardi nelle idee di sviluppo colonialistico e nelle interpretazioni storiche legate al progresso che risalgono al IXX secolo. Dopo lo storicismo e le sue concezioni evoluzionistiche del tempo, della cronologia, della storia e del progresso, negli anni ottanta le Kulturwissenschaften si riorientano nello spazio e nella spazialità. In modo analogo si esprime anche lo scettico Schlögel, il quale ritiene che lo spazio sia una categoria importante, ma di cui la storiografia ha tenuto troppo poco conto:181 «eppure a volte capita di dar vita a qualcosa di nuovo parlando di ciò che per troppo tempo si è dato per

179

K.SCHLÖGEL,Im Raume lesen wir die Zeit: über Zivilisationsgeschichte und Geopolitik, cit., pp. 33-34. È

d’accordo anche H. Böhme, che nell’introduzione al suo Topographien der Literatur riconosce che ogni processo non è mai solo spaziale o temporale, ma coinvolge degli elementi di entrambe le dimensioni: «Zeitordnungen kommen nicht ohne Verräumlichungen aus, Raumordnungen sind immer auch historisch- temporalisierend». H. BOHME, Topographien der Literatur. Deutsche Literatur im transnationalen Kontext,

Stuttgart, Metzler, 2005, p. XXI, introduzione. 180

Ivi, p. XII. 181

«In genere la storiografia segue il tempo, il suo modello fondamentale è la cronaca, la successione temporale degli eventi». K.SCHLÖGEL, Leggere il tempo nello spazio. Saggi di storia e geopolitica, Milano, Mondadori, 2009, p. 1, introduzione.

scontato o anche recuperando qualcosa che è caduto nell’oblio, nella fattispecie la dimensione spaziale di tutta la storia umana».182 Si capisce subito da questa situazione che l’approccio di Schlögel è diverso da quello di molti altri esponenti dello spatial turn: lo spazio, per lui, serve infatti per realizzare una maggior chiarezza o profondità negli eventi storici, aiuta il tempo a diventare maggiormente leggibile e interpretabile.

Quello sullo spazio e sulla spazialità è un argomento che in Germania ha una tradizione lontana, da far risalire ai principi geopolitici del IXX secolo,183 nelle idee di Carl Ritter, Friedrich Ratzel e Karl Haushofer che più tardi hanno subito la manipolazione ideologica della geopolitica nazionalsocialista.184 Proprio per questo motivo lo spatial turn secondo la Bachmann-Medick trova un forte scetticismo in area germanofona. Di conseguenza dopo la seconda guerra mondiale le scienze sociali in Germania si sono concentrate sulla categoria temporale,185 pur tenendo conto di importanti pensatori come Georg Simmel e Walter Benjamin.

Dagli anni ’80 si assiste a una rinascita del pensiero sullo spazio nelle scienze sociali e culturali che è favorita dai cambiamenti politici e sociali avvenuti in quel periodo.186 In

182 Ibid. 183

D.BACHMANN-MEDICK, Cultural turns. Neuorientierungen in den Kulturwissenschaften, cit., p. 286. 184

Circostanza osservata anche da H. Böhme, che scrive: «Gleichwohl gilt, daß die Besetzung räumlicher Kategorien durch die rechtskonservative und nationalsozialistische Geopolitik die Raumforschung nach 1945 mindestens behindert, wenn nicht diskriminiert hat». H.BÖHME,Topographien der Literatur. Deutsche Literatur im transnationalen Kontext, cit., p. X, introduzione. Cfr. anche con K.SCHLÖGEL,Im Raume lesen wir die Zeit: über Zivilisationsgeschichte und Geopolitik, p. 52: «Es hat seinen besonderen Grund, wenn in Deutschland der

Raum aus dem Repertoire der wissenschaftlichen Diskurse ‒ für eine Zeitlang jedenfalls ‒ gestrichen worden ist. Raum und alles, was mit ihm zu tun hatte, war nach 1945 obsolet, ein Tabu, fast anrüchig. […] Raum zog eine ganze Kette von Assoziationen und Bildern nach sich». A p. 54 fa poi il punto su come venivano visti gli ebrei proprio da un punto di vista spaziale di sradicamento e di mancanza di confini: « »Der Jude« steht für das Fremde schlechthin in allen nur denkbaren Konnotationen: Beweglichkeit, Ungebundenheit, Nichtseßhaftigkeit, Bodenlosigkeit, Grenzenlosigkeit, Ortlosigkeit, Formlosigkeit, Entwurzelheit, Ubiquität, Modernität, Mondänität, Mondialität, Globalität».

In fine è utile ricordare che anche la biopolitica ha una forte componente spaziale e geopolitica, basti pensare alla rilevanza del concetto di «Ausnahmeraum». Nella biopolitica il corpo si trova in uno spazio di eccezione, dove l’eccezione diviene norma. Cfr. G.AGAMBEN,Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Torino, Einaudi,

2005, in particolare pp. 185-211. 185

Cfr. S.GÜNZEL (a cura di), Topologie. Zur Raumbeschreibung in den Kultur- und Medienwissenschaften, cit., pp. 14-15, il quale afferma che diversamente dall’epoca di Newton, oggi lo spazio non è più oggetto di un interesse epistemologico ma soprattutto politico. Lo spazio non è più un’entità indipendente, ma cultura e natura sono collegate in una relazione funzionale, che produce la spazialità. Questo pensiero, che Günzel riferisce ad alcuni storici, come Vidal de la Blache e più tardi Marc Bloch e Ferdinand Braudel, ha influenzato le più recenti riflessioni sullo spazio.

186

Come osserva Karl Schlögel dagli anni ’80 si è anche iniziata a redigere una vera e propria topografia del terrore: «la carta geografica dell’Europa è punteggiata di luoghi di dolore. È qui che si mostra nel modo più evidente la disperata impotenza della lingua della cartografia e della geografia di fronte alla concretezza del vivere e del morire». K.SCHLÖGEL, Leggere il tempo nello spazio. Saggi di storia e geopolitica, cit., p. 212. Di seguito Schlögel fa riferimento ad alcune pubblicazioni significative per quanto riguarda la topografia del terrore, fra cui M.GILBERT, Atlas of the Holocaust, London, Michael Josef, 1982. Cfr. anche con A.ASSMANN,

Erinnerungsräume. Formen und Wandlungen des kulturellen Gedächtnisses, cit., pp. 328-336, in cui la studiosa

particolare la caduta del blocco comunista, una svolta sia territoriale che politica, dà l’impulso alla svolta spaziale: lo scenario del conflitto fra Est e Ovest, che è uno scenario oltre che politico, tutto spaziale, da un momento all’altro non si trova più ad esistere e di conseguenza urge la necessità di ritornare a fare geografia. Che tipo di geografia? Quella che studia «l’inerte natura» è ormai fuori uso, anacronistica, e ci si trova a fare un passo indietro, alla riconquista, secondo Schlögel, della tradizione teorica che come abbiamo detto è scomparsa ed è stata contaminata dall’ideologia nazista.187

La Wende però non consiste soltanto in un’apertura dei confini, ma in un conseguente loro ripensamento e in generale nella nascita di nuovi altri confini e pretese territoriali: «diese ‘Raumrevolution’ nach dem Ende des kalten Krieges, ausgelöst vom Fall der Mauer und der Aufhebung der Grenzen, gilt auch für ihre Kehrseite: für das Aufkommen neuer Grenzziehungen, neuer raeumlicher Disparitäten, Raumansprüche und Abgrenzungen […] Der Raum kehrt zurück!».188 Se gli eventi storico-politici degli anni Ottanta danno un nuovo impulso al discorso sullo spazio, la globalizzazione, come «Phänomen der globalen Enträumlichung und Entortung»189 ne decreta la scomparsa: «Translokalität, Heimatlosigkeit, Ortlosigkeit, Fliessen von Informationen usw.» diventano le cifre di questa situazione in cui lo spazio si trova ad avere un ruolo secondario e in cui teorici come Marc Augè iniziano a parlare di «Transiträume».190 Anche K. Schlögel problematizza la questione in un saggio dal titolo “Atrofia spaziale”. La scomparsa dello spazio in cui fa riferimento, come gli altri, alla

Nel documento Durs Grünbein: poetiche dello spazio (pagine 44-54)