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Capitolo II. «Vita mea multorum salus» Il pensiero scientifico e la critica della

5. Tra accademia e cultura popolare

Angelo Forte fu una figura per forza di cose in posizione minoritaria e subalterna rispetto alla cultura ufficiale e alle autorità mediche universitarie e istituzionali: la sua marginalità è da imputarsi certamente alla sua condizione di espatriato e alla sua posizione economica precaria, ma anche al suo deciso rifiuto di allinearsi alle teorie mediche dominanti nelle facoltà padane; egli ebbe infatti modo di intraprendere rapporti con personaggi di una certa levatura all’interno degli atenei patavino e veneziano, ma preferì forse non cedere alle lusinghe dell’incarico istituzionale per mantenersi libero di praticare la propria arte senza i vincoli imposti dall’accademia, o forse semplicemente per poter continuare a procedere sulla strada della ricerca di protettori e mecenati che gli garantissero introiti più sostanziosi e certamente un maggior prestigio tra i suoi colleghi, modus operandi senza dubbio più prossimo a quello di molti altri intellettuali di origine greca, e

finanche suoi compatrioti, che si trovarono ad operare nella città lagunare contemporaneamente a lui.

L’occasione per il Forte di entrare a far parte del mondo accademico era giunta come già detto attraverso il nobile cremonese Simone Arborsello, che era stato rettore della Facoltà delle Arti e Medicina a Padova nel 1540 e 1542 e che con la sua epistola del 1543 incoraggiava il Forte, che considerava un vero e proprio maestro, a proporre la sua dottrina alle autorità mediche padovane che certamente ne avrebbero riconosciuto la validità (ricordiamo comunque che egli era legato da un rapporto di amicizia, come risulta dallo Spechio de la vit’humana, anche con Giovanni Battista Memmo, influente professore dello studio veneziano)62. Ma, se già nel Trattato della prisca medicina il Forte scriveva che avrebbe desiderato «questa sicura industria della facultà mia con li debiti ordini suoi, che esercitar si deve, darla al uso commune di qualche degna e grata università», le sue inclinazioni mutarono decisamente dopo che «alcuni sciocchi», evidentemente sconcertati dalla critica in alcuni tratti distruttiva esercitata dal medico corfiota verso le autorità antiche, rifiutarono le sue dottrine sostenendo che «tanti e tanti Authori celebrati, che per l’universo già avanti a noi furono, che la dottrina del divino Hypocrate e del sapiente e fidel suo espositor Galeno pergameno, insiemi con quella del Principe Avicenna, e delli altri gloriosi che seguirno lor felice disciplina, per tutto ’l mondo faustamente han fatto pruova e ciascun ha consentito in tal guberno, e nel presente anchora, tanti e tanti clarissimi dottori, famosi e solenni, si ritrovano, quali affermano la dottrina delli nominati authori».

Se è comprensibile il rifiuto del mondo accademico verso la sommaria liquidazione operata dal Forte di secoli e secoli di ricerche mediche, è tuttavia da sottolineare che gli studia universitari soffrirono certamente di un certo ‘immobilismo’ che non permise loro di aprirsi alle acquisizioni ricavate dall’esperienza diretta, del cui valore il Forte e i medici ‘pratici’ che operavano al di fuori delle istituzioni erano convinti assertori. La folla di questi curanti alternativi era notevole così come la varietà delle loro teorie, poiché «l’assenza di un’organizzazione formale della professione concedeva loro molta libertà, anche

intellettuale»63, ma allo stesso tempo li esponeva agli attacchi delle corporazioni concorrenti, in primo luogo quella degli speziali64.

Eppure fu proprio lo stretto rapporto di collaborazione che si instaurò in certi casi tra speziali e medici empirici (esemplare è il caso di Sabba di Franceschi con Leonardo Fioravanti e in misura minore con il Forte stesso) che permise un notevole passo in avanti in ambito farmacologico – ambito nel quale la medicina ufficiale era ferma a Dioscoride, che circolava all’epoca soprattutto nell’edizione commentata dal senese Pietro Mattioli65. Gli speziali infatti furono tra i primi a comprendere il ruolo chiave che avrebbero giocato due elementi nell’evoluzione della scienza rinascimentale: l’arrivo di nuove piante dalle terre scoperte grazie alle esplorazioni geografiche e l’affermarsi della chimica nella preparazione dei medicinali; inoltre le loro botteghe erano luoghi importantissimi per l’incontro dei praticanti del mercato della cura e fornivano, oltre che consulenza medica, anche molteplici occasioni di scambio intellettuale66; d’altronde, scrive Palmer, «the pharmacist’s success depended not on his prices, but on his reputation for quality, and on his contacts with local physicians»: quindi «the physician-pharmacist relationship was crucial for both partners»67.

Il Forte, certamente, in quanto fisico che ebbe in cura importanti patrizi e aspirò con le sue opere ad entrare nelle grazie di re e pontefici, dovette adeguarsi all’habitus del medico ‘dotto’, il cui comportamento doveva essere codificato da precisi modelli atti a distinguerlo dai praticanti ‘popolari’ (chirurghi, speziali, ciarlatani di professione): modelli che prevedevano «una gravitas e un abito appropriato al suo status di appartenente a un ceto ‘medio’, ma frequentemente in contatto con esponenti di classi superiori, cui doveva imporre trattamenti che

63

Cfr. M. Conforti, Chirurghi, mammane, ciarlatani, cit., p. 328.

64 D’altro canto spesso i medici condannavano l’ignoranza dei farmacisti, o rendevano note le loro frodi anche attraverso pubblicazioni a stampa; si veda ad esempio il Dialogo de gl’inganni

d’alcuni malvaggi speciali di Antonio Lodetto, impresso a Brescia nel 1572; cfr. su questo R.

Palmer, Pharmacy in the Republic of Venice in the Sixteenth Century, cit., p. 100.

65 P. Mattioli, Di Pedacio Dioscoride Anazarbeo Libri cinque della historia, & materia medicinale

tradotti in lingua uolgare italiana da m. Pietro Andrea Matthiolo sanese medico, in Venetia, per

Nicolo de Bascarini da Pavone di Brescia, 1544.

66 Cfr. M. Conforti, Chirurghi, mammane, ciarlatani, cit., p. 328. Si veda inoltre F. De Vivo,

Pharmacies as centres of communication in Early Modern Venice, «Renaissance Studies», XXI,

2007, pp. 505-521.

potevano essere rischiosi, e saper chiedere un pagamento per i propri servizi»68. Tuttavia, allo stesso tempo, egli non risparmia le derisioni verso i «medici ipocriti» che tengono in cura i pazienti per tempi lunghissimi e si affidano per le diagnosi ad interminabili consulti epistolari con i loro colleghi69: a questa pratica il Forte muove nell’Opera nuova una semplice quanto mordace critica: «O che il medico sa l’arte sua completa, e per tanto non ha bisogno d’aiuto alcuno; se non la sa intieramente è imperfetto, dunque son pazzi coloro che s’infidano de quello». Inoltre egli non esita a stigmatizzare, sia nell’Opera nuova che nello Spechio de la vit’humana, la diffusa pratica delle dispute pubbliche tra medici, spesso violente al punto che essi «parono galli azuffati che si vogliano beccare»: la stessa condanna si trovava già nel De cautelis medicorum di Gabriele de Zerbi (m. 1505) composta nel 1495: Zerbi infatti, come scrive French nel suo fondamentale contributo Medicine Before Science, si era accorto che «the vulgar and the plebians, ever ready to poke fun at the learned pomposity of doctors, could cause immense damage to the reputation of all properly trained physicians by showing that, since they disagreed in their learning, it coluld not be trusted»70. Quindi secondo l’etica professionale di questo come di molti altri fisici, era fondamentale non manifestare disaccordo tra medici in pubblico per mantenere la credibilità della categoria.

Nell’Opera nuova, tuttavia, la critica del Forte si dispiega in generale verso praticamente tutte le categorie di curanti attive nel Rinascimento: dal semplice guaritore che offre i suoi servigi in contesti rurali (simboleggiato da un «capraro con un sacco d’herbe e radice»), alla muliercula la cui attività non era limitata a quella di levatrice, ma sconfinava spesso in pratiche parareligiose guardate con sospetto dall’autorità ecclesiastica (il Forte la descrive con tutti gli attributi della strega: una «vecchia con la rocca de canna» che «quanti adopra inganni, con gotti d’acqua pieni, et accesi carboni, con mensure varie di centure, fili diversi de lana e

68 Cfr. M. Conforti, Chirurghi, mammane, ciarlatani, cit., p. 333. 69

Il consulto divenne nel Rinascimento, secondo quanto scrive Conforti, «un elemento caratterizzante del mondo medico italiano, e uno dei generi testuali più praticati dai medici»; ivi, p. 334.

70

R. K. French, Medicine Before Science: The Business of Medicine from the Middle Ages to the

Enlightenment, Cambridge, Cambridge University Press, 2003, p. 146; si veda inoltre Id., The medical ethics of Gabriele de Zerbi, in Doctors and ethics: the earlier historical setting of professional ethics, a cura di A. Wear, J. Geyer-Kordesch, R. K. French, Amsterdam, Rodopi,

seta, stringhe e cordelline, camise, calze, scarpe, e poi con incanti de spiriti e finte orationi»), per finire poi con «quelli che vengono con nome di dottore, e dicono: ‘studiai in molti luochi, ho sustentato conclusione diverse e so mostrar il vero per bugia, parlo ben per lettera elegante, e in me non trovi falsi latini, anchora so ben collegiare, e quando son chiamato parlo longamente per quattro hore, la gente si stupefa de mia dottrina. Voglio dinari assai, perché produco tante autorità’». Neppure i ciarlatani di professione – coloro che producevano e pubblicizzavano rimedi miracolosi, ‘segreti’ che, specie nel caso di Leonardo Fioravanti, erano anche rivelati al pubblico tramite testi a stampa di grande fortuna editoriale71 – vengono tralasciati in questo inventario delle male pratiche esistenti nel variegato mondo delle professioni mediche della prima età moderna: essi sono infatti liquidati dal Forte come una «congregatione che tiene de secreti li libretti e voglion far miracoli ad ogni prova».

Tuttavia la vicenda del Forte e quella del Fioravanti sono più simili di quanto potrebbe a prima vista apparire: anche il secondo infatti, come il medico corfiota, dovette affrontare «a powerful and invidious ‘cabal’ of physicians»72, e i suoi collaboratori non furono i professori universitari, che anzi egli derideva nei suoi scritti, ma farmacisti (primo tra tutti il De’ Franceschi), distillatori, medici empirici: in questo momento, d’altronde, a livello popolare «skepticism about traditional medicine was rife, and everiday you could see ciarlatani in the piazzas burlesquing the official doctors»73. Fioravanti nei suoi testi dà voce alla diffusa diffidenza verso la medicina ufficiale, una diffidenza che il Forte condivide pur difendendo la figura del medico saggio e onesto, scagliandosi soprattutto contro la presunzione delle istituzioni poste a controllo della professione medica, ed in particolare il Collegio dei Medici della Serenissima, «all of whose members were, he claimed, his enemies»74. Il Collegio d’altro canto si sforzava con ogni mezzo di arginare il dilagare dei curanti irregolari, cercando di porre sotto il suo controllo la loro attività attraverso il rilascio di licenze e permessi: «yet despite all the efforts of the Colleges of Physicians, unorthodox practitioners continued to flourish.

71

Cfr. M. Conforti, Chirurghi, mammane, ciarlatani, cit., p. 329.

72 Cfr. W. Eamon, Pharmaceutical Self-Fashioning, or How to Get Rich and Famous in the

Renaissance Medical Marketplace, «Pharmacy in History», XLV, 2003, pp. 123-129, p. 123.

73 Ivi, pp. 124-125.

Mainly they were in the fringes of society, but sometimes they took on a more central role, attacking ortodox medicine in a flow of racy, and, it would seem, saleable vernacular publications»75. Questo è proprio il caso del nostro medico: la sua critica generalizzata a tutto il mercato della cura non va infatti interpretata come interamente distruttiva; bisogna anzi riconoscere in essa una certa tensione riformatrice, che aspirava a emendare la pratica medica almeno dagli errori più grossolani, onde evitare che l’intera categoria perdesse ulteriore credibilità. In quest’ottica devono essere letti i lazzi che il Forte lancia attraverso un testo, l’Opera nuova appunto, che doveva essere destinato ad un pubblico certamente più vasto di quello a cui erano diretti i suoi scritti di argomento specificamente medico-astrologico. E anzi, la ricomposizione finale della diatriba tra un Medico e un Oratore che occupa tutto il secondo dialogo dell’operetta è indice di un tentativo di riabilitazione della figura del medico, spesso costretto a lavorare duramente e con profitti incerti e scarsi – come risulta dal gustoso aneddoto del medico paragonato a un angelo dal paziente nel momento in cui viene guarito, e a un diavolo nel momento in cui gli viene presentata la parcella76 – ma anche di pacificazione tra i partecipanti al mercato della cura nella repubblica di Venezia: infatti, sintetizza brillantemente Conforti, «pur essendo spesso in conflitto fra loro per l’attenzione e per il denaro dei pazienti, le diverse figure di curanti seppero trovare nelle città italiane del Rinascimento forme di convivenza, tra loro e con i medici educati all’università, e le autorità municipali o statali ebbero quasi sempre cura di mantenere la varietà e ricchezza di esperienze e di possibilità di intervento che derivava dalla differenziazione tra coloro che praticavano la medicina e la cura»77. La pratica medica infatti seppe in questo periodo «mescolare efficacemente linguaggi, stili e livelli diversi di acculturazione, tradizioni colte trasmesse dall’élite dei medici accademici con saperi elaborati da genealogie di curanti locali»78: e il Forte fu senza dubbio tra i personaggi che resero possibile questo interscambio, avvicinando gli estremi del sapere accademico e del mercato della cura popolare, lavorando in bilico tra corti e botteghe, viaggiando e

75 Ivi, p. 111.

76 Si veda p. 182 del presente lavoro.

77 M. Conforti, Chirurghi, mammane, ciarlatani, cit., p. 338. 78 Ivi, p. 339.

raccogliendo notizie e segreti da inserire in operette destinate ad un pubblico popolare (come il Lunaccione) e allo stesso tempo componendo raffinati trattati ed epistole in latino per papi e re.

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