La prova scientifica si può definire come uno strumento tecnico scientifico idoneo alla ricostruzione del fatto storico. Nel nostro processo la prova scientifica trova ingresso soprattutto attraverso il mezzo di prova della perizia o dell’accertamento tecnico.
Si può dire scientifica la prova che partendo da un fatto dimostrato, un fatto noto, utilizza una legge scientifica per accertare l’esistenza di un altro fatto da provare, e quindi un fatto ignoto, e rientra nella più vasta categoria della prova critica o indizio.
La aggettivazione «scientifica» rispetto al termine «prova» evidenzia un rischio, il rischio che questa espressione possa fare pensare che il risultato investigativo, il risultato probatorio che si ottiene attraverso l’espletamento della prova scientifica, abbia la caratteristica della verità.
In realtà non si deve equivocare e ritenere che l’espressione scientifica implichi di per se stessa che il risultato dell’attività è un risultato attendibile o che consente di arrivare alla certezza della ricostruzione del fatto.
Si può dire ancora meglio che la prova scientifica o prova tecnica non può in ogni caso sottrarre alle ordinarie regole del diritto e tanto meno alle garanzie che sono previste e determinate.
La questione della prova scientifica o della prova tecnica rimane
in ogni caso una questione di prova l’interno del processo, che deve essere assunta seguendo le regole ordinarie: il contraddittorio, il diritto di difesa, le garanzie in ordine alle modalità di assunzione della prova scientifica.
Di sicuro la prova scientifica dà un contributo rilevante all’accertamento del fatto, anche se non si può negare che può assumere un alto tasso di attendibilità, e questo alto tasso di attendibilità che la prova scientifica o tecnica può avere ha come intento di ridurre i margini di incertezza delle decisioni iniziali, le decisioni che concludono un procedimento.
Rimane l’esigenza di verificare la sua incidenza, l’accertamento processuale, e in questa prospettiva assume rilievo il rapporto tra l’evoluzione tecnologica e la ricerca della prova da una parte dell’individuo coinvolto nel procedimento dall’altra parte.
In altri termini si tratta di considerare l’impatto determinato dall’attività investigativa svolta su basi scientifiche e tecnologiche, rispetto al contesto di acquisizione della prova.
Se la rapida evoluzione tecnico scientifica fornisce al processo elementi nuovi utili alla ricostruzione del fatto, è sicuro che in corrispondenza si ampliano gli ambiti di riflessione e gli ambiti di indagine rispetto ai quali l’apporto del progresso scientifico della tecnologia è fondamentale, e perciò soprattutto negli ultimi anni si è sviluppata l’attenzione della dottrina rispetto al tema della prova scientifica.
Si tratta di esaminare lo strumento di prova tecnico-scientifico nella complessità del fenomeno probatorio all’interno del processo.
Negli ultimi anni si è posta sempre maggiore fiducia nella prova (si avuta una scientizzazione del processo fino a far preconizzare un
dominio delle prove scientifiche nell’accertamento dei fatti) a discapito per esempio delle prove dichiarative, rispetto alla corretta processualizzazione del metodo scientifico.
L’approccio alla materia della prova scientifica richiede una equilibrata mediazione tra due estremi: un atteggiamento scientista da un lato e l’avversione alla scienza dall’altro lato.
In questa prospettiva bisogna sottolineare che le investigazioni scientifiche devono sempre essere affiancate dai tradizionali strumenti di indagine ossia alle ricostruzioni logiche, anche se è indubitabile che la prova scientifica può contribuire significativamente a ridurre l’ostacolo che esiste tra la verità storica e la verità processuale.
Si può dire che all’interprete, all’operatore del diritto si impone una riflessione sugli equilibri tra l’impiego processuale di nuovi strumenti tecnico-scientifici e la valorizzazione del metodo dialettico, che è recepito all’art. 111 Cost.81 con l’affermazione che il principio della formazione della prova nel contraddittorio delle parti impone la previsione di un congruo e adeguato controllo critico sui risultati della prova scientifica.
La idoneità dello strumento tecnico-scientifico va adottata in relazione all’accertamento processuale in concreto, quindi alla singola vicenda processuale, è chiaro che la prova scientifica, considerando che rientra nella categoria della prova critica o indiziaria, se è
81 Sui riflessi dell’applicazione dell’art. 111 della Costituzione al processo tributario cfr. Gallo, Verso un “giusto processo” tributario, in Rass. Trib. n. 1/2003, pagg. 11 e seguenti; Marongiu, La rinnovata giurisdizione delle Commissioni tributarie, in Rass. Trib., n. 1/2003, pagg. 115 e seguenti; Russo, Il giusto processo tributario, in Sistema di garanzie e processo tributario, Napoli, 2005, pagg. 191 e seguenti; Miceli, Giusto processo tributario: un nuovo passo indietro della giurisprudenza di legittimità, in Riv. dir. trib., 2004, II, pagg. 763 e seguenti; Ferlazzo Natoli, Contenzioso tributario e finanza pubblica, in La giustizia tributaria italiana e la sua Commissione centrale. Studi per il centoquarantennio, a cura di Paleologo, Milano, 2005.
contestualizzata, considerata e valutata insieme alle altre prove che si assumono nel procedimento rivela una sua efficacia che può determinare una limitazione dei tempi dell’accertamento, da un lato, e per altro verso è anche vero che si può venire a capo in maniera migliore nell’accertamento della situazione, però questo è possibile se la prova scientifica che viene espletata nel singolo processo dà un risultato attendibile, quindi la questione alla fine è quella dell’attendibilità della prova scientifica.
Se la prova scientifica sia attendibile lo stabilisce il giudice in sede di valutazione.
All’esito dell’istruttoria la valutazione del giudice delle prove consente di arrivare a una decisione.
Il fatto, il punto critico con riferimento alla prova scientifica, quindi alla sua attendibilità82, è che il giudice la può valutare se è in grado di svolgere un controllo critico sui risultati della stessa, e lo può svolgere soltanto se è informato in maniera adeguata sulla competenza dell’esperto, cioè del perito che ha elaborato la prova scientifica, e se è
82 Appare il primo paradosso: il processo ripone nei risultati transeunti di una «prova scientifica» una fiducia maggiore di quella che le assegna la scienza medesima. La concezione relativistica della scienza è il portato della «rivoluzione copernicana» operata, in ambito fisico, dal principio di indeterminazione di Heisemberg, e, in ambito matematico, dalla cd. prova di Gödel, i quali, pervenendo alla dimostrazione, rispettivamente, della inscindibilità del metodo scientifico dal suo oggetto di indagine, e della esistenza di proposizioni indeducibili dagli assiomi in ambito matematico, giungono alla conclusione di negare l’esistenza di una episteme universale e incontestabile, aprendo il varco alle teorie che distinguono, nell’ambito della scienza in senso lato, diversi saperi scientifici ciascuno dotato di propri statuti epistemologici e di propri paradigmi. Secondo tale paradigma, quando la scienza risulta divisa circa il quantum di validità da attribuire ad una legge scientifica o circa la attendibilità di uno strumento ad alta tecnologia, il vaglio giudiziale di falsificazionisti e fallibilisti di stampo popperiano, nega a priori la possibilità dell’esistenza di un metodo in grado di garantire questi risultati, dovendosi la scienza attestare sulle più modeste pretese tese all’elaborazione di un metodo di controllo e falsificazione delle teoria commisurato, di volta in volta, agli standard propri di ciascun settore lato sensu scientifico.
adeguatamente informato sul margine di errore del metodo scientifico-tecnico che è applicato in concreto.
Sotto il profilo tecnico la prova tecnico-scientifica evidenzia una indagine che consiste in procedimenti tecnologici anche complessi, finalizzati a un accertamento.
L’esigenza è quella di ricomporre entro un assetto più equilibrato il profilo giuridico dal profilo tecnico, e diventa urgente una ricerca di equilibrio tra diverse conoscenze, tra diversi saperi, per instaurare una efficace comunicazione tra processo e scienza, anche perché processo e scienza sono necessariamente caratterizzati da linguaggi diversi, da finalità diverse e da metodi diversi, è necessario inoltre, un approccio alla prova scientifica sempre improntato a cautela e prudenza, abbiamo assistito a capovolgimenti di sentenze di appello rispetto al primo grado.
Questo ci fa capire che un accertamento di primo grado viene capovolto in secondo grado, perché quando in questi procedimenti si utilizzano prove scientifiche, bisogna essere cauti, non si può pensare che l’impiego della prova scientifica sia di per sé risolutivo. In realtà bisogna avere la consapevolezza che è sempre possibile l’errore, l’errore umano, l’errore strumentale. La consapevolezza dei limiti tecnico-scientifici della prova scientifica può aiutare a stabilire l’attendibilità. In ogni caso poi viene in evidenza la valutazione della prova, poiché con margini più o meno ampi anche la prova scientifica va valutata.
I nuovi progressi che di sicuro ci saranno saranno molto importanti per migliorare anche l’attendibilità, purché vi sia la consapevolezza da parte degli operatori del diritto che è necessario sempre un controllo sulla attendibilità, la prova scientifica non è mai
di per sé risolutiva però può aiutare di molto a risolvere un caso giudiziario, purché sempre contestualizzata e valutata insieme agli altri elementi assunti come mezzi di prova più tradizionali.
D’altro canto, l’ordinamento mostra una tradizionale e comprensibile insofferenza verso il tema della prova scientifica. A ben guardare v’è nelle disposizioni codicistiche una naturale tendenza a trasferire verso il giudice, e l’agone dibattimentale, temi particolarmente complessi nell’acquisizione della prova. In altri termini: in genere, la prova scientifica, per la complessità delle determinazioni richieste esige il concorso di tutte le parti del processo e tende a sottrarsi, per sua natura, a proposizioni unilaterali.
Il progresso scientifico esercita, com’è ovvio, una naturale attrattiva per il processo poiché consegna l’illusione del risultato incontrovertibile e della precisione autottica83.
comunque, non può negarsi che l’aggiornamento delle tecniche scientifiche e il miglioramento progressivo dei coefficienti di affidabilità degli accertamenti peritali siano in grado, non solo di riattivare le investigazioni su casi archiviati, però addirittura di porre in discussione – attraverso il rimedio della revisione – pronunce passate in cosa giudicata.
È un dibattito, quello afferente l’impatto del progresso scientifico e tecnologico sul processo, che resta ancora da esplorare in tutte le sue direzioni e rispetto al quale la giurisprudenza di legittimità si aggira cercando di adeguare le regole processuali che governano l’ammissione, l’acquisizione e la valutazione della prova ad una trama difficile da riannodare secondo i consueti canoni ermeneutici. Entrano,
83 Tribe, Processo e matematica: precisione e rituale nel procedimento giudiziario, in AA. VV., I saperi del giudice. La causalità e il ragionevole dubbio, a cura di Stella, Milano, 2004, 185.
così, in ambiti di contiguità e di antagonismo regolativo congegni probatori in apparenza destinati a funzioni diverse, però in concreto capaci di convergere verso l’area generica della cd. prova scientifica. In tema di prova testimoniale, il divieto di esprimere apprezzamenti personali, posto in via generale, non vale qualora il testimone sia una persona particolarmente qualificata, che riferisca su fatti caduti sotto la sua diretta percezione sensoriale ed inerenti alla sua abituale e particolare attività, giacché in tal caso l’apprezzamento diventa inscindibile dal fatto. Le questioni tendono, inevitabilmente, ad assumere coefficienti da maggiore complicazione nel caso in cui la prova scientifica costituisca il portato di metodologie d’indagine e di tecniche ricognitive non univocamente ammesse in ambito scientifico84. In questo caso compete pur sempre al giudice il compito di validare il metodo di accertamento meno controverso o controvertibile e trascegliere come certi i risultati di quella tecnica, per poi esplicitarli attraverso il proprio argomentato convincimento.
Il giudice, in quanto professionista esperto nell’esercizio del diritto però non di altri campi del sapere, potrebbe trovarsi a prendere decisioni su questioni che non conosce e per le quali l’esperienza e le massime da essa derivate non bastano. L’art. 220 c.p.p., affermando
84 Convenuto, dopo innumerevoli controversie, che la ricorrenza di sequenze determina l’identificazione dell’impronta digitale e la sua esclusiva riconducibilità ad un unico soggetto fisico, il dibattito scientifico in ambito processuale è andato flettendo verso la disamina comparativa delle diverse metodologie di formazione dell’evidenza probatoria. È quanto accade, ad esempio, nel settore della tecnica di individuazione vocale, caratterizzata da una contrapposizione tra i metodi spettrografico e parametrico; o, ancora, nell’ambito della genetica forense, attesa la varietà di protocolli applicativi che disciplinano l’estrazione del profilo del Dna (quali, a titolo esemplificativo, l’elettroforesi, la sequenziazione del Dna, la spettrometria di massa, il southern blotting); o, infine, nel settore della computer forensic, ove basta riflettere ai differenti tools volti all’estrazione del dato informatico dall’elaboratore (hashing, freezing ecc.).
che «la perizia è ammessa quando occorre svolgere indagini o acquisire dati che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche», prevede che il giudice si avvalga della figura di un perito (nell’ambito del processo penale) o di un consulente tecnico d’ufficio (nell’ambito del processo civile) quando la ricostruzione probatoria dei fatti di reato sia talmente complessa da non rendere sufficienti le «nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza» (art.115, comma 2, c.p.c.).
Secondo i principi generali che regolano il ruolo degli apporti scientifici nei processi, se i criteri e le metodologie sono considerati consolidati, il giudice si limita a verificarne la corretta applicazione, in caso contrario spetta a lui accertarne la validità scientifica. Il giudice deve, quindi, valutare la scientificità di una data indagine come premessa del ragionamento probatorio.
Particolarmente chiarificatrice, al riguardo, è l’esperienza statunitense, scandita da due emblematiche sentenze: la sentenza Frye del 1923 e la sentenza Daubert del 1993.
Nel caso Frye VS United States l’imputato, accusato di omicidio, aveva chiesto di essere sottoposto al test della macchina della verità. Il test avrebbe misurato la veridicità delle affermazioni dell’imputato misurando le variazioni della sua pressione arteriosa nel rispondere alle varie domande. All’epoca nessuno aveva mai richiesto l’utilizzo di un mezzo simile e la Corte d’Appello del District of Columbia si era ritrovata nella situazione di dover valutare l’ammissibilità di uno strumento la cui validità scientifica appariva discutibile. Di fronte a questo genere di incertezza scientifica, i giudici si sentirono in dovere di rivolgersi alla comunità scientifica di riferimento cui spettava il potere di decisione in quanto deve essere
ritenuta valida la scienza che abbia guadagnato l’accettazione generale degli scienziati. Dalla delega agli scienziati era risultata l’inammissibilità del test della macchina della verità perché non sufficientemente accettato. Il punto principale della sentenza Frye è che con essa veniva fissato il criterio, che avrebbe dominato la scena giuridica dei settant’anni successivi, dell’accettazione generale: la prova scientifica ammissibile deve essere ancorata alla generale accettazione da parte della comunità scientifica di riferimento.
Nel 1993, con il caso Daubert VS Merrel Dow Pharmaceuticals, la Corte Suprema degli Stati Uniti decide che lo standard Frye circa l’accettazione generale della prova scientifica non è, da solo, sufficiente alla valutazione di un prova scientifica incerta. Il caso Daubert riguardava i supposti effetti collaterali sul feto del Benedectin, un farmaco contro le nausee in gravidanza prodotto dalla Merrell Dow Pharmaceuticals. la Merrell Dow aveva portato in aula lavori scientifici, sottoposti a peer review e quindi generalmente accettati, in cui dimostrava che non vi erano prove che il loro farmaco causasse malformazioni nel feto. I genitori dei bambini nati malformati, per contestare i dati della Merrell Dow, invece, avevano chiesto ai giudici di acquisire anche la testimonianza di altri esperti, in grado di portare evidenze scientifiche contrarie basate su dati non ancora pubblicati, però che reinterpretavano i risultati ottenuti dalla casa farmaceutica. La Merrell Dow, sulla base del principio Frye si era opposta all’ammissibilità di quel genere di testimonianza: infatti, le prove, essendo state prodotte con metodologie nuove, non riscontravano, all’epoca, l’accettazione generale della comunità scientifica. La Corte, invece, aggirando il principio Frye, aveva deciso
di applicare la più generale regola 70285 relativa ai criteri di ammissione della testimonianza esperta, e si era così espressa a favore dell’ammissibilità di tutti i testimoni con i requisiti enunciati nella regola stessa.
Nella sentenza Daubert, il giudice non si era limitato a ribadire 1) il principio della generale accettazione da parte della comunità scientifica, però posto di fronte all’ammissibilità di una prova nuova un giudice avrebbe anche dovuto valutare criticamente l’affidabilità dei metodi e delle procedure utilizzati dall’esperto. Questa valutazione deve essere condotta tenendo in considerazione anche altri principi quali la possibilità di sottoporre la teoria o tecnica scientifica a verifica empirica, falsificarla e confutarla; l’esistenza di una revisione critica da parte degli esperti del settore; l’indicazione del margine di errore noto o potenziale e il rispetto degli standards relativi alla tecnica impiegata. Da quel momento Daubert è diventato il punto di riferimento per la valutazione della prova scientifica86.
Con questa sentenza, i giudici, in quanto custodi della legge, hanno ribadito che spetta a loro avere l’ultima parola sulla validità delle conoscenze prese in giudizio. Seppure riconoscano di avere bisogno della scienza per fare luce su questioni particolarmente complesse e per le quali non possiedono gli strumenti necessari a una loro interpretazione, i giudici si riservano il diritto di decidere a chi riconoscere la qualifica di scienziato: saranno gli strumenti processuali stessi a garantire la qualità del risultato e a far inevitabilmente
85 Secondo la regola 702, un testimone esperto deve: presentare fatti e dati sufficienti; fondarsi su principi e metodi affidabili; applicare in modo affidabile i principi e i metodi al caso.
86 Anche quando i criteri di Daubert non dovessero risultare tutti applicabili alla prova in esame (come il peer review o le pubblicazioni) spetta ai giudici valutare le metodologie tecnico-scientifiche utilizzate dai testimoni esperti.
emergere la migliore scientificità. Questo percorso, seguito dalla giurisprudenza statunitense, sembra prestarsi a essere descritto come un progressivo avvicinamento al principio del libero convincimento del giudice, e alla figura del giudice come peritus peritorum (perito dei periti) vigente nel nostro ordinamento. Infatti, nell’ordinamento italiano, è il giudice a dover prendere la decisione finale sulla colpevolezza o innocenza dell’imputato sulla base del proprio libero convincimento e a emettere una sentenza ed è a lui che spetta anche il compito di valutare l’affidabilità e l’attendibilità delle risorse tecnico-scientifiche utilizzate nel processo.