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La soggettività maschile nella realtà sociale e nella rappresentazione nel periodo delle riforme

La liberazione del soggetto nell’ambito discorsivo e della rappresentazione letteraria e cinematografica trova corrispondenza nella contemporanea liberazione dei corpi nell’ambito sociale, economico e medico. Per molti versi, anzi, la produzione di discorsi normativi produsse effetti concreti sui corpi in contesti diversi: ad esempio, l’impotenza prodotta nel personaggio di Nanren de yiban shi nüren era essenzialmente il frutto dell’oppressione politica e del protagonista e della sua incapacità di risolvere le difficoltà psicologiche che derivavano da questa condizione. Come ha notato anche Zhong Xueping (2000) per l’ambito intellettuale, Judith Farquhar (2002) sottolinea come l’impotenza, riscoperta nel discorso medico durante gli anni Ottanta, fosse il frutto di un senso di stallo e dell’impossibilità di muoversi fra il passato maoista e un futuro in cui tutto stava diventando merce.

La definizione del genere si accorda di volta in volta con l’esigenza della (ri)costruzione della nazione e della ripresa del progetto sempre incompleto della modernizzazione, un progetto da sempre condotto principalmente dagli intellettuali (maschi). Se nel periodo maoista essi erano stati perseguitati e complici di un potere dispotico che, anziché realizzare la promessa del paradiso socialista di un benessere generalizzato, aveva portato solo sofferenze e miseria, dopo la fine delle Rivoluzione Culturale gran parte degli intellettuali (maschi) cercarono di superare i complessi e i traumi subiti durante gli anni peggiori del maoismo riprendendo la propria missione di modernizzatori e di coscienza della nazione (conservando inconsapevolmente il ruolo affidato loro dal partito) ricostruendo ad un tempo il proprio ruolo di intellettuali e la propria identità maschile.

L’indebolimento della mascolinità nel periodo postmaoista proveniva anche dalla consapevolezza di essere stati ormai esclusi dal progetto di modernizzazione: la fine della Rivoluzione Culturale era stata dovuta più al caso (la morte di Mao) che al loro intervento e anche il nuovo corso della politica cinese era stato deciso sulla loro testa da un potere, per quanto relativamente più magnanimo e paternalistico, altrettanto autoritario. Dato che il potere comunista durante la Rivoluzione Culturale e anche prima li aveva psicologicamente e simbolicamente evirati, togliendo loro ogni possibilità di azione, umiliandoli, sminuendoli e facendoli sentire perfino colpevoli di fronte ai propri concittadini (la massa dei proletari), negli anni Ottanta era importante per loro rimodellare sé stessi come avanguardia coraggiosa, moralmente solida e tenace, psicologicamente intatta e fisicamente temprata dalle esperienze sofferte. Ovviamente il tempo lascia sempre le sue tracce e per quanto venisse ripreso il

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discorso modernizzatore e umanista del Quattro Maggio, l’educazione socialista e soprattutto la rieducazione maoista attraverso il lavoro e l’esilio nelle regioni più sperdute e aspre della Cina li avevano sicuramente corroborati, nella mente e nel corpo. Il modello della mascolinità socialista, l’eroe impavido e forte, può di nuovo essere un punto di partenza per quest’opera di ricostruzione, una volta aggiornato e spogliato dei suoi attributi ideologici e anzi mantenendone spesso l’innocente natura proletaria. Questi ad esempio sono spesso gli eroi delle narrative letterarie e cinematografiche della “Ricerca delle radici». Tuttavia, anche il filo della tradizione viene riannodato, riabilitando la figura dell’intellettuale, anche aggiornandone il modello nella nuova economia delle riforme: il manager Qiao di Jiang Zilong, ad esempio, per quanto fosse ancora un precoce tentativo di immaginare la mascolinità del prossimo futuro, dimostra quanto il sapere – tecnico o umanistico poco conta, ciò che conta è la sua applicabilità alla struttura di potere esistente e la sua efficacia nel generare e riprodurre il potere sociale del suo detentore – identifichi l’uomo di successo e quindi desiderabile per le donne e invidiabile per gli altri uomini.

Durante l’epoca rivoluzionaria la necessità di segnalare e sottolineare la cesura netta con il passato dell’invasione militare straniera e delle umiliazioni inflitte dalle potenze straniere aveva prodotto un’esaltazione del ruolo del soldato rivoluzionario e la mascolinità rivoluzionaria era incarnata al meglio proprio da Lei Feng, simbolo della semplicità proletaria, del tutto antitetica alla sospetta sofisticatezza degli intellettuali, incapaci di obbedire davvero all’autorità e sempre pronti a dubitare e a far dubitare le masse, indebolendone lo spirito e la fede. Quello che si richiedeva al vero uomo socialista e rivoluzionario era una cieca fiducia nel leader supremo, Mao, che era anche la figura paterna per eccellenza, al quale sarebbe andata la devozione di tutti: il Partito era la nuova famiglia il cui padre era il Grande Timoniere. Anche per questo spesso l’eroe delle narrative maoiste era orfano. Addirittura, la vera autorità risiedeva solo in Mao, e non nel Partito, nel leader incaricato dalla storia di educare il popolo cinese e guidarlo verso il comunismo. Il timore ricorrente e crescente di Mao era proprio la possibilità che riemergessero atteggiamenti e pensieri borghesi come l’attaccamento al denaro, ai piaceri e ai privilegi e voleva a tutti i costi cambiare, più che la struttura economica (che avrebbe preferito, dovendo scegliere, mantenere arretrata), i cuori e le menti dei cinesi (Schram 2002). In questo, oltre a dimostrarsi erede del dispotismo imperiale, si può vedere in lui l’insegnante, il letterato, l’intellettuale supremo, l’unico in grado di poter stabilire i significati condivisi.

Uno di questi significati era la parità fra i generi, anzi l’arbitraria e autoritaria negazione della differenza fra essi: le distinzioni di genere erano considerate arretrate e reazionarie. In

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nome dell’obiettivo comune del raggiungimento della modernità (in questo caso in termini socialisti), uomini e donne sarebbero diventati lavoratori e per questo la mascolinità venne assunta come standard normativo anche per le donne, incoraggiate ad assumere tratti maschili (Hinsch 2013, p. 154). In nome del disprezzo per mode frivole e borghesi, la rappresentazione della donna acquisì caratteristiche sempre più maschili, mentre la femminilità venne sempre più identificata come controrivoluzionaria, individualista ed edonista, particolarmente durante la Rivoluzione Culturale. La stessa fitness fisica che era stata propagandata in epoca moderna nei termini militaristici e occidentalizzanti come disciplina callistenica, ora viene declinata nella sua versione comunista come espressione materiale dell’abitudine al lavoro e alla fatica. L’adeguatezza a tale modello sembrava garantire, soprattutto alla giovane generazione cresciuta nella Repubblica Popolare, la possibilità di crescere consapevoli di una mascolinità piena, vitale, e soprattutto riconosciuta e sancita da un’ideologica condivisa.

Da qui discende anche la proliferazione del discorso medico e scientifico sul genere. Per quanto riguarda la mascolinità un tema molto sentito dopo la fine del maoismo in quest’ambito sarà quello dell’impotenza maschile. L’attenzione per questo disturbo nasceva dalla rinata capacità dei singoli di superare la vergogna sociale connessa a questa patologia, che in termini politici consisteva nel dimostrare desideri individuali. Everett Yuehong Zhang (2007) dimostra come nel periodo maoista il desiderio sessuale fosse negato e deprecato e molti pazienti non si facessero curare per non essere ritenuti colpevoli di voler soddisfare pulsioni individuali ed egoistiche, contribuendo così all’autorepressione e all’autocastrazione (simbolica oltre che, in questo caso, reale) degli uomini cinesi, che era essa stessa uno strumento di controllo politico.34 Ecco che nel periodo postmaoista emerge un ambito della medicina direttamente legato alle patologie del desiderio maschile, ossia la

nanke 男科 (Zhang Yuehong 2007). La nascita di questa branca della medicina dimostra

l’intersezione fra il crescente interesse per la salute sessuale e l’identità maschile e l’accettazione di un nuovo ordine morale che ammette la ricerca del piacere individuale. L’impotenza (yangwei 阳痿 «restringimento dello yang») diventa un tema estremamente

34 «[…] in socialist China, self-castration prevented the self-castrator’s status from falling. According to psychoanalitical

theories, symbolic castration plays a role in normalizing the subject by making him identify with the father, after which he progresses beyond the Oedipus complex and becomes harmless to the social order in the name of the father. By internalizing the threat of the socialist state’s power, self-castrators identified with it as the moral authority, becoming harmless to the social order in its name.» (Zhang Yuehong 2007, p. 500). Inoltre, anche Zhong (2000, pp. 54-55) sottolinea come, al di fuori del discoros medico e riproduttivo, il sesso (xing 性) fosse automaticamente equiparato alla lascivia, all’oscenità (yin 淫). La riattribuzione al soggetto di connotazioni sessuali è una forma di resistenza e di opposizione alla negazione della passione erotica, prima assorbita dalla passione rivoluzionaria maoista. Il corpo senziente e desiderante diventa uno strumento di conoscenza e di espressione di una nuova soggettività postrivoluzionaria con cui affermare liberamente il desiderio, anche sessuale.

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sensibile anche a causa della politica del figlio unico, una delle riforme del periodo denghista inaugurata nel 1979; tuttavia, la necessità di avere un figlio e sperabilmente un figlio maschio era comprensibile e ammessa anche durante il periodo maoista: lo Stato socialista infatti sosteneva la riproduzione ma la proprietà collettiva del corpo conduceva alla censura del desiderio individuale (Zhang Yuehong 2005). La vera novità del periodo postmaoista è il desiderio di recuperare la propria piena capacità sessuale anche per motivi non necessariamente riproduttivi ma anche soltanto ludici: aumentano così gli uomini che decidono di farsi curare per l’impotenza solo per il piacere e la soddisfazione della propria vita sessuale. Negli anni Ottanta il numero dei pazienti dei reparti di andrologia aumentarono significativamente, soprattutto per la cura dell’impotenza. Nel periodo postmaoista, infatti, eliminando l’alone morale che circondava l’impotenza, ma senza eliminare totalmente la vergogna personale che può provare chi soffre di questi disturbi, la consapevolezza del desiderio e della sua ricerca e soddisfazione come segno di una mentalità moderna, scientifica e consumista ha liberato i maschi cinesi dal timore di una ferita alla propria identità di genere, tanto più dolorosa quanto più sono numerose e libere le occasioni di consumare rapporti sessuali, anche al di fuori dell’ambito riproduttivo. D’altro canto, così facendo, aumentò il disagio di chi non fosse riuscito a superare la propria impotenza, psicologica o fisica che fosse: essa divenne quindi sinonimo di incapacità di essere un soggetto moderno.

Il corpo divenne o tornò ad essere agente della decostruzione e ricostruzione linguistica e simbolica: per Lacan il linguaggio, o l’ordine simbolico, costruisce il soggetto nel suo sviluppo psichico attraverso la trasformazione del corpo in entità linguistica socialmente definita rompendo un ordine precedente e separando il soggetto da un’unità originaria – e quindi in termini essenzialmente traumatici. Per Foucault, che concepisce il corpo principalmente come campo di azione del potere e della conoscenza, esso tuttavia non è solo un prodotto discorsivo, ma è anche il frutto delle tecniche del sé che i singoli possono utilizzare per decidere della propria identità. Secondo Julia Kristeva (1986) le identità sono costituite semioticamente e simbolicamente con l’ingresso in un preciso ordine simbolico: perciò anche l’identità sessuale non è un’essenza ma una rappresentazione. Per questo gradi diversi di mascolinità e di femminilità possono essere intesi come condizioni funzionali di singoli soggetti che possono al tempo stesso occupare posizioni soggettive maschili o femminili.

Il discorso assolutista annulla le differenze prodotte dall’ingresso traumatico nell’ordine simbolico sociale e patriarcale: esso impone delle distinzioni categoriche e uniforma i

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soggetti35 ma la continua presenza dei corpi testimonia dell’artificialità dei discorsi, di fronte

ad una realtà ben più eterogenea. Se il linguaggio non è neutrale ed è una forma di potere, l’affermazione del corpo all’interno dei discorsi li obbliga ad aprirsi alla sua stessa eterogeneità e permette il suo aggiornamento a nuove condizioni sociali e storiche e a nuove pratiche sognificanti. Il corpo non è quindi passivo e ricettivo ma attivo nel modificare i processi simbolici e linguistici. Butler completa la destrutturazione del discorso sull’identità sessuale affermando la natura discorsiva e artificiale non solo del genere ma anche della sessualità. Gli atti pratici e linguistici di tipo performativo (l’assegnazione di un nome, la formula solenne che dichiara due persone marito e moglie) ripetendo una serie di norme prefissate garantiscono la conservazione di un apparato di identificazione e di creazione dei soggetti. Questi si riconoscono in una precisa posizione normativa eterosessuale che li mette al sicuro dal timore dell’aberrazione e dell’abiezione e quindi dalla conseguente psicosi. Tuttavia, l’identificazione prodotta il legame emotivo verso l’oggetto delle proprie fantasie e l’idealizzazione di un oggetto di piacere produce anche l’esclusione del diverso e del deviante (Barker 2008, p. 299).

Nella Cina postmaoista la riscoperta del corpo diventa una variabile decisiva nel processo di riconfigurazione della modernità e nella trasformazione simbolica della realtà. La scrittura del corpo non sarà una prerogativa solo delle scrittrici più giovani ma è una caratteristica trasversale ad un’intera generazione di autori nati negli anni Sessanta (Pozzi 2010), le cui basi sono però state poste da autori più anziani come Zhang Xianliang, che per primi riuscirono a trattare il tema della sessualità e della corporeità nella letteratura. Gli anni Ottanta videro un passaggio ideologico fondamentale dal «corpo collettivo» jiti 集体 al «corpo individuale» geti 个体 (Fu 1999), che ebbe effetti visibili anche nella produzione artistica. Con la fine del collettivismo e dell’etica del sacrificio che vi era connessa, aumentò la consapevolezza del corpo come fondamento della propria esistenza individuale, della completezza della soggettività personale e della soddisfazione dei propri desideri in una società che si muoveva sempre più rapidamente verso il consumismo. Anche la legge sul figlio unico contribuì a liberare il sesso dalla necessità della riproduzione, permettendo la diffusione di un concetto puramente ludico della vita sessuale.

35 L’ingresso nell’ordine simbolico della mascolinità spesso si struttura in precisi riti di passaggio che simboleggiano la

separazione dall’originaria simbiosi con la madre e dal mondo indifferenziato dell’infanzia e l’accettazione nella società degli uomini. La frequentazione successiva del mondo maschile e dei suoi propri, come anche l’esibizione dei comportamenti e degli atteggiamenti riconosciuti come mascolini rappresentano il necessario momento performativo per la sanzione della propria idenità maschile (La Cecla 2010; Bourdieu 2009).

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La definizione del corpo e della mascolinità divenne nel periodo postmaoista una delle coordinate della ricostruzione della soggettività in termini eminentemente discorsivi. Per quanto il dibattito sulla natura umana, sul soggetto e la liberazione dall’alienazione fosse piuttosto datato, alcune sue diramazioni, come appunto quella sul genere, risentirono notevolmente degli effetti di un discorso intellettuale che, inizialmente legato a concetti tradizionali, classici o maoisti, andò sempre più divergendo dalla realtà sociale, in cui si affermavano nuove versioni e declinazioni dell’identità maschile frutto dell’intersezione di elementi sempre più disparati. La mascolinità contemporanea cinese è il frutto di un’intersezione di elementi diversi, di diverse formazioni discorsive che interagiscono, locali e globali, attuali e tradizionali: il consumismo, il culto di un individuo autosufficiente, teorie neoliberali, temi nazionalistici, il discorso sulla perdita della mascolinità e della castrazione simbolica, la sensibilità da new man e una mascolinità più amorevole, il perpetuarsi del legame omosociale, la naturalizzazione delle differenze di genere nella biologia,36 la rielaborazione di modelli storici degli attributi maschili e degli ideali confuciani nella nuova economia di mercato. La costruzione dell’identità di genere avviene non solo attraverso la collocazione in un preciso momento storico ma anche attraverso l’articolazione di una serie di discorsi, relativi alla classe, all’etnia, all’età, anch’essi storicamente determinati ed è quindi il prodotto di una serie di variabili sociali che danno vita ad una serie di mascolinità (intesa al plurale). A mano a mano che queste ulteriori variabili divennero preponderanti nella società cinese, che stava evolvendo verso un mondo sempre più globalizzato e consumistico, ecco che le varianti e le sfumature di un concetto graduabile e non monolitico come la mascolinità aumentarono di conseguenza. Questo, tuttavia, non escluse e non esclude il ricorso a categorie tradizionali e modelli localmente radicati dell’identità di genere; essi sono anzi spesso arricchiti dai nuovi modelli, senza esserne scalzati del tutto. A loro volta, forme di mascolinità più “moderne” e “borghesi” come quella dell’uomo d’affari, per quanto definite contro modelli più aristocratici della mascolinità, sicuramente ne conservano molti tratti. Fluttuante e mutevole, anche la mascolinità si rivela una «categoria inventata»

36 La “naturalizzazione” dei ruoli di genere e la loro inscrizione nella biologia iniziò già in epoca moderna e repubblicana,

quando la biologia sostituì il confucianesimo come fondamento della differenza di genere in termini sessuali. I ruoli sociali erano distribuiti non più in base ad una funzione ma in base ad una distinzione fisiologica (Dikötter 1995, p. 9). Anche la costruzione discorsiva della “nuova donna” da parte degli intellettuali del Quattro Maggio ebbe notevoli conseguenze linguistiche: venne stabilito il termine nüxing come parte della coppia binaria essenzializzata ed esclusiva, di derivazione occidentale, di uomo (nanxing) e donna. L’identità sessuale non era più stabilità in base a rapporti di parentela, ma sulla base della fisiologia: la donna era definita in termini “scientifici” come priva di personalità e di essenza umana, facendone così l’esatto contraltare dell’uomo, che invece possedeva queste qualità. Se la donnna era definita come passiva, l’uomo attivo, se la donna era inferiore biologicamente e intellettualmente e priva di una presenza sociale, l’uomo era al contrario superiore in termini fisici e intellettuali, oltre che politici (Barlow 1994, p. 265-267). Anche dopo la fine del maoismo, tuttavia, sembra che le differenze biologiche siano state nuovamente essenzializzate nell’ambito medico e biologico (Song, Hird 2014, p. 223).

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(Weeks 1991), il «prodotto di significati culturali attribuiti a certi attributi, capacità, disposizioni e forme di condotta in un preciso momento storico» (Nixon 1997, p. 301) in cui la rappresentazione svolge un ruolo fondamentale. Storicamente, il concetto di mascolinità nella cultura cinese Han ha sempre avuto molto a che fare con la capacità di formare una famiglia e di generare eredi maschi che proseguano la discendenza e questo è uno degli elementi tradizionali che ancora perdura nella definizione del maschio in Cina. Questo si traduce nella necessità di studiare sodo per trovare un buon lavoro e occorre farlo anche relativamente presto per poter così trovare una moglie e formare una famiglia. Sebbene la situazione delle campagne sia ancora molto più arretrata e quindi certi cambiamenti siano evidenti soprattutto nelle grandi città, in generale la tradizionale posizione di superiorità sociale degli uomini è notevolmente indebolita dall’ingresso delle donne nel mercato del lavoro, dalla loro indipendenza e dalle loro capacità economiche: gli uomini cinesi oggigiorno sono pertanto meno sicuri della propria posizione nella famiglia e nella società (Jankowiak 2003).

Anche per questo l’impotenza divenne una ferita profondissima alla soggettività maschile e alla capacità di desiderare e di realizzare i propri desideri, che è il nuovo standard etico della società postsocialista:

[…] post-Mao Chinese society is not the only epoch in which sexual desire “exists” but it is the only one in which sexual desire is constructed as central to the subject of modernity (Zhang Yuehong 2007, p. 504).

Di conseguenza, il puritanesimo e il conservatorismo in fatto di sesso diventò indice di arretratezza e di attaccamento a valori ormai superati, oltre che di complicità con un potere ormai screditato, anche se ancora al governo. Infatti, sopravvivevano ancora fortissimi tabù attorno al sesso che colpivano in particolare i più giovani. Gli stessi concetti tradizionali della vita sessuale come attività dannosa per la propria salute – nel caso degli uomini la perdita di essenza yang – lasciano pian piano il posto ad una visione più scientifica del sesso come attività perfino salutare: solo negli anni Novanta, ad esempio, la masturbazione smise di essere vista come pericolosa nel discorso medico e, come ogni altra attività sessuale, cominciò ad essere ritenuta «enormemente salutare» (Jankowiak 2003, p. 439). Fino agli anni Novanta, poi, la verginità era un ideale per maschi e femmine, sia nelle campagne che in città e anche il sesso prematrimoniale non fu più disdicevole; anzi, gli appuntamenti informali, che non portavano necessariamente al matrimonio, divennero abituali negli anni

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Ottanta, anche se solo nel decennio successivo smetteranno di essere ritenuti segreti. In questo, non solo la politica del figlio unico ha cambiato molto le cose, ma ha prodotto una generazione, quella dei giovani degli anni Novanta, che ha trasformato sempre più il sesso in una personale ricerca del piacere, non solo per gli uomini, ma anche per le donne. Lo stesso passaggio nella retorica pubblica, nella pubblicistica e nella letteratura dalla penuria all’eccesso, dall’etica del dovere all’esaltazione del piacere e dalla necessità alla