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τὸς: questa variante breve dell’accusativo plurale dell’articolo maschile, qui metricamente

Capitolo 5 I frammenti ex Alcimo

7 τὸς: questa variante breve dell’accusativo plurale dell’articolo maschile, qui metricamente

garantita, desta un certo interesse579. Il retroterra di questa forma è noto (cf. Schwyzer I p. 337): tramite l’aggiunta della desinenza originaria *-ns dell’accusativo plurale, le forme della declinazione in -ā e di quella tematica si sono trovate ad avere accusativi plurali terminanti in *-ans ( < *-āns, per effetto della legge di Osthoff) e *-ons, che sono poi andati incontro a un diverso trattamento a seconda che si trovassero davanti a vocale (conservazione di [n]) o davanti a consonante (eliminazione di [n] per non avere una successione di tre consonanti); questo disequilibrio condizionato ha portato ciascun dialetto a scegliere se generalizzare l’una o l’altra delle possibilità (indipendentemente, cioè, se il nesso si trovava davanti a consonante oppure a vocale), con le relative conseguenze fonetiche (*-ans e *-ons possono andare incontro a II AC, come in attico e in molte varietà di dorico, oppure a lenizione, come in eolico, oppure il nesso studioso propone di intravedere l’esito o di una corruttela (da τῆνος γὰρ τὸ κεῖνος Συρρακούσιοι) o di una lacuna più ampia che restituisca qualcosa di analogo a quanto si legge in Epimer. Hom. κ128 Dyck […] οἱ δὲ Αἰολεῖς κῆνος λέγουσιν, οἱ Δωριεῖς δὲ τῆνος (Ahrens pensa qui a τῆνος γὰρ Συρακούσιοι καὶ κῆνος Αἰολεῖς). Il fatto che, in realtà, τῆνος non sia equivalente a ἐκεῖνος (cf. Willi 2008 § 5.3.4a: «τῆνος als nah-deiktisches Demonstrativpronomen») non crea necessariamente dei problemi per la ricostruzione proposta da Ahrens: per alcuni grammatici antichi τῆνος poteva valere anche ἐπὶ τῆς πόρρω δείξεως (cf. Et. Mag. p. 321,31 Gaisford con Ahrens 1843 p. 267 e soprattutto Apoll. Dysk.

Pron. 58,4 Brandenburg Ἴωνες κεῖνος, Αἰολεῖς κῆνος, Δωριεῖς τῆνος); di conseguenza si potrebbe ammettere che negli Epimerismi omerici si seguisse una dottrina analoga, per quanto teoricamente erronea.

577 Questa forma μήων è nota quasi esclusivamente nella letteratura erudita (Choer. Orth. p. 206,11 e 215,13 Cramer,

Et. Gud. p. 232,24 Sturz, [Zon.] p. 1361,9 Tittmann; a livello dialettale tale forma viene ascritta agli Αἰολεῖς in Hdn. GG III,2 p. 431,14 e molto più frequentemente ai Δωριεῖς, come in Hdn. GG III,2 p. 270,8 e 504,29, Orion Et. p. 192,14

Sturz, Et. Gud. p. 384,48 e p. 566,40 Sturz, Et. Mag. p. 321,37 Gaisford), essendo attestata altrimenti solo nei Dissoi

logoi (D.-K. 90 B 5.3) per ricomparire poi in un gruppo di testi pseudo-pitagorici ([Arch.] p. 18,15 Thesleff, [Diotog.] p.

74,17 e p. 76,12 Thesleff, [Theag.] p. 191,11-13 Thesleff).

578 Ad esempio, per Epicarmo tali forme di Doris severior potevano rappresentare delle varianti meno “provinciali” rispetto agli equivalenti siracusani di Doris mitior.

579 Per l’uso di questa forma a livello epigrafico, cf. in IG IV 823 [Trezene, IV secolo; l’alfabeto impiegato è già quello azzurro scuro] si leggono πυα]λίδος ἐς τὸς αὐλός (l. 43) e poco oltre ποὶ τὸς λατόμους πεμφθέντι (l. 50).

consonantico può essere conservato senza modifiche), per quanto alcuni dialetti conservino l’alternanza condizionata originaria. La situazione che troviamo in Epicarmo è coerente con quella che si ha nell’opera di molti alti poeti di ambito linguistico dorico (cf. Morpurgo Davies 1964 per Esiodo e gli esempi raccolti da Cassio 2009 p. 200 n. 40), ovverosia l’uso generalizzato degli accusativi brevi per la declinazione in -ā, cui corrispondono accusativi lunghi nella declinazione tematica (cf. la rassegna di Willi 2008 § 5.3.3.2b); non mancano, comunque, occasionali deviazioni dalla norma: in Epich. fr. 40,3 si ha infatti πορφύρᾱς (metricamente garantito), l’unico accusativo plurale lungo della declinazione in -ā, il cui uso sarà dovuto certo alla sua opportunità metrica. È molto ragionevole pensare, dunque, che anche τός vada inteso come un’eccezione alla norma da giustificarsi metri causa, il che però non vale, al contempo, come prova della spurietà del frammento (è illogico pensare che un falsario abbia creato una forma clamorosamente “errata” ed estranea alla lingua di Epicarmo, quando poi il resto del frammento non presenta deviazioni dall’uso linguistico atteso per questo poeta).

7 ὁ μὲν γὰρ αὔξεθ’, ὁ δέ γα μὰν φθίνει: la formulazione riecheggia, probabilmente in modo

consapevole, quella molto celebre di Hom. Il. 6.149 ὡς ἀνδρῶν γενεὴ ἡ μὲν φύει ἡ δ’ ἀπολήγει. In (pseudo-)Epicarmo la metafora fa leva sull’idea dell’accrescimento e deperimento in senso soprattutto materiale, coerentemente con gli esempi che erano stati addotti ai vv. 1-6 (per quest’uso di αὐξάνω, cf. la descrizione della crescita di Zeus in Hes. Theog. 492-493 καρπαλίμως δ’ ἄρ’ ἔπειτα μένος καὶ φαίδιμα γυῖα | ηὔξετο τοῖο ἄνακτος; per φθίνω, cf. in Soph. OC 610 come Edipo descriva il decadimento della ἰσχύς del corpo di un uomo paragonandola a quella della terra). Il nesso γα μάν serve a sottolineare la correlazione logica che interviene con quanto appena affermato; i due fenomeni di “crescita” e “decrescita” sono analoghi (per quanto speculari) e l’uno rappresenta un estremo dell’altro all’interno del comune processo di trasformazione delle cose e, parallelamente, delle loro identità (cf. anche quanto si nota in Bonifazi-Drummen-de Kreijk 2016 II.2 § 76 nel discutere l’uso di γε μέν, inteso come forma ionica per γε μάν, in Pind. N. 3.80-84: «in the majority of instances of γε μέν/γε μάν [scil. in Pindaro] the relation between the preceding and the following tends to be one of similarity rather than one of difference»; in [Epich.] fr. 277,11 γα μάν ha invece valore avversativo). Come confronti per quest’uso di γα/γε + μάν/μήν in unione con altre particelle (qui μέν […] δέ), Denniston 1954 p. 350 annovera Philol. D.-K. 44 B 4 e Plat. Soph. 219e e 240b (l’associazione è, rispettivamente, con καί, δέ “ma”, ἀλλά), dove però il significato è sensibilmente diverso da quello che si ha nel frammento qui in esame580.

7 φθίνει: il vocalismo breve di [i] è garantito metricamente, per cui la forma non presenta il III AC

(φθίνω < *φθίνϝω, cf. φθινύω; per questa forma e la sua origine IE, cf. EDG s.v.). I frammenti epicarmei e di Sofrone mostrano solo occasionalmente dei casi di III AC (Epich. fr. 185 μᾱνάς, che si è ritenuta un’eco di testi filosofici in ionico, cf. qui § 1.4.3 e § 5.4.2.2; ὅμωρος581 in Epich. frr. 46 e 113,241 e Sophr. fr. 26 è probabilmente un prestito non-adattato da area linguistica ionica, visto che l’attestazione sofronea esclude che questa variante si debba all’opportunità metrica) e la norma vede invece la predominanza di forme senza III AC (cf. μόνον in Epich. frr. 32,1 e 113,8 e poi νόσος in Epich. fr. 212 e Sophr. fr. 32; cf. qui anche la discussione di β[λ]αστανουσῶν in *[Epich.] fr. 295,13)582.

580 Nel frammento di Filolao (che pure inizia pressoché in coincidenza delle particelle stesse, quindi un margine di dubbio permane) si ha probabilmente una funzione progressiva (cf. l’inquadramento di Huffman 1993 p. 173 e il confronto con l’uso di γα μάν in Philol. D.-K. B 5 con Denniston 1954 p. 349 e le considerazioni di Huffman 1993 p. 184). Nel primo passo del Sofista lo Straniero introduce, al cambio di battuta con Teeteto che aveva appena dato una risposta affermativa, un’obiezione che porta all’inizio di un nuovo doppio scambio di battute. Nel secondo passo del

Sofista l’unione di γε μέν con ἀλλά dà corpo, ancora, a un’obiezione.

581 Riguardo questa forma, cf. anche Dettori 2000 p. 84.

582 In Willi 2008 § 5.4.2 Tafel 5.1 (dove si mancano di ricordare le occorrenze epicarmee di νόσος privo di III AC, per quanto l’etimo di questa forma sia in parte ancora discusso, cf. EDG s.v.) si annovera l’occorrenza di δέρος in Epich. fr.

8 πάντες … πάντα: la ricorrenza del poliptoto di πᾶς come tratto distintivo dei frammenti dei primi

pensatori greci è discussa da Gygli-Wyss 1966 p. 44 s. e n. 4, che sottolinea (con Diels) come esso sia effettivamente assente in tutti i generi poetici di età arcaico-classica a eccezione di Eur. Med. 853 e fr. 1053 TrGF (in Euripide l’influsso di figure come Anassagora è giustamente ritenuto molto plausibile da Gygli-Wyss).