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La valorizzazione del patrimonio mobiliare dello Stato e degli Enti locali

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Academic year: 2021

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(1)

Università di Pisa

Corso di dottorato in Scienze giuridiche

Curriculum in Diritto pubblico e dell’economia

LA VALORIZZAZIONE

DEL PATRIMONIO MOBILIARE

DELLO STATO E DEGLI ENTI LOCALI

Tutor:

Ch.ma prof.ssa Michela Passalacqua

Candidato:

dott. Alessio Antonelli

(2)

I

INDICE

pag

.

Introduzione……….

III

Capitolo I

LE PARTECIPAZIONI PUBBLICHE:

ORIGINE ED EVOLUZIONE DEL FENOMENO

1. La complessa genesi delle società in mano pubblica………...

1

1.1. Le partecipazioni statali: dallo Stato “imprenditore” alla grande stagione

delle privatizzazioni………..………..

5

1.2. Il “capitalismo” municipale tra efficienza gestionale ed esercizio di funzioni

pubbliche……….

13

2. La società pubblica come generale strumento di esercizio dell’azione

amministrativa...………...

25

3. Le società partecipate nella crisi delle finanze pubbliche………..…………...

35

3.1. … e nelle nuove prospettive della riformata governance

economico-finanziaria………

41

Capitolo II

IL PATRIMONIO “MOBILIARE” PUBBLICO

NELLA PROSPETTIVA DELLA VALORIZZAZIONE

1. Il patrimonio mobiliare dello Stato e degli Enti locali tra principi generali

e criteri metodologici………

49

2. Le partecipazioni societarie nella teoria dei beni pubblici………

57

2.1. ... e nel contesto delle sue principali linee evolutive……….

62

3. L’individuazione di un autonomo profilo patrimoniale tra diritti soggettivi,

valori economici e loro ricadute contabili……….

70

4. Il complesso rapporto tra gestione e valorizzazione del patrimonio

(3)

II

4.1. Le “costanti” emergenti dalle pregresse esperienze in tema di

patrimonio immobiliare e di beni artistico-culturali……….

88

4.2. La generale dimensione operativa e di principio della valorizzazione..

97

Capitolo III

LA VALORIZZAZIONE COME AUTONOMO PROCESSO GESTORIO:

DAI “CONFINI” CONCETTUALI ALLE POSSIBILI DECLINAZIONI

1. Gli “stretti” spazi della valorizzazione nella riforma delle società partecipate tra

semplificazione normativa e razionalizzazione della spesa pubblica………...

104

2. I principi di flessibilità e differenziazione nella “disorganica” disciplina del d.lgs.

175/2016………...

110

3. Le diverse declinazioni dell’attività di valorizzazione nella pluralità delle

variabili teoriche ed operative………..……...

122

3.1. Le possibili connessioni in tema di dismissione del patrimonio mobiliare …

123

3.2. … e di acquisto di nuove partecipazioni, nella prospettiva del “controllo

pubblico”……….

134

3.3. Valorizzazione ed efficiente gestione del patrimonio mobiliare tra

frammentazione del concetto di “valore” e principi comuni………...

141

3.3.1. La rilevanza del “patrimonio informativo” nel rapporto tra azionista

pubblico e società partecipata………...

149

3.3.2. Potenziamento finanziario ed efficiente gestione aziendale nel concreto

percorso della valorizzazione: dal ricorso al mercato del capitale di rischio…...

157

3.3.3. … agli effetti “sinergici” derivanti dai processi di aggregazione

operativa e patrimoniale………...

163

4. La valorizzazione nella dimensione strategica del socio pubblico: dal

bilanciamento di interessi alle misure di partenariato pubblico-privato…………...…

174

Conclusioni………...

181

(4)

III

Introduzione

Quella attuale

è, come ormai universalmente riconosciuto, un’epoca di forte

transizione nella quale emergono, con sempre maggior chiarezza, i contorni di una

profonda e sostanziale trasformazione dei più tradizionali assetti socio-economici e

dei paradigmi normativi che ne regolano le dinamiche.

Un fenomeno che, per ragioni endogene ed esogene, ha attraversato (e sta ancora

attraversando) tutti i diversi contesti nei quali si diramano e manifestano le relazioni

umane. Non si è, così, limitato ad assumere valenza disgregante sul piano delle

interrelazioni economiche – e degli scambi che vi avvengono – ma, con una portata

ben più generale, ha saputo espandere i propri effetti anche a livello sociale e politico

e, non da ultimo, normativo e giurisprudenziale.

Certo, in un’epoca in cui i valori finanziari assumono un ruolo così altamente

pervasivo, è indubbia la diretta connessione con l’esigenze di ridefinire i più tipici

profili ed elementi strutturali delle relazioni economiche. Tuttavia, è pur vero che,

indipendentemente da questa origine iniziale, il fenomeno in esame ha indotto,

altresì, una costante e (tendenzialmente) irreversibile “messa in discussione” dei

diversi principi, schemi e modelli organizzativi pubblici e privati; e questo anche in

direzione del riconoscimento e della tutela di sempre maggiori esigenze e sensibilità

– si pensi al tema dei c.d. diritti di “nuova generazione” – individuali e generali.

È in questa prospettiva, allora, che il diritto, quale strumento di regolazione delle

condotte umane – qui intese in senso generale e non esclusivamente economico –,

pur nell’instabilità di un contesto di riferimento dominato dall’incertezza, deve saper

conciliare le nuove esigenze (spesso, peraltro, tra loro confliggenti) favorendone una

prima forma di sintesi, nel bilanciamento dei vari interessi in gioco. A tal fine,

occorre dunque definire un comune e riconosciuto panorama valoriale che, pur

possedendo la necessaria elasticità (ed una maggior capacità di “adattamento” alle

trasformazioni in atto), sia sostanzialmente stabile e costante nel tempo.

Come è evidente, poi, all’interno delle dinamiche che si innescano tra i diversi

piani d’azione, il tema che assume crescente rilievo è quello della sostanziale

compenetrazione – e per certi versi “collisione” – tra dimensione pubblicistica e sfera

(5)

IV

privatistica. Un fenomeno che, nella complessiva riorganizzazione degli spazi che

entrambe sono chiamate ad occupare, impone sempre più alla prima di reinterpretare

i tradizionali schemi operativi che utilizza – pur nelle specifiche necessità cui deve

rispondere –, secondo i principi organizzativi tipici della seconda.

In un panorama già così ampiamente “disarticolato” – o “liquido” per usare

un’espressine divenuta ormai celebre – nei processi che induce e nelle esigenze di

fondo, un ulteriore forte elemento di instabilità è, infine, venuto dalla crisi

economico-finanziaria che nell’ultimo decennio ha agito in parallelo a tale percorso

evolutivo, rappresentandone tanto una delle concause quanto uno dei prodotti diretti.

Se tale effetto disgregante era apparso inevitabile già nelle sue prime fasi – che,

coinvolgendo il mercato finanziario e l’economia reale, riguardavano più da vicino le

condotte dei singoli attori del mercato – le successive forti ripercussioni anche sulla

stabilità finanziaria degli Stati nazionali ne hanno ampliato ed esteso l’efficacia, in

una prospettiva assolutamente sistemica. Si è così resa necessaria sia una sostanziale

ridefinizione delle ragioni che giustificano l’esercizio delle diverse funzioni

pubbliche – “ricalibrate” rispetto agli obiettivi posti dai mutati assetti normativi ed

economici – che, in concreto, una prima contrazione del perimetro dell’intervento

pubblico e del novero dell’attività in cui questo è chiamato a tradursi.

Il processo in esame ha così finito per incidere sugli stessi modelli organizzativi

in cui si era tradizionalmente articolata l’azione del soggetto pubblico, favorendo il

ricorso a principi e canoni operativi capaci di promuoverne una sempre maggiore

efficienze ed efficacia. Ma, parimenti, ha indotto un ripensamento critico della

struttura complessiva di quelle stesse formule gestionali (ormai consolidate),

reinterpretandole però in direzione delle nuove esigenze da perseguire. Un percorso

che finisce, in ultima analisi, per incidere direttamente anche sulla generale opera di

predeterminazione e programmazione delle priorità dell’agire pubblico e sul suo

eventuale ritrarsi (o espandersi) dai diversi contesti e settori di riferimento, a seconda

che questi richiedano o meno quel quid pluris che ne caratterizza l’azione.

Rispetto alla generale complessità di tali fenomeni, però, le molteplici linee

tendenziali che abbiamo individuato trovano una prima possibile (e del tutto

peculiare) forma di convergenza laddove lo schema operativo cui ricorre il pubblico

potere nell’esercizio delle proprie prerogative, assuma la forma societaria. In questo

(6)

V

caso, infatti, gli esiti della possibile sovrapposizione tra i vari piani di analisi,

agiscono in un contesto già di per sé particolarmente fecondo per i molteplici

potenziali profili critici che è in grado di far emergere e che sono particolarmente

utili anche ai fini di questa complessa ricostruzione. Ma quegli stessi elementi (su

tutti, il tema della natura giuridica delle società pubbliche e della loro sottoposizione

alle regole del diritto privato o a quelle di una legislazione speciale e settoriale),

dovranno essere a loro volta rimessi in discussione e, pur mantenendo la propria

centralità nell’analisi dell’istituto, indirizzati verso la ricostruzione che di questo – o

di taluni suoi elementi costitutivi – impone il mutato contesto di riferimento.

Andando ancor più in profondità, poi, l’angolo di visuale meritevole di maggior

attenzione – proprio ai fini dell’analisi generale delle diverse criticità di cui abbiamo

parlato – sarà quello connesso alla qualificazione, in termini giuridici del rapporto

esistente tra le società in questione e le amministrazioni pubbliche socie e che si

sostanzia in quel diretto vincolo di appartenenza rappresentato dalla stessa

partecipazione societaria e dalla componente patrimoniale che questa individua.

Occorrerà, anzitutto, ricostruire – ricorrendo sia ai diversi profili normativi che alle

analisi di matrice giurisprudenziale e dottrinale maturate in materia –, una

definizione sufficientemente stabile del concetto stesso di patrimonio mobiliare

pubblico che ne consideri i diversi elementi ed individui il bene-partecipazione

societaria non tanto in ragione del diretto collegamento tra appartenenza alla sfera

pubblica della quota di capitale e oggetto sociale concretamente svolto dalla società,

ma quale specifico elemento patrimoniale, con tutto ciò che ne discende in ordine

all’esercizio delle prerogative di chi ne detenga ed eserciti la proprietà. E questo, sia

ripercorrendone le interazioni con la generale teoria dei beni pubblici che

tracciandone i numerosi punti di contatto con la prospettiva più marcatamente

civilistica e commercialistica, che contribuisce certamente a definire, pur nella

peculiarità del caso, il sub-strato teorico in cui tale analisi deve essere condotta.

Notevoli sono, come è evidente, le potenziali implicazioni teoriche e ricadute

pratiche di questo nuovo percorso interpretativo. Tra le molteplici prospettive di

indagine, però, sembra capace di individuare profili di maggior originalità quella

connessa al rilevantissimo tema della governance finanziaria, con particolare

riguardo alle trasformazioni che ne possono discendere rispetto alle forme di

(7)

VI

esercizio del potere pubblico e al loro diretto impatto sulla stabilità complessiva della

finanza pubblica e sulla tenuta dei meccanismi chiamati a garantirne la tutela.

Proprio a questi fini, occorrerà quindi individuare in che misura le partecipazioni

societarie possano assumere autonomo “spessore” all’interno delle dinamiche di

bilancio degli enti proprietari, definendo una prima serie di strumenti e processi

operativi capaci di accrescerne il valore e tracciando le possibili declinazioni della

complessiva attività di gestione cui può essere sottoposto il patrimonio mobiliare.

In questo contesto, allora, il profilo meritevole di particolare attenzione – per le

rilevanti implicazioni di ordine teorico e pratico che è in grado di assumere –, sarà

quello della prima definizione degli elementi strutturali che costituiscono la specifica

attività di valorizzazione del patrimonio mobiliare, indagandone anche le dirette

ricadute sulla stessa legittimazione del ricorso al modulo societario.

A tal fine verrà intrapresa una prima profonda analisi del panorama normativo –

a partire dal d.lgs. 175/2016, recante il testo unico in materia di società a

partecipazione pubblica –, per individuare se (e in che misura) questo riconosca alla

valorizzazione la necessaria autonomia concettuale, definendone finalità ed strumenti

attuativi; o, viceversa, richieda di tracciarne lo specifico perimetro operativo (e,

prima ancora, teorico) ricorrendo ad un’interpretazione estensiva di singole

disposizioni che, di volta in volta, possano fornire a quel fine un qualche spunto

ricostruttivo ed utili indicazioni di ordine pratico.

Questa complessa prospettiva di indagine è certo essenziale per definire lo stesso

spettro delle attività esercitabili dal soggetto pubblico sul proprio patrimonio

mobiliare, individuandone le reciproche interazioni (si pensi ai notevoli punti di

contatto tra gestione, valorizzazione e dismissione delle quote societarie). Ma ne

discendono, poi, conseguenze ulteriori che riguardano, più da vicino, la stessa

qualificazione di rilevanti moduli organizzativi ed operativi (come gli strumenti della

aggregazione societaria o della quotazione) e di elementi assolutamente centrali e

consolidati nella qualificazione dello stesso fenomeno societario e rispetto ai quali

occorrerà, tuttavia, individuare gli esiti di nuovi potenziali approdi teorici ed

implicazioni pratiche (su tutti, il tema del controllo pubblico).

Circoscrivere l’attività valorizzazione (e gestione) del patrimonio mobiliare delle

amministrazioni consentirà allora, anzitutto, di ridisegnare il perimetro della stessa

(8)

VII

azione pubblica – anche in direzione dell’incremento della sua efficienza operativa

nel perseguire i propri obiettivi strategici –, e di ridefinire i moduli organizzativi a

cui, a quei fini, questa fa ricorso. Ma, coinvolgendo un elemento (la partecipazione

azionaria) che rappresenta una specifica componente patrimoniale – con i connessi

indici finanziari – ed ha proprie dirette ricadute contabili, da valutare rispetto alla

tenuta dei bilanci pubblici, è possibile estendere la portata di quella ricostruzione

teorica oltre la mera efficienza organizzativa del soggetto pubblico, fino ad

intercettare il più generale tema della sua gestione economico-finanziaria.

In conclusione, i molti profili critici che emergono impongono un’analisi

complessiva del fenomeno delle società a partecipazione pubblica, tanto nel generale

percorso evolutivo, quanto nella “dissezione” dei suoi diversi elementi costitutivi, a

partire proprio da quel vincolo di appartenenza che ne è fondamento. Nella

complessità dei diversi piani d’indagine – ciascuno portatore di specifiche esigenze –

e dei rispettivi profili assiologici ed ontologici, occorrerà allora ricercare il possibile

equilibrio tra le diverse “forze in gioco”, al fine di raggiungere una sintesi che,

benché inevitabilmente legata alla dimensione normativa (e come tale suscettibile di

variazioni, anche significative, nel tempo) sappia possedere i sufficienti profili di

stabilità ed astrattezza, necessari a fissare quantomeno una prima ricostruzione dei

diversi elementi ed istituti coinvolti.

(9)

1

Capitolo I

LE PARTECIPAZIONI PUBBLICHE:

ORIGINE ED EVOLUZIONE DEL FENOMENO

S

OMMARIO

: 1. La complessa genesi delle società in mano pubblica. – 1.1. Le partecipazioni

statali: dallo Stato “imprenditore” alla grande stagione delle privatizzazioni. – 1.2. Il

“capitalismo” municipale tra efficienza gestionale ed esercizio di funzioni pubbliche. – 2.

La società pubblica come generale strumento di esercizio dell’azione amministrativa. – 3.

Le società partecipate nella crisi delle finanze pubbliche…. – 3.1… e nelle nuove

prospettive della riformata governance economico-finanziaria.

1. La complessa genesi delle società in mano pubblica

Il fenomeno delle società in mano pubblica, pur individuando un tema

complesso ed articolato, difficilmente inquadrabile in uno schema universale che

funga da “modello” a situazioni concrete tra loro molto diversificate

1

, se calato nel

più generale contesto teorico da cui ha avuto origine – e da cui dipartono le sue

molteplici forme –, può tuttavia conoscere un certo profilo di unitarietà.

Pur nella sua riconosciuta varietà, infatti, questo rappresenta, in via complessiva,

uno degli elementi più sintomatici del sempre mutevole e in qualche misura

“tormentato” rapporto esistente tra Stato e mercato – e quindi tra sfera pubblica e

sfera privata – rispetto al quale il diritto è chiamato storicamente ad individuare i

possibili punti di contatto ma anche a tracciare le contestuali e necessarie linee di

confine (non sempre, peraltro, invalicabili)

2

.

1 Il ricorso a formule terminologiche varie e non sempre tra loro fungibili e spesso, peraltro,

indeterminabili a priori e in astratto, è sintomatico della difficoltà di ricondurre l’intero fenomeno ad un “approdo” universale. Del resto, come è stato giustamente osservato da autorevole dottrina (cfr. G. MORBIDELLI, I controlli sulle società a partecipazione pubblica, in A. PREDIERI (a cura di), Scritti di diritto pubblico dell’economia, Torino, Giappichelli, 2001, 257 ss., che in tema di società in mano pubblica parla di un vero e proprio «arcipelago», cui appartengono entità tra loro profondamente differenziate), la stessa nozione di “società pubbliche” è scarsamente efficace nell’evidenziare la riconosciuta complessità della realtà che mira ad inquadrare perdendo qualsiasi concreta e generale validità definitoria, ed anzi pare piuttosto limitata (e limitante) e perciò poco utile a fini ricostruttivi.

2 Per un’analisi del generale rapporto tra potere pubblico ed autonomia privata si vedano, tra gli

altri, S. CASSESE, Le basi del diritto amministrativo, Milano, Garzanti, 1995; N. IRTI, L’ordine giuridico del mercato, Bari, Laterza, 2003; G. NAPOLITANO, Pubblico e privato nel diritto amministrativo, Milano, Giuffrè, 2003; G. DI GASPARE, Teoria e critica della globalizzazione finanziaria, Padova, 2013; ID., Diritto dell’economia e dinamiche istituzionali, Padova, 2013. Sul

(10)

2

In questo contesto, dunque, nasce e si sviluppa fino ai giorni nostri la realtà delle

c.d. società pubbliche, la quale se da un lato rappresenta uno dei possibili punti di

intersezione tra i due diversi piani in questione

3

, dall’altro, oltre alla valenza

teorico-ricostruttiva che assume, nella concreta realtà dei fatti si fa strumento materiale ed

operativo con cui dare corpo alle forme organizzative del soggetto pubblico e alle

linee decisionali che dietro questo si celano. Analizzando poi con maggior dettaglio

le ragioni storiche che hanno giustificato il ricorso a questo generale istituto, si

noterà, peraltro, come questo emerga sì in una prospettiva di “contrasto” tra quei due

mondi – ove cioè lo Stato, nelle sue molteplici espressioni, si ponga come alternativo

rispetto al mercato e alle dinamiche che lo governano –, ma si consolidi poi nella

diversa (e per certi versi opposta) dimensione di una loro possibile forma di

collaborazione. Una dinamica propositiva (e positiva) questa seconda che emerge in

tutte quelle ipotesi in cui il potere pubblico ricorre alla società in mano pubblica non

tanto per correggere le possibili distorsioni del mercato – limitandone le carenze

democratiche o sociali

4

, ma anche incrementandone la capacità di perseguire primari

interessi pubblici

5

– ma, in una prospettiva completamente rovesciata, vi si affida

anche nello svolgimento di talune funzioni pubbliche storicamente riservategli quale

schema organizzativo e principio di efficienza tipico dell’azione dei soggetti privati.

ruolo rivestito, all’interno di tali dinamiche, dalle società a partecipazione pubblica, si vedano, invece, F. FRACCHIA, La costituzione delle società pubbliche e i modelli societari, in Dir. econ., 2004, 3-4,

589 ss.; E. SCOTTI, Organizzazione pubblica e mercato: società miste, in house providing e partenariato pubblico privato, in Dir. amm., 2005, 4, 915 ss.; G. NAPOLITANO, Le società pubbliche

tra vecchie e nuove tipologie, in Riv. soc., 2006, 5-6, 999 ss.; F. GOISIS, (voce) Società a

partecipazione pubblica, in Diz. dir. pubbl., Milano, Giuffrè, 2006, vol. VI, 5600 ss.; M. CAMMELLI, M. DUGATO (a cura di), Studi in tema di società a partecipazione pubblica, Torino, Giappichelli, 2008; M. CLARICH, Società di mercato e quasi - amministrazioni, in Dir. amm., 2009, 2, 253 ss.; ID.,

Le società partecipate dallo Stato e dagli enti locali fra diritto pubblico e diritto privato, in F. GUERRERA (a cura di), Le società a partecipazione pubblica, Torino, Giappichelli, 2010, 1 ss.; S. CIVITARESE MATTEUCCI, Le società pubbliche tra mercato e autorganizzazione amministrativa, su www.ius-publicum.com, 2011; M. DUGATO, Le società a partecipazione pubblica, in Giorn. dir. amm.,

2013, 8-9, 855 ss. e A. MASSERA, Le società pubbliche: vicende di un disallineamento continuo tra

opposte polarizzazioni, in Astrid Rassegna, 14, 2014.

3 A questa complessiva ricostruzione può, ad esempio, essere ricondotto un secondo tema

altrettanto rilevante quale quello dei beni pubblici (e delle diverse modalità di concreta manifestazione della proprietà pubblica), che, come vedremo – infra Cap. II, par. 2. e 2.1.–, ha peraltro notevoli affinità con il tema di nostro interesse.

4 Si pensi all’intervento pubblico connesso all’erogazione di prestazioni concernenti servizi

pubblici essenziali i quali, pur avendo alle spalle una lunga gestazione storica hanno indubbiamente conosciuto nelle forme societarie in senso lato (comprendendo anche le più risalenti forme aziendalistiche locali) il più proficuo strumento per la loro piena realizzazione.

5 Si intende qui evocare quel fenomeno, molto più cospicuo a livello centrale, delle società

controllate dallo Stato in settori strategici per la cura di interessi nazionali come le grandi reti energetiche o di trasporto o della sicurezza e difesa pubblica.

(11)

3

In ultima analisi, dunque, pubblico e privato rappresentano i due poli di una

reazione complessa che dà origine ai moderni istituti giuridici e caratterizza il

generale evolversi del diritto (non solo amministrativo): oscillando tra queste due

“forze” l’istituto in esame assume, allora, di volta in volta i tratti tipici di quella che

delle due sia prevalente, connaturandosi in base alle esigenze che questa pone.

Se il fenomeno delle società in mano pubblica – e, contestualmente, delle

partecipazioni in mano pubblica

6

– si forma ed agisce nel quadro ontologico appena

descritto, è pur vero che questo va in contro a tutta una serie di variabili ulteriori,

spesso connesse alla mutevolezza intrinseca della realtà nella quale agisce

7

, che ne

rendono ancor più complessa la ricostruzione secondo i canoni della scienza

giuridica. Ricondurne lo studio a quella prospettiva iniziale consente certo di averne

un primo quadro d’insieme utile a tracciarne alcune direttrici essenziali. Tuttavia, per

affrontarne un’analisi che sia sì generale e sufficientemente approfondita ma che al

contempo tracci un angolo di visuale innovativo, sono necessari sforzi ulteriori che

ne approfondiscano le diverse implicazioni: dagli aspetti di politica del diritto a

quelli di teoria economica, dai profili connessi alla disciplina amministrativa e

contabilistica alle derivazioni latu sensu sociologiche

8

. Il tutto in un costante

confronto con i mutamenti della realtà fattuale nella quale occorre operare, capace di

indirizzare questa indagine verso approdi più specifici e “mirati”.

Strettamente legato a questa prospettiva contingente sembra essere quel

tentativo, più volte realizzato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, di ancorare il

tema delle società a partecipazione pubblica a tutta una serie di complessi criteri ed

6 Indagate secondo una prospettiva che guardi non solo (e non tanto) alle società partecipate da

soggetti pubblici, quanto piuttosto – come poi diremo sub par. 4 – al vincolo di partecipazione che le lega direttamente al socio pubblico e all’elemento patrimoniale in cui questo si manifesta. Per una prima ricostruzione del tema di interesse si veda F. MERUSI, D. IARIA, (voce) Partecipazioni

Pubbliche, in Enc. giur., Roma, Treccani, vol. XXII, 1990, 4 ss.

7 E che incidono sulle stesse dinamiche che governano la relazione tra pubblico e privato. Si

pensi a come le forme dell’intervento pubblico in economia mutino al mutare delle esigenze collettive che sono chiamate a soddisfare (ad esempio, rispetto alla definizione del perimetro materiale delle attività qualificabili come servizio pubblico). Ma accanto a fattori che potremmo definire “esterni”, come appunto quelli frutto dei cambiamenti dei paradigmi sociali, la relazione in questione, e gli istituti che la definiscono, possono subire anche gli effetti delle alterazioni dei loro modelli interni quali la mutazione dei meccanismi decisionali ed organizzativi dei soggetti pubblici e l’evoluzione degli schemi e delle formule comportamentali degli operatori privati.

8 Del resto anche se in maniera più sfumata ed “astratta” rispetto agli operatori del mercato, le

amministrazioni pubbliche nell’aderire ad un determinato modello organizzativo compiono pur sempre scelte strategiche, secondo meccanismi decisionali capaci di integrare un preciso e determinato atto di volontà.

(12)

4

indici classificatori (quali il tipo di attività svolta, l’origine legale o meno della

società, il ruolo del socio pubblico e la tipologia della sua partecipazione), funzionali

alle diverse esigenze del momento e, da ultimo, ad individuare, in relazione a queste,

la disciplina applicabile ai singoli casi concreti

9

.

Al di là di una ricostruzione così articolata e sistematica del fenomeno, per

indagarne le diverse ratio di fondo e le connesse esigenze che è stato chiamato a

soddisfare – e che ne hanno fondato la legittimazione –, pare qui necessario

affrontarne, anzitutto, un breve excursus storico capace di ripercorrerne gli aspetti

salienti e di individuarne le principali “costanti”.

Una volta realizzata questa prima ricostruzione, i dati ed i profili qualitativi così

maturati potranno così essere ri-elaborati rispetto alle mutate esigenze

storico-politiche e giuridico-economiche (sempre che queste richiedano nuovi modelli di

analisi

10

) e secondo una prospettiva che sappia tracciarne la concreta dimensione.

L’elemento che pare più utile a tracciare una prima efficace linea d’indagine è

quello di operare una prima partizione interna al fenomeno in ragione della sua

diversa genesi e collocazione “geografica”, connessa cioè ai vari livelli di governo

del territorio, in ragione delle peculiari e spesso opposte ragioni che ne hanno

legittimato il ricorso e fondato la conseguente decisione pubblica di aderire a tale

modello organizzativo.

Questo consente così di distinguere tra società a partecipazioni statale (più

risalenti nel tempo ed espressione di dinamiche di politica economia del tutto

peculiari) e società partecipate da regioni ed enti locali – ma più in generale dalle

amministrazioni pubbliche diverse dai ministeri –, certamente più recenti ma tuttavia

capaci di individuare una dimensione, anche valoriale, più generale e complessa

11

.

9 Si pensi al tema delle c.d. “società-quasi amministrazione” sottoposte in quanto tali a discipline

di stampo pubblicistico più stringenti, su cui poi diremo sub par. 2. Sul punto, si veda M. CLARICH, Società di mercato e quasi - amministrazioni, cit.

10 Anche in ragione del prevalere di una specifica esigenza rispetto alle altre pur compresenti. 11 Restano in qualche misura “schiacciate” le società partecipate d altri soggetti pubblici (ad

esempio, le Università o le Autorità portuali) che condividono elementi dell’uno e dell’altro gruppo: la specificità e singolarità tipica delle società partecipate dallo Stato e la diffusione e natura “particellare” tipica delle società locali. Si pensi al tema rilevantissimo delle società partecipate dalle Università per finalità di ricerca ed innovazione. Sul punto, R. PALUMBO, Dall’università al mercato. Governance e performance degli spin-off universitari in Italia, Milano, Franco Angeli, 2010; M. PASSALACQUA, Forme autonome di finanziamento dell’università reperibili sul mercato, in G. COLOMBINI (a cura di), Finanziamento, competizione ed accountability nel governo dell’università,

(13)

5

1.1. Le partecipazioni statali: dallo Stato “imprenditore” alla grande stagione

delle privatizzazioni

Il complesso sistema delle società partecipate dallo Stato per mezzo delle

amministrazioni ministeriali centrali, pur avendo un’origine ben più risalente

12

, ha

tuttavia una matrice sostanzialmente riconducibile al ventesimo secolo.

Già nella c.d. “Italia liberale” di fine Ottocento, in un contesto storico di netta

separazione tra autorità pubblica ed attività economica privata

13

, esisteva una prima

embrionale – e circoscritta – forma di partecipazione dello Stato centrale a società

private operanti nel mercato sia come conseguenza dell’unificazione nazionale

14

che

come espressione di limitate scelte gestionali

15

. Ma è proprio con il nuovo secolo che

la necessità – e per certi versi l’esigenza – sempre più avvertita, di ridefinire le linee

di contatto ed i punti di sovrapposizione tra autorità pubblica ed attività economica

privata ha progressivamente reso quello delle società a partecipazione pubblica da

vol. III: Criticità del sistema ed incertezza per il futuro, Napoli, Editoriale scientifica, 2013, 111 ss. e S. MIGLIORI, Gli spin-off universitari nella loro dimensione di mercato, Milano, Franco Angeli, 2015.

12 Del resto, per poter parlare compiutamente di società a partecipazione pubblica era necessario

maturassero, nell’accezione moderna che oggi conosciamo, le stesse fondamenta teoriche del diritto societario e venissero a definirsi in via generale ed astratta le diverse categorie normative ad esso riferibili e le connesse specifiche forme contrattuali ed organizzative cui i soggetti dell’ordinamento potessero ricorrere. Per una ricostruzione storica della genesi delle società a partecipazione statale si vedano, ex plurimis, M. S. GIANNINI, Le imprese pubbliche in Italia, in Riv. soc., 1958, 2, 263 ss.; S.

CASSESE, Partecipazioni pubbliche ed enti di gestione, Milano, Edizioni di Comunità, 1962; ID. (a

cura di), La nuova costituzione economica, Roma-Bari, Laterza, 2012, 7 ss.; P. SARACENO, (voce) Partecipazioni statali, in Enc. Giur., 1982, vol. XXXII, 43 ss.; M.T. CIRENEI, Le società a

partecipazione pubblica, in Trattato delle società per azioni, vol. VIII, Torino, Giappichelli, 1992, 3 ss.; M. CARABBA, (voce) Impresa pubblica, in Disg. disc. pubbl., Torino, Utet, 1993, vol. VIII, 175 ss.; F. GARGANO, G. VALERIO, Memoria sulla società per azioni (1843), in A. MIGNOLI (a cura di), La società per azioni. Problemi - Letture - Testimonianze, Milano, Giuffrè, 2002, vol. II, 892 ss.; L. CAMERIERO, Storia e funzione dell’impresa pubblica: dall’Iri alle società pubbliche, in R. DE

NICTOLIS,L.CAMERIERO (a cura di), Le società pubbliche in house e miste, Milano, Giuffrè, 2008, 1 ss. e V. CERULLI IRELLI, Impresa pubblica, in C. PINELLI, T. TREU (a cura di), La costituzione economica: Italia, Europa, Bologna, Il Mulino, 2010, 127 ss.

13 Espressa dalla piena e riconosciuta tutela della proprietà privata da qualsiasi ingerenza esterna,

come garantito dallo Statuto Albertino e dalla più generale affermazione delle libertà individuali.

14 Il neonato Stato postunitario mirava ad intervenire nelle dinamiche economiche e commerciali

degli operatori nazionali con finalità di sostegno al consumo interno (e agli indicatori che ne descrivevano la dimensione) agevolandone le attività e, contestualmente, con una rigida politica protezionistica verso l’esterno. Tuttavia, accanto a queste forme di sfumato intervento pubblico – tendenzialmente limitato all’andamento della bilancia commerciale –, esisteva una diretta compenetrazione tra sfera pubblica ed attività economica “privata” attraverso alcuni puntuali rapporti di partecipazione dello Stato in società operanti in specifici settori economico-imprenditoriali. Con l’unità, infatti, lo Stato acquisì in via definitiva le quote di partecipazione in società private già di proprietà degli Stati preunitari e delle loro banche centrali (a loro volta partecipate), inserendosi in rapporti di controllo e sostegno all’attività privata già consolidati.

(14)

6

fenomeno tendenzialmente eccezionale ad ipotesi pienamente affermata e definita di

intervento pubblico “imprenditoriale” nel mercato.

Se si analizzano, tuttavia, le ragioni che storicamente ne sono state origine e

legittimazione, emergerà come queste non possano essere inquadrate in un unitario e

definito atto di volontà di politica economica; si è trattato, piuttosto, di una serie

articolata e via via più diffusa di contingenze storiche che, prive – quantomeno in

origine – di una generale visione di’insieme, hanno condotto, per stratificazioni

successive, alla situazione conosciuta fino alla fine degli anni ‘90.

Come è stato giustamente osservato

16

, ben prima della piena affermazione del

c.d. “Stato imprenditore” – espressione di una pienamente maturata volontà di

prendere parte (e contestualmente indirizzare), proprio attraverso lo strumento

dell’impresa pubblica, alle dinamiche economiche nazionali –, quote di

partecipazione in imprese private erano pervenute allo Stato in via accidentale o

comunque non del tutto predeterminata. Solo in un secondo momento, quindi, a

fronte di una situazione che andava sempre più estendendosi nelle dimensioni e nelle

diverse tipologie dell’intervento pubblico – e in attuazione di specifiche visioni

teorico-economiche – matureranno definitivamente, adattandosi alle diverse epoche

storiche e a principi valoriali in esse espressi, dapprima l’esigenza e successivamente

la piena volontà di ricondurre il fenomeno complessivo ad una precisa e generale

strategia di politica economica ed industriale

17

.

Al di là della puntuale individuazione delle principali tappe evolutive, tutte

strettamente ancorate alle specifiche epoche e contingenze storiche di riferimento,

quello che qui occorre rilevare è come la progressiva acquisizione di quote di

partecipazione in mano pubblica fosse riconducibile ad ipotesi tra loro evidentemente

differenziate dal punto di vista delle giustificazioni e legittimazioni storiche e nella

dimensione funzionale degli obiettivi perseguiti; ma contestualmente molto simili

16 Sul punto si veda S. CASSESE (a cura di), La nuova costituzione economica, cit., 11-13; F.

BRIATICO, Ascesa e declino del capitale pubblico in Italia, Bologna, Il Mulino, 2004 e M.G. DELLA

SCALA, Le società a partecipazione statale: “società-imprese” ed enti pubblici in forma societaria. Profili di disciplina applicabile, su www.ius-publicum.com, 2013, 4 ss.

17 Rilevantissimo è stato, ad esempio, proprio nel mutare l’approccio di teoria economica posto

alla base della rinnovata disciplina del fenomeno, il nuovo tessuto valoriale manifestatosi con la Costituzione repubblicana e con le espressioni di principio previste dall’art. 41 Cost. Ma si pensi, ancor di più, proprio nel solco tracciato da questi ultimi, al fortissimo impatto assunto dalla politica di programmazione economica manifestatasi tra anni ‘50 e ‘60.

(15)

7

nella loro concreta strutturazione sia dal punto di vista degli strumenti operativi

utilizzati che rispetto agli esiti (economici, finanziari, politici e contabili) prodotti

18

.

Concentrando lo sguardo sui soli casi di proprietà pubblica (i.e. dello Stato) di

quote di partecipazione societarie

19

, emerge chiaramente come queste siano

sostanzialmente inquadrabili in due distinte e specifiche ipotesi generali.

Il primo “modello” generale

20

è quello che si sostanzia nell’acquisizione da parte

dello Stato di quote di partecipazione in società private preesistenti ed operanti nei

più svariati settori economici.

La prima giustificazione di un tale diretto intervento pubblico nelle dinamiche

economiche fu ricondotto alla necessità di tutelare imprese private, ritenute in

qualche misura “strategiche” – sia per l’attività svolta che per i loro livelli

occupazionali –, rispetto alle criticità del mercato interno dovute alla compressione

dei fattori produttivi o degli assetti dello stesso

21

o, ancor più, dai rischi derivanti da

gravi crisi finanziarie su scala globale, come a seguito della crisi del ‘29.

Pur essendo frutto di specifiche contingenze storiche, il fenomeno in questione

prosperò con particolare vigore durante tutto il ventennio fascista in continuità con

l’ideologia di fondo, improntata ad un diretto controllo pubblico di ogni sfera

dell’autonomia privata, di cui esprimeva una delle diverse forme di manifestazione.

Conobbe così una prima generale razionalizzazione con il modello dei c.d. “enti di

18 Una sostanziale sovrapposizione tra le diverse ipotesi in questione che giustificherà, come poi

diremo, con l’avvento della Repubblica una comune ed unitaria politica di intervento pubblico.

19 Tralasciando qui le ipotesi più risalenti di contatto tra esercizio delle funzioni pubbliche e

ricorso a strumenti ed profili organizzativi di tipo aziendalistico, senza tuttavia la contestuale definizione di profili formali atti ad individuare un entità (di natura societaria) autonoma e distinta.

20 Benché, infatti, non si tratti propriamente della prima tipologia di diretta partecipazione

societaria pubblica ed essersi manifestata storicamente, è pur sempre quella che per prima ha conosciuto una piena e compiuta definizione teorica ed una generale disciplina normativa della fattispecie di riferimento.

21 Si pensi alla necessità di sostenere, anche attraverso la partecipazione pubblica in aziende

private, i grandi processi di conversione e riconversione industriale in concomitanza con la Prima Guerra Mondiale e contemporaneamente salvaguardare gli istituti bancari eccessivamente esposti rispetto alle stesse aziende in crisi. Ma, parimenti, è riconducibile a questa finalità di sostegno, l’intervento dello Stato in compagini sociali operanti in un settore di rilevante interesse nazionale come quello dell’energia, posto alla base dell’istituzione, nel 1926, dell’Azienda Generale Italiana Petroli (AGIP) chiamata a promuovere la ricerca petrolifera anche con lo scopo di favorire una rete tra gli operatori privati (le compagnie estrattive) e detenendo pacchetti azionari di questi. Per una approfondita ricostruzione anche di matrice storiografica, si vedano G. SAPELLI, Sul capitalismo

italiano. Trasformazione o declino, Milano, Feltrinelli, 1993; ID., Storia economica dell’Italia

contemporanea, Milano, B. Mondadori, 1997; P.A. TONINELLI, Tra Stato e mercato: ascesa e declino dell’impresa pubblica italiana fra il XIX e il XX secolo, in Italianieuropei, 2008, 5 e E. BARUCCI, F. PIEROBON, Stato e mercato nella seconda Repubblica, dalle privatizzazioni alla crisi finanziaria, Bologna, il Mulino, 2010.

(16)

8

gestione” – sorto inizialmente come forma di salvataggio pubblico di aziende in crisi

e successivamente definito nei profili funzionali e nelle competenze

22

– ed una piena

consacrazione con l’espressa previsione, nel nuovo codice civile del 1942, della

possibilità di riconoscere specifici poteri gestori e direzionali (sottoforma di potere di

nomina) al socio pubblico

23

.

Il sistema così delineatosi, e che andava stratificandosi, sopravvivendo al regime

da cui aveva tratto origine, ha infine trovato la propria collocazione nel nuovo

ordinamento ottenendo pieno riconoscimento nel quadro valoriale individuato dalla

Costituzione repubblicana e nel modello dell’economia mista in essa espresso

24

. In

questa nuova dimensione, pur nelle sostanziali diversità di fondo, il fenomeno crebbe

ulteriormente anche al seguito di predefinite scelte di politica industriale non sempre

in grado, tuttavia, di legittimare sia le nuove che le pregresse esperienze di tale forma

di interventismo pubblico in economia, spesso giustificate più da ragioni di

clientelismo politico che da reali esigenze di indirizzo e tutela delle sottese

dinamiche imprenditoriali

25

.

22 Gli effetti della crisi del ‘29, avvertiti in Europa nei primi anni ‘30 aveva pericolosamente

messo a rischio la stabilità di molti istituti bancari a loro volta eccessivamente esposti verso un sistema industriale e produttivo asfittico ed in carenza di liquidità. La necessità di evitare il propagarsi di una crisi sistemica aveva così indotto lo Stato italiano, dopo la breve parentesi dell’istituto di liquidazioni, ad istituire nel 1933 quell’IRI che, destinato ad acquisire sia partecipazioni nelle principali banche in crisi che quelle da queste detenute in imprese produttive, da ente pubblico sorto per scopi temporanei ed emergenziali, divenne l’antesignano ed il modello di riferimento per il generale sistema degli enti pubblici di gestione delle partecipazioni statali, sviluppatosi nei decenni successivi (si pensi ad ENI, EFIM, ENEL etc.).

23 Si tratta degli artt. 2458-2460 (oggi artt. 2449-2450) – contenuti nella sezione XIII del capo V

del libro V del codice civile espressamente rubricata «Delle società con partecipazione dello Stato o di enti pubblici» – poi modificati per garantirne la necessaria coesistenza con la nuova disciplina di matrice europea e con i principi dei Trattati. Sul tema dei poteri di indirizzo riconosciuti in capo al socio pubblico si veda F. MERUSI, Le direttive governative nei confronti degli enti di gestione, Milano,

Giuffrè, 1964; F. GALGANO, Partecipazioni statali: direttive governative e principio di legalità, in Riv. soc., 1982, 3, 433 ss.; A. ARMANI, F.A. ROVERSI-MONACO, Le partecipazioni statali. Un’analisi critica, Milano, Franco Angeli, 1977 e G. NARDOZZI, S.M. CARBONE, Lo Stato da gestore di grandi

imprese a referente nel loro governo, Genova, Fondazione Ansaldo, 2011.

24 Un modello espresso sia nell’art. 41 Cost., che prevede la possibilità di indirizzare e

coordinare l’attività economica pubblica e privata a fini sociali, attraverso specifici programmi e controlli, ed ancor di più nel successivo art. 43 Cost. che consente, sempre per fini di utilità sociale, di riservare ab origine o trasferire allo Stato o ad enti pubblici determinate attività economiche (connesse all’esercizio di servizi pubblici essenziali, a fonti di energia, a situazioni di monopolio o di preminente interesse pubblico). Sul punto, si vedano, G. MORBIDELLI, (voce) Iniziativa economica privata, in Enc. giur., 1989, vol. XVII, 1 ss.; G. AMATO, Il mercato nella Costituzione, in Quad. cost., 1992, 1, 7

ss; F. TRIMARCHI BANFI, Organizzazione economica ed iniziativa privata negli articoli 41 e 43 della

costituzione, in Pol. dir., 1992, 3, 17 ss. e G. GUARINO, Pubblico e privato nella economia. La sovranità tra Costituzione e istituzioni comunitarie, ibidem, 1992, 1, 21 ss.

25 Peraltro, la necessità di controllare in maniera più efficace un fenomeno che rischiava di

(17)

9

La seconda ipotesi generale di proprietà pubblica di partecipazioni societarie

riguarda non tanto l’acquisizione di quote di imprese private preesistenti, secondo

quanto appena illustrato, ma la costituzione, da parte dello Stato stesso, di specifiche

società – già originariamente pubbliche, quindi – chiamate a svolgere ex lege

determinate attività pubbliche e delle quali questo detiene sovente la totalità del

capitale sociale

26

. Un fenomeno che, pur risalente

27

ma più contenuto e soggetto ad

un’evoluzione discontinua

28

, ha tuttavia rappresentato la principale forma di

manifestazione di una precisa ed espressa volontà mirante non tanto (o non solo) al

diretto intervento nelle dinamiche economiche di specifici settori economici

29

,

quanto piuttosto della necessità di riconfigurare l’azione pubblica, specie laddove

entri in contatto con attività aventi carattere imprenditoriale, secondo gli schemi e le

forme societarie, dotate rispetto a questi di maggior efficacia ed efficienza operativa.

Le società c.d. “di diritto singolare” hanno così contribuito (seppur in misura

assai minore), insieme al complesso sistema delle partecipazioni in mano pubblica, a

definire i contorni del più generale fenomeno che va sotto il nome di imprenditoria

pubblica o di “Stato imprenditore”, consentendo, per oltre quattro decadi, al soggetto

pubblico di favorire e stimolare lo sviluppo economico nazionale, spesso

sostituendosi ai privati nella produzione di beni e servizi

30

.

con l’istituzione di uno specifico ministero quale vertice politico-amministrativo dell’intero sistema, con finalità di coordinamento. Il Ministero delle partecipazioni statali, istituito con la legge 22 dicembre 1956, n. 1589 operò per quasi quarant’anni fino alla definitiva soppressione operata nel 1993 a seguito del referendum abrogativo della legge istitutiva.

26 In questa accezione, dunque, sarebbe possibile definire come “società a partecipazione

pubblica” quelle riconducibili al primo fenomeno (ove pubblica è parte del capitale sociale ma non l’intera società), potendo parlare in questo caso di “società pubbliche” tout court. Il tratto comune è dato dal fatto che in entrambi i casi il soggetto pubblico sia titolare di quote di partecipazione non rilevando la natura accidentale o volontaria della loro acquisizione, né le esigenze che la giustificano.

27 Si pensi alle prime grandi società in mano pubblica nel settore dei servizi pubblici o in quello

creditizio, già costituite agli albori del ventesimo secolo. Sul punto, A. MASSERA, Partecipazioni

statali e servizi di interesse pubblico, Bologna, Il Mulino, 1978.

28 Connessa alle specifiche mission che, di volta in volta, venivano individuate da ciascuna legge

istitutiva di tali società e nelle sottese esigenze di intervento pubblico che ne giustificavano il ricorso. Sul punto, P. PIZZA, Le società per azioni di diritto singolare tra partecipazioni pubbliche e nuovi

modelli organizzativi, Milano, Giuffrè, 2007.

29 Rispetto al quale era semmai più funzionale l’acquisizione di quote del capitale di società

preesistenti con finalità di controllo e di ingerenza pubblica nel settore di riferimento.

30 Secondo M. MACCHIA (a cura di), Le società a partecipazione statale, Rapporto IRPA 1/2015,

Napoli, Editoriale scientifica, 2015, 11 «Tra gli anni Quaranta e Ottanta […] le società partecipate dallo Stato sono state le protagoniste dello sviluppo economico nazionale. Si sono sostituite ai privati, producendo beni e servizi di base […]», riprendendo un’argomentazione di P. SRAFFA, Produzione di merci, a mezzo di merci. Premesse a una critica di teoria economica, Torino, Einaudi, 1960, 9.

(18)

10

L’avanzamento dell’integrazione europea ha però finito per collidere con questo

articolato schema di diretto intervento pubblico. La piena applicazione dei principi

sovranazionali posti a tutela della concorrenza e del mercato ed il connesso divieto di

aiuti di Stato hanno quindi imposto, negli anni ‘90, la sostanziale dismissione di

molte delle quote azionarie in mano pubblica con il conseguente “smantellamento”

del sistema complessivo che delineavano

31

.

È in questo frangente, quindi, che – anche per esigenze di natura finanziaria

connesse al rispetto dei prefissati parametri di finanza pubblica

32

, necessario per

l’adesione all’Unione monetaria –, prendono l’avvio e si concludono molteplici

operazioni di privatizzazione e liberalizzazione. Con queste lo Stato cede le proprie

partecipazioni azionarie, soprattutto in società aventi natura imprenditoriale ed

operanti in settori ormai privi di particolari profili di strategicità

33

; ma

contestualmente si ritrae dai numerosi settori economici nei quali in precedenza

agiva direttamente – attraverso sia le società di diritto singolare ma ancor più degli

enti di gestione divenuti nel frattempo veri e propri operatori di mercati integrati per

mezzo delle società controllate –, aprendone e favorendone l’accesso a soggetti terzi,

in regime di concorrenza e promuovendo l’avvicendamento dei vecchi regimi di

esclusiva con i meccanismi delle concessioni

34

.

31 E questo benché la disciplina europea fosse del tutto neutrale rispetto alla titolarità, pubblica o

privata, degli operatori economici a condizione che questi agiscano sul mercato in condizioni di parità di trattamento e di non discriminazioni. In questo senso il modello italiano non veniva sanzionato tanto per la presenza di operatori economici in mano pubblica, quanto piuttosto per l’eccessiva segmentazione che la loro presenza imponeva ai mercati di riferimento rendendone, in virtù dei diritti di esclusiva che gli erano attribuiti e delle sostanziali posizioni di monopolio loro riconosciute, del tutto impossibile l’accesso ad operatori terzi e stranieri. Si veda, I.BORRELLO,E.CASSESE,E.CHITI, Il

mercato interno e le politiche dell’Unione europea, in S. CASSESE (a cura di), La nuova costituzione

economica, cit., 37 ss. e G. GRECO, Ente pubblico, impresa pubblica, organismo di diritto pubblico, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2000, 3-4, 839 ss.

32 Ed in particolar modo di quelli direttamente connessi agli andamenti del debito e del deficit

pubblico rispetto al PIL, come regolati dal trattato di Maastricht del 1992. Per un’analisi dell’impatto delle privatizzazioni sulla governance della finanza pubblica, si rinvia a V. GIOMI, Stabilità economica

e privatizzazioni, Torino, Giappichelli, 2006.

33 Terminata la fase della dismissione lo stesso IRI, dapprima trasformato in spa, verrà infine

posto in liquidazione essendo venuta meno l’esigenza che ne aveva legittimato l’istituzione.

34 Sui complessivi processi di privatizzazione si vedano, tra gli altri, L. AMMANNATI, Le

privatizzazioni delle imprese pubbliche in Italia, Milano, Giuffrè, 1995; M. CLARICH, Privatizzazioni e trasformazioni in atto nell’amministrazione italiana, in Dir. amm. 1995, 4, 519 ss.; G. DI GASPARE,

(voce) Privatizzazioni, in Enc. giur., 1995, vol. XXVII, 4 ss.; S. CASSESE, Le privatizzazioni in Italia,

in Stato e mercato, 1996, 2, 323 ss.; M. RENNA, Le società per azioni in mano pubblica. Il caso delle s.p.a. derivanti dalla trasformazione di enti pubblici economici ed aziende autonome statali, Torino, Giappichelli, 1997; M. SANINO, Le privatizzazioni: stato attuale e problematiche emergenti, Roma,

(19)

11

Tuttavia, se le privatizzazioni e liberalizzazioni degli anni ‘90 sembrano aver

posto fine a quella grande stagione dell’imprenditoria pubblica, visti nella più

specifica prospettiva delle partecipazioni statali (e dei cespiti patrimoniali che ne

derivano), questi due processi hanno fatto emergere un aspetto ancor più rilevante.

Nelle prima fase delle c.d. “privatizzazioni formali” lo Stato non provvede tanto

a cedere le quote di capitale detenute in aziende private preesistenti (ove semmai la

privatizzazione sarebbe fin da subito “sostanziale”), ma interviene piuttosto sulla

forma giuridica dei molteplici enti di gestione posti al vertice di complesse gruppi

societari, imponendone il passaggio da enti pubblici economici a società per azioni

chiamate a svolgere il ruolo di vere e proprie holding societarie

35

.

Poco rileva in questo frangente, quindi, che buona parte del loro capitale sociale

sia stata a sua volta ceduta al mercato – al pari di quanto avvenuto alle controllati –,

anche per favorire processi di separazione societaria funzionali alle successive

liberalizzazioni. Il dato che pare qui interessante sottolineare è che, con le

privatizzazioni dei primi anni ‘90, si assiste ad una terza (e per certi versi “mediana”)

ipotesi di costituzione di società in mano pubblica e di assunzione di partecipazioni

azionarie al patrimonio dello Stato.

Non si tratta quindi di né di acquisire quote in società di diritto comune

preesistenti né di costituire ex novo società specifiche per l’esercizio di funzioni

pubbliche secondo forme e procedure di tipo aziendalistico; in questo caso si assiste

giuridici, Milano, Giuffrè, 1998; M. CLARICH,A. PISANESCHI, (voce) Privatizzazioni, in Dig. disc.

pubbl., Torino, Utet, 2000, 432 ss.; M. CAMMELLI, G. SCIULLO (a cura di), Pubblica amministrazione e privatizzazioni dopo gli anni ‘90: un primo bilancio, Rimini, Maggioli, 2004; G. AMATO, Privatizzazioni, liberalizzazioni e concorrenza, in L. TORCHIA, F. BASSANINI (a cura di), Sviluppo o

declino. Il ruolo delle istituzioni per la competitività del Paese, su www.astrid-online.it, 2005; E. FRENI, Le privatizzazioni, in S. CASSESE (a cura di), La nuova costituzione economica, cit., 239 ss.; E. BARUCCI, F. PIEROBON, Le privatizzazioni in Italia, Roma, Carocci, 2007; G. GRÜNER, Enti pubblici a

struttura di S.p.A.: contributo allo studio delle società “legali” in mano pubblica di rilievo nazionale, Torino, Giappichelli, 2009, passim e specialmente 82 ss. Per una ricostruzione comparativistica del fenomeno si veda invece, R.G. RODIO (a cura di), Le privatizzazioni in Europa, Padova, Cedam, 2003. 35 Benché di fatto già svolgessero questo ruolo in qualità di enti pubblici di gestione, il passaggio

alla forma di società di diritto comune consente pienamente il ricorso a tutti gli strumenti di coordinamento e controllo tipici delle grandi capogruppo private.Sul punto, A. PREDIERI (a cura di),

Controlli societari e governo dell’impresa, cit. e F. FRACCHIA , La costituzione delle società pubbliche

e i modelli societari, cit., che si sofferma in special modo sulla disciplina in materia di direzione di gruppo. Sui principali snodi teorici di tale evoluzione, si vedano anche G. DI GASPARE, La

trasformazione degli enti pubblici economici e la dismissione delle partecipazioni statali. Verso un nuovo ibrido: la spa di diritto pubblico?, in Nomos, 1992, 1, 7 ss.; N. IRTI, Dall’ente pubblico economico alla S.p.A. (profilo storico-giuridico), in Riv. soc., 1993, 1, 466 ss.; P. FERRO LUZZI, La “trasformazione” degli enti pubblici in s.p.a. e la speciale “riserva”, in Giur. comm., 1995, 4, 507 ss. e G. MARASÀ (a cura di), Profili giuridici delle privatizzazioni, Torino, Giappichelli, 1998.

(20)

12

alla trasformazione di soggetti che, pur facendo ricorso a formule organizzative e a

processi decisionali non dissimili a quelli tipici dei soggetti privati, mostravano al

contempo caratteristiche strutturali ancora di tipo amministrativo

36

, in vere e proprie

società per azioni secondo il modello tipico dell’ordinamento privatistico. In questo

modo, quindi, ed è questo il dato che più rileva ai nostri fini, il rapporto sussistente

tra Amministrazione centrale (i.e. lo Stato) e nuove società capigruppo – al netto dei

processi di cessione al mercato di fette sempre più consistenti del loro capitale

sociale –, si emancipa dalle formule tipiche del diritto amministrativo secondo lo

schema dell’immedesimazione organica tra Stato ed ente, espressa nei poteri di

coordinamento e direzione e nei controlli interni di gestione del primo sul secondo.

Pur permanendo evidenti peculiarità sia di tipo strutturale che relazionale (rispetto

allo Stato) – che non sembrerebbero, almeno inizialmente, consentire una piena

adesione agli schemi del diritto comune

37

–, il vincolo che lega tali società al socio

pubblico si manifesta ora pienamente in un rapporto di partecipazione azionaria che

rende il secondo proprietario di quote del capitale sociale delle prime, contribuendo a

definirne un ulteriore e consistente profilo patrimoniale.

Da questo discende poi un secondo ed altrettanto rilevante effetto. La

trasformazione degli ex enti di gestione in società per azioni a capitale (adesso)

parzialmente pubblico coinvolge anche il rapporto giuridico sussistente tra socio

pubblico e società partecipate da queste ultime. Se con il precedente modello gestorio

36 Come sostanzialmente pubblica era la disciplina che ne regolava il funzionamento anche in

ragione del necessario coordinamento tra l’attività da loro svolta e le strutture amministrative centrali dello Stato dalle quali dipendevano da diretti rapporti di direzione e controllo, in evidente contrasto con la piena e riconosciuta libertà di iniziativa economica tipica dei soggetti privati.

37 Si pensi ai poteri di intervento diretto, riconosciuti in capo all’azionista pubblico, nella

governance aziendale della società. Poteri così penetranti e stringenti da richiedere un sostanziale intervento correttivo perché non più coerenti con la disciplina europea. In materia di c.d. golden share – anche nelle sue successive evoluzioni – si vedano: F. MERUSI, La Corte di Giustizia condanna la

golden share all’italiana e il ritardo del legislatore, in Dir. pubbl. comp. eur., 2000, 1236 ss.; R. URSI,

Riflessioni sulla governance delle società in mano pubblica, in Dir. amm., 2004, 4, 747 ss.; A. MALTONI, M. PALMIERI, I poteri di nomina e revoca in via diretta degli enti pubblici nelle società per

azioni ex art. 2449 c.c., ivi, 2009, 2, 267 ss.; F. SANTONASTASO, Dalla “golden share” alla “poison

pill”: evoluzione o involuzione del sistema? Da una prima lettura del 381°- 384° comma dell’art. 1 l. 23 dicembre 2005 n. 266, in Giur. comm., 2006, 3, 383 ss.; F. GOISIS, La natura delle società a partecipazione pubblica tra interventi della Corte europea di giustizia e del legislatore nazionale, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2008, 1, 396 ss.; I. DEMURO, L’incompatibilità con il diritto comunitario

nella nomina diretta ex. art. 2449 c.c., in Giur. comm., 2008, 2, 581 ss.; F. GHEZZI, M. VENTORUZZO, La nuova disciplina delle partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici nel capital delle società per azioni: fine di un privilegio?, in Riv. soc., 2008, 4, 668 ss. e C. PECORARO, Privatizzazione dei diritti speciali e dell’ente pubblico nelle s.p.a.: il nuovo art. 2449 c.c., in Riv. soc., 2009, 5, 947 ss.

(21)

13

ciò si sostanziava in un controllo diretto ad opera dello Stato – esercitato proprio per

mezzo di quelle strutture di vertice a carattere amministrativo chiamate a svolgere un

ruolo di coordinamento e direzione –, adesso si tramuta in un vero e proprio vincolo

di partecipazione indiretta, secondo logiche pienamente privatistiche

38

, che non

consente più un intervento pubblico diretto ma necessariamente mediato attraverso il

filtro operato dalla società controllante e dall’attività “gestionale” dei suoi organi

societari, assembleari ed amministrativi. E questo vale non solo per le quote di

partecipazione già detenute dagli ex enti di gestione in società preesistenti, ma anche

per quelle successivamente assunte da questi a seguito o di processi di separazione

societaria di determinati rami di azienda (occupati ora da specifiche società operanti

in mercati integrati

39

) o di “ordinarie” operazioni di acquisizione societaria.

In conclusione, emerge dunque la specificità di un processo che, pur riducendo

gli spazi di intervento pubblico, non ne recide del tutto il legame con determinati

settori economici

40

, rendendolo piuttosto meno “verticistico” e traducendolo – nelle

formule organizzative oltre che nella sostanza delle condotte – in un rapporto di

piena e matura autonomia operativa (funzionale e patrimoniale) tra società e socio

pubblico, secondo il modello privatistico, attribuendo al secondo le facoltà ed i poteri

dell’azionista con dirette conseguenze sui suoi stessi elementi patrimoniali.

1.2. Il “capitalismo” municipale tra efficienza gestionale ed esercizio di funzioni

pubbliche

Se rilevanti e varie sono le implicazioni – sia teoriche che pratiche – derivanti

dall’esistenza di società a partecipazione statale (e dai loro processi di

trasformazione), altrettanto interessanti sono i profili che emergono dall’analisi delle

38 Ove le giustificazioni del diretto ricorso a formule di “governo” di quella relazione appaiono –

esclusi casi più limitati e circoscritti, in cui prevalgono altri interessi pubblici – assai meno fondate.

39 Alcune delle quali sono state poi definitivamente cedute con la piena dismissione delle

partecipazioni della società controllante e con il venire meno delle partecipazioni pubbliche indirette.

40 Già di per sé mutato con la pena affermazione del suo intervento regolatorio finalizzato non

più al diretto controllo del mercato, ma alla tutela e promozione della concorrenza (attraverso l’attività antitrust) e alla definizione dei tratti tipici del mercato stesso laddove questo non riesca pienamente a manifestarsi (con le attività di sua diretta conformazione). Sul punto, per una generale analisi dell’intervento di regolazione, si vedano A. ZITO, (voce) Mercati (Regolazione dei), in Enc. dir., Annali III, Milano, Giuffrè, 2010, 805 ss.; A. BRANCASI, La tutela della concorrenza mediante il divieto di aiuti di Stato, in Dir. pubbl., 1-2, 2010, 195 ss. e N. RANGONE, (voce) Regolazione, in Diz. dir. pubbl., 2006, vol. V, 5057 ss.

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