• Non ci sono risultati.

Il dolore e i traumi storici sono divenuti per la letteratura e la cultura cinese del Novecento una componente fondamentale, soprattutto dopo la liberazione del pensiero dalla fine degli anni Settanta. La letteratura il cinema e le arti hanno contribuito enormemente a rinnovare e ricreare le tragedie storiche al di fuori del dominio della storia ufficiale.

Le sofferenza provocata dai traumi storici e dall’oppressione politica ebbero effetti devastanti sulla soggettività e su alcune sue singole componenti, fra le quali l’identità di genere. In particolare la percezione di sé da parte degli intellettuali cinesi legava strettamente la propria identità di uomini di cultura e di rappresentanti del potere sociale maschile. Nel caso di Zhang Xianliang, detenuto per vent’anni nel sistema concentrazionario e carcerario della Repubblica Popolare Cinese, l’esperienza della prigionia fu un lungo, doloroso ma costruttivo e originale percorso di riflessione per rielaborare la propria identità di intellettuale e ricostruire la propria mascolinità.

Il trauma storico è il punto in cui si legano la storia e la psiche e il loro legame diventa visibile (Silverman 1992). A questo Zhong Xueping (2000) aggiunge un’attiva partecipazione del singolo nella formazione della propria soggettività sul piano sociale, politico, culturale e discorsivo. Il corpo è il luogo fisico e testuale su cui si concentra e agisce con violenza il biopotere. Il trauma e la responsabilità nei confronti di un Paese sempre in pericolo, sia durante il Quattro Maggio che dopo la morte di Mao compromette spesso il rapporto fra soggettività e oggettività, lirico ed epico e ciò che sembra personale diventa «allegoria nazionale» (Jameson 1986) e progetto collettivo. Il soggetto, preso in una rete di relazioni discorsive e testuali, fatica ad emergere davvero come entità a sé stante, soprattutto quando il discorso pubblico agisce talmente in profondità da deformarne la coscienza e i testi stessi diventano lo spazio per la formazione e per la deformazione del soggetto, per la sua costruzione e la sua distruzione. Dopo Mao, il discorso letterario reagì alla costruzione del soggetto comunista e all’enfasi sul corpo collettivo per ricominciare a pensare agli individui come soggetti autonomi, anche se purtroppo spesso ancora condizionati dalle fratture subite e dalle paure che ancora persistevano in loro, risultando quindi delle figure devianti o irrazionali.

La deformazione, la costruzione e ricostruzione dei soggetti, sia in epoca maoista che in seguito, non si poté realizzare senza tenere conto dell’ambito ideologico in cui i soggetti erano immersi e del linguaggio che ne rappresentava l’arma principale: l’ideologia «interpella» gli individui come soggetti, come afferma Althusser, e li fa nascere nell’ambito

110

discorsivo e linguistico soggiogandoli e inchiodandoli a precise definizioni. Anche per questo dopo la Rivoluzione Culturale sarà fondamentale rivoltarsi contro lo strapotere del

Maospeak.

In un’epoca caratterizzata da grandi sconvolgimenti e da immani tragedie, il trauma diventa un’esperienza condivisa e diffusa. Le comunità reagiscono ai traumi cercando anche modi di commemorazione e di elaborazione del lutto, tentando di dare un senso agli eventi traumatici, che, per la loro intensità e spesso per la loro durata non possono essere inscritti nelle normali strutture cognitive e di senso e quindi hanno bisogno di strumenti di narrazione e di rappresentazione eccezionali. Se all’inizio l’opera postmaoista di Zhang Xianliang è ancora fortemente realista, a mano a mano che il ricordo evolve nella sua mente, la sua resa narrativa diventa sempre più onirica, fantastica, frammentaria.

Per la sua natura estremamente soggettiva, poi, l’esperienza e il racconto del trauma non può che essere parziale e individuale, ma proprio per questo riesce efficacemente ad opporsi alle grandi narrative monolitiche della storia. Negli anni Ottanta la soggettività riscoperta divenne un criterio guida anche nell’esplorazione degli eventi del passato, e di come erano stati vissuti (o potevano essere vissuti) dai singoli, riempiendo le zone d’ombra della semplice annalistica e di narrazioni celebrative ormai inascoltate. Oltre a frammentare la consapevolezza collettiva dell’evento e a contraddire la sua interpretazione univoca e ufficiale, essa ha anche il merito di garantire la testimonianza dei fatti in tutte le loro parti e secondo molteplici prospettive, permettendo di attivare il processo di interpretazione e di significazione. Per questo i testi letterari sono fondamentali nella produzione del ricordo collettivo e nella conservazione della memoria anche se gli eventi narrati sono diversi dall’esperienza di ogni singolo lettore; in questo modo viene proseguito il progetto umanistico iniziato nel Quattro Maggio di emancipazione della letteratura dalla storiografia. La letteratura inoltre compensa la mancanza di giustizia nella realtà, considerando che, a parte quello della Banda dei Quattro, non ci furono grandi processi o epurazioni dopo la Rivoluzione Culturale.

La rappresentazione letteraria, televisiva, cinematografica, oltre a contribuire alla riflessione sulle tragedie del recente passato, hanno salvato gran parte della memoria collettiva dal predominio discorsivo della storiografia ufficiale. Questo è ancor più vero se si considera che spesso l’esperienza traumatica e la sua rielaborazione ammettono la possibilità di una memoria immaginaria: nella letteratura trovano spazio e legittimità anche eventi a metà fra la realtà e l’immaginazione, fra il fatto e la finzione. Lo stesso trauma è una frattura non solo nella coscienza ma anche nella rappresentazione. Diventa difficile collocare in termini

111

spaziali e temporali il trauma, ma è quasi impossibile identificare un luogo del lutto e del dolore se non attraverso il ricordo e la ricostruzione letteraria. Questa «negazione topologica» (Berry 2008, p. 19), cioè la cancellazione dei luoghi fisici della violenza, conferisce alle ricostruzioni letterarie e cinematografiche degli eventi il valore supremo di commemorazioni e di elegie collettive. Il trauma infrange il linguaggio, la narrazione e il significato, senza i quali non si può scrivere la storia, e non la si può inscrivere in uno spazio o in un tempo definiti poiché i suoi effetti psicologici perturbano le normali coordinate mnemoniche, facendo apparire l’evento traumatico insieme presente e passato (Wang Ban 2004, pp. 114-115). Per questo il linguaggio narrativo dovrà trovare nuove forme, più esplicitamente soggettive e introspettive, per connettere presente e passato e dare un senso al ricordo traumatico, nello stesso modo in cui gli autori della «Ricerca delle radici» connettono il presente della modernità con il passato ancora vivente delle minoranze e delle campagne cinesi, dando così voce ad una nostalgia che era anche una critica al presente e un tentativo di lenire il senso di sradicamento.

Pierre Nora (1984) pone una differenza decisiva fra storia e memoria: se la memoria è il patrimonio affettivo della comunità e dei suoi ricordi, che vanno pian piano sparendo; la storia invece occupa i luoghi impersonali della modernità e del cambiamento. La globalizzazione e la società di massa provocano la fine della società-memoria che garantiva la conservazione e la trasmissione dei valori. La storia è in questo confronto un deposito di società condannate all’oblio. La memoria è assoluta, viva, inconsapevole sempre in evoluzione, soggetta a manipolazioni e all’amnesia; la storia è una rappresentazione parziale e relativa del passato, la «delegittimazione del passato vissuto» (p. XX). Da qui la necessità

di creare dei luoghi della memoria dove esprimere la commemorazione ritualistica del passato (ad esempio archivi, celebrazioni, anniversari), riconoscendo così che non esiste più una memoria spontanea, ma difendendo al tempo stesso la memoria dall’assalto della storia, che potrebbe impadronirsi dei luoghi.96 L’ansia di fronte alla perdita della memoria porta alla moltiplicazione delle testimonianze, all’accumulazione di ogni genere di tracce del passato condiviso, all’ansia archivistica e all’imposizione di un dovere di ricordare. Alla memoria-archivio e alla memoria-dovere si aggiunge la memoria-distanza: da un passato visibile, in cui si riconoscono le origini del presente, ad un passato invisibile, un passato vissuto non più come continuità ma come frattura: non si vedono più le origini ma si riconosce una nascita, una cesura da cui il presente riparte. Ciò va inteso come la ricerca

96 I luoghi della memoria sono prodotti dall’intersezione e dall’interazione di storia e di memoria e sono

112

dell’identità «non come genesi la decifrazione di ciò che siamo alla luce di ciò che non siamo più» (p. XXXIII).

Anche nella Cina postmaoista la percezione e la consapevolezza pubblica di una cesura storica, oltre alla riapertura della riflessione intellettuale e pubblica sulla storia, permisero la percezione del passato non solo come registrazione annalistica degli eventi ma soprattutto come raccolta di un patrimonio di esperienze personali che da sempre erano state sopraffatte dal megafono del potere e della storiografia ufficiale. La letteratura in questo progetto, come già aveva fatto Lu Xun con il Kuangren riji, giocò un ruolo fondamentale nel salvare la memoria dalla storia: «[…] in effetti, non si è mai conosciuto altro che due forme di legittimità: storica e letteraria» (p. XLII). Se la storia in Cina cerca di comporre un percorso

teleologico ed evoluzionistico verso l’identità nazionale e la modernità attraverso il culto del cambiamento, la memoria conserva in un tempo ciclico e in una dimensione naturale il patrimonio culturale condiviso. Se nel Quattro Maggio e nel periodo socialista la scrittura della storia era mossa dalla costruzione di una continuità dal passato al presente per giustificare il progetto politico del presente, dagli anni Ottanta emergono piuttosto due tendenze: una è la mitologia del mercato globale e l’altro è il «polo della memoria» (Wang Ban 2004). Il tema del trauma in questa dialettica viene interpretato diversamente: se per la storia può essere superato e liquidato in nome del progresso, per la memoria esso persiste e anzi anche il presente glorioso delle riforme diventa fonte di nuovi traumi e sofferenze. Gli eventi traumatici e la loro rievocazione possono spezzare l’attaccamento emotivo alla comunità di appartenenza e la «matrice di significati condivisi» (Wang Ban 2004) che la sostiene e denunciare anche la crisi della storiografia. Per questo motivo spettava alla letteratura, al cinema e all’arte mantenere vivo il ricordo, per poter preservare ciò che dal passato al presente poteva andare dimenticato, conducendo al tempo stesso una critica al presente, rifiutando l’illusione di una facile guarigione collettiva dai traumi del passato, recente e più remoto, e affermando il valore di strutture di significato lontane da quelle ufficiali dominanti con cui poter dare conto di tutta l’eccezionalità e la vastità del trauma. Questa duplice tensione, fatta di ricapitolazione del passato traumatico e di critica ad un presente materialista ed edonista ha ispirato la definizione di Choy (2008) di «retro-fiction» per comprendere insieme le narrative storiche del periodo denghista preoccupate di contrastare l’interpretazione storica del discorso ufficiale. Se la storiografia ufficiale spiegava i disastri del passato come incidenti che potevano essere perdonati per poter andare verso il futuro, i romanzieri della nuova narrativa storica sostenevano piuttosto che le catastrofi provocate dall’utopismo, dall’insipienza e dalla megalomania umana erano

113

connaturate alla stessa ricerca della modernità. Per questo si temeva che le stesse tragedie potessero nuovamente ripetersi sotto l’ulteriore spinta della globalizzazione.

La denuncia dell’ordine simbolico del maoismo come definitivamente tramontato nel periodo successivo alla Rivoluzione Culturale e la riscoperta della soggettività e dell’esperienza individuale della storia portano a concepire una profonda distanza fra la successione oggettiva degli eventi e il loro racconto, libero ormai dal determinismo storico marxista e da un’interpretazione necessariamente collettiva. Il conflitto fra individuale e collettivo produce la decostruzione del realismo e della sua attendibilità e crea narrative della crisi che dimostrano anche nella forma, nella struttura e nel punto di vista distorsioni e fratture prodotte dall’irrazionalità e dall’illogicità come paradigmi alternativi. In questo modo si approfondisce enormemente la distanza fra il racconto oggettivo e ufficiale della storiografia e un a versione alternativa fondata sulla memoria, soggettiva e creativa, tipico della letteratura e dell’arte. Questo racconto, poi, non è fine a sé stesso ma finalizzato a svolgere una missione sociale: il recupero cioè di un’esperienza totale del passato, affettiva ma anche estetica, tenendo anche conto delle scosse psicologiche che essa provoca e ricomponendo la distanza fra individuale e pubblico, così da superare la paralisi e l’«atrofia dell’esperienza che in Cina era dovuta ad una storia condizionata dal trauma e da una politica culturale autoritaria» (Wang Ban 2004, p. 103). Per questo il corpo è spesso al centro di queste narrative: esso è la superficie sulla quale restano impresse le ferite della storia, è il mezzo per conoscere profondamente quanto la mente non riesce a razionalizzare ed è lo strumento per realizzare il desiderio di liberazione. Quindi non è solo oggetto della violenza storica, ma anche forma fisica di un soggetto attivo, che spesso si accorge delle proprie possibilità proprio attraverso la coscienza della propria corporeità.

Se la memorialistica relativa ai campi di prigionia può vantare una grande autorevolezza storiografica, le versioni romanzate della propria esperienza della prigionia nei laogai, condividendo i propri ricordi con il lettore e ricordandogli anzi il dovere della memoria, lo mette di fronte alla propria responsabilità e lo costringe a pensare a quel che egli avrebbe fatto e a come si sarebbe comportato nelle stesse circostanze.97 Anche se la natura letteraria dell’opera può sminuirne il valore storiografico e l’«effet épatant» (Williams, Wu 2004, p. 157), sicuramente può dare all’esperienza della prigionia e alla repressione politica estrema un significato metaforico per rappresentare la condizione moderna della Cina e offrire un

97 Molti autori sentono il dovere di conservare la memoria degli eventi più tragici, soprattutto della carestia del 1959-1962.

Un esempio di un autore che volutamente raccoglie i ricordi più dolorosi della prigionia esplicitamente per creare un futuro migliore è Wang Ruowang (Mühlhahn 2004).

114

profondo ripensamento della vita nell’epoca turbolenta, dispotica e crudelmente utopica del Novecento cinese.

La detenzione nel campo di lavoro viene spesso vissuta o quanto meno descritta nei termini di un’esperienza religiosa o come un percorso di conversione secolare dai contorni religiosi, anche per poter così dare un senso alla natura estrema del trauma. Spesso in Zhang Xianliang sono evidenti termini esplicitamente tratti dal cristianesimo e dal buddhismo per descrivere la propria storia di perseguitato e di martire politico e intellettuale sottoposto ad una prova tanto dura da poter essere spiegata solo come iniziazione ad una verità superiore degli altri esseri umani. Per dare ulteriormente senso a tale esperienza, queste verità apprese nella sofferenza sarebbero dovute essere rivelate ai propri simili dopo la liberazione, per poter spiegare il senso di un periodo difficile per tutti ma che non tutti potevano o sapevano razionalizzare e spiegarsi, recuperando ancora una volta il ruolo di coscienza del popolo. La stessa perdita di ogni valore morale e del senso di umanità che spingeva i detenuti a concepire il prossimo come un nemico nella lotta per la sopravvivenza era la stessa logica che stava dominando la Cina al di fuori dei campi. La fame e ogni altro bisogno fondamentale erano spinti all’estremo, così da indebolire il senso morale dei prigionieri e meglio assoggettare la volontà degli individui. Sottoposti a tale sottomissione gli esseri umani erano privati della loro identità soggettiva, dei loro pensieri e delle loro emozioni e divenivano simili a bestie, abbandonandosi alle azioni più riprovevoli. Questa situazione, oltre a descrivere tutta un’epoca, in particolare la grande carestia provocata dal Grande Balzo in Avanti, era forse anche un memento per la Cina del nuovo boom economico a non cedere troppo facilmente alla brama di possesso dimenticando i valori più profondi della natura umana. Immersi in un ambiente disumano e crudele è comprensibile che scrittori ancora dotati di sensibilità poetica cercassero rifugio nel mondo naturale, con il quale trovare la trascendenza e la libertà dal mondo della pura e opprimente necessità, che ora era paradossalmente quello umano (Kinkley 2006, pp. 86-87). La retorica dell’illuminazione religiosa, del resto, può essere intesa come forma di resistenza alla forzata conversione ideologica e psicologica dei detenuti da parte delle autorità: Zhang Xianliang dichiara ironicamente di essersi convertito al marxismo durante la prigionia e questo sembra quasi confliggere con il fatto che la conversione dovrebbe essere libera e spontanea e non obbligatoria. Comunque, è molto probabile, come racconta in particolare nel romanzo «Mimosa» Lühua shu 绿化树 (1984) che la sua conversione al marxismo fosse sincera ma anche polemica nei confronti della versione maoista del verbo marxiano.

115

Anche se il laogai viene da alcuni vissuto come esperienza di conversione, solitamente i reduci della rieducazione fanno soprattutto attenzione agli aspetti etici e sociopolitici della detenzione, riflettendo in questo le fondamenta secolari (e confuciane) dell’etica nella cultura cinese (Williams, Wu 2004, p. 163). Per questo gli autori puntano spesso sulla necessità di rifondare la moralità e prendono su di sé la missione di ricostruirne le basi dopo gli eccessi del maoismo. Anche Todorov (1992), analizzando geli effetti della detenzione nei campi di concentramento nazisti e sovietici, sottolinea il bisogno di conservare l’idea della morale e dei rapporti intersoggettivi per opporsi alla disumanizzazione del lager e del

gulag, espressione estrema di regimi totalitari fondati sul terrore e sulla violenza, che

sopprimono nell’individuo la «volontà intesa come movente delle sue azioni» (Todorov 1992, p. 277).

A questo punto il laogai serve a sottomettere non solo coloro che vi sono rinchiusi ma tutta la società, frantumata dal terrore generalizzato che spinge i singoli a sospettare e a temere perfino i membri della propria famiglia. In una situazione in cui tutti i legami di solidarietà e di affetto sono aboliti il potere dello Stato diventa effettivamente totale e si insinua nella sfera dei sentimenti e nei pensieri più segreti di coloro che non sono più individui ma sudditi obbedienti. Per questo il ricordo della prigionia, e ancor più la sua formulazione letteraria, serve anche come antidoto alla perdita della soggettività e come terapia collettiva per il recupero dei valori fondamentali dell’identità e della dignità umana. I temi dell’abiezione, dell’abbrutimento e della degenerazione dell’individuo attraverso la fame e la paura sono una costante nei racconti dei sopravvissuti dei laogai e mettono in guardia di fronte al rischio di perdere la propria natura umana e ridursi ad uno stato ferino e bestiale. In Zhang Xianliang vedremo in particolare come la fame rappresenti il principale pericolo per la perdita del senso di sé, che colpiva più acutamente gli intellettuali, psicologicamente e fisicamente meno preparati ad affrontare le difficoltà materiali e i suoi effetti degradanti. La fiducia umanistica nei propri simili che gli intellettuali ancora conservavano venne duramente scossa dall’esperienza della prigionia ed essi divennero spesso le vittime predilette non solo delle guardie, ma anche dei detenuti comuni. Una delle ragioni per cui Zhang Xianliang tenne addirittura un diario – sebbene in una forma talmente scarna e oggettiva da non poter destare sospetti – era un tentativo catartico, attraverso la scrittura, di conservare l’attaccamento alla propria identità di intellettuale (Williams, Wu 2004, p. 171). In questo modo era possibile per lui riuscire a tenere insieme in modo coerente il proprio passato, il presente e la speranza per il futuro.

116

Il potere e l’importanza della memoria sono uno dei temi fondamentali dell’opera di Zhang Xianliang, oltre a rappresentare per lui la stessa creazione letteraria, il cui fine è proprio il perfezionamento morale degli esseri umani e il recupero del senso di umanità e di solidarietà.

[…] 想象力, 说到底就是记忆力的高度爆发。[…] 文学本身是使人善良起来的事 业。……所以, 最重要的, 是对人、对社会、对人生、对生活, 抱着一种同情的、热 爱的、谅解的、宽恕的、善良的态度。

L’immaginazione alla fin fine non è altro che l’esplosione massima della memoria. […] La letteratura in sé è un’attività volta al miglioramento morale delle persone… perciò la cosa più importante è adottare un atteggiamento di compassione, di amore, di comprensione, di tolleranza e di gentilezza nei confronti delle persone, della società, della condizione umana e della vita (Zhang 1987a, pp. 91-93).

Tutti questi valori umanistici erano andati perduti nel periodo maoista in nome della lotta di classe; nella Nuova epoca il compito della “rieducazione” collettiva venne assunto dagli intellettuali, intenzionati a fare la propria parte per cambiare la società e superare la