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L’accertamento tributario analitico

2. La rappresentazione degli imponibili nel procedimento tributarioprocedimento tributario

2.1 L’accertamento tributario analitico

Dando credito alle formule matematiche, la rappresentazione degli imponibili non apparirebbe problematica. Sollevando il primo velo intorno alla rappresentazione economica della impresa ci si accorge immediatamente, invece, che essa altro non è che la descrizione «raccontata» e «narrata» della impresa medesima e del suo atteggiarsi in termini «economici», effettuata mediante l’uso di numeri (accanto ai propri descrittori) piuttosto che «a parole».

Sembrerebbe, in prima approssimazione, ritornare nuovamente al Tao che ha chiuso il capitolo precedente.

A questo è possibile adesso aggiungere qualcosa: la prova, pur senza dover scomodare il concetto di oralità (nel processo), ha certamente bisogno di «materialità». La prova è sempre, grossomodo, un oggetto e, se non è immediatamente tale, lo diventa attraverso la rappresentazione che dell’esperimento viene effettuata. La prova, quindi, viene «incartata» nell’accertamento (del fatto, in primis), e questo viene nuovamente «raccontato» o «narrato» a parole.

Nella maggior parte dei casi la dichiarazione, da sola, dovrebbe esaurire la fattispecie impositiva (accertamento e liquidazione dei tributi). Essa, tuttavia, non esclude che vi siano o possano esservi

controlli successivi da parte della Amministrazione.

Alcuni controlli vengono effettuati automaticamente sulla dichiarazione stessa (liquidazione), altri prevedono un esame di sussistenza formale della documentazione collaterale alla dichiarazione medesima (controllo formale).

Più oltre è possibile che le dichiarazioni rese (o non rese) siano sottoposte ad un più approfondito vaglio. Questa è la attività latamente indicata come accertamento95.

Con il termine accertamento s’intende quell’attività posta in essere dall’Amministrazione finanziaria al fine di determinare gli elementi costitutivi dell’obbligazione tributaria96.

95 Il processo evolutivo che ha attraversato l’accertamento tributario si leggono in Fantozzi, Accertamento tributario, in Enc. giur. Treccani, Vol. I, Roma, 1988. Per una più ampia analisi del passaggio dallo schema della cosiddetta “denunzia verificata” a quello dei controlli “a campione” o “selettivi”, cfr. L. Perrone, Evoluzione e prospettive dell’accertamento tributario, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1982, I, pag. 79; Fantozzi, I rapporti tra fisco e contribuente nella nuova prospettiva dell’accertamento tributario, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1982, I, pag. 216; La Rosa, Accertamento tributario, in Digesto, Disc. priv., Sez. comm., Vol. I, Utet, Torino, 1987, pag. 1; Nuzzo, Modelli ricostruttivi della forma del tributo, Cedam, Padova, 1987, passim. Sulle problematiche connesse al passaggio da forme di applicazione del tributo basate sull’impulso d’ufficio a quelle, ormai prevalenti, caratterizzate dall’iniziativa del privato nell’intero procedimento di attuazione della norma tributaria, cfr. Salvini, La partecipazione del privato all’accertamento (nelle imposte sui redditi e nell’Iva), Cedam, Padova, 1990, cit., passim, nonché Basciu-Nuzzo, Autoliquidazione del tributo, in Enc. giur., Vol. IV, Treccani, Roma, 1988), passim. Per una analisi più risalente, Basciu, Contributo allo studio dell’obbligazione tributaria (spunti critici e ricostruttivi), Jovene, Napoli, 1966, pagg. 108 e seguenti.

96 Inizialmente, il procedimento di imposizione era considerato lo strumento apprestato dall’ordinamento giuridico per collegare tra loro situazioni giuridiche soggettive di contenuto non corrispondente, come l’obbligo tributario e il potere di imposizione, in vista della realizzazione dell’effetto giuridico finale: l’acquisizione da parte della Finanza di determinate prestazioni pecuniarie a titolo di imposta o di sanzione. Cfr. Maffezzoni, Il procedimento di imposizione nell’imposta generale sull’entrata, Morano, Napoli, 1965, pagg. 69 e seguenti, dalle cui prospettazioni il Micheli prese le mosse. Si vedano, in tal senso, i richiami contenuti nel suo Considerazioni sul procedimento tributario d’accertamento nelle nuove leggi d’imposta, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1974, pagg. 620 e seguenti, nonché in Opere minori di diritto

L’accertamento tributario, quindi, è diretto al recupero dei tributi97 evasi ed all’applicazione delle sanzioni conseguenti alle violazioni degli obblighi fiscali.

La prima fase del procedimento di accertamento tributario è quella in cui si verifica l’evento da cui dipende la nascita dell’obbligazione tributaria, ossia la fattispecie imponibile98.

La fattispecie imponibile rappresenta, nell’ambito della fattispecie giuridica tributaria, il momento fondamentale da cui

tributario, Milano, 1982, Vol. II, pagg. 142 e seguenti, ed ivi, su questo punto, pag. 148. Analogie con questa impostazione possono essere riscontrate negli studi sviluppati nella stessa epoca da Virga, Il provvedimento amministrativo, Giuffrè, Milano, 1968, pag. 227, ad avviso del quale il procedimento amministrativo consiste nella successione di una pluralità di atti, aventi diversa natura e funzione, compiuti da più soggetti o organi, ma rivolti, nonostante la loro eterogeneità e la loro relativa autonomia, al conseguimento di uno stesso fine e cioè alla produzione degli effetti propri di una determinata fattispecie.

97 Il tributo genera un rapporto giuridico pubblico, costituito dai seguenti elementi: la fonte, che è la legge; il presupposto, che è l’evento da cui dipende il sorgere dell’obbligazione tributaria (l’an debeatur); l’oggetto, che è la cosa, l’atto o il fatto in relazione al quale il tributo viene applicato, in altri termini la ricchezza nelle sue varie manifestazioni (patrimonio, reddito, eccetera); la base imponibile, che è l’ammontare su cui si applica l’aliquota per il calcolo del tributo (quantum debeatur); l’aliquota, che è la misura percentuale di prelievo da applicare al singolo caso concreto; il contenuto, che è l’insieme degli obblighi di natura formale, sostanziale, di fare, di non fare; il soggetto attivo, che è l’ente pubblico che si identifica con l’Amministrazione finanziaria intesa in senso stretto; il soggetto passivo, che è il contribuente. 98 La dottrina attribuisce a tale evento varie denominazioni: fattispecie

imponibile, fatto imponibile, fatto generatore, situazione base, presupposto. L’espressione «presupposto dell’imposta» viene utilizzata dal legislatore del testo unico delle imposte sui redditi, mentre quella di «oggetto dell’imposta»», viene adoperata nell’ambito delle norme che disciplinano le imposte indirette. Il presupposto del tributo va distinto dall’oggetto, in quanto il primo è un concetto giuridico, mentre il secondo è un termine economico. Inoltre, mentre il presupposto rappresenta l’elemento oggettivo della fattispecie tributaria, e quindi l’elemento fondamentale del procedimento di accertamento tributario, l’oggetto del tributo, avendo natura esclusivamente economica non fa parte degli elementi della fattispecie giuridica tributaria. Pertanto, al fine di superare le differenze etimologiche e sostanziali, relative alle differenti terminologie utilizzate dal legislatore nell’ambito delle imposte dirette ed indirette, si è ritenuto che l’espressione più correttamente adoperabile sia quella di «fattispecie imponibile»».

derivano un insieme di obblighi collaterali e prodromici rispetto a quello finale che consiste nel pagamento del tributo, o nel diritto di credito, o nel diritto di rimborso per il periodo d’imposta considerato.

La seconda fase del procedimento di accertamento tributario si realizza con la presentazione della dichiarazione tributaria99.

La fase successiva a quella della presentazione della dichiarazione è la cosiddetta fase istruttoria che si realizza mediante l’insieme delle attività poste in essere dall’Amministrazione finanziaria allo scopo di verificare la veridicità dei dati esposti nella dichiarazione del contribuente e rappresenta un aspetto prodromico rispetto all’emissione di avvisi di accertamento.

Solo successivamente ed eventualmente si perviene alla fase di controllo sostanziale che può terminare con l’emissione dell’accertamento secondo le forme ed i metodi propri100.

99 L’art. 1, comma 1, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, recante le norme fondamentali in materia di accertamento delle imposte sui redditi, stabilisce che «Ogni soggetto passivo deve dichiarare annualmente i redditi posseduti anche se non ne consegue alcun debito d’imposta. I soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili … devono presentare la dichiarazione anche in mancanza di redditi».

100 La riforma tributaria degli anni 1971/1973, oltre ad introdurre l’obbligo della tenuta delle scritture contabili per esercenti attività d’impresa, ovvero attività artistico-professionali, ha delineato quelle che sono le due forme tradizionali di accertamento, ossia quella analitica e quella sintetica. Le espressioni accertamento induttivo, o deduttivo riguardano invece il metodo o il ragionamento attraverso il quale si giunge alla determinazione del reddito. In effetti, la riforma tributaria ha determinato il passaggio da una normativa che non prevedeva particolari obblighi contabili, se non per le società tassabili in base al bilancio, ad una caratterizzata dall’estensione generalizzata degli obblighi contabili in capo a pressoché tutte le categorie di contribuenti, con esclusione della categoria dei lavoratori dipendenti. Per queste ragioni l’Amministrazione finanziaria ha dovuto necessariamente fare ricorso in modo prevalente, alla forma dell’accertamento analitico, solo in casi eccezionali a quella dell’accertamento sintetico. Tuttavia, la riforma in materia di accertamento tributario non ha fornito i risultati sperati, per questo il panorama normativo attuale, in tema di accertamento, è sostanzialmente basato sul ritorno a metodi e procedure che venivano utilizzati in passato. Ne è prova il susseguirsi di norme volte a sottoporre ad imposizione i redditi «normali» (accanto a quelli «sintetici»).

Le dichiarazioni presentate dai contribuenti sono sottoposte, in un primo momento, ad un controllo automatico, al fine di verificare, in linea di principio, la corrispondenza nonché la tempestività dei versamenti.

Successivamente, sulla base dei criteri selettivi fissati dal Ministro dell’Economia e delle Finanze, gli uffici procedono ad un controllo di tipo sostanziale delle dichiarazioni, controllo che può comportare l’emanazione di un apposito avviso di accertamento.

L’accertamento analitico è la metodologia di rettifica ordinaria, e, a differenza dell’induttivo, non richiede, ai fini della sua applicazione, particolari condizioni.

Mediante tale tipologia di rettifica, l’imponibile viene determinato prendendo in considerazione le singole componenti.

Nel reddito d’impresa, l’accertamento in via analitica avviene attraverso la rettifica delle singole componenti reddituali.

Nell’ambito delle imposte sui redditi, l’accertamento analitico è regolato dall’art. 38 comma 1, 2 e 3 d.p.r. 600/1973, per la rettifica delle dichiarazioni delle persone fisiche non esercenti attività d’impresa o di lavoro autonomo; dall’art. 39 comma 1 e 3 d.p.r. 600/1973, per la rettifica del reddito d’impresa o di lavoro autonomo; dall’art. 40 d.p.r. 600/1973, per la rettifica del reddito delle società e delle associazioni.

E dunque, l’art. 39 comma 1 d.p.r. 600/1973 attribuisce agli uffici il potere di rettifica dei redditi d’impresa dichiarati dalle persone fisiche se le componenti positive e negative di reddito indicate nella dichiarazione non corrispondono a quelle iscritte in bilancio (lett. a); se non sono state correttamente applicate le disposizioni sul reddito

d’impresa (lett. b); se l’incompletezza101, la falsità102 o l’inesattezza103

dei dati indicati nella dichiarazione risulta in modo certo e diretto (lett. c): dai verbali redatti in occasione della comparizione del contribuente presso gli uffici; dai questionari redatti dal contribuente dietro richiesta degli uffici; dagli atti, documenti e registri esibiti o trasmessi dal contribuente, sempre dietro richiesta degli uffici; dalle dichiarazioni presentate da altri soggetti; dai verbali relativi ad ispezioni effettuate nei confronti di altri soggetti; se l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza dei dati indicati nella dichiarazione risulta (lett. d): dall’ispezione delle scritture contabili; dalla verifica condotta presso il contribuente; dal controllo delle fatture e della documentazione contabile; dai dati e notizie raccolti dagli uffici nell’esercizio dei poteri di indagine loro conferiti dall’art. 32 d.p.r. 600/1973; sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti.

Distinguendo in base agli elementi di prova, si può differenziare tra il contenuto dell’art. 38 comma 1, 2 e 3 e dell’art. 39 comma 1 lett. a), b) e c), d.p.r. 600/1973, da una parte, che fondano l’accertamento sul riscontro di elementi documentali; l’art. 39 comma 1 lett. d) del

101 L’incompletezza dei dati indicati nella dichiarazione attiene a situazioni in cui il contribuente, pur avendo l’obbligo di inserire in dichiarazione dati ed elementi, non vi ottemperi.

102 La falsità dei dati indicati in dichiarazione si distingue, rispetto alla casistica dell’inesattezza, per la volontà del soggetto di alterare il contenuto della dichiarazione al fine di fornire una rappresentazione distorta della propria attività economica. Sotto il profilo dei presupposti dell’accertamento ai fini tributari non sussistono differenze di sorta a seconda che la condotta del contribuente sia stata posta in essere in modo involontario (inesattezza dei dati) o volontario (falsità). Le differenze potrebbero, tutt’al più, riscontrarsi nel versante sanzionatorio, posto che le sanzioni amministrative non possono essere irrogate in assenza dell’elemento soggettivo.

103 L’inesattezza dei dati attiene alla non conformità della rappresentazione fornita in dichiarazione con i dati risultanti dalle scritture contabili e dalla documentazione da tenere in via obbligatoria ai fini fiscali.

medesimo decreto, dall’altra, fondato su presunzioni.

Il primo corpo di norme sopra citato presuppone un riscontro diretto con dati ed elementi desunti dal controllo del contribuente o di soggetti terzi104.

Sia nell’ambito del controllo delle dichiarazioni delle persone fisiche non imprenditori, sia per quanto riguarda quello relativo ai soggetti imprenditori (individuali e società), il primo dato di analisi riguarda le dichiarazioni presentate per il periodo d’imposta stesso e per quelli precedenti.

Dal confronto con le dichiarazioni dello stesso contribuente relative a periodi d’imposta precedenti può evincersi, ad esempio, l’assenza di redditi appartenenti alla medesima categoria reddituale, ovvero la presenza di deduzioni o detrazioni in precedenza non indicate.

La rettifica del reddito d’impresa dichiarato può avvenire (art. 39 comma 1 lett. a) e b), d.p.r. 600/1973): se i dati indicati in dichiarazione non coincidono con quelli del bilancio, il quale, pur non essendo più da tempo allegato alla dichiarazione, né pubblicato presso il Registro delle imprese per la maggioranza dei soggetti d’imposta, rimane comunque una scrittura contabile obbligatoria ai fini fiscali (fatta eccezione per i soggetti in contabilità semplificata); se non sono state applicate correttamente le disposizioni del t.u.i.r. che regolano la determinazione del reddito d’impresa.

Unitamente agli elementi di prova sopra esaminati, l’accertamento analitico può essere attivato a seguito dell’acclarata falsità ed inesattezza di dati ed elementi indicati nella dichiarazione

104 Sulle tutele per i terzi e sulle risultanze delle indagini su questi ultimi, v. Marcheselli, L’esercizio dei poteri istruttori tributari nei confronti dei soggetti terzi, in Dir. prat. trib., 2008, I, pagg. 1115 e seguenti.

dei redditi, dimostrabile attraverso i documenti raccolti dagli uffici nell’esercizio dei loro poteri istruttori: verbali redatti in occasione degli inviti a comparire formulati ai contribuenti; questionari inviati ai contribuenti stessi; atti, documenti e registri esibiti dal contribuente a seguito delle richieste degli uffici; verbali relativi a ispezioni effettuate nei confronti di altri soggetti.

Quale ulteriore casistica prevista dall’art. 39 comma 1 d.p.r. 600/1973, vi è l’accertamento condotto a seguito dell’ispezione della contabilità del contribuente.

La rettifica del reddito d’impresa effettuata ai sensi dell’art. 39 comma 1 lett. a), d.p.r. 600/1973 (elementi della dichiarazione che non coincidono con quelli desunti dal Conto economico) deve debitamente tenere conto delle interazioni tra bilancio e determinazione del reddito d’impresa.

La questione appare particolarmente delicata alla luce della modifiche significative recate dalla l. 244/2007 ai criteri generali di determinazione della base imponibile delle imposte sui redditi e dell’IRAP105.

Per quanto riguarda il quadro normativo ante l. 244/2007, il principio generale (che tuttora permane) è quello che viene definito di derivazione del reddito imponibile dal risultato di bilancio; il reddito d’impresa si determina, infatti, apportando al risultato del Conto economico le variazioni fiscali previste dal t.u.i.r. e dalle leggi speciali.

Possono, poi, essere dedotti, anche se non presenti nel Conto economico di competenza: i componenti imputati al Conto economico

105 Queste hanno trovato per la prima volta applicazione nei modelli UNICO e IRAP 2009. Le modifiche in questione si applicano, infatti, dai periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2007.

di un esercizio precedente, se la deduzione è stata rinviata in conformità alle norme del t.u.i.r. medesimo che dispongono o consentono il rinvio (art. 109 comma 4 lett. a) del t.u.i.r.); i componenti non imputati al Conto economico ma deducibili per disposizioni di legge (art. 109 comma 4 lett. b) del t.u.i.r.)106.

La lett. b) dell’art. 109 comma 4 prevedeva, poi, la deduzione extracontabile: degli ammortamenti dei beni materiali e immateriali; degli accantonamenti; delle rettifiche di valore; delle spese di ricerca e sviluppo; della differenza tra canoni di leasing e somma di ammortamenti e interessi passivi contabilizzati con riferimento ai beni in leasing.

La deduzione extracontabile di tali componenti era subordinata al loro inserimento nel quadro EC dei modelli UNICO, al fine di tenere memoria dei valori civili e fiscali dei beni e del corrispondente vincolo sulle riserve di patrimonio netto.

La l. 244/2007 si è caratterizzata, in via generale, per la previsione di un più stretto legame tra bilancio e reddito d’impresa.

La principale delle misure che segnano tale cambio di impostazione è rappresentata dall’abrogazione della facoltà di dedurre costi in via extracontabile.

L’accertamento analitico può essere attivato anche nel momento in cui il bilancio della società verificata sia soggetto a certificazione obbligatoria.

Secondo la sentenza della Corte di cassazione 8 giugno 2007 n.

106 Appartengono alla prima categoria, ad esempio: le quote delle spese di rappresentanza rinviate agli esercizi successivi (in applicazione del vecchio art. 108 comma 2 del t.u.i.r.); le quote delle spese di manutenzione eccedenti il plafond del 5% del costo dei beni ammortizzabili rinviate agli esercizi successivi; i fondi costituiti con accantonamenti non deducibili, ripresi in diminuzione all’atto del verificarsi dell’evento a fronte del quale essi erano stati iscritti in bilancio.

13491, infatti, sebbene il criterio fondante della determinazione del reddito d’impresa sia quello della derivazione dalle risultanze del Conto economico, la certificazione rilasciata dalla società di revisione non preclude la possibilità di effettuare accertamenti, in quanto lo stesso bilancio sottoposto a revisione può comunque essere oggetto di impugnazione da parte dei soci o dei terzi, se danneggiati dalle informazioni in esso contenute.

Pur non mettendo in discussione l’assunto per cui la certificazione del bilancio non pone al riparo da accertamenti di tipo analitico, la sentenza della Corte di cassazione 12 marzo 2009 n. 5926 afferma principi di diritto di assoluto rilevo sulla questione.

Secondo la Suprema Corte, infatti, il bilancio e la relazione dei revisori «sono mezzi di prova che non possono essere ignorati né dall’Ufficio tributario in sede amministrativa né dal giudice tributario dinanzi al quale si trasferisca l’accertamento».

Dal regime pubblicistico dell’attività di revisione, unito alla responsabilità civile e penale del revisore, conseguirebbe che ogni qual volta una relazione di revisione venga messa a disposizione dell’ufficio e del giudice tributario, «le autorità devono tenerla in conto, non di presunzione iuris tantum della veridicità delle scritture, perché manca una norma legislativa che le attribuisca tale forza, ma di documento incorporante enunciati sui quali sia l’ufficio tributario sia il giudice tributario si devono pronunciare e che possono essere privati della loro forza dimostrativa dei fatti attestati solo mediante la prova contraria a carico dell’ufficio».

La prova contraria può consistere, ad esempio, in documenti che attestino il carattere omissivo del comportamento del revisore; non oggetto di valutazione da parte del revisore, non essendo previsto il

loro inserimento nelle procedure di revisione; occultati, poiché idonei a provare comportamenti dolosi; che consentano di provare che le risultanze del controllo sono state travisate.