Patrizia zaMBon
De Marchi, nel 1881, come noto, nel fiorentino «Giornale per i Bambi- ni», quella di Collodi intenta a firmare le puntate di Le avventure di Pi-
nocchio… – quali il «Giornale delle Fanciulle» (1864-1871) del ‘suo’ edi-
tore Lampugnani, l’editore del quindicinale «La Ricamatrice», nel quale Percoto pubblica alcuni dei suoi testi significativi – l’intero Il giornale
di mia zia, alcuni dei racconti, il primo gruppo degli Scritti friulani –
negli stessi anni in cui vi opera, appunto, Ippolito Nievo; l’editore an- che del Verga esordiente con quella Storia di una capinera che, com’è ben noto, a Percoto è dedicata; delle edizioni in volume dei Racconti-
ni per le fanciulle si dà peraltro dettagliatamente conto alle pp. lXv-vii.
I Racconti di pieno titolo sono trentuno. Estesi tra 1844, anno in cui, su «La Favilla» di Trieste, compaiono Il vecchio Osvaldo, Il refratta-
rio, e altro ancora, e il 1863, anno di edizione, nel genovese «La Donna
e la Famiglia», di L’amore che educa, furono, vivente l’autrice – ma, a quanto ci è noto, non sempre conformemente al suo desiderio – strut- turati nel fondamentale volume dei Racconti, Firenze, Felice Le Mon- nier, 1858; nella controversa nuova edizione aumentata, Genova, Ed. «La Donna e la Famiglia», 1863; nei due volumi delle Novelle scelte, Mi- lano, Paolo Carrara, 1880 e nelle Novelle popolari edite e inedite, pub- blicate dallo stesso editore a Milano nel 1883.
A volte, raramente, sono bervi racconti dal respiro di bozzetto; per numerosi altri titoli si tratta invece di testi estesi e complessi, com’è nell’uso del Romanticismo mediottocentesco – si pensi ad alcuni dei te- sti del Novelliere campagnuolo nieviano – e come sarà, in fondo, per il vero e proprio genere del racconto lungo/romanzo breve, che ha una storia riconoscibile nella narrativa della modernità: genere con una sua specifica vicenda già primottocentesca – si veda, ad es., quell’assai inte- ressante romanzo (breve) che è l’Eurosia di Angela Veronese, del 1836, precoce storia domestica di narrazione «contemporanea» – e che avrà poi una sua peculiare espressività nella letteratura del medio Novecen- to, con i romanzi brevi/racconti lunghi di Silvio D’Arzo, ad es., nei quali la singolarità della misura è elemento strutturante fondamentale a soste- nere la concentrata individualità estetica del testo (oggi, poi, può avve- del primo traguardo unitario, la generazione di Scapigliatura, intendo, è
senz’altro degna di interesse, non foss’altro proprio per quella doman- da di rinnovato senso che la connota e la caratterizza. Ma ben degna di rilievo e interesse era stata certamente prima anche la generazione at- tiva negli anni cinquanta del secolo, quella di Ippolito Nievo e di Cate- rina Percoto, gli scrittori che vissero in prima persona e di pieno petto – non nei prodromi, non negli esiti – gli anni centrali, drammaticamen- te fattivi, del Risorgimento d’Italia. Due scrittori basilari, quindi, e dav- vero cronologicamente non sostituibili, della storia letteraria dell’Otto- cento italiano.
Nella prestigiosa collana di «I Novellieri Italiani», della Salerno Edi- trice, è stato ora edito, vol. 72/1 (il n. 2 raccoglierà i racconti di Luigia Codemo) il volume dei Racconti di Caterina Percoto, curato, con atten- to scrupolo filologico e storiografico, da Adriana Chemello. Finalmente la produzione di narrativa breve – che è poi la tipologia narrativa più autentica e propria, ricca di titoli, nell’insieme della sua opera – dell’au- torevole scrittrice mediottocentesca è leggibile così in sequenza com- pleta e distesa.
Si tratta di 738 pp. di testi commentati, ai quali si affiancano, con la riedizione anche del testo della prefazione Ai lettori stesa da Niccolò Tommaseo per l’edizione Le Monnier del 1858, un corposo saggio in- troduttivo (pp. iX-liv), la nota biografica, nota bibliografica, nota ai testi,
l’apparato delle correzioni, l’indice delle note linguistiche: tutti gli appa- rati, insomma, che accompagnano e insieme segnalano un lavoro filo- logicamente redatto e destinato a costituire una pietra miliare nella sto- ria editoriale e letteraria dell’opera di Caterina Percoto.
Chemello raccoglie il corpus dei racconti percotiani per adulti; lascia quindi estranei alla raccolta i “raccontini” scritti per il pubblico giovani- le dalla scrittrice friulana, attiva a suo tempo anche su riviste dedicate alle giovinette – c’è tutto un appassionato campo di editoria periodica per i ragazzi, i fanciulli, come si diceva allora, che è attiva nella secon- da metà del secolo, sulla quale avviene di incontrare ‘firme’ di indubbio interesse, quella di Eva Cattermole, ad es., di Maria Torriani, di Emilio
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licof, I gamberi, La moglie, L’album della suocera. Anche Caterina Per-
coto riceve oggi, giustamente, un’attenzione precisa nei percorsi di let- tura che ricercano perspicuamente (e con così importante ragione) di conoscere la storia letteraria italiana nel percorso culturale e artistico di entrambi i generi che la costituiscono, la linea d’autore in dialogo e re- lazione con la linea d’autrice (e viceversa), quindi.
Ma se devo qui indicare una tipologia specifica di Percoto narratrice che ho trovato di straordinario interesse, indico i racconti ‘storici’ come
La coltrice nuziale, La donna di Osopo, Il bastone: Percoto è, e non lo
sapevo, uno dei più densi narratori/narratrici del nostro Risorgimento. Questi suoi racconti – ma La coltrice nuziale ha il respiro narrativo di uno di quei ‘romanzi brevi’ di cui si è detto – formano uno dei testi del romanzo risorgimentale più determinato, puntuale, originale, preci- puo, che mi sia capitato di leggere. Il racconto risorgimentale non è in Italia cosa comune. Certo c’è una narrativa risorgimentale di alta esten- sione e distesa motivazione, quella che già ho evocato parlando di pro- dromi e che sostiene la vicenda del romanzo storico: la storia-emblema di d’Azeglio (e quella aggravata, ideologica di Guerrazzi), anche quella riflessiva e dislocata di Manzoni, volendo, quella figurativa e sentimen- tale di Grossi. Certo combattono Le mie prigioni di Pellico, e a modo loro – modo irripetibile! – Le Confessioni d’un Italiano nieviane. Ma il racconto, il racconto vero e proprio delle vicende, quotidiane, delle battaglie e degli episodi del Risorgimento, se lasciamo in parentesi l’ir- ripetibile Nievo, dove sta?
Il racconto, si badi bene, non il diario o l’autobiografia d’emozione di Abba (con le Noterelle d’uno dei Mille Da Quarto al Volturno, 1866), di Alberto Mario (La camicia rossa, 1865), di Giuseppe Bandi (I Mille, 1872) e degli altri memorialisti, o di Garibaldi stesso.
I racconti narrativi del Risorgimento che mi vengono in mente sono tutti posteriori alla stagione risorgimentale, sono opere della stagione letteraria che seguirà: la battaglia di Inkerman in Una nobile follia di Tarchetti (1867); quella di Custoza nel Senso di Boito (1883); i fatti di Bronte nella Libertà di Verga (1882); e mettiamoci pure i racconti re- nire che il respiro del racconto lungo sia tout court la forma-romanzo:
Alessandro Baricco, Erri De Luca…). Un paio d’anni fa, sempre Adria- na Chemello ha realizzato una bella edizione, commentata, in testo sin- golo di La sçhiarnete. Un racconto friulano, a cura di Adriana Chemel- lo, Padova, Il Poligrafo, 2009, dando così tangibile, e persuasivo, conto dell’individualità di un testo che può adeguatamente avere edizione – pratica e fruibile ad un ampio pubblico: si tratta di un accurato volu- metto di 122 pp. – singolare e insieme dotata di senso.
Caterina Percoto è certamente nella percezione comune scrittrice ru- sticale. Ed è vero, è così. Racconti come Lis cidulis, Prepoco, Il cuc, Il
pane dei morti, La festa dei pastori, La fila, diversi altri ancora, radica-
ti come sono nella figurazione friulana e popolare, anzi proprio conta- dina, hanno indubitabilmente la loro collocazione in un genere, come quello rusticale, che li attraversa con ragioni tematiche e su ragioni sti- listiche, e ne permette una configurazione riconoscibile, e in fondo or- mai anche ben storicizzata, nelle dinamiche di svolgimento della nar- rativa italiana di medio secolo: si vedano gli studi di Iginio De Luca, di Piero De Tommaso, di Arnaldo Di Benedetto, di Marinella Colum- mi Camerino, altri ancora. Caterina Percoto, poi, nel genere, è da porre a livello alto; al livello di Nievo, per intenderci; certamente più alto di quello di Dall’Ongaro, di Codemo, di Carcano, di Ravizza. Con la par- ticolarità, Percoto, anche, come ben rileva Chemello, di un’attenzione sociale e di una chiarezza civile d’intenti, di una vicinanza di stima au- tentica e di rispettosa cordialità ai valori etici e quotidianamente uma- ni della ‘povera gente’, che non è poi così diffusamente ben esercita- ta, nemmeno nella letteratura rusticale; il tenore non è uniformemente controllato, ma sono poche le vere e proprie sbavature patetiche, gli slittamenti paternalistici o ingiustificatamente di maniera.
Ci sono poi i racconti di società; i temi di una socialità femminea e femminile che si racconta nei suoi riti, nei comportamenti, nelle menta- lità, nelle attese dei ruoli famigliari e nelle costrizioni delle convenzioni condivise; non da ultimo, nella messa in discussione dei principi con- venzionali o stereotipici, a volte costrittivi, che la reggono: come in Il