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Il grande amico: ricordo del poeta Giuseppe Piccol

(Verona 5 aprile 1949 - Napoli 28 febbraio 1987)

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Bollettinodella Società letteraria

371 Il luogo dell’inedito

ro che tutti coloro che amano la sua poesia potrebbero, avrebbero vo- glia di farlo, così è toccato anche a me.

Io però vorrei finirla qui, e parlare più seriamente della sua poesia, tecnicamente, strutturalmente, come si fa con le istruzioni per l’uso di certe macchine e certe scoperte, di certi strumenti che servono alla cre- scita dell’intelligenza dell’uomo, alla sua emancipazione spirituale, alla consapevolezza della fatica che si dura a realizzare questi lavori.

Ma… Mi piacerebbe, ma sono pigro. Ad ogni modo, tenterò di farlo. Tenterò di usare le parole per descrivere il suo travaglio, la sua “sma- nia” di infilarle una dietro l’altra nella tessitura assidua e precisa del- le visioni, delle torture, degli slanci luminosi dei suoi versi, come, ad esempio, in “Luce del giorno”, che riporto qui, prima di parlarne:

Luce del giorno,

attenta al trepidare delle foglie attorno alla fontana.

Il cielo si rivela a poco a poco e noi portiamo l’annuncio di una vita nuova. Così qualcuno scompare, altri appaiono

tra le colline azzurre e la città

e, mago cosciente del mio perduto dolore e del tuo,

la noia vince la pigrizia per salutarci in nome del sole.

La prima immagine è la luminosità del giorno, ciò che il poeta desi- derava di più. L’ampiezza della luce, il suo onesto chiarore, la sua pro- messa di pace. “Luce del giorno”, l’apertura, la sua dedica nel corpo della poesia, “attenta” alla presenza della natura, le foglie sulla “fonta-

na”, la presenza lieve dell’uomo tra le foglie. Ecco il “cielo” che ci appa- re un po’ alla volta, mentre noi testimoniamo un’altra novità della vita. E, in questa realtà, tra colline e città, “qualcuno scompare, altri appaio- no”, e intanto, o mago consapevole del nostro “perduto dolore”, la noia della pace vince la pesante pigrizia, e ci ravviva “in nome del sole”.

Vorrei proporre un altro tentativo di parafrasi di una poesia, an- che questa senza titolo, che segue la prima in questo gruppo di liri- che inedite.

Tu sei grano giovane che abbonda di dolcezza, sei anima sottile.

Come di luce d’ombra ti rivesti sorpresa così resta sospesa e prigioniera la mia attesa di te.

Come conoscenza invecchia così renditi pura

dalla polvere dei libri e afferra

quel che di santo e giusto possiede la terra.

“Tu sei grano giovane” è anche qui il primo verso che potrebbe, come nella poesia precedente, fungere bellamente da titolo. Questo “grano dolce” è ovviamente la sua donna, la sua donna mentale, il suo sogno di donna, il suo follemente amato femminino. “Sei anima sotti- le”, la silhouette dell’anima, piena di dolcezza (e, vista la grande e “sot- tile” religiosità del poeta, si potrebbe pensare a una citazione: “piena di grazia”) che si attornia di luce e di ombra mentre la sua attesa di Lei, in lui rimane sospesa e prigioniera. “Renditi pura” come la conoscenza che invecchia, pura, spazzando via la polvere della scienza, e prenden-

dosi ciò che la terra possiede di santo e di giusto.

Mi sembra che bastino queste due poesie, faticosamente parafrasate dal mio pigro cervello, ad illustrare la sottigliezza del dettato di Picco- li. Ora non mi resta che presentare altri pochi inediti per confortare ed illustrarne la purezza, la profondità, e la verità delle sue poche gioie e dei suoi molti dolori che, come uomo, sofferse nella sua breve vita, e come poeta esaltò nel loro massimo fulgore.

Una manciata di inediti (a cura di Arnaldo Ederle) O Padre

O Padre,

in te restiamo qualche volta, e qualche volta ci allontaniamo. Le mie mani ferite

il mio costato i piedi sanguinanti e le spine,

eccomi tuo per essere qualcosa che un poco va tra nubi e tra zolle anticamente presa, e poi riposa. Terra perduta Terra perduta come ti ritroveremo? Come saluteremo il tuo saluto? In lutto le stelle

fissano la nostra avventura.

Io, nella tunica,

affido al vento la purezza. Tra rimorso e perdono c’è ancora peccato per noi,

fragile preghiera.

Nell’uovo della nascita

Nell’uovo della nascita la resurrezione ci aspetta, ma noi, mortali,

alla cerca della Persona, eccoci giunti a chiedere: di noi si compia

la tua volontà, e strappaci dalla terra e salvaci dal fuoco

ché siamo stati poca polvere in questo mondo,

arcana poesia.

Fanciulla che non m’aspetti

Fanciulla che non m’aspetti, trema il mio corpo di carta e la mia saliva è secca e non posso parlarti.

Come attorno s’è fatta sapiente la vita insonne di chi attende un segno o una rivolta, una casa crollata un tradimento d’amore.

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Bollettinodella Società letteraria

Ma la vita che si compie s’attarda a consumare l’ora perfetta.

L’anello perduto

L’anello perduto l’ha scoccato l’ora dell’arrivederci deluso, non più come uomo o donna ma come ombre e fantasmi. Risorgi, dunque!

alla tua patria, alla tua casa. Più nessuno risponde

alla luce che in cerca si consuma e vasti cieli obbediscono

a un sogno non riflesso.

Bibliografia

Giuseppe Piccoli ci lascia un corpus di poesie che sono probabilmente fra le

più belle e intense del nostro novecento veronese. In vita pubblicò Di certe

presenze di tensione, Milano, Guanda,1981; Foglie in “Almanacco dello spec-

chio 1983”; Postumo a cura di Armando eDerle è apparso Chiusa poesia del-

la chiusa porta, Verona, Bertani, 1987. Una scelta delle sue liriche è apparsa

in Maurizio cucchi, Fabrizio GiovannarDi, Poeti italiani del secondo novecen-

Nel corso dell’anno 2012 la Società Letteraria per generosa donazione dei soci Giorgio Nobis e Ernesto Guidorizzi, ha arricchito le sue colle- zioni librarie con il fac-simile del preziosissimo Breviarium secundum

consuetudinem Romanae curiae, il cui originale è conservato a Vene-

zia, presso la Biblioteca Nazionale Marciana. L’edizione fac-similare è edita dalla Casa Editrice Salerno di Roma, sotto l’alto patronato del Pre- sidente della Repubblica, ed ha un valore di mercato di diverse miglia- ia di euro. Si tratta di un volume di grande formato, composto di 1670 pagine, rilegato in velluto di seta rosso montato su tavolette lignee, per- fettamente riprodotto rispetto all’originale e la cui tiratura mondiale è di soli 750 esemplari numerati.

Il codice, noto come «Breviario Grimani», è indiscutibilmente uno dei massimi, se non il massimo capolavoro dell’arte della miniatura fiamminga del Rinascimento. Di committenza incerta, posseduto da Margherita d’Austria, venne acquistato intorno al 1520, per ben 500 du- cati d’oro, dal Cardinale Domenico Grimani, che, lasciandolo in eredi- tà alla Serenissima Repubblica di Venezia, vincolava il lascito alla con- dizione che il codice venisse “mostrato solo a persone di straordinario

riguardo e in circostanze eccezionali”.

Caratteristica straordinaria di questo codice è non soltanto il numero e la qualità delle miniature a piena pagina, ma la scelta dei temi estre- mamente varia e suggestiva, con alternanza di soggetti religiosi e laici,