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Problemi della moderna composizione architettonica negli ambienti storici e nel restauro

dei monumenti

Conservazione, restauro, riattamento, rifacimento, nuova architettura.

L’intervento sulle architetture del passato nel centro storico di Ferrara

Quando Ernesto Nathan Rogers intervenne al convegno dell’Istituto Nazionale di Urbanistica del 1957 sulla Difesa e valorizzazione del

paesaggio urbano e rurale avvertì la necessità di una riflessione

preliminare a ogni processo di progettazione di un ambiente: «Si tratta – afferma Rogers – di chiarire in noi il senso della storia».149 La

problematica che questi sollevava puntava a ridefinire in prima istanza la cultura dell’azione urbanistica e architettonica rispetto al tempo; egli cercò di risolvere il dualismo tra antico e moderno attraverso l’«essenza della tradizione»,150 la continuità.

Analoghi temi, caratteristici del dibattito del Dopoguerra, sono indagati da Piero Bottoni in tutta la sua opera e in particolare nei progetti per la città di Ferrara tra il 1932 e il 1970 con un’attenzione rivolta più all’indagine sulla realtà del progetto che sul piano teoretico.

Essi rappresentano un tentativo di risposta ad una domanda ricorrente che caratterizza il dibattito architettonico italiano tra le due guerre e del Dopoguerra; ricca di «ambigue ed affascinanti contaminazioni»151

o frutto di un’«interpretazione “arcana”»,152 la relazione tra storia e

modernità è in ogni caso – e soprattutto nell’accostamento di riflessioni 149. E.N. Rogers, Verifica culturale dell’azione

urbanistica, in «Urbanistica», n. 23, 1958, p.118.

150. E.N. Rogers, Continuità, cit., p. 2. 151. Sostenendo che nel Dopoguerra la cul-

tura architettonica italiana non aveva prodotto strumenti capaci di risolvere il problema dei centri storici, Tafuri afferma: «Ciò che mancava [all’architettura moderna] era un codice nuovo, chiaro nella sua struttura, tramite il quale deci- frare e rinnovare il corpus degli ambienti urbani e territoriali nella loro complessa dialettica sto- rica. Rimanendo a metà, si potevano solo creare ambigue ed affascinanti contaminazioni che, più che rinnovare il contesto nel quale si inserivano, lo commentavano liricamente». M. Tafuri, Teorie e

storia…, cit., p. 85.

152. E. Bonfanti, Architettura moderna e storia

dell’architettura, in L’arte Moderna, Milano 1969,

vol. xi, n. 98, p. 225-356, 270-271, riportato in E. Bonfanti, Scritti di architettura, a cura di L. Scac- chetti, Clup, Milano 1981, p. 136.

molteplici – tratto che anima anche l’architettura di Bottoni a Ferrara. Egli cercò così una sintesi capace di rivelare un modo operativo che aveva le proprie radici negli anni della nascita del Razionalismo e che trovò nel Dopoguerra una sua declinazione nel tema della difesa e salvaguardia dei centri storici e dell’architettura minore.

Nel campo più circoscritto del progetto architettonico, se si osserva il fine comune della cultura milanese ovvero quello del ricercare una relazione tra l’architettura e la sua storia e tra l’architettura moderna e la sua tradizione, Bottoni definì attraverso le «costanti architettoniche»153 la

possibilità di trovare «l’unità dell’opera d’arte»,154 ovvero la «continuità,

anzi [la] perennità dell’architettura italiana»155 nel tentativo di evitare

il «fallimento “urbano” dell’architettura moderna»156 rispetto alla città

storica.

I problemi che egli affrontava negli anni Cinquanta e Sessanta sono quindi gli stessi con i quali si confrontò già prima della guerra nei progetti per esempio – si pensi al concetto di spirito e tradizione all’interno della sua opera – di villa Muggia e casa Bedarida o, a scala urbana, nel centro di Bologna; queste furono i punti di partenza che portarono l’autore ad una impostazione «ideologica del restauro»157 nutrita di fantasia e razionalità

ma lontana da ogni ipotesi scientifica o conservativa che evitasse, all’interno del concetto di un tempo unitario che non distingueva scissioni tra il prima e il dopo delle esperienze moderne, una frizione tra architettura moderna e restauro. L’architettura antica e gli ambienti storici furono occasione per Bottoni di una «vitale conservazione»158

della città, dell’architettura e delle loro relazioni reciproche.

Nei progetti sviluppati a Ferrara, tutti situati all’interno della cinta muraria erculea, Bottoni rifletté su come salvaguardare il centro storico e su come adattare e trasformare gli edifici pubblici, quelli per il commercio e le case «per funzioni moderne senza tradire, in questa nuova loro trasformazione e destinazione, sia la nobile origine architettonica che li ha generati, sia l’ambiente storico e artistico che li ha nei secoli conservati e attorniati».159

Questo principio di unità tra l’architettura preesistente e quella progettata ex-novo è il tema centrale che guida Bottoni nella progettazione e che lo distingue dalle altre figure che per ambito culturale o affinità di tendenza possono essergli paragonate. L’indivisibilità dell’atto progettuale a seconda dei temi indagati (case, edifici collettivi, commerciali,

153. Bottoni definisce costanti architettoniche

gli elementi della composizione architetto- nica «ispiratori all’architetto-artista di forme ed espressioni capaci di una vitalità, validità e forza espressiva che prescindono dall’epoca in cui avvenne la creazione e dalla funzione». P. Bottoni, Problemi della moderna composizione…, cit., pp. 16-17.

154. Ibid.

155. [A. Pica], Dichiarazione iniziale, in «Costru-

zioni-Casabella», n. 182, feb. 1943, p.2.

156. E. Bonfanti, Architettura moderna…, cit.,

p. 151.

157. P. Bottoni, Problemi della moderna com-

posizione…, cit., p. 17. Lo scritto di Bottoni ha

similitudini evidenti con quelli di Pica pubblicati in Casabella. Cfr. A. Pica, Attualità del restauro, in «Costruzioni-Casabella», n. 182, feb. 1943, pp. 3-6.

158. Piero Bottoni, Considerazioni su alcune

prevedibili conseguenze delle recenti grandi pia- nificazioni nell’edilizia sovvenzionata nelle città italiane e proposte per una vitale conservazione di ambienti caratteristici in alcune città storico-arti- stiche nell’ambito e col concorso dei piani stessi, 1959, in Bilancio dell’urbanistica comunale nel quadro della pianificazione comunale e paesistica,

Atti del VII Congresso nazionale di urbanistica, Bologna 25-28 ottobre 1958, Roma 1959, pp. 421-430.

159. P. Bottoni, Problemi della moderna compo-

Parte terza. L’architettura di Piero Bottoni a Ferrara monumenti), della specificità del luogo e del tipo di intervento (restauri, riattamenti, rifacimenti, demolizioni e ricostruzioni, nuove costruzioni) o della scala dell’intervento è dimostrata dalla compresenza di caratteri comuni che risultavano costanti al di là della diversità delle commissioni. Temi progettuali come la composizione degli interni per concatenazioni di spazi e gallerie, la compresenza all’interno del progetto di caratteristiche sia urbane che di dettaglio, un rapporto di corrispondenza tra gli spazi interni e l’immagine esteriore dell’edificio basato sul meccanismo della sorpresa piuttosto che sulla manifestazione esteriore della spazialità interna, accomunano i progetti di Bottoni studiati prima e dopo il conflitto bellico e rimasero trasversali nella sua opera rispetto alle diversità dei temi, dei luoghi e dei contesti.

Un contributo all’interno del dibattito sugli inserimenti nelle preesistenze

ambientali: Piero Bottoni e le costanti architettoniche

Se si limita il campo di indagine al solo ambiente milanese e in particolare a quegli architetti che parteciparono a quel «complesso di iniziative ed occasioni che costituiscono di fatto il terreno sul quale la cultura architettura milanese ha elaborato, espresso e sottoposto a qualche verifica la propria produzione postbellica»160 e ci si riferisce, tra

i molti temi che questi trattarono all’interno delle riflessioni e progetti per la ricostruzione, a quello della relazione con la tradizione e la storia, è possibile individuare e analizzare l’apporto e il ruolo di Piero Bottoni nel dibattito sulla relazione tra architettura nuova e antica.

Questo contributo, i cui fondamenti sono da ricercarsi in continuità all’esperienza che l’architetto milanese compì nel corso degli anni Trenta, e che trovarono successivamente a Ferrara il terreno sia di sperimentazione che di formalizzazione, rappresenta una peculiarità che distingue l’opera bottoniana rispetto a quella di altri autori.

Se si osservano le dichiarazioni fondative del Movimento di Studi per l’Architettura (Msa)161 – al quale Bottoni aderì fin dalla sua

160. E. Bonfanti, La cultura architettonica a

Milano…, cit., p. 47.

161. Sul ruolo del MSA nella cultura architetto-

nica milanese si ricordino le parole le parole di Augusto Rossari: «Forse fino ad oggi non è stato sufficientemente sottolineato come l’appar- tenere al Msa abbia rappresentato, in questo primo periodo un punto di forza, di coesione e di impegno morale sia nelle scelte urbanistiche che architettoniche». Il MSA raggruppò quegli architetti milanesi che prima della guerra si erano battuti per lo sviluppo dell’architettura moderna. Cfr. A. Rossari, L’attività professionale

tra cultura e tecnica, in M. Baffa, C. Morandi, S.

Protasoni, A. Rossari, Il Movimento di Studi per

l’Architettura 1945-1961, Laterza, Roma-Bari 1995,

costituzione – emerge come il tema della continuità con le ricerche e con l’associazionismo dell’anteguerra fosse una peculiarità di questo movimento. Uniti da un «comune orientamento» da una «tendenza analoga»162 nella visione dell’architettura Rogers e gli aderenti all’ Msa

gettarono le basi per quelle riflessioni che caratterizzarono l’ambiente milanese degli anni Cinquanta e Sessanta.

Il tema della casa e della ricostruzione furono centrali all’interno di questo dibattito insieme a quello, non marginale, della relazione tra architettura antica e moderna; a tal proposito, come ha sottolineato Augusto Rossari, dalla fine degli anni Quaranta gli aderenti al Msa affrontarono

i primi delicati incarichi per allestimenti museali e per il restauro e l’integrazione di edifici storici, spesso nel corpo di un’unica costruzione: Gardella costruisce il padiglione di arte contemporanea in via Palestro (1947-53), ricavandolo nell’area delle scuderie della villa Reale; Albini progetta la galleria delle pitture venete nel museo di Brera (con Luisa Castiglioni, 1949) e il nuovo allestimento del museo di palazzo Bianco a Genova (1950); i Bbpr la risistemazione di palazzo Ponti in via Bigli (1950) e Gustavo e Vito Latis quella di palazzo Borromeo nella vicina via Manzoni (1948-49). Furono questi lavori a ricondurre gli architetti milanesi al tema vivo fin dagli anni Trenta, della storia.163

Questo modo di intervenire su edifici o in contesti storici, caratteristico di una visione delle tradizione fortemente legata ad un’idea di continuità con le esperienza dell’anteguerra, fu uno dei principali temi di riflessione anche per Piero Bottoni sia per la progettazione del nuovo che per quella in relazione con l’antico i cui principi rispondevano ad una visione unitaria rispetto alle istanze temporali a discapito dell’eterogeneità delle occasioni lavorative. Ciò appare infatti evidente dal pannello che raccoglieva una selezione di sue opere presentato in occasione della mostra Italian Contemporary Architecture organizzata dal Gruppo italiano del Ciam e dall’Istituto italiano di cultura a Londra presso il Royal Istitute of British Architecture di Londra nel 1952; in esso, se da un lato sono rappresentati i principali progetti che collocavano Bottoni nel novero iniziale dei razionalisti italiani (gli ambienti della casa Elettrica, 1930; il gruppo di elementi di case popolari e una delle quattro case per vacanza realizzati per la Triennale del 1932-33; la casa in via Mercadante angolo via Gomes a Milano, 1934-35 e alcuni arredamenti), dall’altro erano largamente illustrati i progetti di villa Muggia ad Imola (1936-38) e la sistemazione di via Roma a Bologna (1936-37). Questa rappresentazione contiene i progetti i cui temi principali evidenziano

162. Statuto del MSA allegato all’atto costitutivo

dell’associazione, 10 aprile 1946, in Archivio

MSA, rip. in M. Baffa, C. Morandi, S. Protasoni, A. Rossari, Il Movimento di Studi per l’Architettura…, cit., pp. 210-211. Le citazioni precedenti fanno riferimento allo stesso documento.

Si veda anche A. Rossari, L’attività professiona-

le…, cit., pp. 27-43.

Parte terza. L’architettura di Piero Bottoni a Ferrara

Figura 21. Il pannello su Piero Bottoni per la mostra Italian Contemporary Architectu- re organizzata dal gruppo italiano Ciam e dall’Istituto italiano di cultura di Londra presso il Royal Institute of British Archi- tects (1952)

Alla mostra, a cui parteciparono anche Franco Albini, Marcello Nizzoli, Edoardo Per- sico, Giuseppe Pagano, Carlo Ceccucci, Fran- co Marescotti, Ezio Cerutti e Vittorio Gandol- fi, molti dei lavori di Piero Bottoni esposti riguardavano progetti su edifici o città esi- stenti rimarcando la peculiarità della sua esperienza sul tema fino dagli anni Trenta.

(Da M. Baffa, C. Morandi, S. Protasoni, A. Rossari,

Il Movimento di Studi per l’Architettura 1945-1961,

Figure 22-24. In alto: Bbpr (con c. Monti), Restauro e sopralzo di palazzo Ponti a Mi- lano (1950); A fianco: P. Bottoni (con M. Pucci), Sopralzo di casa Combi a Milano (1947-49)

Analogia di temi e di linguaggio mostrano molti dei progetti elaborati dagli apparte- nenti al MSA negli anni dell’immediato Do- poguerra. Il tema della relazione con la pre- esistenza, declinato spesso in operazioni di sopralzo di fabbricati preesistenti, prevede- va in genere l’aggiunta di volumi retrocessi rispetto al cornicione sommitale in ossequio al regolamento edilizio della città, il cui lin- guaggio era sovente in contrasto con quello della facciata sottostante.

(Da S. Maffioletti (a c. di), Bbpr, Zanichelli, Bolo- gna, 1994, p. 95; APB, Op. 238, Fondo Piero Bot- toni, Disegni)

Parte terza. L’architettura di Piero Bottoni a Ferrara

164. Cfr. Piero Bottoni 1928-1939: venti anni fa,

in «L’architettura. Cronache e storia», a. V, n. 49, nov. 1959, p. 486; P. Portoghesi, Ricordo di Piero

Bottoni, in «Controspazio», Piero Bottoni: Qua- rant’anni di battaglie per l’architettura, a. V, n. 4,

ott. 1973, pp. 6-7. Fulvio Irace ha definito l’opera di Bottoni del Dopoguerra come «perentoria rievocazione dell’antica matrice razionalista in chiave di “furore” congelato». F. Irace, Milano, in F. Dal Co (a c. di), Storia dell’architettura italiana. Il

secondo Novecento, Electa, Milano 1997, p. 68.

165. E.N. Rogers, Relazione al Convegno di Studi

sull’Architettura Moderna: L’architettura Moderna in Italia, Centro Studi della Nona Triennale di

Milano, Milano 29-30 gennaio 1951, in «Metron», n. 41-42, mag.-ago. 1951, p. 11-12.

166. P. Bottoni, [Relazione] tenuta durante Un

dibattito sulla tradizione in architettura svoltosi a

Milano nella sede del MSA il 14 giugno 1955, in «Casabella-Continuità», n. 205, apr.-mag. 1955, pp. 50-51.

167. L. Meneghetti, Sopralzo di casa Combi in

via Settembrini a Milano 1945-49 (con M. Pucci),

in G. Consonni, L. Meneghetti, G. Tonon (a c. di),

op. cit., p. 334.

l’ostinata resistenza e la continuità dell’opera bottoniana tra le esperienze degli anni Venti e Trenta e quelle del Dopoguerra164 tra le quali la

concezione unitaria dell’opera architettonica nei suoi diversi aspetti e in relazione alla tradizione e all’architettura e alla città preesistenti, si configura come tratto distintivo del suo lavoro.

Se il legame con le esperienze degli anni Trenta appare come caratteristico nell’azione del primo Msa, di quella che Rogers definiva «tradizione dello spirito in opposizione alla pseudo tradizione formale»,165 l’opera

di Bottoni appare essere rappresentativa di un modo di intendere la tradizione che, sebbene questi non avesse avuto nell’immediato Dopoguerra, a differenza dei suoi colleghi, concrete occasioni di confrontarsi con edifici esistenti, si concretizzò principalmente proprio nella città di Ferrara.

Dal Msa fu organizzato nel 1955 Un dibattito sulla tradizione in

architettura: l’incontro, che sancì uno scontro generazionale all’interno

del movimento durante il periodo di disgregazione dello stesso, fu per Bottoni un’importante occasione per pronunciarsi pubblicamente su questo tema. Egli, ricordando i manifesti del Gruppo 7 degli anni Venti, ritrovava rispetto al tema della tradizione, una continuità sia in senso lato che con le sue esperienze degli anni Trenta durante i quali la questione era declinata verso la «tradizione mediterranea e si cercavano nelle architetture del passato analogia di forma con l’architettura moderna, con l’ansia di trovare un collegamento non accademico col passato e l’espressione di una cultura continua attraverso i tempi».166

A livello progettuale, analogamente, il sopralzo per casa Combi che Bottoni studiò nell’immediato dopoguerra, simile per impostazione al progetto dei Bbpr per il sopralzo di palazzo Ponti del 1950, manifesta questo atteggiamento pragmatico in continuità con le ricerche precedenti. Il disegno ideato da Bottoni prevedeva l’aggiunta di due piani al preesistente edificio eclettico con un corpo dal linguaggio lineare riprendendo l’andamento delle aperture del palazzo, e innalzando il fronte arretrandone però i volumi rispetto alla facciata in ossequio al regolamento edilizio milanese;167 i prospetti erano caratterizzati dalla

sola traccia di un reticolo strutturale, elemento ricorrente nei progetti di altri edifici milanesi progettati dai componenti al Msa.

Questo comune orientamento, venuto meno a seguito della progressiva dissoluzione del Msa, è ben visibile nei tratti dell’opera bottoniana e

costituisce, insieme a quello della ricerca sui temi della casa e della ricostruzione, un nodo principale della visione dell’architettura durante un dibattito che nel corso degli anni del Dopoguerra cercava una soluzione per individuare i modi dell’intervento e le caratteristiche del contatto tra la nuova architettura e l’ambiente antico.

La proposta bottoniana fu così una voce dapprima partecipe e affine alle ricerche condotte all’interno del Msa ma, negli anni successivi, seguendo un andamento ricorrente nell’opera di altri autori, si attuò in una posizione più autobiografica.

Il cambiamento, riflesso anche nella conclusione della prima stagione del Msa e il successivo avvio di un periodo orientato non più da un’azione collettiva ma verso un rifugio in «solitudini private»168 da parte di

«spiriti isolati, che hanno fatto esperienze individuali per sottrarsi alla marea dilagante di una generale mediocrità e operare all’interno della propria esperienza»,169 si rifletté nell’opera di Piero Bottoni che non fece

accezione al corso di questa parabola.

Su questo sfondo prese forma la visione bottoniana di quelli che egli chiamava problemi della moderna composizione architettonica negli

ambienti storici, unione di quelle esperienze maturate in uno specifico

ambito culturale e di una visione definita da decisi tratti autoriali. Tralasciando momentaneamente l’ampio dibattito che occuparono i temi della ricostruzione della città e della salvaguardia dei centri storici e concentrandosi invece su ciò che Tafuri ha chiamato la «manipolabilità dei reperti»170 è importante osservare i punti di incontro e le distanze

che definiscono l’atteggiamento bottoniano in relazione a quello di altri autori milanesi.

Le riflessioni compiute da Bottoni presentano analogie con il dibattito sulle preesistenze ambientali, tra i più importanti contributi italiani sulla relazione tra storia e tradizione nell’architettura degli anni Cinquanta. Nei suoi scritti Rogers e i Bbpr indagavano i caratteri del contesto al fine di stabilire un «senso poetico»171 tra il tema della nuova costruzione

e l’ambiente circostante – ovvero un meccanismo deduttivo172 che

traeva dal contesto alcuni temi per tradurli nel nuovo progetto – al fine di tracciare un legame tra la nuova costruzione e il luogo sul quale essa sarebbe sorta. Nel processo così descritto, che il più delle volte si concludeva però con la sostituzione materiale di un edificio preesistente piuttosto che con la sua trasformazione, è necessario distinguere due

168. E. Bonfanti, M. Porta, Città, museo, architet-

tura: il gruppo BBPR nella cultura architettonica italiana 1932-1970, Vallecchi, Firenze 1973, p. 130.

169. G. Samonà, Franco Albini e la cultura

architettonica in Italia, in «Zodiac» n. 3, ott. 1958,

p. 111.

170. M. Tafuri, Storia dell’architettura italiana

1944-1985, Einaudi, Torino 1982, p. 67.

171. Bbpr, Tre problemi di ambientamento.

La Torre Velasca a Milano. Un edificio per uffici e appartamenti a Torino. Casa Lurani a Milano, in

«Casabella-Continuità», n. 232, ott. 1959, p. 5.

172. Il meccanismo della deduzione degli

elementi del progetto dal contesto è dichia- rato da Bbpr a proposito dei loro progetti che ricercavano un ambientamento all’interno della città. Ibid.

Parte terza. L’architettura di Piero Bottoni a Ferrara diverse finalità: la sostituzione, appunto, e l’inserimento.

Anche se accomunate da simili temi di partenza esse permettono di distinguere nella loro diversa relazione con la materia dell’edificio un atteggiamento più formalistico o volumetrico verso il contesto – la prima – e uno più sostanziale che invece caratterizza la seconda; per questo, benché si possa notare una certa affinità tra le posizioni dei Bbpr e quelle di Bottoni sia per quanto riguarda la continuità con le esperienze del Movimento Moderno che per l’apporto del «gusto» e delle «vibrazioni dell’irrazionale»173 al progetto, risulta però necessario

distinguere il tema della sostituzione architettonica rispetto a quello dell’intervento di trasformazione su di un edificio.

Se tra la fine degli anni Quaranta e i primi anni Sessanta si possono confrontare diversi esempi di costruzioni di edifici in centri storici ascrivibili ad architetti appartenenti a questo stesso ambito culturale, il discorso cambia notevolmente se si prendono in considerazione progetti di trasformazione di edifici esistenti.174 Distinguere queste categorie

significa poter osservare – al di là delle dichiarazioni di principio – le effettive scelte compiute rispetto a questo tema o all’inserimento e alla modificazione della conformazione fisica dell’esistente, in relazione sia al contesto urbano che agli spazi interni.

Alla prima categoria appartengono i progetti che hanno avuto le più grandi attenzioni della critica e della pubblicistica di quegli anni (si pensi, tra i più citati, al progetto di Franco Albini per l’edificio Ina di Parma 1950-54, alla torre Velasca dei Bbpr 1950-58, o alla casa alle Zattere di Ignazio Gardella 1953-58) ma, oltrepassando il limite geografico di provenienza degli autori, si potrebbe allargare l’elenco aggiungendo anche quelli selezionati da Rogers nel suo Esperienza dell’architettura e che sono stati centrali rispetto a quel dibattito che ruotava attorno al tema delle preesistenze ambientali e di altre riflessioni compiute all’interno delle altre istituzioni culturali milanesi come, per esempio,