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Capitolo II. «Vita mea multorum salus» Il pensiero scientifico e la critica della

2. La «sicura dottrina del medicare»

In Forte, come in Paracelso, in Cardano e, anche se in misura minore, in Fracastoro, si ha quindi una commistione di elementi astrologici e alchemici che creano una dottrina della medicina se non completamente altra, comunque spesso in contrasto con la ‘medicina umanistica’ propugnata ad esempio dal Leoniceno: se in entrambe le scuole si ritrova infatti il rifiuto della medicina scolastica e dei testi arabi, nonché il richiamo al valore dell’esperienza diretta contro la cultura medica libresca, le differenze tra le teorie dei ‘paracelsiani’ e quelle degli ‘umanisti’ sono altrettanto evidenti.

Niccolò Leoniceno era forse il maggiore esponente del cosiddetto «umanismo medico»20, un modo per indicare un nuovo atteggiamento nel campo degli studi medici, diffusosi sull’onda del recupero generale dell’eredità classica, che «modifica i modi di argomentare, facendoli passare dalla tradizione scolastica del

20 Si veda il recente volume di H. Hirai, Medical Humanism and Natural Philosophy: Renaissance

commentario del XV secolo a interpretazioni più orientate alla filologia»21. Con un procedimento analogo a quello praticato sui testi filosofici e letterari, i medici umanisti cercarono quindi di ricostruire nella sua complessità la medicina antica, con l’aiuto di edizioni critiche e nuove traduzioni dei testi classici.

La prima conseguenza di ciò fu il rifiuto della tradizione medica di matrice medievale, impersonata dall’interpretazione di Galeno data da Avicenna. Il filosofo islamico fu il principale obiettivo degli strali che i medici umanisti lanciavano contro la medicina tradizionale a partire dalla fine del Quattrocento: in primo luogo fu il Leoniceno ad attaccare apertamente la sua impostazione, ipotizzando un’eziologia naturale della sifilide nel suo De epidemia quam Itali morbum Gallicum vocant stampato da Aldo Manuzio nel 1497, e quindi screditando le spiegazioni soprannaturali – che la volevano punizione divina per i comportamenti sessuali illeciti – riguardo alla sua diffusione.

Come già il suo lavoro del 1492 De Plinii et plurium aliorum in medicina erroribus22, anche questo scatenò diverse reazioni da parte dei difensori della medicina tradizionale, tanto che l’università di Ferrara divenne teatro di una vera e propria disputa che si protrasse per diversi anni: il Leoniceno vi sostenne le sue posizioni che contrastavano con quelle di Sebastiano Aquilano (1440-1510) che si appellava all’autorità di Galeno per dimostrare che la sifilide non era altro che l’elefantiasi già individuata e descritta dal medico greco. Ma il confronto più aspro si ebbe tra il Leoniceno e Corradino Gilino (1445-1500) medico di corte di Ercole I D’Este, convinto assertore della teoria di derivazione avicenniana per cui l’epidemia di sifilide che imperversava a Ferrara era da addebitarsi a una congiunzione astrale negativa23.

21 Cfr. M. Mulsow, “Nuove terre” e “Nuovi cieli”: la filosofia della natura, in C. Vasoli, Le

filosofie del Rinascimento, cit., pp. 416-433, p. 422. Sulla figura di Niccolò Leoniceno cfr. ad

esempio D. Mugnai Carrara, La biblioteca di Nicolò Leoniceno. Tra Aristotele e Galeno: cultura e

libri di un medico umanista, Firenze, Olschki, 1991.

22 Alle critiche mosse dal Leoniceno alla Historia naturalis aveva risposto prontamente, l’anno successivo, Pandolfo Collenuccio (1444-1504) con la sua Defensio Pliniana, in cui si appellava al principio di autorità di Plinio come rappresentante della tradizione medica latina. Cfr. L. Bianchi,

Le scienze nel Quattrocento. La continuità della scienza scolastica, gli apporti della filologia, i nuovi ideali di sapere, in C. Vasoli, Le filosofie del Rinascimento, cit., pp. 93-112, p. 105.

23

Sulla disputa di Ferrara cfr. J. Arrizabalaga, Sebastiano dall’Aquila (c. 1440 - c. 1510), el “mal

francés” y la “disputa de Ferrara” (1497), «Acta Hispanica ad Medicinae Scientiarumque

Historiam Illustrandam», XIV, 1993, pp. 227-247 e D. Mugnai Carrara, Fra causalità astrologica

e causalità naturale. Gli interventi di Nicolò Leoniceno e della sua scuola sul morbo gallico,

Sulla strada aperta dal Leoniceno si sarebbero poi incamminate numerose altre personalità: lo stesso Paracelso, che forse lo ebbe come professore a Ferrara, quando a sua volta insegnò a Basilea, incitò i propri studenti a bruciare i libri di Avicenna e Galeno24.

Ma la polemica del medico svizzero contro la tradizione non era destinata a fermarsi ai testi arabi. Come scrive Clericuzio, infatti, «il dominio della medicina umanistica non impedì che si manifestassero dissensi anche nei confronti della tradizione galenica, […] critiche che aprirono la strada alla diffusione del paracelsismo e della medicina chimica»25.

Paracelso avrebbe infatti criticato per intero la tradizione medica esistente, giungendo, come già detto, a mettere in discussione la fisiologia classica che vedeva l’uomo costituito dai quattro umori – bile nera, bile gialla, sangue e flegma – per sostituirli con i componenti del corpo e del cosmo della tradizione alchemica: mercurio, sale e zolfo26. Comunque, scrive Vasoli, «gli studi degli ultimi cinquant’anni hanno profondamente mutato l’immagine tradizionale del ‘mago’ e ‘negromante’ Paracelso, ricostruendo con crescente rigore storiografico, sia il carattere e l’effettiva struttura teorica del suo pensiero, sia le ragioni dell’indubbia fortuna del paracelsismo»27.

In ogni caso, sebbene fossero ormai passati trentacinque anni dalla famosa disputa di Ferrara del 1497, non si può dire che all’epoca di Forte la polemica fosse rientrata; infatti nel 1530 Girolamo Fracastoro pubblicava il suo poema Syphilis, sive morbus gallicus.

Fracastoro insegnava all’epoca a Padova, culla dell’aristotelismo veneto, ma era veronese, e quindi certamente soggetto in quel lasso di tempo al clima

24 Cfr. J. C. Sournia, Storia della medicina, Dedalo, Bari, 1994, p. 175.

25 Cfr. A. Clericuzio, La critica della tradizione: chimica, farmacologia spagirica e medicina

paracelsiana, in Il Rinascimento italiano e l’Europa, cit., p. 373.

26

Ivi, p. 368.

27 Cfr. C. Vasoli, La polemica contro l’astrologia. Pomponazzi e il De incantationibus. Filosofia,

medicina e profezia nella cultura del Cinquecento, in C. Vasoli, Le filosofie del Rinascimento, cit.,

pp. 374-397, p. 386. Sulla figura di Paracelso si vedano le fondamentali opere di W. Pagel,

Paracelso. Un’introduzione alla medicina filosofica nell’età del Rinascimento, Milano, Il

Saggiatore, 1989; C. Webster, Magia e scienza da Paracelso a Newton, Bologna, Il Mulino, 1984; Id., Paracelsus: Medicine, Magic and Mission at the End of Time, New Haven-London, Yale University Press, 2008; M. L. Bianchi, Introduzione a Paracelso, Roma-Bari, Laterza, 1995.

particolarmente innovativo che caratterizzò la sua città28: la sua teoria sui seminaria, cioè sul fatto che le malattie fossero causate da germi che si moltiplicavano nell’organismo, fu attaccata da diversi suoi colleghi dello Studio patavino, tra cui il conterraneo Giovan Battista da Monte (1498-1551) che lo accusò di aver compiuto «un’assurda rielaborazione degli atomi di Epicuro»29. Fracastoro non può essere ascritto, al pari di Forte, nella già delineata corrente della medicina umanistica, che comunque accettava e venerava gli antichi testi medici di Ippocrate, Celso e Galeno: potrebbe definirsi piuttosto una figura intermedia tra i due estremi, cioè gli umanisti di Ferrara e i paracelsiani. Egli infatti «ha cercato di ricomporre gli sviluppi della prospettiva filosofico-naturale consentiti da concetti neoplatonici come quelli di simpatia e antipatia con i dibattiti e gli schemi concettuali tradizionali»30. Il medico veronese vuole da un lato «sfruttare le considerazioni rinnovate da Ficino circa una simpatia universale di ascendenza platonica e dall’altro negare, con Pomponazzi, la legittimità di una spiegazione attraverso cause spirituali»31. Non a caso, infatti, le idee ficiniane avevano ispirato molte teorie di Paracelso, che aveva definito Marsilio Ficino «egregius medicus»32. Un’altra teoria che si ritrova, come già detto, in Fracastoro ed anche in Forte, è di derivazione paracelsiana: come spiega Clericuzio, «se nella medicina galenica tutte le malattie erano determinate da uno squilibrio umorale o da un indebolimento delle facoltà, nella iatrochimica paracelsiana ogni malattia è

28 La situazione di Verona in quegli anni era particolare: il clima di rinnovamento messo in atto dal vescovo Gian Matteo Giberti (1495-1543) insediatosi nel 1528, aveva infatti favorito il confluire nella città di numerosi ecclesiastici e intellettuali particolarmente sensibili alle istanze di riforma; cfr. M. Firpo, Riforma protestante ed eresie nell’Italia del Cinquecento, Roma-Bari, Laterza, 1993, p. 109. «La Verona del Fracastoro e del Giberti – scrive anche il Dionisotti – quell’accordo di scienza della natura, di ardua poesia e di riforma religiosa ai limiti, non oltre, dell’ortodossia, ancora è ben visibile nel quadro della letteratura italiana del Cinquecento». Cfr. Dante e Petrarca

a Verona, in Ricordi della scuola italiana, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1998, p. 34.

29 Cfr. G. Ongaro, Girolamo Fracastoro e lo studio di Padova, in Girolamo Fracastoro fra

medicina, filosofia e scienze della natura. Atti del Convegno internazionale di studi in occasione

del 450° anniversario della morte, Verona-Padova, 9-11 ottobre 2003, a cura di E. Peruzzi, Firenze, Olschki, 2006, pag. 50. Su Fracastoro si veda inoltre E. Peruzzi, La nave di Ermete. La

cosmologia di Girolamo Fracastoro, Firenze, Olschki, 1995.

30

Cfr. M. Mulsow, “Nuove terre” e “Nuovi cieli”: la filosofia della natura, in C. Vasoli, Le

filosofie del Rinascimento, cit., p. 420.

31 Ibid.

32 Cfr. A. Clericuzio, La critica della tradizione: chimica, farmacologia spagirica e medicina

un’entità specifica che ha origine da semi»33. Quegli stessi semi che Forte cita nel primo e nel terzo dialogo dell’Opera nuova.

La medicina di Forte, dunque, pur essendo debitrice del recupero dei testi classici messo in atto da personaggi come il Leoniceno, è sicuramente più improntata ad una critica generale della tradizione medica, a partire da Ippocrate che, sebbene giudicato «huomo di singular ingegno, amico del vero, e inchinato al ben commune», allo stesso tempo «fece gli discorsi con mente dubiosa, e questo perché li falsi fundamenti lo impedivano alla verità pervenire», come scrive nel Trattato della medicinal inventione: una critica che si appunta soprattutto sui successori e discepoli di Ippocrate, che contribuirono a rendere ancor più confusa e fallace la sua dottrina, come egli argomenta nel Trattato della prisca medicina e ancor più nel De calamitoso errore Avicennae: anche Palmer rileva infatti che «Forte presented a picture of Hippocrates groping after truth but working from false premises, followed by Galen, Avicenna and others who only compounded errors and stultified free investigation»34.

L’atteggiamento del medico corfiota, senza dover chiamare in causa direttamente Paracelso, delle cui opere come abbiamo visto non è certo che avesse piena conoscenza, si ritrova anche in altri medici a lui contemporanei, come Girolamo Cardano. Egli, se non mise mai del tutto in discussione i fondamenti della medicina galenica, fu comunque considerato da un collega professore a Pavia, Andrea Camuzio, un «eresiarca della medicina» a causa dei dubbi che espresse a proposito di alcune dottrine mutuate dai testi del medico ellenico35.

Più radicale e più vicina a quella di Forte è invece la posizione del suo contemporaneo Giovanni Argenterio (1513-1572), che sosteneva che la medicina avrebbe fatto maggiori progressi se i medici, invece di limitarsi a produrre glosse di Aristotele e Galeno, si fossero dedicati di più allo studio del corpo umano, della

33 Ivi, p. 368.

34

Cfr. R. Palmer, Pharmacy in the Republic of Venice in the Sixteenth Century, cit., p. 112. 35 Cfr. A. Clericuzio, La critica della tradizione, cit., p. 373. Sulla figura di Cardano cfr. ad esempio Girolamo Cardano: le opere, le fonti, la vita. Atti del Convegno internazionale di Studi, Istituto per la Storia del Pensiero Filosofico e Scientifico Moderno, Milano, 11-13 dicembre 1997, a cura di M. Baldi, G. Canziani, G. Aquilecchia, Milano, Angeli, 1999 e N. Siraisi, The clock and

the mirror: Girolamo Cardano and the Renaissance Medicine, Princeton, Princeton University

Press, 1997. Su Camuzio cfr. J. Kraye, La filosofia nelle università italiane del XVI secolo, in Le filosofie del Rinascimento, cit., pp. 350-373, p. 367.

natura, dei metalli e delle erbe36. Come nell’Argenterio, non manca infatti anche nel Forte una netta consapevolezza dell’importanza dell’esperienza diretta, posta notevolmente al di sopra dello studio dei classici. Ma la raccolta di nuovi dati e la riflessione sugli stessi non poteva necessariamente fare a meno di schemi di inquadramento generali che erano ancora quelli della tradizione galenica. Il compito che si assunsero questi medici fu dunque essenzialmente quello di trovare presupposti teorici che si adattassero meglio dei rigidi schemi di derivazione aristotelica a spiegare i dati empirici raccolti attraverso l’osservazione del paziente e dell’eziologia delle varie malattie. Sempre in stretto parallelismo con l’Argenterio, infatti, anche il Forte tende a rifiutare la fisiologia galenica dei tre spiriti (naturale, vitale e animale) localizzati gerarchicamente nel fegato, nel cuore e nel cervello, preferendovi un’impostazione basata su un unico spirito vitale costituito dal calore vitale risiedente nel sangue. Esso ottiene dunque un ruolo predominante tra i quattro umori, che il Forte comunque mantiene, dato che non vi sono tracce nella sua opera della fisiologia paracelsiana basata su mercurio, sale e zolfo; grazie ad esso lo spirito e il calore vitale entrano in circolazione nell’organismo attraverso le vene, condizionando le varie funzioni corporee. La teoria del Forte sulla presenza dello «spirito» nel sangue è presente in tutte le sue opere più corpose, in particolare il De mirabilibus e il Trattato de la medicinal inventione, dove è evidente il ruolo fondamentale che esso detiene per la sopravvivenza del paziente – dottrina condivisa, tra gli altri, dal Fernel (1497- 1558), che gli attribuiva tuttavia un vero e proprio potere di collegamento tra anima e corpo37 –, tanto da indurlo per questo a condannare senza riserve la pratica della flebotomia, «perché gli trahe dal corpo il spirito, insieme con lo sangue, da dove pendino le forze sue»38.

36

Cfr. A. Clericuzio, La critica della tradizione, cit., p. 372. Su Argenterio si veda N. Siraisi,

Giovanni Argenterio and Sixteenth-century Medical Innovation: Between Princely Patronage and Academic Controversy, «Osiris», II, 1990, 6, pp. 161-180.

37 Su Fernel si vedano almeno M. Bianchi, Occulto e manifesto nella medicina del Rinascimento.

Jean Fernel e Pietro Severino, «Atti e Memorie dell’Accademia toscana di Scienze e Lettere La

Colombaria», XLVII, 1982, pp. 183-248; l’introduzione di J. M. Forrester al De physiologia di Fernel, Philadelphia, American Philosophical Society, 2003, pp. 1-8 e J. M. Forrester, J. Henry,

Jean Fernel’s On the hidden causes of things: forms, souls, and occult diseases in Renaissance medicine, Leiden, Brill, 2005.

38 Scrive a questo proposito Palmer che «in therapeutics he condemned vigorous venesection and purging, and excessive dieting, arguing that orthodox doctors weakened and even killed their patients in this way»; cfr. Pharmacy in the Republic of Venice in the Sixteenth Century, cit., p. 112.

Anche i farmaci, d’altronde, non sono più considerati, come nella tradizione precedente, come apportatori di qualità elementari che si sommino a quelle già presenti nell’organismo, bensì come sostanze estranee all’organismo stesso, che vi reagisce in base ad un principio di antipatia o simpatia. È certamente questo che porta il Forte, nell’Opera nuova, a schernire la pratica spagirica almeno nelle sue più triviali applicazioni: i medici ciarlatani «fan macinar oro e argento e pietre pretiose, fan bollir ducati in acqua anchor ponere in distillati nelle bozze; il simile dico quando ordinan lo potabil oro: o che truffa manifesta!» Infatti, si chiede il Forte, visto che l’oro e argento non vengono consumati neppure dalla fiamma viva, «come è possibile, un poco di calore, entro il corpo humano, il consumi e in sangue e spirito poi lo convertisca?».

Tuttavia non per questo egli rifiuta le applicazioni iatrochimiche alla scienza medica, come si evince soprattutto da alcuni passi della sua ultima opera, il Trattato de la peste, dove egli loda – pur senza specificarne la natura – i rimedi composti di «di sustantia sottilissima», simile alla quintessenza alchemica, segreti di competenza dell’«arte trasmutatoria»39. Infatti, come sostiene anche Palmer, «he invented drugs (magistralia) of his own, stating that they should be composed of subtle substances, quintessences, which bore a relationship to the secret power of the heavens, and which for that reason could strenghten the virtues governing human body»40. Questa chiusa, tuttavia, non deve essere interpretata come indice di un’inversione di rotta sulle sue precedenti convinzioni riguardo alla perniciosità della scienza alchemica, ma come un ulteriore indizio del profondo legame che sussiste anche in lui, come nella gran parte dei medici suoi contemporanei, tra scienze ‘esatte’ e scienze ‘occulte’. Questa integrazione tra medicina, astrologia e alchimia, a detta di più studiosi, lungi dal far deviare l’arte medica verso fantasie e superstizioni, garantì invece, grazie al continuo richiamo all’esperienza diretta e

39 Lo stesso Paracelso nel suo Paragranum (1529-1530), si sofferma sulla nozione di ‘quintessenza’ (quinta essentia), «tramite cui parte dell’energia celeste poteva venir inclusa nelle cose terrestri. Da questa nozione Paracelso sviluppò l’idea di arcanum, un nucleo quintessenziale invisibile, racchiuso all’interno delle cose naturali. Una volta liberato dal suo involucro materiale e visibile, esso poteva esercitare un potere medicinale meraviglioso». Cfr. H. Hirai, Medicina e

astrologia. Aspetti della medicina astrale platonica, in Il linguaggio dei cieli. Astri e simboli nel Rinascimento, a cura di G. Ernst, G. Giglioni, Roma, Carocci, 2012, pp. 203-219, p. 216. Si veda

inoltre S. Parigi, Spiriti, effluvi, attrazioni: la fisica “curiosa” dal Rinascimento al secolo dei lumi, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, 2011.

all’osservazione della «bona maestra Natura», un passo avanti sulla strada del consolidamento della medicina come materia ‘scientifica’, se non altro, sintetizza Vasoli, per aver incentivato l’abbandono di «un sapere artefatto, inetto ad agire sulle cose ed incapace di fornire i principi e gli strumenti per permettere di esplicare tutte le potenzialità ancora inesplorate della mente umana»41.

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