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ταῦτα δὴ εἰσακούσας: alcuni interpreti trattano εἰσακούω come equivalente del verbo

semplice (cf. da ultimi Carrara-Ruggeri 2015 p. 73); altri gli danno il valore di “rendersi conto” (così Rodríguez-Noriega 1996 p. 200); Olson 2007 p. 62 confronta invece il costrutto (tradotto a p. 440 come «because these things were said about me») con quelli del tipo κακά/κακῶς ἀκούω (“avere cattiva fama”; gli esempi aristofanei sono raccolti in Austin-Olson 2004 p. 177). Il significato del passo non sembra però esaurito del tutto da queste interpretazioni ed è probabile che con εἰσακούω si sottolinei anche l’idea di “dare ascolto” a qualcosa (cf. LSJ s.v. I,1), nello specifico a quelle accuse in aperta risposa alle quale l’autore decide appunto di comporre la presente τέχνη (si noti, inoltre, la presenza contestuale di un δή enfatico).

12 εἰσακούσας: in Willi 2008 § 5.3.3.4c si sottolinea come nel corpus epicarmeo si abbiano casi di

ἐς metricamente garantito, mentre questo non valga per la variante εἰς (preposizione o preverbo); un riscontro di εἰς metricamente garantito nell’Epicarmo autentico è tuttavia offerto dal nuovo frammento papiraceo dello Odisseo disertore edito da Lenaerts 2012, in cui si legge εἰσιόντα γά[ al principio del 4troch.^ (v. 1). In conclusione, l’alternanza di ἐς ed εἰς in Epicarmo era metricamente condizionata e in questo si allinea anche lo pseudo-Epicarmo.

12-13 συντίθημι τὰν τέχναν | τάνδ’: l’espressione, avente valore tecnico, è piuttosto rara; le uniche

altre due occorrenze rintracciabili entro l’età ellenistica sono rappresentate da Arist. Rhet. 1354a 12 οἱ τὰς τέχνας τῶν λόγων συντιθέντες e da [Plat.] Epist. 7 341b 4 συνθέντα ὡς αὑτοῦ τέχνην.

325 Si consideri inoltre la possibilità che proprio dalla Πολιτεία provengano le γνῶμαι che compongono [Epich.] frr. 254-258, le ultime tre delle quali sono effettivamente monostiche e le prime due sono sì in due versi, ma almeno nel caso di [Epich.] fr. 255 il v. 1 ha senso compiuto e può essere anche trattato come γνώμη a sé.

13 ὅ[π]ως εἴπῃ τι<ς>: a questo punto inizia un discorso diretto che si estende fino a un punto

imprecisabile nel seguito del frammento; se massima parte degli editori non si esprime, Crönert 1912 p. 403 lo fa terminare al v. 17 e Page 1942 p. 443 con il v. 15 (una scelta in merito dipende totalmente dal tipo di integrazioni che si accolgono, il che rende evidentemente molto aleatoria qualunque decisione si abbracci). Un simile accenno alla fama futura che toccherà a Epicarmo grazie alla presente τέχνη ha ricordato a molti il contenuto di [Epich.] fr. 280, per quanto i limiti che impediscono di corroborare questo confronto sono stati messa adeguatamente in luce già da Thierfelder (cf. qui la discussione dedicata a [Epich.] fr. 280). Confronti per le modalità con cui viene introdotto il discorso diretto sono raccolti e discussi da Fuhrer 1967, che nel verso pseudo- epicarmeo ritrova gli elementi caratteristici della Lobrede (p. 109 n. 19), introdotta da τις (p. 111 n. 33), analoga a quei casi in cui il discorso diretto è in dipendenza da una subordinata che segnali l’eventualità di quanto si afferma (p. 50 n. 30).

13-16 Ἐπίχαρμος σοφός … ἀνὴρ φαν[ήσεται σοφός: la finalità dello scritto del quale il presente

frammento fungeva da prologo era essenzialmente retorica, ma il contenuto e la formulazione di questi versi ricordano molto uno degli epigrammi dedicati a Epicarmo (Theocr. AP 9.600), nel quale si riconosce al poeta il merito di aver educato Siracusa grazie alle sue sagge parole e ai suoi utili insegnamenti (molto probabilmente il riferimento è anche qui alle γνῶμαι del poeta).

14 εἶ]π̣’ … λέγων: l’uso contestuale delle due forme si spiega chiaramente per via della diversa

costruzione dei due verbi e del diverso valore che essi presentano; da un lato è il fatto che “Epicarmo” «ha detto molte cose raffinate e di ogni genere» (πολλὰ δ’ εἶ]π̣’ ἀστεῖα καὶ παντοῖα), dall’altro che lo abbia fatto «esprimendo(le) in un unico verso» (καθ’ ἓν [ἔπος] λέγων). L’unico confronto noto per tale costrutto (individuato da Carrara-Ruggeri 2015 p. 75) è in Aesch. Pers. 698- 699 μή τι μακιστῆρα μῦθον ἀλλὰ σύντομον λέγων | εἰπὲ, dove si possono individuare di nuovo due piani sintattici distinti cui i due verbi sono associati (con εἶπον si indica l’enunciazione in sé, mentre a λέγω si accompagna l’indicazione del modo in cui essa viene compiuta). Qualcosa di comparabile accade anche con il nesso di λέγω e φημί, come ad esempio in Aesch. Pers. 701-701 δίομαι δ’ ἀντία φάσθαι | λέξας δύσλεκτα φίλοισιν e Hdt. 5.50.2 λέγει δ᾽ ὦν τριῶν μηνῶν φὰς εἶναι τὴν ἄνοδον. In entrambi questi casi, però, a φημί si lega l’enunciazione di un contenuto, non tanto l’indicazione del modo in cui ciò avvenga, come si era visto prima nel caso di λέγων.

14 ἀστεῖα: cose “fini”, “raffinate” e “brillanti” (l’evoluzione dal senso proprio di “cittadino” è

percepibile benissimo in Aristoph. fr. 706,2, dove l’aggettivo fa riferimento alla “raffinata” varietà di attico diffusa in città, ritenuta effeminata), il termine è impiegato con riferimento al contenuto di battute o storielle anche in Aristoph. Vesp. 1258 e Ran. 5, 901 e 906. Una classificazione di τὰ ἀστεῖα “espressioni brillanti” viene fornita da Arist. Rhet. 1410b-1413a, che le identifica quasi completamente con quelle metafore che, nel mettere “davanti agli occhi” un’immagine, sono anche in grado di sorprendere e condurre alla comprensione di un significato altrimenti inatteso.

15 αὐταυτοῦ: per questa forma di pronome personale raddoppiato avente funzione di riflessivo, cf.

qui l’esame di ἐν αὐτὸς αὐτῷ in *[Epich.] fr. 295,2.

16-26 ]ε μαθὼν … βραχυσο.[: il contenuto della seconda parte del frammento è oscurato dalle

gravi lacune del papiro, il che ci pone in una situazione difficile. È quasi certo che il v. 16 interagisca con la proposizione precedente, fornendo insieme con esso una sorta di riproposizione del contenuto dei vv. 1-9. Non è invece del tutto chiaro di cosa si parli nei vv. 17-26. Una prima possibilità è che si prosegua a parlare dell’utilità retorica delle γνῶμαι raccolte e si potrebbe pensare, ad esempio, che al v. 25 si introduca anche un elemento in più rispetto a quelli già evocati, ovvero l’importanza del καιρός per il buon uso delle sentenze. Non è tuttavia da escludere che dal v.

18 in poi il discorso si spostasse su un piano diverso.

20 πολυμαθη̣[: non è chiaro a chi sia rivolto questo termine, ma se esso è indirizzato a “Epicarmo”

questa definizione può essere di tipo elogiativo e calzerebbe con la sua immagine di sapiente “a tutto tondo” (cf. Diog. Laert. 8.78 οὗτος ὑπομνήματα καταλέλοιπεν ἐν οἷς φυσιολογεῖ, γνωμολογεῖ, ἰατρολογεῖ).

23 ἄλλος ἄ]λλῳ γὰρ [γ]έγαθε κοὔτι ταὐ[τὰ: il confronto fra questo verso e Theogn. 1.24 ἀστοῖσιν

δ’ οὔπω πᾶσιν αδεῖν δύναμαι si inserisce nel più ampio paragone che è stato istituito fra i versi che seguono al v. 13 e il carme teognideo della σφραγίς (1.19-26), una relazione che si è però visto essere solida solo in parte (vide supra). D’altro canto, non è affatto chiaro se nei versi che seguono ai vv. 16-17 il discorso prosegua o meno all’interno del discorso diretto che inizia al v. 13 e se, quindi, si stia ancora parlando di “Epicarmo”. Ad esempio, Muller 1965 p. 153 n. 4 pensa che questo verso contenga già una prima γνώμη della raccolta (e la confronta contestualmente con [Epich.] fr. 279, sul cui modello ne spiega l’attribuzione a Epicarmo), una possibilità che è, di fatto, altrettanto verosimile della precedente (si noti, inoltre, come il verso inizi con alpha, il che sarebbe coerente con l’idea di un ordinamento della raccolta anche su base alfabetica, cf. [Epich.] fr. 245,4-6 e la discussione di questo frammento).

[Epich.] fr. 245 Fr. a – – – ̣̣ ̣ ̣̣ ̣ ̣ ̣̣]σ̣τ̣ι πρὸς το̣[ ̣̣ ̣ ̣̣ ̣ ̣ ̣̣ ̣̣]ω̣ δυστε ̣[ ̣̣ ̣ ̣]ι ̣[ ̣ ̣ ̣̣ ̣̣] εστι χρηστ ̣[ ̣] ̣[ ̣ ̣] ευ̣[ ἐ̣ν̣ι̣κ̣α̣λύπτεται τὸ φαῦλον[ εἰς τὸ συντυχεῖν ἀηδής ἐστιν ο[ 5 † ευτροπος ἀνθρώποισι δαίμων π̣[ ̣ ̣ ̣̣ ̣̣] ̣ο̣ι καὶ ὀρθῶς βραβεῦσαι διαν̣ε̣[ ̣ ̣ ̣̣ ̣̣]νου̣ς̣ ἐξηπάτηκεν ἄδικος ̣ ̣[ ̣ ̣ ̣̣ ̣̣] ̣̣ ̣̣ε̣σ̣ις πονηρὰ περὶ πονερῶ[ν ̣ ̣ ̣̣ ̣̣] ̣̣ ̣̣[ ̣ ̣] ̣̣ ̣̣[ ̣]νις ετι ν[ ̣̣ ̣ ̣] ιπ̣ ̣[̣ 10 ̣̣ ̣ ̣̣ ̣ ̣ ̣̣ ̣̣ ̣ ̣̣ ̣ ̣ ̣̣ ̣̣] ̣̣π[̣ο]ν̣ηραυ̣δ̣[ – – – Fr. b – – – ]υ̣λ̣α̣[ ] ̣ε̣π̣ι̣[ ]θ̣ε̣ραπ[ ]νο̣σ̣τιν̣[ 15 ]ιδεσ̣ενπ̣[ ] ̣ε̣σ̣στι[ – – – – Fr. c col. i col. ii ]η̣ν σπ[ ]ος ου[ ] ̣ 20 φα[ ] σφ[ 25 – – ε ̣[ – – – Fr. d – – – ]ι ποιεῖθ’ αὑτῷ φ [̣ ] ̣ε̣ν δὲ τοῖς φαυλ[ ] ̣ἐ̣χ̣θ̣ρός ἐστι τα̣ ̣[ ]τ̣αι πᾶσιν ισ[ 30 ]ις ὁ πόλεμος ̣̣[ ̣] ̣̣ ̣ ̣ ̣̣ ̣[ ]τ̣ον πόλεσιν ευρε[ ] ̣ιν̣ σουτι ̣̣ ̣ ̣̣ ̣ ̣[ ] ̣ι κ̣αὶ φόβῳ̣ φ̣ρουρ̣ ̣[ ] ̣νεις φόβον ̣[ 35 ] ̣ ̣ ̣[

– – – Fr. e – – – ]απο [̣ ] ι̣π [̣ ] ̣α ̣[ ̣̣ ̣] ̣ α ̣̣ ̣ αιμ ̣ ̣κ̣ο̣[ ] ̣κτημ ̣̣ν̣ο ̣ 40 ] ̣εστατει ]ν̣ βαθυ ̣οσω – – – Fr. f – – ] ̣[ ̣ ̣]α[ ]ινεμπ[ ] ̣ μ[̣ 45 – – –

Pap. Hib. I 2 (saec. III; frr. a-d,3 edd. Grenfell-Hunt 1906 adiuvante Blass p. 15 s., frr. d-f ed. Austin 1973 pp. 79-81; phototypa praebent Del Corso 2004 Tab. 9, Cavallo-Maehler 2008 Tab. 11). denuo edd. Crönert 1912 p. 410 s. frr. a-d,3 tantum, Powell 1925 p. 221 s. fr. a tantum, Olivieri 1946 p. 118 fr. a tantum ( = [Epich.] fr. 230 Olivieri), Austin 1973 p. 80 s. ( = [Epich.] fr. 87 CGFP), Rodríguez-Noriega 1996 pp. 201-203 ( = [Epich.] fr. 357 Rodríguez-Noriega), K.-A. I p. 143 s. ( = [Epich.] fr. 245), Pordomingo 2013 p. 121 s. num. 12 frr. a-d,3 tantum, Carrara-Ruggeri 2015b. comm. Körte 1913 p. 553 num. 405 et Latte apud Kaibel 1953 p. IX fr. a,6.