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La vicenda del romanzo, narrato in prima persona e sempre di natura confessionale, come quasi tutte le opere dell’autore, inizia il primo dicembre del 1961 e segue il prigioniero Zhang Yonglin, nel suo trasferimento al di fuori del campo, in un villaggio del nordovest cinese nel quale lavorerà accanto ai contadini e ai pastori della zona. Prima di uscire dal campo ottiene da un ricercatore universitario in filosofia, anch’egli rinchiuso nello stesso campo, una copia de Il Capitale di Karl Marx, che sarà il suo livre de chevet, anzi il suo unico libro e il suo vero e proprio cuscino per tutto il periodo della sua «rieducazione sotto la sorveglianza del popolo». Regalandogli il libro, il ricercatore gli suggerisce di trovare in esso il motivo per cui trovavano dove si trovavano: il protagonista gli chiede se intende dire loro due o la Cina e in effetti il dubbio è legittimo e attraverso il romanzo e l’ausilio della lettura di Marx l’autore cerca di fornire una risposta che valga per tutta la nazione. Infatti, come dice il ricercatore, il loro destino di intellettuali è legato strettamente a quello del Paese.

Il romanzo venne scritto in un periodo in cui da un lato il Partito, che ancora manteneva il potere di definire il ruolo e la direzione della letteratura, e dall’altro gli intellettuali cercavano di raggiungere una forma di riconciliazione. Per questo vennero tollerati molti esperimenti stilistici e tematici. La lettura de Il Capitale permette al protagonista di leggere la realtà degli anni Sessanta come una perversione del marxismo originario e lo stesso stile del romanzo è ispirato dalla natura letteraria, dalle allusioni e citazioni che riempiono il classico marxista. L’ambientazione in una terra di confine, poi, per sua natura eccentrica e liminale, permette di trattare l’ortodossia in maniera più libera e originale. I temi dell’identità, della correttezza ideologica, sociale, linguistica e di genere vengono messi alla prova là dove e nel momento in cui il controllo su di essi si è meno rigido: non è un caso che questo romanzo e il successivo,

Nanren de yiban shi nüren, siano ambientati nei brevi intervalli di semilibertà dalla prigionia

del campo e descrivano con attenzione e profondità il confronto fra un reduce della rieducazione (che quindi in teoria ha assorbito gli insegnamenti del partito) e gli abitanti dei margini (che invece sono lontani geograficamente e temporalmente dalla necessaria rigidità ideologica richiesta ai cittadini cinesi dell’epoca).

144 Il titolo dell’opera, tradotto letteralmente, porterebbe piuttosto a «Alberi che rinverdiscono», ossia la traduzione letterale

del nome della mimosa in cinese. Lo stesso termine è quasi sinonimo di mayighua 马缨花 tradotto come «mimosa», anche se indica piuttosto un tipo di rododendro (Rhododendron Delavayi). In questa trattazione si segue la traduzione più diffusa del romanzo, che è al tempo stesso una dedica alla sua protagonista femminile, Ma Yinghua 马缨花.

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Tutta la narrazione è intrisa dall’ossessione della fame e dall’esasperata ricerca da parte del protagonista e degli altri detenuti di qualunque cosa sia commestibile. Essi cercano in tutti i modi di sopravvivere, sfruttando ogni mezzo a loro disposizione per ottenere del cibo e risparmiare calorie preziose per poter sopravvivere. Lo stesso protagonista confessa di aver fatto ricorso ad astuzie poco lodevoli per procurarsi un po’ di nutrimento in più rispetto all’insufficiente razione quotidiana: prima utilizza un recipiente diverso da quello degli altri detenuti che sembra delle stesse dimensioni ma, essendo più profondo, convince i cuochi a dargli sempre una porzione più abbondante per pareggiare la quantità di rancio dato agli altri prigionieri; in seguito, ottenuto il permesso di recarsi nella città più vicina, inganna con un trucco matematico un venditore di ortaggi facendosi dare una maggiore quantità di carote. Se da un lato questi piccoli successi, dovuti alla sua intelligenza e quindi al suo status di intellettuale, lo riempiono di un orgoglio da Ah Q145 e lo fanno sentire al di sopra degli altri prigionieri, anche del famigerato “Capo”, come lui condannato come «elemento di destra», ma orgogliosamente proveniente da una famiglia povera; il suo senso di superiorità intellettuale resiste anche quando gli altri detenuti si dimostrano molto più scaltri e spregiudicati nella ricerca del cibo, ma dall’altro lato lo fa sentire così in colpa da togliergli il sonno al pensiero che stava forse riemergendo la sua congenita natura di borghese, capitalista e sfruttatore, che non era stata cancellata dagli anni trascorsi nei campi di lavoro. Il suo senso di colpa si può leggere ad un livello secolare come il timore di essere retrocesso e riportato nell’inferno del campo, l’uscita dal quale era stata celebrata come un ritorno a casa; d’altro canto il testo è pervaso da così tanti riferimenti religiosi da far pensare ad un percorso di redenzione di cui il momento narrato rappresenta il Purgatorio.146 Immagini di

145 «我觉得我比他高尚,比他有更多的精神上的享受,虽然没有找到黄萝卜,我还是心满足地、带着一种精神胜

利的自豪感追上了大车。» (Zhang 1995a, p. 12). «Anche se non avevo trovato alcuna carota mi sentivo comunque contento pensando al mio status superiore. Mi affrettai dietro al carro, orgoglioso di aver ottenuto una vittoria morale».

146 Lo stesso autore ad un certo punto afferma di sentirsi come Dante nella Divina Commedia, proprio a proposito della sua

intrinseca natura borghese, che condannava tutta la sua classe sociale e lui come suo ultimo rappresentante. Febbricitante dopo aver truffato il negoziante, sente di meritare la punizione:

«我口渴,我口渴得像嘴里含着一团火,但毫无办法,我把这种折磨看作对我的惩罚。我默念着但丁的《神曲》: 从我,是进入悲惨之城的道路;

从我,是进入永恒的痛苦的道路; 从我,是走进永劫的人群的道路。

我所属的阶级覆灭了,我不下地狱谁下地狱?» (Zhang 1985, p. 59).

«Ero così assetato che mi sembrava di avere un fuoco nella bocca ma non potevo farci nulla, pensavo che tale tormento fosse la mia punizione. Mi ricordava la Divina Commedia di Dante:

Per me si va nella città dolente Per me si va nell’eterno dolore Per me si va fra la perduta gente

La mia classe era condannata e se non fossi andato io all’Inferno, chi se no?».

Un altro riferimento a questo percorso mistico si ha quando il protagonista pensa che gli altri, avendo parenti e connessioni in città possano trovare la via per sfuggire all’inferno ed essere assunti in paradiso, mentre Zhang teme che resterà per sempre in quel Purgatorio: «[…] “十七层地狱” 也好,对他们来说不过是个过渡,他们很快就能上天堂。只有我, 是注定要在这里呆到全然不可预测的未来,也许直呆到老、到死的。» (Zhang 1995a, p. 20). «[…] un inferno di

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punizione e di retribuzione sono onnipresenti nel testo: ad esempio, dopo aver frodato il negoziante, saltando per evitare un corso d’acqua ghiacciato, cade nel torrente e perde metà delle carote ottenute con l’inganno e per giunta si ammala. I riferimenti alla retribuzione/punizione (secolare o religiosa) e alla Commedia dantesca147 possono anche permettere ad un lettore occidentale di associare la protagonista femminile, che ad un certo punto salva dall’Inferno della fame ad una Beatrice, una donna angelicata e salvifica. La mancanza di una guida, del resto, porta anche ad un senso di smarrimento nel protagonista, ancora disorientato dalla raggiunta libertà: egli stesso si rende conto di essere ormai abituato ad essere comandato e di aver bisogno di tempo per abituarsi alla sua nuova condizione.148 Tuttavia, la ritrovata libertà materiale e corporea porta con sé la libertà di pensare e di sentire: il primo contatto con la bellezza è la vista della natura, mentre il canto del carrettiere Hai Xixi 海喜喜 gli riporta alla mente la poesia rimasta dormiente nel suo cuore. Rendendosi conto inoltre che si tratta di una canzone d’amore, anche i sensi assopiti si risvegliano pian piano: la canzone folk, espressione della spontanea sensualità e popolare e di una mascolinità originaria ben rappresenta l’incontro con una cultura incontaminata dalla politica e questa forse è la ragione profonda del suo entusiasmo per la liberazione: non si trova più immerso e soffocato dal totalitarismo.149

La fame tuttavia è ancora la principale molla di ogni sua azione e tiene lontani tutti gli altri sentimenti e tutti gli altri desideri. I due baozi donatigli dal cuoco del campo il giorno della sua partenza vengono subito tesaurizzati e il protagonista decide di divorarli segretamente, lontano dagli sguardi famelici degli altri detenuti. Vengono tutti sistemati in una baracca nel

diciassette livelli per loro è poca cosa, per loro è solo un passaggio e presto saranno in paradiso. Solo io resterò qui per un futuro imprecisato, forse fino alla vecchiaia, fino alla morte.»

147 Al di là del riferimento colto, se vogliamo intendere in maniera oggettiva le vicende di Zhang Yonglin come appartenenti

variamente al “modo alto-mimetico” e al “modo basso-mimetico”, la sua è in effetti una commedia nel senso di una «incorporazione dell’eroe in quella società a cui egli è per natura idoneo» (Frye 2000, p. 46). In senso alto-mimetico quest’incorporazione prende le forme «della lotta fra la società repressiva e quella ideale [come] lotta fra due livelli di esistenza, il primo simile o peggiore al nostro mondo, il secondo incantato e idilliaco.»; nel modo basso-mimetico l’incorporazione «[…] implica più frequentemente un avanzamento sociale» (pp. 60-61).

148 «我一面悄悄地打量他,一面在心里分析自己不安的原因。最后我发觉,原来我是被人管惯了,呵叱惯了。虽

然我意识到我今天获得了自由,成了一个“自食其力的劳动者”,但在潜意识下,没有管教和呵叱,对我来说倒 不习惯了;我必须跟在一个管我的、领我的人后面。» (Zhang 1995a, p. 13-14). «Mentre lo misuravo analizzai dentro di me le ragioni della mia inquietudine. Alla fine scoprii che ero stato sorvegliato e comandato. Sebbene oggi sia consapevole di aver ottenuto la libertà, e di essere divenuto un lavoratore che si guadagna da mangiare con il proprio lavoro, tuttavia sentivo inconsciamente di non essere abituato a non avere qualcuno che mi controllasse e mi desse ordini. Ho assolutamente bisogno di seguire qualcuno che mi controlli e mi guidi.»

149 «[…] 歌词毫不掩饰,毫无文采地表现了赤裸裸的情欲。我 […] 发现世界上没有那一个民族的情歌有如此大胆、

豪放、雄奇、剽悍不羁。什么“我的太阳”、“我的夜莺”、“我的小鸽子”、“我的玫瑰花”…… 统统都显得极为软弱, 极为苍白,毫无男子气概。于是,我二十五岁的青春血液,虽然因为营养不足而变得非常稀薄,这时也在我的 血管中激荡迸溅。» (Zhang 1995a, p. 17 passim). «Le parole della canzone non nascondevano nulla, e mostravano esplicitamente un desiderio senza pudore. Scoprri che non c’è canzone al mondo altrettanto audace, ardita, eroica e sfrenata di quella canzone folk d’amore. Qualunque “O sole mio”, “Mio usignolo”, “Mia colombella”, “Mia rosa” sarebbe apparsa estremamente fiacca, scialba e priva di virilità. Perciò il mio giovane sangue di venticinquenne, sebbene rarefatto da una nutrizione insufficiente, in quel momento si stava agitando nelle mie vene.»

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villaggio in cui occorre sistemare finestre e stufa: siccome Zhang Yonglin aveva imparato nel campo come fare le stufe di mattoni, viene nominato caposquadra dal capogruppo Xie. In questo modo, sempre ricorrendo a stratagemmi e piccole furbizie, riesce ad evitare il primo giorno di lavoro (tanto poteva contare sui due baozi come rancio, negato a chi non usciva a lavorare) e a rimediare dell’altro cibo, utilizzando l’avanzo di pasta di miglio datagli dai cuochi per incollare la carta di giornale alle finestre. Ironicamente, i due baozi vengono poi mangiati dai topi, lasciando il protagonista a lottare contro la fame il secondo giorno, quando dovrà inventarsi un’altra scusa per restare in camerata e scansare il lavoro. Ricordandosi di come fosse riuscito in passato ad uscire vivo da un mucchio di cadaveri, sa di poter resistere e sopportare grandi sofferenze e ora è anche convinto di poter imparare da chi è campione di resilienza, ossia i contadini, conosciuti proprio come «coloro che sopportano» shou ku ren 受苦人.150 Tuttavia, nasce in lui il dubbio che tanta capacità di sopportazione possa essere anzi deleteria, perché conserva il corpo ma distrugge a poco a poco lo spirito, la speranza e la volontà, le fonti stesse del sentimento. Il vuoto che crea dentro di sé, fonte ad un tempo di delusione ma anche di conforto, oltre ad avere sempre i contorni di un apprendistato religioso, diventa perfino ironico quando a distanza di poche righe lo stesso “aspirante monaco” Zhang Yonglin rivela, certamente spinto dalle circostanze eccezionali, un animo piuttosto gretto ed egoista. Una volta entrati nella camerata, infatti, Zhang occupa subito il posto contro il muro, perché più riparato dal freddo e protetto dall’avidità e dall’invadenza altrui: egli così si allontana subito dai suoi simili prendendosi un altro piccolo privilegio. Un ulteriore particolare che aggiunge ironia alla scena è l’affermazione dell’autore, che capisce come mai i monaci scelgano di meditare contro i muri, anche se di certo la scelta dei monaci è dettata da motivi meno venali, e dal fatto che il libro che usa come cuscino è Il Capitale di Marx. Poco oltre, però, è lo stesso autore a rendersi conto che quel libro era la sua unica ancora di salvezza, il suo unico legame con il mondo dell’intelletto, l’unico mezzo per elevarsi al di sopra del mondo del cibo e, aggiungerei, dell’ossessione per il semplice valore di scambio delle merci, visibile nel calcolo delle quantità di cereali che si potevano ottenere e degli scambi possibili da effettuare con coloro che avevano contatti con l’esterno e potevano farsi mandare cibo e altri prodotti.

150 Anche il lavoro dei campi era noto come «andare a soffrire» shou ku qu 受苦去 (Zhang 1995a, p. 52). Essere finalmente

fra i contadini e non più fra i criminali del campo di lavoro gli permette inoltre di farsi direttamente un’idea chiara dei lavoratori, non più idealizzata e astratta: la loro rudezza e il loro ottimismo contrastano con la descrizione della propaganda e sicuramente anche con la personalità dei detenuti dei campi (Zhang 1995a, pp. 45-46 e Zhang 1985, p. 53). L’episodio della pila di cadaveri appartiene all’esperienza reale dell’autore: dopo essere fuggito tre volte dal campo nei primi anni Sessanta, per due volte viene ricatturato e la terza ritorna volontariamente perché non potrebbe sopravvivere da fuggitivo. Viene punito con la privazione del cibo per una settimana. Alla fine del periodo viene dato per morto e gettato su una pila di cadaveri, fuori dalla quale riuscì a trascinarsi per tornare nel mondo dei vivi come un Lazzaro risorto.

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Egli capiva quanto la fame lo stava trasformando in un essere vile e spregevole, ma aveva anche la consapevolezza della vacuità della semplice sopravvivenza, poiché era costretto a vivere solo per restare in vita e non aveva grandi ideali che dessero un senso alla sua esistenza: l’unico che gli era stato fornito era la «rieducazione», ma anch’essa sembrava non essere stata raggiunta se ancora si comportava come un capitalista sfruttatore. Tuttavia, nel mezzo della fame più atroce anche questo è un segnale, inserito ovviamente dal narratore, della presenza di una coscienza soggettiva che emerge particolarmente nelle condizioni più difficili, quando ancora non c’è molto spazio per la speranza e il personaggio si trova ancora nel mondo della pura oggettività e della materialità.151 L’alternativa, suggeritagli dal suo stesso stomaco, era affrontare la realtà in modo da poter resistere alla fame, condizione ormai esistenziale di un’intera nazione e non più solo individuale.152 La strada scelta per farlo

pertiene alla riscoperta dell’individuo e del soggetto libero e paradossalmente questa strada era la lettura di Marx.

Per poter opporsi alla falsa interpretazione di Marx occorreva tornare all’originale testo sacro.153 Continua così il sottotesto religioso della storia: per combattere silenziosamente gli eretici che danneggiano un’intera nazione con la propaganda del pauperismo e dell’ascetismo, l’unica soluzione è ritrovare la pienezza ideologica e orale nel senso del consumo alimentare e della produzione discorsiva, nel verbo originario del fondatore. Si tratta di verbo che possiede un corpo e ridona corpo in un mondo che nega le necessità biologiche e di un verbo che offre una soddisfazione interiore che non può essere tolta, mentre invece i baozi sono rubati dai topi. Quindi la narrazione procede in maniera altalenante fra l’estasi mistica della rivelazione marxista e una realtà fatta di fame, di un lavoro massacrante e umiliante e della compagnia forzata di persone infide.

La descrizione dei lati più vili e deplorevoli della natura umana fa parte della straordinaria onestà dell’autore, che volendo mettere a nudo ogni aspetto, anche i più oscuri e inconfessabili, dimostra da un lato di aver introiettato la lezione maoista dell’autodenuncia, ma soprattutto testimonia la sopravvivenza dell’onestà dell’intellettuale martire di una verità

151 我不认为人的堕落全在于客观环境,如果是那样的话,精神力量就完全无能为力了;这个世界就纯粹是物质 与力的世界,人也就降低到了禽兽的水平。宗教史上的圣 徒可以为了神而献身,唯物主义的诗人把崇高的理想 当作自己的神。我没有死,那就说明我还活着。而活的目的是什么?难道仅仅是为了活?如果没有比活更高的 东 西,活着还有什么意义? 可是,现在我是一切为了活,为了活着而活着。(Zhang 1995a, p. 27). 152 但是肚皮给了我最唯物主义的教育。你不正视现实吗?那就让你挨挨饿吧?我目前的境遇是铁的现实!Zhang 1995a, p. 29).

153 Wang Xiaoying (2002, p. 12) registra che nel periodo postmaoista, la «personalità postcomunista» era ormai disgustata

dal marxismo, in ogni sua versione, perché accusato di essere la radice di ogni male della Cina dal 1949 in poi. Nella