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L’accertamento tributario «per antieconomicità»

2. La rappresentazione degli imponibili nel procedimento tributarioprocedimento tributario

2.3 L’accertamento tributario «per antieconomicità»

Il comportamento antieconomico157, che l’imprenditore non sia

149 Cass. 28 marzo 2003 n. 4721. 150 C.t.c. 13 maggio 88 n. 4113. 151 Cass. 7 maggio 2007 n. 10345.

152 Cass. 24 luglio 2009 n. 17365 e Cass. 31 marzo 2008 n. 8255. 153 Cass. 25 marzo 2009 n. 7184.

154 Cass. 12 marzo 2009 n. 5947. 155 Cass. 9 settembre 2008 n. 23254.

156 Cfr., da ultimo, Cass. 17 luglio 2008 n. 19661.

in grado di giustificare in alcun modo, può comportare l’emanazione di un accertamento di tipo presuntivo158.

L’attività economica, dal punto di vista civilistico, è quella diretta alla creazione di nuove utilità, nel senso di nuova ricchezza, che può anche consistere in un incremento di valore dei beni già esistenti. Una diversa elaborazione chiarisce invece che l’attività d’impresa deve essere indirizzata al fine produttivo, però deve anche essere svolta secondo un metodo economico: la economicità del metodo si aggiunge pertanto a quella del fine159.

Tutti concordano tuttavia sulla irrilevanza della aspirazione del soggetto agente, e cioè sulla intenzione di effettuare una gestione di un certo tipo o, più in generale, dello scopo di chi esercita l’attività: il criterio di gestione deve essere oggettivamente identificabile. È pacifico cioè il suo collegamento ad elementi che devono emergere dal modo di essere dell’attività, sotto il profilo delle modalità di impostazione ed attuazione della gestione.

prezzi “fuori mercato”, in Corr. trib., 2009, pagg. 203 e seguenti; Greggi, Il requisito dell’“obiettiva economicità” dell’attività d’impresa nell’accertamento “contabile induttivo”, in Riv. dir. trib., 2001, 6, pag. 507; Panizzolo, Il principio di insindacabilità delle scelte imprenditoriali in diritto tributario: conferme e limiti, in GT-Giur. trib., 2001, pag. 1031; Caraccioli, “Antieconomicità” ed evasione fiscale (nota a Cass., sez. trib., 9 febbraio 2001 n. 1821, Min. fin. c. G.), in Il fisco n. 8/2001, pag. 3142. Per l’inerenza connessa alla antieconomicità v. Beghin, Atti di gestione “anomali” o “antieconomici” e prova dell’afferenza del costo all’impresa, in Riv. dir. trib., 1996, I, pagg. 413 e seguenti; Zoppini, Sul difetto di inerenza per antieconomicità manifesta, in Riv. dir. trib., 1992, II, pagg. 937 e seguenti; Lupi, A proposito di inerenza ... il fisco può entrare nel merito delle scelte imprenditoriali?, in Riv. dir. trib. 1992, II, pagg. 940 e seguenti; Marello, Involuzione del principio di inerenza?, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2002, I, pagg. 502 e seguenti; Salvati, Riflessioni in tema di antieconomicità e ragionevolezza nell’accertamento induttivo, in Rass. trib. 2009, pagg. 816 e seguenti; Tinelli, Il principio di inerenza nella determinazione del reddito d’impresa, in Riv. dir. trib., 2002, I, pag. 452.

158 Cfr., per tutte, Cass. 23 gennaio 2008 n. 1409.

159 Capolupo, La valutazione della economicità degli atti, in Il fisco n. 7/2009, fascicolo n. 1, pag. 1031.

Per quanto riguarda poi l’identificazione del metodo economico160, esso deve essere presente nelle gestioni impostate al conseguimento di un lucro oggettivo, e cioè di un utile, o tuttavia di un vantaggio economico che vada oltre la mera copertura dei costi di produzione, così come nessuno dubita della sua assenza nelle gestioni impostate alla erogazione delle risorse e cioè al conseguimento di una perdita o di un depauperamento del patrimonio161.

Le opinioni non sono invece concordi in merito alla natura

160 Sul punto Genovese, La nozione giuridica dell’imprenditore, Padova, 1990, pag. 27, secondo il quale ai fini della integrazione della nozione di economicità il metodo del pareggio di bilancio va respinto, mentre va accolto il metodo di gestione che consente la produzione del guadagno; in tal senso pure Buttaro, O.N.L.U.S. Riforma della disciplina delle associazioni impresa e fallimento, in Riv. soc., 2000, pag. 126, in part. pagg. 133-134, il quale sottolinea l’essenzialità dello scopo di lucro per la identificazione dell’attività d’impresa.

161 Occorre – in uno – che vi siano valide ragioni economiche perché l’agire giuridico possa dirsi meritevole di tutela. In assenza di valide ragioni economiche, per esempio, il mero risparmio d’imposta non può essere tutelato: Di Pietro, L’elusione fiscale nell’esperienza europea, Giuffré, Milano, 1999; Leonardi, Normativa antielusione: brevi note sull’assetto attuale e sulle recenti prospettive di sviluppo, in Boll. trib., 1997, pag. 999; Lunelli, Normativa antielusione, in il fisco, n. 30/1997, pag. 8484; Lupi, Elusione e legittimo risparmio d’imposta nella nuova normativa, in Rass. Trib., n. 5/1997, pag. 1099; Lupi, Manuale giuridico professionale di diritto tributario, cit., 2001, pag. 277; Nussi, Elusione tributaria ed equiparazioni al presupposto nelle imposte sui redditi: nuovi (e vecchi) problemi, in Riv. dir. trib., 1998, I, pag. 503; Piccone Ferrarotti, Riflessioni sulla norma antielusiva introdotta dall’art. 7 del d.lgs. n. 358/1997, in Rass. Trib., n. 5/1997, pag. 1147; Potito, Le valide ragioni economiche di cui all’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973: considerazioni di un economista d’azienda, in Rass. Trib., n. 1/1999, pag. 59; Russo, Brevi note in tema di disposizioni antielusive, in Rass. Trib., n. 1/1999, pag. 71; Tabellini, Il progetto governativo antielusione, in Boll. trib., 1997, pag. 1061; Valente, Riorganizzazioni societarie. Prime riflessioni sulla nuova normativa antielusione, in il fisco, n. 35/1997, pag. 10159; Valente, Concatenazione motivazionale e concatenazione esecutiva nella disciplina antielusione, in il fisco, n. 42/1997, pag. 12254; Vanz, L’elusione fiscale tra forma giuridica e sostanza economica, in Rass. Trib., n. 5/2002, pag. 1606; Zizzo, Prime considerazioni sulla nuova disciplina antielusione, in Commento agli interventi di riforma tributaria, a cura di Miccinesi, Cedam, Padova, 1999, pag. 435; ZOPPINI, Fattispecie e disciplina dell’elusion nel contesto delle imposte reddituali, in Riv. dir. trib., 2002, I, pag. 53.

economica delle attività gestite con il metodo del pareggio del bilancio e cioè secondo quel criterio che mira solo alla copertura dei costi di produzione. Si ritiene infatti che il metodo economico sia quello che consente, almeno nel lungo periodo, la remunerazione dei fattori della produzione e cioè l’autosufficienza economica e la durabilità dell’impresa.

Diversamente si afferma che la gestione in pareggio non è sufficiente per integrare l’economicità del metodo in quanto è necessario che le attività svolte siano almeno potenzialmente lucrative, nel senso di lucro oggettivo162, rimanendo tuttavia irrilevanti sia l’effettivo conseguimento di un profitto, e cioè il risultato positivo della gestione, sia la sua devoluzione a fini altruistici. Nell’ambito del lucro oggettivo si fanno rientrare, talvolta, non solo le attività rivolte all’incremento pecuniario, però anche quelle rivolte al conseguimento di un risparmio di spesa o di un qualsivoglia vantaggio patrimoniale.

Conseguentemente, si può sostenere che l’attività è condotta con metodo economico quando è diretta alla remunerazione dei fattori produttivi utilizzati ed è chiaro che una simile valutazione va effettuata esaminando la gestione dell’attività nel suo complesso e non con riguardo alle singole operazioni, che invece andrebbero inserite all’interno dell’attività complessivamente esercitata.

162 Ferrara-Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano 1999, pag. 42, che fa riferimento all’attitudine a conseguire un risultato economico positivo; tale nozione era già presente in Bigiavi, La professionalità dell’imprenditore, Padova, 1948, pag. 77. Vedi ancora in tal senso Marasà, Le società senza scopo di lucro, Milano 1984, pag. 106, il quale afferma che il lucro oggettivo può atteggiarsi in due modi differenti (in relazione al “carattere polisenso del requisito dell’economicità”), e cioè come produzione di nuove utilità, o come produzione di utili in senso stretto; riporta poi (pag. 79, nota 19) i diversi significati di “economicità”, ed afferma che “Il termine non è usato con accezione costante nelle definizioni codicistiche”, aggiungendo (pag. 386) che la polivalenza del termine è un fenomeno frequente anche nell’ambito dello stesso settore dell’ordinamento.

L’orientamento consolidato163 è concorde nel ritenere che l’antieconomicità è indice di evasione fiscale.

Invero, il sistema delineato dall’art. 39, comma 1, d.p.r. n. 600/1973 consente, come noto, una rettifica induttiva del reddito dichiarato, pur in presenza di scritture contabili regolarmente tenute, ancorando tale forma di accertamento alla sussistenza di presunzioni gravi, precise e concordanti.

E tanto perché la regolarità della tenuta delle scritture contabili non implica all’evidenza la certezza assoluta in ordine all’effettività del reddito prodotto, avendo esclusivamente la funzione di documentare e serbare memoria di quanto prodottosi nella sfera giuridica del contribuente, integrando un primo tassello per colmare l’inferiorità conoscitiva dell’Amministrazione nell’attività di accertamento.

Sennonché, anche se è indiscusso che la regolarità della contabilità non può costituire di per sé uno sbarramento all’azione di accertamento, non sostanziandosi in un baluardo di correttezza sostanziale dell’adempimento dell’obbligazione tributaria, è altrettanto vero che, per correggere le risultanze di una contabilità regolare a

163 Tale filone giurisprudenziale ha suscitato, e tuttora suscita, più di qualche perplessità per l’eccessiva valorizzazione di un criterio di rettifica che parrebbe sanzionare le scelte imprenditoriali. Occorre rilevare che per la Cassazione in primis, nello stesso fondamento dell’accertamento cosiddetto analitico-induttivo, per cui se è vero che, pur a fronte di una contabilità regolare, l’Ufficio può accertare induttivamente un maggior reddito ex art. 39, comma 1, lettera d), d.p.r. n. 600/1973 e art. 62-sexies, D.l. n. 331/1993, è altrettanto vero che devono sussistere non solo i presupposti per superare lo sbarramento costituito dalla regolarità nella tenuta delle scritture, però anche quelle presunzioni gravi, precise e concordanti richiesta dalla norma a supporto della ricostruzione amministrativa del reddito del contribuente. In secondo luogo, la grave incongruenza alla base della rettifica di tipo induttivo può sostanziarsi nella valutazione di anomalia riferita alla condotta commerciale del contribuente, sicché l’antieconomicità delle scelte operate dallo stesso può di per sé integrare i presupposti della verifica.

mezzo di ragionamenti di carattere presuntivo, il legislatore ha inteso subordinare la legittimità delle ricostruzioni induttive alla sussistenza di presunzioni qualificate164.

Il potere di rettifica, attribuito dal legislatore all’Amministrazione con la norma in esame, è quindi condizionato dalla necessità di servirsi di presunzioni gravi, precise e concordanti ed è vincolato nel fine, dovendo tuttavia essere diretto all’accertamento di una capacità economica effettiva, anche se è chiaro, come ampiamente sostenuto in dottrina e giurisprudenza, che il risultato dell’applicazione delle presunzioni non coincide con la certezza del risultato, però con un alto grado di probabilità determinato sulla base del criterio della normalità causale.

L’esigenza di pervenire ad un risultato il più vicino possibile ad una capacità economica effettiva è tutelata dal disposto dell’art. 39, comma 1, lettera d), laddove impone la necessità di più elementi da valutare, atteso che il procedimento induttivo previsto dalla norma

164 Bruzzone, Presupposti di legittimità dell’accertamento analitico-induttivo (nota a Cass., Sez. I, 5 settembre 1996 n. 8089; Comm. trib. centr., Sez. II, 24 gennaio 1996 n. 239), in Riv. giur. trib., 1997, pag. 529; Fantozzi, I presupposti dell’accertamento sintetico e induttivo, in Riv. Notariato, 1977, pag. 899; Id, voce Accertamento tributario, in Enc. Giur. Treccani, vol. I, Roma, 1988; Id, I rapporti tra fisco e contribuente nella nuova prospettiva dell’accertamento tributario, in Riv. dir. fin., 1984, 2, pagg. 216 e seguenti; Fazzini, L’accertamento per presunzioni: dai coefficienti agli studi di settore, in Rass. trib., n. 2/1996, pag. 347; Fedele, L’accertamento tributario, ed i principi costituzionali, in L’accertamento tributario, a cura di Di Pietro, Milano, 1994, pagg. 29 e seguenti; Lupi, Metodi induttivi e presunzioni nell’accertamento tributario, Giuffrè, Milano, 1988; Muleo, Contributo allo studio del sistema probatorio nell’accertamento tributario, Giappichelli, Torino, 2000; Russo, La tutela del contribuente nel processo sui redditi virtuali o presunti: problemi generali, in Riv. dir. trib., 1995, I, pagg. 1 e seguenti; Tesauro, Le presunzioni nel processo tributario, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1986, pag. 194; Tinelli, Riflessioni sulla prova per presunzioni nell’accertamento del reddito di impresa, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1986, I, pag. 476; Tosi, Le predeterminazioni normative nell’imposizione reddituale, Milano, 1999.

muove dalla conoscenza di fatti secondari, ritualmente acquisiti (tramite fonti di prova oppure il notorio o la non contestazione) per dedurre l’esistenza di un fatto principale ignorato e si fonda sulla ricorrenza di tre requisiti: il requisito della gravità, che è riferito al grado di convincimento che le presunzioni sono idonee a produrre e per il quale è sufficiente che l’esistenza del fatto ignorato sia desunta con ragionevole certezza, anche probabilistica; il requisito della precisione, che impone che non siano vaghi, però ben determinati nella loro realtà storica, i fatti noti dai quali muove il ragionamento probabilistico; ed il requisito della concordanza che postula la convergenza della pluralità di fatti noti nella dimostrazione del fatto ignorato.

L’interpretazione giurisprudenziale della norma si è spinta ad affermare che la pluralità dei fatti da valutare per disattendere una contabilità regolare è solo eventuale, atteso che il convincimento dell’Ufficio (e del giudice) può basarsi, finanche in contrasto con le risultanze di altre prove acquisite, anche su di una sola presunzione, sempre che questa sia grave e precisa e di valore decisivo.

Secondo tale interpretazione, quindi, nel sistema dell’accertamento analitico induttivo delineato dall’art. 39, comma 1, lettera d), per sostenere la rettifica induttiva dell’amministrazione può bastare anche una sola presunzione, purché di valore decisivo e sempre che sia grave e precisa165 e ben può tale presunzione essere incarnata dalla antieconomicità del comportamento del contribuente.

165 Sul punto, l’interpretazione riferita sembra travalicare i limiti derivanti dalla lettera della norma che inequivocabilmente utilizza il plurale con riferimento alle presunzioni gravi, precise e concordanti e, soprattutto, qualifica tali presunzioni anche con l’aggettivo concordanti, che evidentemente implica la convergenza tra più di una presunzione e l’insufficienza di una sola, richiedendo, quindi, che non vi sia contrasto tra i diversi elementi da valutare per poter addivenire ad una conclusione coerente.

In proposito, la Cassazione ha sostenuto166 «in tema di imposte sui redditi, in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, che il contribuente non spieghi in alcun modo, è legittimo l’accertamento ai sensi dell’articolo 39, comma 1 lett. d), d.p.r. 600/1973; a tale riguardo il giudice di merito, per poter annullare l’accertamento, deve specificare, con argomenti validi, le ragioni per le quali ritiene che l’antieconomicità del comportamento del contribuente non sia sintomatico di possibili violazioni di disposizioni tributarie»167.

La succitata sentenza n. 1821 del 9/2/2001 della Corte di cassazione ha spianato la strada a più pronunce aventi lo stesso principio e cioè: «in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, che il contribuente non spieghi in alcun modo, o che giustifichi in maniera non convincente, è legittimo l’accertamento ai sensi dell’art. 39, 1° comma, lett. d), d.p.r. n. 600/73».

Ed ancora la stessa Corte di cassazione168 ha ribadito che «In tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto confliggente con i criteri della ragionevolezza,

166 Cass. 9 febbraio 2001 n. 1821.

167 Sulla base di tale principio, la Suprema Corte ha annullato con rinvio la sentenza della Commissione Tributaria che aveva escluso la sussistenza di un’alterazione di bolle di accompagnamento, e annullato l’accertamento presuntivo, sulla base dell’aspetto esteriore delle bolle medesime e non ritenendo sintomatica di falsificazione l’effettuazione di più trasporti a distanza di pochissimi giorni, in ragione della breve distanza tra la sede dell’acquirente e quella della venditrice.

anche sotto il profilo della antieconomicità del comportamento del contribuente. In tali casi è, pertanto, consentito all’ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici – purché gravi, precise e concordanti – maggiori ricavi o minori costi, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente»169.

La Cassazione ha, inoltre, precisato che «In presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, che il contribuente non spieghi in alcun modo, è legittimo l’accertamento del reddito d’impresa ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, il quale consente di desumere l’esistenza di ricavi non dichiarati anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti»170.

E, anche, che «È legittimo l’accertamento dell’Ufficio, che in rettifica di un solo punto dei ricavi, ritenga antieconomico un contratto di affitto di appartamenti turistici stipulato da una società, antieconomicità che di per se stessa costituisce un elemento indiziario grave e preciso, senza che la società interessata abbia dimostrato che il compenso percepito era effettivamente quello in contratto e dopo che l’Ufficio aveva dimostrato la irragionevolezza della condotta del contribuente con l’accertata rilevante differenza, priva di ogni giustificazione, tra il ricavo allegato e quelli normalmente conseguiti in quella stessa località dagli operatori del medesimo settore»171.

Sempre sulla scia delle suddette decisioni la sentenza n. 12674

169 Nella fattispecie, la Suprema Corte ha cassato la sentenza di una Commissione Tributaria, che aveva ritenuto illegittimo l’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa, fondato sulla dichiarazione di prezzi di acquisto di macchinari usati, notevolmente superiori ai prezzi di rivendita. 170 Sentenza n. 7680 del 25 maggio 2002.

del 13 giugno 2005 dei giudici della Corte di cassazione ha statuito che «È ammissibile un accertamento induttivo pur in presenza di scritture contabili formalmente corrette, qualora la contabilità possa essere considerata complessivamente ed essenzialmente inattendibile, in quanto configgente con le regole fondamentali della ragionevolezza».

Nello stesso anno, la successiva Sentenza n. 20422 del 21 ottobre 2005 ha stabilito che «In tema di accertamento delle imposte sui redditi, anche in presenza di una contabilità formalmente regolare, i ricavi possono essere ritenuti falsi in base alla loro sproporzione per difetto rispetto ai costi, ed in tale contesto è ammissibile un accertamento analitico-induttivo, il quale tenga conto delle poste passive indicate dal contribuente, per ricostruire i ricavi effettivi; trattasi, in tal caso, non già di accertamento induttivo tout court, ma di accertamento analitico-induttivo, che è sempre legittimo quando l’esposizione dei ricavi sia talmente ridotta rispetto ai costi da indurre a ritenere antieconomica la gestione».

Tutte le succitate sentenze della Corte di cassazione avvalorano il comportamento dell’Amministrazione finanziaria e, quindi, confermano la possibilità, da parte del fisco, di entrare nel merito delle scelte imprenditoriali non solo per disconoscerne gli eventuali vantaggi fiscali (norme antielusive172), ma anche al fine di legittimare

172 In materia, v. V. Ficari, Clausola generale antielusiva, art. 53 della Costituzione, in Rass. Trib. n. 2/2009; pagg. 390 e seguenti; E. Della Valle, L’elusione nella circolazione indiretta del complesso aziendale, in Rass. Trib. n. 2/2009, pagg. 375 e seguenti; G. Zizzo, Clausola antielusione e capacità contributiva, in Rass. Trib. n. 2/2009, pagg. 487 e seguenti; M. Beghin, L’abuso del diritto tra capacità contributiva e certezza dei rapporti Fisco-contribuente, in Corr. Trib., 2009, pag 823; Id., Abuso del diritto, giustizia tributaria e certezza dei rapporti tra fisco e contribuente, in Riv. Dir. Trib., 2009, pagg. 408 e seguenti; G. Marongiu, Abuso del diritto o abuso di potere?, Corr. Trib., 2009, pagg. 1076 e seguenti; A. Lovisolo, Abuso del diritto e clausola generale antielusiva alla ricerca di un principio, in Riv. Dir.

un accertamento induttivo basato solo sull’antieconomicità della gestione con la quale supporre la sussistenza di evasione173.

L’analisi giurisprudenziale porta ad osservare come «l’effettuazione di un’operazione che contrasti con i criteri di economicità non solo costituisce di per se stessa un elemento indiziario estremamente grave e preciso ma, esaminata nei suoi vari aspetti, comporta una serie di corollari che, considerati separatamente, costituiscono a loro volta ulteriori elementi indiziari – irragionevolezza della condotta della società contribuente, differenze rilevanti e prive di ogni giustificazione logica tra il ricavo allegato e quelli normalmente conseguiti all’epoca e in quella stessa località dagli operatori del medesimo settore, sproporzione altrettanto notevole, ed altrettanto ingiustificata, tra mezzi impiegati e redditi esposti, eccetera – che valgono, nel loro complesso, ad integrare quegli elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti che consentono all’amministrazione di ritenere inattendibile la contabilità aziendale e

Trib., 2009, pag. 49; M. Poggioli, Il modello comunitario della “pratica abusiva” in ambito fiscale: elementi costitutivi essenziali e forza di condizionamento rispetto alle scelte legislative e interpretative nazionali, in Riv. Dir. Trib., 2008, pagg. 252 e seguenti; M. Cantillo, Profili processuali del divieto di abuso del diritto: brevi note sulla rilevabilità d’ufficio, in Rass. Trib. n. 2/2009, pagg. 481 e seguenti. Per un ampio approfondimento della tematica, si veda Aa.Vv., Elusione ed abuso del diritto tributario. Orientamenti attuali in materia di elusione e abuso del diritto ai fini dell’impostazione tributaria, a cura di Maisto, Milano, 2009.

173 Infatti, la Sezione Tributaria della Corte di cassazione (Sentenza n. 10650 del 3 Agosto 2001), con richiamo alla precedente giurisprudenza di legittimità (Sentenza n. 1821 del 9 febbraio 2001, Sentenza n. 12813 del 27 settembre 2000), ha evidenziato che: «Va tenuto conto che l’antieconomicità di un comportamento può rappresentare un serio elemento probatorio in ordine ad una evasione». L’antieconomicità del comportamento dell’imprenditore trova il suo fondamento, così come statuito nella sentenza della Corte di cassazione n. 14428 depositata l’8 luglio 2005, nel fatto che «le operazioni contestate non seguivano la logica del profitto, anzi erano prive di una valida ragione economica che neppure la società era stata in grado di indicare, restando