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Irradiando un campione con un flusso di fotoni di energia opportuna, si osserva un'emissione indotta di elettroni, definiti per questo fotoelettroni. Tale fenomeno è stato originariamente descritto come effetto fotoelettrico119. In questo processo fisico l’elettrone di un atomo del campione viene eccitato da un fotone incidente se quest’ultimo possiede un’energia maggiore o uguale alla relativa energia di legame (Binding Energy - BE). L'elettrone emerge quindi dal campione con una definita energia cinetica120.

119

Oggi vengono comunemente utilizzati i termini fotoemissione o fotoionizzazione. 120

Nell'approssimazione monoelettronica del processo, il bilancio energetico è descritto dalla seguente relazione: hν = Eb + Ek

Con:

hν = energia del fotone,

Eb = energia di legame dell'elettrone riferita all’elettrone libero, Ek = energia cinetica dell'elettrone estratto.

Nella spettroscopia in fase gassosa Eb corrisponde all'energia di ionizzazione, mentre in fase solida è più conveniente riferirsi al livello di Fermi correggendo il bilancio energetico per la funzione di lavoro del solido (ϕs)

hv = ELF + Ek + ϕs

Questo modello di fotoemissione, noto come approssimazione ad un elettrone, non considera gli effetti di interazione fra l’elettrone emergente e la materia.

Un modello teorico completo per la descrizione del processo deve includere tutti gli effetti di rilassamento e correlazione tra elettroni. In prima approssimazione si può pensare che lo stato finale differisca da quello iniziale solamente per la presenza di una lacuna nel K-esimo livello. Il processo di fotoemissione viene quindi schematizzato dalla seguente funzione:

Ψ𝑡𝑜𝑡𝑖 (𝑁) 𝑕𝜈

Ψ𝑡𝑜𝑡𝑓 (𝑁, 𝐾) Con:

Ψ𝑡𝑜𝑡𝑖 𝑁 = funzione d’onda che descrive lo stato iniziale N-elettronico,

Ψ𝑡𝑜𝑡𝑓 𝑁, 𝐾 = funzione d'onda che descrive lo stato finale K.

Assumendo che l'elettrone emesso sia sufficientemente poco accoppiato con lo ione residuo, lo stato finale può essere descritto come:

Ψ𝑡𝑜𝑡𝑓 𝑁, 𝐾 = Ψ𝑡𝑜𝑡𝑓 𝑁 − 1, 𝐾 + 𝜙𝑓 1 𝜒𝑓(1)

Con:

Ψ𝑡𝑜𝑡𝑓 𝑁 − 1, 𝐾 = funzione d'onda che descrive il K-esimo stato finale ad N-1 elettroni,

𝜙𝑓 1 = parte spaziale della funzione monoelettronica che descrive il fotoelettrone,

𝜒𝑓 1 = parte di spin della funzione monoelettronica che descrive il fotoelettrone.

La differenza tra le energie dei due stati rappresenta l'energia di legame dell'elettrone relativo al K-esimo livello. Utilizzando questa approssimazione, nota come teorema di Koopman, la B.E. del K-esimo elettrone è eguale (in valore assoluto) all'energia dell'orbitale K-esimo. Quindi l'equazione di conservazione dell'energia che deve essere utilizzata per interpretare gli spettri XPS è:

𝐸𝑡𝑜𝑡𝑖 𝑁, 𝐾 + 𝑕𝜈 = 𝐸𝑡𝑜𝑡𝑓 𝑁 − 1, 𝐾 + 𝐸𝑘

da cui:

𝐸𝑡𝑜𝑡𝑓 𝑁 − 1, 𝐾 − 𝐸𝑡𝑜𝑡𝑖 𝑁, 𝐾 = 𝑕𝜈 − 𝐸

173 Un flusso di fotoni incidenti sul campione estrae contemporaneamente elettroni da gusci atomici diversi e da atomi di diverse specie in eventi separati di fotoionizzazione. La fotoemissione è quindi poli-energetica (in funzione delle differenti energie di legame degli elettroni) anche se indotta da radiazione monocromatica.

La tecnica XPS, in alcuni casi indicata anche con l'acronimo ESCA (Electron Spectroscopy for Chemical Analysis), utilizza come sorgente la radiazione elettromagnetica di energia dell'ordine del keV121 che permette la fotoemissione e quindi l’analisi degli elettroni appartenenti ai gusci atomici più interni122. Il processo di decadimento non radiativo della lacuna elettronica creatasi123 origina negli spettri XPS la comparsa di segnali relativi ad elettroni emessi tramite processo Auger, in quanto anch'esso comporta emissione di elettroni che vengono rivelati assieme a quelli originati nel processo fotoelettronico primario.

L'intensità dei raggi X trasmessi attraverso un materiale segue la nota legge di attenuazione esponenziale:

𝐼 = 𝐼0𝑒−𝜇𝑧 Con:

µ = coefficiente di attenuazione lineare, I0 = intensità incidente sulla superficie, z = profondità nel materiale.

Generalmente la profondità di assorbimento dei fotoni X è dell'ordine dei µm. In matrici solide il flusso di fotoni X rimane quindi costante per varie decine di nm sotto la superficie del campione sondato. Limitatamente a questo spessore è ragionevole assumere che i fotoelettroni vengano generati in maniera uniforme. Nel cammino d'uscita attraverso il materiale questi ultimi possono subire urti elastici o interazioni anelastiche. Questo secondo tipo di interazioni124 limita la

Con:

𝐸𝑡𝑜𝑡𝑓 𝑁 − 1, 𝐾 = energia dello stato finale ad N-1 elettroni, 𝐸𝑘= energia cinetica del fotoelettrone.

In realtà i fenomeni di rilassamento indotti dalla presenza della lacuna nel K-esimo livello abbassano l'energia dello stato finale, così che la B.E. effettiva del fotoelettrone differisce da quella calcolata in base al teorema di Koopman. La correzione per gli effetti di rilassamento può essere valutata con calcoli Self Consistent Field (SCF) Hartree-Fock che vengono realizzati considerando gli effetti relativistici e le correlazioni elettrone-elettrone.

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Nell'interazione tra fotoni e materia esistono diversi processi di assorbimento del fotone. Per energie superiori a due volte l'energia a riposo dell'elettrone (1.02 MeV) il fotone può annichilirsi dando origine ad una coppia positrone- elettrone. Per energie comprese tra 0.5 e 3 MeV domina comunque l'effetto Compton, processo di diffusione elastica in cui il fotone incidente interagisce con un elettrone e cede a quest'ultimo parte della sua energia, variando così di lunghezza d'onda. Nel caso di energie tra 1 e 500 keV, cioé nell'intervallo in cui sono compresi i raggi X è l'effetto fotoelettrico a fornire il maggior contributo all'attenuazione dei fotoni.

122

Nel caso in cui la radiazione incidente cada nel campo dell'ultravioletto è possibile indagare approfonditamente la struttura elettronica della banda di valenza del sistema in esame. In questo caso la tecnica prende il nome di UPS (Ultraviolet Photoelectron Spectroscopy).

123

Il decadimento di una lacuna (o buca) di core avviene tramite il riempimento da parte di un elettrone proveniente da un livello ad energia maggiore. Questo processo prosegue con emissione di un elettrone (processo non radiativo) o di un fotone (processo radiativo). Nel primo caso l'energia messa a disposizione dalla transizione viene ceduta ad un altro elettrone che riesce così ad essere emesso. Se quest'ultimo elettrone appartiene ad un guscio elettronico con lo stesso numero quantico principale della lacuna iniziale si parla di emissione Coster-Kronig, se il suo numero quantico principale è maggiore il fenomeno è detto emissione Auger (spesso questa distinzione è trascurata: si parla generalmente di emissioni Auger). Nei processi radiativi l'energia si manifesta con l'emissione di un fotone di energia caratteristica (fluorescenza di raggi X). Questi due processi di decadimento sono competitivi perché si verificano a carico di una stessa lacuna. Le emissioni Auger e Coster-Kronig sono prevalenti nel caso di atomi leggeri (Z≤35), la fluorescenza prevale in atomi pesanti.

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174 profondità da cui questi possono giungere alla superficie mantenendo la stessa energia cinetica con la quale sono stati emessi. Tipicamente i fotoelettroni che non subiscono interazioni anelastiche provengono da profondità non superiori a 5-10 nm 125; variando il loro angolo di raccolta è possibile diminuire lo spessore sondato126.

In uno spettro XPS quasi tutti gli elettroni che subiscono diffusione anelastica, perdendo parte della loro energia cinetica prima di emergere dal materiale, danno origine ad un consistente segnale di fondo. Nella fase di elaborazione dei dati sperimentali opportune procedure di calcolo permettono la sottrazione di tale segnale.

Il danneggiamento di un generico campione solido inorganico in seguito all'irraggiamento di fotoni (tipicamente 1013fotoni cm-2 sec-1 nei convenzionali spettrometri XPS) risulta generalmente trascurabile o comunque nettamente inferiore a quello provocato da tecniche di indagine che non impiegano fotoni come fascio incidente primario (ad esempio elettroni o ioni).