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“Fabula rasa”: poetica e retorica del Nuovo Romanzo

M. H EIDEGGER Il problema del valore della verità

3. Abitare un meccanismo

Civiltà dell’immagine? In realtà è una civiltà del cliché, in cui tutti i poteri sono interessati a nascon- derci le immagini, non necessa- riamente a nasconderci la stessa cosa, ma a nasconderci qualcosa nell’immagine.

G.DELEUZE

«Questa rosa finta è così bella che sembra vera», allo stesso modo si dice però «questa rosa è tanto bella che sembra finta».

E.SANGUINETI

I grandi racconti si riconoscono dal fatto che la finzione che essi propongono è nient’altro che la drammatizzazione del loro fun- zionamento.

J.RICARDOU

Con una frase celeberrima apparsa nel saggio Costruire abitare pensare, Martin Heidegger colloca entro lo spettro semantico del verbo “abitare” l’intera essenza

Federico Fastelli, Il nuovo romanzo : la narrativa d’avanguardia nella prima fase della modernità (1953-1973) ISBN 978-88-6655-499-8 (online) ISBN 978-88-6655-553-7 (print), CC BY-NC-ND 3.0 IT, 2013 Firenze University Press

umana: «essere uomo significa: essere sulla terra come mortale; e cioè: abitare»347.

“Abitare” sarebbe in questo senso un’azione che precede il “costruire” e il “pensare”. Essa risulterebbe inerente ad un tratto inalienabile dell’essere uomo: l’essere al mon- do.

Se, per ipotesi, si volesse prendere a prestito la terminologia heideggeriana e la si volesse per un momento applicare al contesto letterario di questa prima fase della postmodernità si sarebbe perfino tentati di assecondare l’idea per cui “abitare la let- teratura”, piuttosto che costruirla o pensarla, sintetizzi, in un certo qual modo, e ve- dremo quale, la condizione di esistenza della letteratura stessa. Ad un livello che, ben inteso, dovrà considerarsi eminentemente allegorico, si può supporre, infatti, che ta- le idea, nella coscienza di una intera generazione di scrittori sperimentali, precorra ontologicamente e sopravanzi ideologicamente il mito, pur decantato più di quanto venisse realmente perseguito già nelle prime fasi della modernità, dell’“artista de- miurgo”. Quell’artista, cioè, capace di forgiare attraverso il solo proprio pensiero in- dividuale, di trarre fuori dal nulla, per dirlo con un linguaggio pseudonietzschiano, l’opera. Anche calcolata, ora, la pervasività di una serializzazione industriale che por- ta alle estreme conseguenze le divisioni in generi letterari e le destinazioni psicologi- co-pratiche dettate dagli interessi di mercato dell’editoria, la letteratura sembra esse- re percepita come meccanismo già e perennemente in atto. E del resto, anche ad un livello intraletterario, ci si potrà appellare a un limite concettuale imposto dallo Ulys- ses di Joyce: scrivere dopo il capolavoro dello scrittore irlandese, ha detto una volta e non senza ragione Massimo Cacciari348, è come “sfidare l’impossibile”, siccome in

Joyce si concentrerebbero, secondo il filosofo, le caratteristiche magico-creatrici dell’“ultimo fabbro” di parole. Ora, l’affermazione di Cacciari, per quanto apparen- temente iperbolica, risulta assolutamente pertinente, laddove si riesca ad uscire da un’idea molto parziale oltre che storicamente determinata e ideologicamente ben in- quadrata della figura dell’“artista creatore”. Scrivere dopo Joyce è evidentemente possibile: gli scaffali delle librerie e delle biblioteche sono stracolmi di romanzi cro- nologicamente posteriori, grandi successi letterari, talvolta esaltati dalla critica oltre

347 M. Heidegger, Costruire abitare pensare, in Id., Saggi e discorsi [1954], trad. G. Vattimo, Milano, Mur- sia, 1976, p. 97.

Federico Fastelli

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che dal pubblico. Ciò che Cacciari sembra voler dire, però, è che con Joyce pare estinguersi quel mito che Stephen Greenblatt avrebbe chiamato mito del «genio co- me unica origine delle energie della grande arte»349. Se avesse ragione Cacciari, effet-

tivamente, fare letteratura dopo Joyce non assomiglierebbe forse di più ad “abitare” un meccanismo già in atto, piuttosto che a crearlo? E non riflette proprio su questo punto anche Roberto Cagliero, quando, a proposito di John Barth, sostiene che si tratta di «uno di quegli autori che scrivono “come se” il Finnegans Wake di Joyce fosse stato pubblicato»? E la stessa Sarraute non ha forse affermato che «non si pos- sono rifare Joyce o Proust»? Ciò non giustificherebbe, inoltre, la tendenza del Nuovo Romanzo a connettere narrativa e critica nelle proprie opere, a considerare, cioè, l’aspetto meta-narrativo come fondante della prassi letteraria? O non avrà magari ragione Alberto Arbasino a sostenere che l’interesse critico di un romanziere sopra i problemi del romanzo è consustanziale al proprio stesso mestiere e da sempre350 è

presente nelle grandi opere?

Rispondere a tali questioni è certamente molto complesso. Tuttavia risulta inne- gabile che, se il Nouveau Roman appare come il primo movimento letterario (post)moderno in grado di avvertire la critica e di cogliere esso stesso che, come ha scritto Daniel Couégnas, «le costrizioni di una struttura formale possono essere fon- te di creatività»351, qualcosa di simile emerge anche dalle teorizzazioni e dalle opere

della neoavanguardia italiana. In entrambi i contesti, infatti, «il racconto

349 Cfr. S. Greenblatt, Shakespearean Negotiations, Oxford, Clarendon Press, 1988, pp. 7 e sgg.

350 Cfr. A. Arbasino, Certi romanzi, Milano, Feltrinelli, 1964, p. 18-19: «molti narratori contemporanei dimostrano clamorosamente falsa quella ipotesi quasi luogo comune per cui oggi non esisterebbe più la figura del “creatore”, e impazzerebbe al suo posto il critico, usurpandone ogni funzione. Così da avere invece dell’artista “puro (è mai esistito?...) critici che scrivono romanzi e compongono poesie e musica e dipingono quadri e dirigono film: in quanto l’atto critico precederebbe, sistematicamente e cronologi- camente, la creazione artistica. Che sia invece il contrario? Paradossalmente oggi da noi rischia di passa- re per vanesio o petulante o “insolito” il romanziere che tratti dei propri rapporti non con il giardinaggio o la cucina o il turismo, ma con il romanzo che è il suo mestiere. […] Se ci interessano le idee di un narra- tore intorno al romanzo, si sa sempre dove andare a cercare una recensione di George Eliot al Wilhem Meister o un articolo di Proust su George Eliot, un saggio di Henry James su se stesso o su Conrad, o la Woolf su Conrad, o Conrad su se stesso o sulla Woolf. […] Sarebbe questa autocoscienza critica, in fon- do, il carattere che distingue principalmente un Autore Responsabile da un Artista della Domenica». 351 D. Couégnas, Dalla «Bibliothèque bleue» a James Bond: mutamento e continuità nell’industria della narrativa, in Il romanzo, a cura di F. Moretti, vol. II, Le forme, p. 437.

Federico Fastelli

dell’indagine si ammanta metaforicamente di virtù ermeneutiche, o rappresenta con una mise en abîme il processo di decifrazione del testo»352. E dunque, senza azzardare

conclusioni, è pur necessario prendere atto di questa tendenza, provando, natural- mente, a decrittarla nel dettaglio, attraverso alcuni esempi.

3.1 Gialli d’avanguardia

Le Nouveau Roman, c’est le roman policier pris au sérieux.

L.JANVIER