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Capitolo II. «Vita mea multorum salus» Il pensiero scientifico e la critica della

3. Astrologia, fisiognomica, melotesia e metoscopia

Sulla scorta dell’idea di un nesso profondo tra microcosmo e macrocosmo, discipline come l’astrologia e la magia ricevono, in epoca rinascimentale, nuovo vigore. La disputa sull’astrologia si inasprisce notevolmente, negli ultimi decenni del Quattrocento, ad opera di personalità come Giovanni Pico (1463-1494) e Girolamo Savonarola, che condannano fermamente la divinazione in quanto metterebbe in dubbio il concetto cristiano di Provvidenza: ad esempio Pico nelle sue Disputationes adversus astrologiam divinatricem, uscito postumo nel 1494, mirava a tutelare il libero arbitrio e la fondamentale distinzione fra profezia e divinazione naturale42; la sua posizione verrà poi ripresa da Savonarola con il Trattato contra li astrologi del 1497.

È in questo contesto che gli intellettuali più restii a rinunciare allo studio dell’influenza dei corpi celesti sul mondo sublunare elaborano la cosiddetta ‘astrologia descrittiva’, disciplina che aspira a determinare appunto gli influssi degli astri sul mondo animato e inanimato – senza alcuna pretesa divinatoria – e la pongono in netto contrasto con l’‘astrologia giudiziaria’, che viene collegata alla magia demoniaca e quindi dipinta come una pratica blasfema e perniciosa43. Il Forte stesso, pur denunciando che l’arte astrologica è «viciata» per causa di molti che la praticano con finalità truffaldine, sottolinea che non «per la ignorantia e imperfettione delli opranti si debbia la tanto nobile, degna, salutifera e necessaria arte biasimare, anchor che fossero questi opranti de numero quasi infinito». Nella sua opera, d’altro canto, l’astrologia è contemplata quasi

41 Cfr. C. Vasoli, La polemica contro l’astrologia, cit., p. 388. 42 Cfr. P. Zambelli, L’ambigua natura della magia, cit., p. 15.

43 Cfr. E. Garin, Lo zodiaco della vita. La polemica sull’astrologia dal Trecento al Cinquecento, Roma-Bari, Laterza, 1976.

esclusivamente a fini medici, in quanto essa ha un ruolo fondamentale nel suo sistema curativo, in linea con gli aspetti più basilari della medicina medievale, in buona parte fondata su una filosofia astrologica che implicava che i fenomeni terrestri, e in particolar modo la salute e la malattia, fossero in corrispondenza, analogia o proporzione con i moti celesti. Infatti nell’Opera nuova scrive che, dopo la visita al paziente, il bravo medico «contempla il cielo tutto per sapere quello che muove le stelle in costui», presupposto dunque imprescindibile per giungere ad una diagnosi corretta.

Ma c’è di più. Infatti, secondo il Forte, «se tu vedi che alcun dica il vero, e sempre, e che bene opra le cose che fan la gente meravigliare, sappi quello è Astrologo perfetto e buono perché il fine del sapiente è oprare le cose mirabile che tutta via appareno nel cospetto degli huomini»44. La capacità di praticare l’astrologia è dunque esclusivamente appannaggio del sapiente, poiché essa rientra tra le materie che le persone comuni non possono interpretare che come ‘meraviglie’. Le sue posizioni possono dunque essere avvicinate in particolare a quelle di Pomponazzi, che nel De incantationibus, «accettando il determinismo astrologico e riportando sotto il dominio dei cieli anche la storia e i mutamenti delle religioni e la spiegazione dei miracula e dei mirabilia, aveva confermato l’eccezionale natura dei sapientes, perfetti conoscitori delle leggi eterne e quasi Dii terrestres di fronte a un ‘volgo’ ignorante e ferino, impotente a liberarsi delle sue stolte superstizioni»45.

Questa concezione dell’astrologia si collega in Forte direttamente alla possibilità di individuare i tipi umani in base all’influenza astrale, presupposto fondamentale delle discipline che aspirano a valutare le caratteristiche dell’individuo in base a determinati aspetti somatici (fisiognomica e metoposcopia) o medico-astrologici (melotesia). Il Forte non è naturalmente il primo a percorrere questa strada. Tra i suoi contemporanei moltissimi sono i medici che aderiscono a questo tipo di discipline: dopo il trattato sulla metoposcopia scritto da Cardano (pubblicato a Parigi solo nel 1658, quasi cento anni dopo la sua morte), e quello del suo

44 A. Forte, Opera nuova…, cit., 17v.

45 Cfr. C. Vasoli, La polemica contro l’astrologia, cit., p. 380. Su Pomponazzi si veda G. Zannier,

Ricerche sulla diffusione e fortuna del De Incantationibus di Pomponazzi, Firenze, La Nuova

discepolo Thaddeus Hajek, dal titolo Aphorismorum metoposcopicorum libellus, composto nel 1584, si assisterà infatti, nel XVII secolo, ad una straordinaria fioritura di trattati di metoscopia e chirologia.

Le posizioni del Forte sembrano comunque richiamarsi in particolare quelle del medico e filosofo Michele Savonarola (1385-1468)46; il suo Speculum phisionomiae delineava i fondamenti teorici della sua medicina astrologica, che trovava a sua volta un fondamento nella fisiognomica, disciplina che vede le interazioni tra anima e corpo come concepite in base ad una classificazione dei tipi umani, i quali a loro volta vengono ricondotti alle influenze e ai caratteri comunemente attribuiti ai corpi celesti. «La natura dell’uomo è promossa e sollecitata mirabilmente dai corpi astrali»47: una dottrina che il medico padovano mutuava direttamente da Pietro d’Abano, e che il Forte accoglie in pieno, come è evidente da quanto scrive nel Dialogo de le comete, dove fornisce un succinto inventario delle varie «complessioni» derivanti dall’influenza di ciascun pianeta: «Li concordati ad Saturno pigri, vili e mesti, de angustia pieni, miseri, impii, mendaci, sporchi, solitarii e malefici. Ad Iove con allegro viso benigni e splendidi, iusti, mundi, conversevoli e benefici. Ad Marte pieni de ira e sdegno con furore, instabili, rissosi, iniusti, busardi, sanguinolenti, crudeli e malefici. Al Sole audaci, magnanimi, liberi, signorili e benefici. Venere con piacevoleza li conduce delettevolmente, mondi e gratiosi, pieni di mansuetudine, lieti, conversevoli e benefici, ma vanagloriosi. Ad Mercurio industriosi, instabili e varii; de la Luna vagabondi, sonnolenti e prigri, invalidi de mente e virtù corporale».

Corpo e anima individuale procedono dunque in armonia con i movimenti astrali, come si vede anche nel Dialogo de gli incantamenti (1533), dove, per suffragare la sua teoria secondo cui gli uomini e le donne sono ugualmente soggetti a vizi e virtù, il Forte si serve delle sue nozioni di medicina e fisiologia, dimostrando che

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Per la vita e le opere di Savonarola si vedano A. Segarizzi, Della vita e delle opere di Michele

Savonarola, medico padovano del secolo XV, Padova, Gallina, 1900; A. Samaritani, Michele Savonarola, riformatore cattolico nella corte estense a metà del secolo XV, «Atti e Memorie.

Deputazione provinciale ferrarese di Storia Patria», s. III, XXII, 1976, pp. 44-85; C. Crisciani, G. Zuccolin, Michele Savonarola: medicina e cultura di corte, Firenze, SISMEL, Edizioni del Galluzzo, 2011.

47 G. Federici Vescovini, La medicina astrologica dello Speculum phisionomie di Michele

le attitudini dei soggetti sono influenzate in primo luogo dalla loro conformazione fisica, che modifica il modo in cui agiscono sull’intelletto umano gli «spiriti», cioè gli umori, «che nelli corpi ogne operatione movino, secondo il sito e la natura che gli rege». In base a questo, in un lungo passo dell’operetta il Forte stende poi un vero e proprio inventario delle caratteristiche comportamentali dell’uomo in base alla sua tipologia fisica, distinguendo dunque tra «grandi», nei quali «il tratto è lontano» e dunque gli «spiriti» tardano a muoversi causando pigrizia e cupidità, e «picolini», in cui «breve è il corso, donque presto giongeno, e per tal causa veloci sono in tutte le opre, audaci, iracundi, impacienti, increduli e frittulosi». «Il dritto» è «superbo e audace, per la facilità del spirito che se eleva suso», a differenza di coloro che sono affetti da imperfezioni nella colonna vertebrale, nei quali la mancata regolarità della figura dovrebbe essere segno di malvagità. Anche il colore della pelle naturalmente influenza le attitudini umane: «Negro è tenebroso, perché simiglianti spiriti ha, che il movino. Rosso corpo claro e bello, fa aliegro il possessore, gratioso, liberale, iusto e molto pietoso. Il zallo participa de la fiamma quale è aere infocato, e per tanto gli spiriti fiamegiano, non variando la propria natura: donque sono instabili, violenti», mentre coloro che hanno la carnagione più chiara «hanno del aquoso e frigido: per tanto sono pigri, piangitosi, timidi, debili e inclinati al ocio».

Anche il colore dei capelli può, secondo il Forte, dirci molto sul carattere di un individuo: «Il pelo grosso designa robusta natura, superba e ostinata persona, vendicatore. Il nigro pelo receve infortunio dal malefico, penoso e angustiante planeto de Saturno, al quale corresponde e suggiace: e perciò sono infortunati, lamentosi, che mai se evacuan da senistri e adversi casi. Il biondo dal sole receve ogni suo potere, donque sin come quello dovunque pote beneficia, e perciò mostra signorili, magnanimi, iocundi, piacenti e de libera voluntate». Il capello bianco, d’altronde, «perché da corrotto humore nasce, adversità significa in le persone, pensieri profondi, e huomini de gran iudicio, sincome in li vecchi la natura certificante mostra».

Così come in Cardano, infine, anche la forma della fronte è eloquente: quella larga fa l’uomo tardo e pigro, quella stretta lo rende impetuoso, quella incavata insensibile, quella piana moderato e saggio. Dunque, conclude il medico, «cussì

da parte in parte il corpo humano discurrendo, se ben recerchi, troverai seguir le lege stabilite da natura, o masculo o donna che se sia».

La fisiognomica del Forte si allinea quindi a quella della tradizione medievale, che derivava da alcuni passi del Tetrabiblos di Tolomeo nell’interpretazione dei filosofi e degli astrologi arabi, dove veniva istituita «una relazione strettissima tra le malattie, i temperamenti, le inclinazioni psichiche, la struttura somatica, ossia l’intera fisiognomica, e le influenze planetarie delle natività individuali»48. La differenza sostanziale fra la fisiognomica aristotelica (delineata a partire da un passo degli Analytica priora, dalla Physiognomica dello Pseudo-Aristotele e dall’anonimo del IV secolo De physiognomia liber) e quella tolemaica risiede nel fatto che quest’ultima, «mettendo in relazione fisiognomica e astrologia, introduce un dato completamente assente in Aristotele»49. Lentamente questa disciplina si era comunque fatta strada negli studia, in particolare dopo la composizione dell’Expositio de physiognomia Aristotelis da parte di Giovanni Buridano, e soprattutto grazie al successo del Liber compilationis physiognomiae di Pietro d’Abano e del già citato Speculum physionomiae di Michele Savonarola, nonostante essa fosse già stata annoverata da Tommaso d’Aquino tra le scienze divinatorie superstiziose, cosa che di fatto ne escludeva la liceità dell’insegnamento. È grazie a questi testi, invece, che inizia ad essere riconosciuta l’appartenenza della fisiognomica alle discipline tecniche volte allo studio della natura e dell’uomo, liberandola così dall’accusa di essere una pratica soggetta al determinismo astrologico. Ad arricchire lo spettro d’azione della fisiognomica giungeva poi la dottrina medico-fisica delle complessioni dei pianeti mutuata da Pietro d’Abano direttamente da Abu Masar, dottrina che attribuiva appunto ai pianeti le quattro qualità (caldo, freddo, umido, secco) proprie degli elementi e delle loro combinazioni. Anche il Forte, nel Lunaccione, mette in relazione le quattro qualità con l’influenza dei corpi celesti sulla vita sublunare: «Collui donque che vole bene comprendere la aptitudine de subgetti deve notare per suo principal fundamento, che ogni cosa generabile e corruptibile costa de quatro

48 Cfr. G. Federici Vescovini, Medicina, fisiognomica, astrologia e magia, in Storia della scienza, vol. IV, Medioevo e Rinascimento, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2012, pp. 498-504, p. 498.

qualitate, cioè caldo, humido, fredo e secco, ciascheduna dele quale nelli subgetti domina in parte più ad se propriata e conveniente»; le quattro qualità sono «nel aere impresse con il moto del sole e di venti che crescino e mancano similmente e variano», e ognuna, derivante dal pianeta che influenza l’individuo, «nel animo che receve in domino suflando il move e disperge, per la qual cosa suoi effetti segue e opra».

L’opera del Forte in cui emerge più chiara la contaminazione tra astrologia e fisiologia resta comunque il De mirabilibus vitae humanae, composto nel 1543, al quale già il Thorndike dedicava un passo nel quinto volume della sua fondamentale History of Magic and Experimental Science: «Meanwhile the book of Angelo di Forte on the marvels of human life had been dedicated to Paul III and printed at Venice in 1543, the year of the publication of the more justly famous works of Copernicus and Vesalius. The organs and functions of the body are associated by Angelo with the planets, fixed stars, Milky Way, and head and tail of the dragon. The pulsing blood is compared with the course of the sun in the circle of the year»50. Anche la fisiognomica del Forte, dunque, in diretta connessione con quella dei suoi illustri predecessori, ha «l’intento di fornire una psicologia descrittiva degli individui, sulla base dei segni somatici derivanti dalla nascita, tra i quali non si privilegia soltanto la forma della testa, ma anche quella di tutte le altre parti del corpo»51.

Ma come risolve il Forte il problema della limitazione della libertà umana, che si presenta così fortemente condizionata a livello biologico dall’influenza astrale? Proprio come Michele Savonarola, che dichiarava che l’uomo sapiente può comunque dominare se stesso e gli eventi, facendo propria la nota massima tomista per cui «astra inclinant, non necessitant», il medico corfiota ribadisce infatti che «il libero arbitrio humano mirabilmente opra, con il qual se distriga dal malo planeto e al bono se accompagna»; ma d’altro canto, «dove alcuno non cognosce, né sa, non può liberamente arbitrare». Dunque, conclude il Forte in linea con le coeve posizioni di Pomponazzi52, di Cardano53 e, in misura minore, di

50

L. Thorndike, A History of Magic and Experimental Science, New York, Columbia University Press, 8 voll., 1923-1958, vol. V, 1942, p. 263.

51 Cfr. G. Federici Vescovini, Medicina, fisiognomica, astrologia e magia, cit., p. 499.

52 Occorre ricordare che, tra i più appassionati estimatori del De fato, circolato a lungo in forma manoscritta, ci furono il Cardano e il Fracastoro. Cfr. P. Pomponazzi, Il fato, il libero arbitrio e la

Luca Gaurico (che pone maggiormente l’accento sulla volontà divina piuttosto che su quella umana, come elemento atto a svincolare la realtà dal dominio degli influssi celesti)54, «solo il Sapiente può libero arbitrare, perché le cose cognosce e differentie loro». Le concezioni fisiognomiche del Forte si allineano dunque, pur non aggiungendovi significative acquisizioni, alla grande tradizione rinascimentale che culminerà alcuni decenni dopo nelle speculazioni, tra gli altri, di Giovan Battista della Porta e Giordano Bruno.

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