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Accanto ai già citati interventi miranti a vincolare l’operatività delle società al perseguimento di interessi pubblici, e a quelli di limitazione del fenomeno con

operazioni di liquidazione e dismissione delle quote

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, le misure attuate in materia

110 Il tutto con ricadute sempre più dirette sulla generale governance degli enti soci in ragione del

diverso livello di partecipazione, che della specifica attività pubblica rimessa alla società, la cui necessarietà (specie in tema di servizi) e l’impossibilità di ricorrere efficacemente o in tempi rapidi al mercato, avrebbe comportato un ulteriore e maggiore impiego di risorse pubbliche con un intervento diretto da parte dell’ente socio. A questo scopo, è stato così avviato, sia a livello normativo che dottrinale e giurisprudenziale un sostanziale ripensamento della responsabilità degli amministratori, su cui si vedano, tra gli altri, G. ALFIERI, L’azione di responsabilità degli amministratori delle società a

partecipazione pubblica tra giurisdizione contabile e normativa europea, nota a Corte conti, sez. giur. Lombardia, 22 febbraio 2006, n. 114, in Resp. civ. prev., 2007, 2, 448 ss.; P. NOVELLI, L. VENTURINI,

La responsabilità amministrativa di fronte all’evoluzione delle pubbliche amministrazioni ed al diritto delle società, Milano, Giuffrè, 2008; G. ROMAGNOLI, La responsabilità degli amministratori di società pubbliche fra diritto amministrativo e diritto commerciale, in Le Società, 2008, 4, 441 ss.; E.F. SCHLITZER, Il regime giuridico della responsabilità degli amministratori e dipendenti delle s.p.a. a

partecipazione pubblica e l’art. 16 bis del c.d. milleproroghe (d.l. 31/12/2007 n. 248 convertito in legge 28/02/2008 n. 31), su GiustAmm., 2009; E. MAURO, La responsabilità degli amministratori di s.p.a. “pubblica”: profili pubblicistici, in C. IBBA, M.C. MALAGUTI, A. MAZZONI (a cura di), Le società “pubbliche”, cit., 309 ss.; A. STICCHI DAMIANI, La responsabilità degli amministratori di

società pubblica tra profili pubblicistici e privatistici, ivi, 343 ss.; L. TORCHIA, Società pubbliche e

responsabilità amministrativa: un nuovo equilibrio, in Giorn. dir. amm., 2012, 3, 328 ss.; M. MACCHIA, Amministratori di società pubbliche e danno erariale, ivi, 2014, 4, 381 ss.; M. ANTONIOLI, Analisi e riflessioni in tema di responsabilità amministrativa, società a partecipazione pubblica e riparto fra le giurisdizioni, in Dir. proc. amm., 2013, 3, 835 ss.

111 A questo erano già destinate le misure introdotte nel 2008 e chiamate a porre un freno

all’espansione delle società strumentali, prevedendone la liquidazione in assenza di una chiara connessione con le funzioni istituzionali dell’ente socio.

112 Un effetto, peraltro, che sembra essersi prodotto ma in maniera assai minore considerando

come molte volte la riduzione del numero delle società, specie strumentali, non si sia conclusa con l’affidamento a soggetti terzi ma con il ritorno alla gestione diretta di nuovo internalizzata.

113 Su cui torneremo nel capitolo 3. Basti qui ricordare come interventi di contrazione delle quote

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hanno tentato di alleggerirne l’impatto sui conti pubblici operando in due distinte

dimensioni. In primo luogo incidendo sui costi interni operativi e di gestione delle

società, sia sul versante delle procedure di acquisto di servizi e forniture

114

, che su

quello delle politiche assunzionali e retributive

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, anche in ragione dei risultati

ultimi anni. Tra questi sui segnalano, oltre alle norme già ricordate: l’art. 14, comma 32 del d.l. n. 78/2010, secondo cui «[…] i comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti non possono costituire società. Entro il 31 dicembre 2012 i comuni mettono in liquidazione le società già costituite alla data di entrata in vigore del presente decreto, ovvero ne cedono le partecipazioni», mentre «[…]i comuni con popolazione compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti possono detenere la partecipazione di una sola società; entro il 31 dicembre 2011 i predetto comuni mettono in liquidazione le altre società già costituite»; l’art. 4, comma 1 del d.l. 6 luglio 2012, n. 95 (decreto spending review) che impone all’ente socio di società controllate direttamente o indirettamente e che abbiano conseguito nell’anno 2011 un fatturato da prestazione di servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90 per cento, di procedere «a) allo scioglimento della società entro il 31 dicembre 2013» o «b) all’alienazione, con procedure di evidenza pubblica, delle partecipazioni detenute»; o, ancora, l’art. 1, comma 568-bis della legge 147/2013 o il già citato art. 1, comma 611 della legge 190/2014. Sul punto si vedano, C. IBBA, Tramonto delle partecipazioni pubbliche?, cit.; ID., Le società a partecipazione

pubblica, oggi, in Nuovo dir. soc., 2010, 3, 18 ss.; A. MAZZONI, Limiti legali alle partecipazioni

societarie di enti pubblici e obblighi correlati di dismissione, cit.; D. COLACCINO, Il decreto “spending review”. La dismissione e razionalizzazione di partecipazioni societarie dello Stato, in Giorn. dir. amm., 2012, 12, 1189 ss.; M. CLARICH, Spa pubbliche sotto tiro, su www.giustizia-

amministrativa.it, 2013 e sia consentito il rinvio ad A. ANTONELLI, Regole per valorizzare il patrimonio mobiliare degli enti locali nel processo di revisione della spesa, in M. PASSALACQUA (a cura di), Il «disordine» dei servizi pubblici locali. Dalla promozione del mercato ai vincoli di finanza pubblica, Torino, Giappichelli, 2015, 209 ss.

114 In questa direzione, si pensi alla previsione contenuta nell’art. 3, comma 15 della legge 24

dicembre 2007, n. 244 secondo cui le società non quotate, direttamente o indirettamente controllate dallo Stato «adottano, per la fornitura di beni e servizi, parametri di qualità e di prezzo rapportati a quelli messi a disposizione delle pubbliche amministrazioni dalla Consip Spa, motivando espressamente le ragioni dell’eventuale scostamento […]». Un criterio poi ripreso dall’art. 1, comma 7 del d.l. 95/2012 che lo estende, per talune tipologie merceologiche – quali energia elettrica, gas, carburanti, combustibili per riscaldamento, telefonia –, a tutte le società a totale partecipazione pubblica (diretta o indiretta), imponendo loro di «approvvigionarsi attraverso le convenzioni o gli accordi quadro messi a disposizione da Consip S.p.A. e dalle centrali di committenza regionali […]» e confermato, da ultimo, rispetto al generale panorama delle società inserite nel conto economico consolidato delle pubbliche amministrazioni e per tutti i loro approvvigionamenti, dall’art. 1, comma 512, della legge 28 dicembre 2015, n. 206.

115 Su questi due profili molteplici sono le nome susseguitesi nel tempo, non sempre dotate di

generalità e sistematicità ma destinate piuttosto ad intervenire su singoli aspetti. Sul versante delle politiche retributive degli amministratori, una prima limitazione dei compensi è stata prevista, per le società non quotate a totale partecipazione, anche indiretta, locale dall’art. 1, comma 25-29 della legge 296/2007 (poi abrogati dal d.lgs. 175/2016). Successivamente, con efficacia più generale per tutte le società rientranti nel conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche, l’art. 6, commi 2- 6 del d.l. 78/2010, ha previsto ulteriori limitazioni in un massimo del 10 per cento del compenso. Infine, l’art. 23-bis del d.l. 201/2011 (come modificato dal d.lgs. 175/2016), con riferimento alle società a, diretto o indiretto, controllo pubblico (escluse le quotate) ha previsto l’individuazione di 5 fasce dimensionali, secondo criteri quantitativi e qualitativi, cui far corrispondere i diversi limiti massimi dei compensi attribuibili agli amministratori. Un criterio operativo definitivamente promosso, in via generale, dall’art. 11, coma 6 dello stesso d.lgs. 175/2016 che fissa in 240.000 euro annui il compenso massimo. Quanto al numero degli amministratori (che ha comunque ricadute sui costi interni), un primo intervento contenitivo è stato operato, in tema di società non quotate a controllo (diretto o indiretto) statale, dall’art. 3, comma 12 della legge 244/2007 e successivamente dall’art. 4, comma 4-5 del d.l. 95/2012. In materia esiste oggi una regola generale all’art. 11, comma 2-3 del

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ottenuti

116

. Oltre a questo, il secondo piano di azione ha riguardato più da vicino

l’estensione del vicolo di diretta dipendenza finanziaria tra società e socio pubblico

ora rafforzandolo, garantendo la piena efficacia di talune misure di razionalizzazione

delle prime, in relazione al rispetto dei principi di finanza pubblica interni

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; ora

rendendolo più sfumato, impedendo che le società stesse – specie se operanti sul

mercato e come tali sottoposte integralmente alla disciplina privatistica – potessero

godere indebitamente della presenza del socio pubblico (e delle sue risorse

finanziarie), limitando notevolmente, se non vietando del tutto, la possibilità che

questo intervenga direttamente in loro sostegno – con misure di ricapitalizzazione,

prestazione di garanzie o di finanziamenti –, a fronte di gestioni aziendali fortemente

negative e in perdita

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.