Gli anni Trenta
62. A Feletti Spadazzi, Tra San Romano e Porta
Reno: zona infetta da demolire, in «Rivista di
Ferrara», a. ii, n. 3, mar. 1934, p. 118.
63. Ibid. 64. Ibid.
Figura 13. Via Cammello a Ferrara nei pri- mi anni Cinquanta (foto A. Villani)
Il Dopoguerra
Il dibattito architettonico e culturale nella Ferrara degli anni Cinquanta e Sessanta: il ruolo dell’Amministrazione comunista
Come per altre città italiane gravemente danneggiate dagli eventi bellici, anche a Ferrara gli anni immediatamente successivi al termine del secondo conflitto mondiale furono un periodo di grande difficoltà economiche e sociali che si rispecchiavano nella lenta attività di ricostruzione dell’edilizia privata, ferma – ancora nel 1951 – a meno della metà dei vani ripristinati rispetto a quelli ancora danneggiati.65
Sul fronte dell’edilizia comunale, invece, l’amministrazione ferrarese si prodigò immediatamente sia a livello normativo (dando avvio all’elaborazione del Piano di Ricostruzione e del Piano regolatore generale) che a livello puntuale recuperando, negli stessi sei anni prima considerati, la quasi totalità dei fabbricati pubblici danneggiati e costruendo e progettando di realizzarne altri insieme a cui si sarebbero affiancate nuove case popolari e opere infrastrutturali.
Tralasciando gli avvenimenti che riguardarono l’ampliamento della città fuori le mura e la sua zona industriale – peraltro molto importanti ed esemplari prima della «rinascita»66 della città e poi del boom economico
che coinvolsero anche Ferrara nel Dopoguerra – e dedicandosi invece solamente a ciò che avvenne all’interno della città murata, è da notare che, benché rispetto al Ventennio fascista ci fosse stato un rinnovamento della classe politica e la successiva vittoria alle elezioni amministrative 65. Comune di Ferrara, Sintesi dell’attività svolta
dall’amministrazione democratica dal 15-IV-1945 al 31-XII-1951, Tipografia Luigi Parma, Bologna
1952, p. 51.
del Partito Comunista Italiano, vi fu tuttavia una certa continuità con le esperienze di progettazione urbana e architettonica condotte prima della guerra.
Questo risulta particolarmente significativo se si osserva la figura di Carlo Savonuzzi, impegnato a vario titolo fin dal 1926 negli uffici comunali, che diventò Ingegnere Capo del Comune di Ferrara nel 1947. Egli si occupò della progettazione dei nuovi strumenti urbanistici della città (lavorando insieme a Giovanni Michelucci e a Renzo Sansoni) nonché della progettazione di svariati edifici pubblici e di case popolari sia a Ferrara che nella sua provincia: sia per mole di lavori che per omogeneità di risultati, Savonuzzi è stato senza alcun dubbio, colui che con la sua attività ha contribuito maggiormente a definire il volto di Ferrara anche nel Dopoguerra e fino al suo pensionamento (1962). Eredità del Regime fascista che caratterizzò anche il Dopoguerra furono i lavori di risanamento del quartiere di San Romano il cui lotto prospiciente a piazza Trento e Trieste fu progettato da Marcello Piacentini. L’inaugurazione di questo palazzo (1956), sorto sull’area del palazzo della Ragione progettato da Giovanni Tosi nel 1831-40 e ridotto a rovina nel 1945, scatenò una feroce polemica sia a livello locale che sulla stampa nazionale portata avanti in prima persona da Bruno Zevi impegnato in quegli anni nello studio dell’opera di Biagio Rossetti. Questa polemica ben esemplifica quella frizione che si era formata tra le volontà dell’Amministrazione guidata dal sindaco Balboni e i lavori ereditati dal Fascismo; l’Amministrazione comunista si trovò nell’ambigua posizione di difendere lo sventramento del centro urbano (accampando motivazioni peraltro non molto diverse da quelle impiegate dal Regime)67 e dall’altro di promuovere iniziative tese alla sua
tutela e al contrasto della speculazione edilizia.
Anche a Ferrara, come del resto in tutte le città italiane, la ricostruzione portò con sé i meccanismi della speculazione che alterarono l’immagine del centro storico, tuttavia in misura però tutto sommato contenuta. Durante gli anni Cinquanta, ricorda Pier Carlo Santini sulle pagine di
Comunità, insieme al grattacielo Ar. An. (1957-58) furono costruiti i
sei piani della casa di Via Montebello, i sette dell’albergo San Giorgio, in cinque della casa popolare in via del Carbone, la mole (piacentiniano obbrobrio) prospiciente su Piazza del Duomo; e la lista potrebbe allungarsi.
Nonostante queste ed altre nequizie, Ferrara conserva la sua organica unità, anche
se la continuità di un contesto quanto mai serrato e caratterizzato sembra talvolta 67. Cfr. S. Romano e il “Piano Regolatore” in Con-
Parte seconda. Il dibattito architettonico e culturale nella città di Ferrara
interrompersi. Una situazione, insomma, per nulla compromessa; una città da questo punto di vista fra le più fortunate d’Italia.68
Questi rari episodi furono però l’occasione per l’amministrazione comunale per promuovere studi sul centro storico della città con una finalità sia educativa che utile a preservare l’immagine e il volto della città. A livello di lettura urbana, è da ricordare che il Piano regolatore generale adottato nel 1957 ma in corso di studio fino dal 1946 leggeva la struttura dell’Addizione erculea come «un fatto nuovo, il quale ha influito per secoli sullo sviluppo della città e fa sì che ancor oggi non si debbano lamentare quelle insopportabili difficoltà che la moderna organizzazione della vita fa sentire in quasi tutti gli altri luoghi»;69 la
capacità di assolvere alle esigenze della moderna organizzazione della
vita, per la quale l’Addizione Erculea poteva essere paragonata ad un
moderno piano regolatore secondo i progettisti del nuovo piano risiedeva nella possibilità da parte dell’assetto urbano di assecondare i problemi del traffico veicolare, della densità abitativa e della distribuzione della popolazione;70 questa lettura fu il motivo principale (insieme a una
speculazione edilizia non così incalzante) per il quale la compagine storica della città – perlomeno quella dell’Addizione – non subì ampie trasformazioni (previste invece nel corpo della città medioevale).
In risposta, tuttavia, alla mancanza di provvedimenti efficaci all’interno del Piano regolatore generale per la salvaguardia del centro storico, l’Amministrazione Comunale e in particolare il Comitato cittadino per le manifestazioni culturali ed artistiche promosse due importanti occasioni di studio della città rinascimentale «con intenzioni polemiche nei confronti dei responsabili della Divisione Lavori Pubblici e Piano Regolatore»:71 lo studio dell’opera di Biagio Rossetti (affidato a Bruno
Zevi all’interno del più ampio studio sul Rinascimento ferrarese) e l’organizzazione del Convegno sull’edilizia artistica ferrarese del 1958 e che rappresentarono, in buona sostanza, una traduzione in chiave democratica delle letture celebrative e del mito estense svolti sugli stessi temi durante gli anni Trenta. Queste iniziative, che continuavano lo studio dell’arte rinascimentale ferrarese anche sull’onda del mito dell’Officina longhiana, insieme a collane editoriali di largo respiro promosse sia dal Comune (e da Mario Roffi in particolare, anima del Comitato cittadino per le manifestazioni culturali ed artistiche), che dalla Cassa di Risparmio di Ferrara,72 rappresentano nel loro insieme i