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L’accertamento tributario presuntivo

2. La rappresentazione degli imponibili nel procedimento tributarioprocedimento tributario

2.2 L’accertamento tributario presuntivo

Ai sensi dell’art. 2727 c.c., le presunzioni107 semplici sono le conseguenze che il giudice trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignoto, gli elementi che costituiscono la premessa devono avere il carattere della certezza e della concretezza.

L’accertamento analitico-induttivo, denominato anche presuntivo108, consiste nella contestazione dell’evasione mediante il ricorso a presunzioni «qualificate», ovvero gravi, precise e concordanti. Il fondamento normativo di ciò si rinviene negli articoli: 38 comma 3 d.p.r. 600/1973, in base al quale, relativamente alle persone fisiche, l’incompletezza, la falsità e l’inesattezza dei dati indicati in dichiarazione «possono essere desunte dalla dichiarazione stessa, dal confronto con le dichiarazioni relative ad anni precedenti e dai dati e dalle notizie di cui all’articolo precedente [ad esempio dai dati rinvenuti in sede di controllo] anche sulla base di presunzioni

107 Taruffo, Presunzioni (dir. civ.), in Enc. del Diritto, Milano, 1991, pag. 1. 108 In argomento v., per il diritto processuale civile, L. Ramponi, La teoria

generale delle presunzioni nel diritto civile italiano, Torino, 1980, G. Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, rist. II ed., Napoli, 1944, V. Andrioli, voce Presunzioni (dir. civ. e dir. proc. civ.), in Noviss. Dig. It., vol. XIII, Torino, 1966, pag. 766, P. Comoglio, Le presunzioni, in Trattato di diritto privato (a cura di P. Rescigno), XIX, Torino, 1985, pag. 312, e, più in particolare nel diritto tributario, ad A.E. Granelli, Le presunzioni nell’accertamento tributario, in Boll. trib., 1981, pag. 1649, G. Gaffuri, Le presunzioni nella disciplina dell’imposta sulle successioni e donazioni, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1985, pag. 572, F. Tesauro, Le presunzioni nel processo tributario, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1986, pag. 194, E. De Mita, Presunzioni fiscali e costituzione, in AA.VV., Le presunzioni fiscali in materia tributaria. Atti del convegno di Rimini, 22-23 febbraio 1985, Rimini, 1987, pag. 24 e P. Russo, Problemi della prova nel processo tributario, in Rass. trib. n. 2/2000, pag. 375.

semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti»; 39 comma 1 lett. d), d.p.r. 600/1973, secondo cui, nel reddito d’impresa, «l’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti».

La rettifica presuntiva del reddito non richiede, per ciò che riguarda la sua applicabilità, particolari condizioni109.

109 Dalla esclusione implicita di un vero e proprio obbligo di contraddittorio, si percviene – per successive approssimazioni – alla enucleazione della sua necessità: cfr. Lupi, Metodi induttivi e presunzioni nell’accertamento tributario, Giuffrè, Milano, 1988, pag. 170; Salvini, La partecipazione del privato all’accertamento, Cedam, Padova, 1990, pagg. 105 e 148; Moschetti, Avviso di accertamento tributario e garanzie del cittadino, in Dir. prat. trib., 1983, I, pag. 1937; Bertolissi, Qualche considerazione a un recente dibattito su “procedimenti tributari e garanzie del cittadino”: il diritto tributario fra diritto amministrativo e diritto costituzionale, in Rass. trib., 1984, I, pag. 422; Tesauro, Istituzioni di diritto tributario. Parte generale, Utet, Torino, 2006, pag. 161; La Rosa, Principi di diritto tributario, Giappichelli, Torino, 2006, pag. 357; Magnani, Il contraddittorio nella fase di controllo dell’accertamento tributario, in Preziosi (a cura di), Il nuovo accertamento tra teoria e processo, Roma-Milano, 1994, pag. 71; Schiavolin, L’utilizzazione fiscale delle risultanze penali, Giuffrè, Milano, 1994, pag. 23; Porcaro, Vizi oggettivi dell’attività istruttoria e spontaneità nell’esibizione di documenti, in Rass. trib. n. 2/1998, pag. 529; Cipolla, La prova tra procedimento e processo tributario, Cedam, Padova, 2005, pagg. 272 e seguenti; Miceli, La partecipazione del contribuente alla fase istruttoria, in Fantozzi-Fedele (a cura di), Statuto dei diritti del contribuente, Giuffrè, Milano, 2005, pag. 684; Falsitta, Manuale di diritto tributario. Parte generale, Cedam, Padova, 2008, pag. 475. Contra, a partire dall’entrata in vigore dello statuto dei diritti del contribuente, Viotto, I poteri di indagine dell’amministrazione finanziaria, Giuffrè, Milano, 2002, pagg. 323 e seguenti e mi sembra anche Ferlazzo Natoli, La tutela del contribuente nel procedimento istruttorio (tra conventio

ad excludendum ed uguaglianza costituzionale), in Dir. prat. trib., 2006, I,

pag. 583. e così pure la giurisprudenza In giurisprudenza si vedano, per esempio, Cass., 27 ottobre 2000, n. 14200 e Cass., 3 marzo 2001, n. 3128, e, più in generale, tutte le pronunce che hanno negato la necessità del contraddittorio preventivo in materia di accertamenti bancari (per citarne solamente alcune, Cass., 13 giugno 2002, n. 8422; Cass., 13 maggio 2003, n. 7344; Cass., 1° ottobre 2007, n. 20640). Si pongono, invece, nel segno di una apertura al contraddittorio anticipato anche in materia tributaria, Cass., 15 dicembre 2003, n. 19163 (richiamata anche oltre); Cass., 22 marzo 2005, n. 6201, secondo cui l’introduzione, attraverso l’art. 7 della L. n. 212/2000, dell’obbligo di allegare l’atto richiamato per relationem “esprime l’esigenza, in attuazione di precetti costituzionali, di superare una concezione meramente

A differenza dell’accertamento analitico, ove la censura sull’evasione deriva dalla violazione diretta di una norma, nell’accertamento presuntivo la suddetta censura prende le mosse dal ragionamento, appunto, presuntivo, effettuato dall’Agenzia delle entrate. Quest’ultima, quindi, deve riuscire a dimostrare che il ragionamento sia convincente ovvero che le presunzioni siano gravi, precise e concordanti.

L’accertamento analitico-induttivo così si differenzia dall’accertamento induttivo (denominato anche induttivo «puro»). Infatti, l’accertamento induttivo, ai fini della sua legittimità, richiede la sussistenza delle tassative condizioni previste dal comma 2 dell’art. 39 d.p.r. 600/1973, tra le quali rientra, ad esempio, l’inattendibilità della contabilità.

Le principali differenze tra i due istituti possono essere in tal modo sintetizzate: come evidenziato, mentre l’accertamento analitico-induttivo può, in sostanza, essere sempre applicato, l’accertamento induttivo richiede le condizioni di cui all’art. 39 comma 2 d.p.r. 600/1973; con riferimento alla determinazione dell’imponibile, l’accertamento analitico-induttivo postula la dimostrazione, da parte dell’ufficio, del carattere «qualificato» del ragionamento presuntivo, mentre nel caso dell’induttivo l’ufficio si può anche avvalere di presunzioni «semplicissime», prive dei requisiti di gravità, precisione

formale e tecnica, del principio del contraddittorio e dell’inviolabilità del diritto della difesa, enunciando un principio dell’effettività del contraddittorio, che costituisca elemento caratterizzante non solo della funzione giurisdizionale ma dalla (rectius, della) maggior parte delle attività dei pubblici poteri”; Cass., 7 febbraio 2008, n. 2816, ove si legge che occorre ritenere che “anche se non sia espressamente previsto, il contraddittorio procedimentale amministrativo sia necessario in materia tributaria in forza del principio generale dell’azione amministrativa del giusto procedimento” (trattavasi nella specie di un accertamento sulla base dei parametri in cui il contraddittorio era stato, però, rispettato).

e concordanza110.

Per i soggetti che dichiarano compensi o ricavi pari o superiori a quelli risultanti dall’applicazione degli studi di settore, anche per effetto dell’adeguamento, l’accertamento analitico-induttivo è precluso (art. 10 comma 9 del d.l. 201/2011).

In tema di contenzioso tributario, la giurisprudenza ribadisce la legittimità del ricorso alle presunzioni111 ed ovviamente prevede che il contribuente possa difendersi dalle stesse112.

Le presunzioni semplici costituiscono la base dell’accertamento analitico-induttivo.

Con la C.M. 23 maggio 78 n. 29 (parte 5), il Ministero delle Finanze ha specificato che «il fondamento delle presunzioni semplici non deve essere il risultato di un’induzione arbitraria di sospetto o di

110 Sulla differenza tra i due tipi di accertamento, in relazione ai presupposti di applicabilità, si veda Cass. 17 giugno 2011 n. 13305.

111 La giurisprudenza dei giudici di legittimità è pacifica sul punto: «l’art. 35, comma 5, d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636, il quale dispone che nel procedimento davanti alle Commissioni tributarie non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale (norma poi riprodotta nel nell’art. 7, comma 4, del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546), non comporta anche l’inammissibilità della prova per presunzioni, ai sensi dell’art. 2729, comma 2, c.c., il quale dispone che le presunzioni non si possono ammettere nei casi in cui la legge esclude la prova per testimoni, atteso che tale norma è inapplicabile nel processo tributario, nel quale l’esclusione della prova testimoniale è dettata da un’esigenza di speditezza e la relativa disposizione va considerata di carattere eccezionale, con la conseguenza che non può essere applicata oltre i casi considerati». 112 Secondo Cass., Sez. I, 10 aprile 1998, n. 3719, l’accertamento in rettifica

della dichiarazione del contribuente disposta dall’Ufficio finanziario può legittimamente fondarsi su elementi indiziari offerti da scritti riferibili a terzi che, quantunque privi di piena efficacia probatoria, risultino pur sempre provenienti dall’imprenditore, quali gli assegni (rinvenuti nelle scritturazioni dei suoi conti correnti) rilasciati ai propri fornitori abituali, da tale vicenda potendosi legittimamente desumere, in via presuntiva, la riferibilità dei pagamenti ad acquisti di merce non fatturata, così che sull’imprenditore incombe, conseguentemente, l’onere dell’allegazione di elementi di fatto di segno opposto al contenuto della presunzione suddetta, giusto il principio secondo il quale il contribuente è abilitato ad opporre, alle presunzioni iuris

tantum addotte dall’Ufficio finanziario nell’accertamento induttivo, tutte le

semplici indizi concorrenti, bensì la valutazione complessiva e globale di tutti gli elementi certi che, dando origine alla presunzione stessa, permettono di risalire dal fatto noto al fatto ignoto».

Inoltre, esso ha sostenuto che, sia nel caso delle presunzioni legali sia nel caso delle presunzioni semplici, «si ha l’inversione dell’onere della prova, sicché di fronte alle circostanze che danno luogo al sorgere delle presunzione, legale o semplice, a favore dell’Amministrazione finanziaria spetta al contribuente di provare che l’operazione imponibile presunta non si è verificata».

Come si evidenzierà nel prosieguo della trattazione, solo la presunzione legale relativa dà luogo all’inversione dell’onere della prova, mentre la presunzione semplice costituisce, qualora corredata dai requisiti di gravità, precisione e concordanza, piena prova, con la conseguenza che spetta alla controparte fornire la controprova rispetto al fatto oggetto di presunzione.

La presunzione è la conseguenza che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato (art. 2727 c.c.).

Tuttavia, occorre tenere presente l’esistenza di fattispecie (presunzioni legali relative) che, di per sé, comportano l’inversione dell’onere della prova in capo al contribuente, oltre che di circostanze in cui sono sufficienti a fondare la rettifica meri indizi, non corredati da gravità, precisione e concordanza (tipici degli accertamenti induttivi).

Ai sensi dell’art. 2729 c.c., «le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti».

È importante rammentare che, a parere della Corte di cassazione gli elementi posti alla base di una presunzione non devono

necessariamente essere più di uno, «potendo il convincimento del giudice fondarsi anche su di un solo elemento – purché grave e preciso – e dovendosi il requisito della concordanza ritenere menzionato dalla legge solo in previsione di un eventuale, ma non necessario, concorso di più elementi presuntivi»113; il convincimento giudiziale può essere basato anche su di una sola presunzione114 semplice, in quanto il requisito della concordanza riguarda l’eventualità del concorso di più circostanze presuntive115.

La struttura genetica della presunzione postula un ragionamento che, partendo da un fatto noto, giunge alla determinazione del fatto ignoto sintomatico di evasione.

Il fatto noto è quindi un elemento essenziale della presunzione, e la sua mancanza determina l’inesistenza della presunzione stessa, a prescindere dalla sussistenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

Il fatto noto deve essere quindi certo o oggettivamente determinabile. Per esempio, costituisce fatto noto l’emissione di un assegno, il pagamento tramite carta di credito piuttosto che un determinato quantitativo di merce in magazzino. In virtù di ciò, qualora le circostanze lo consentano, è opportuno contestare la

113 Cass. 26 marzo 2003 n. 4472 e Cass. 12 dicembre 1996 n. 11117.

114 In dottrina per tutti v. Carnelutti, Teoria generale del diritto, Roma, 1946; in ambito tributario: Nuzzo, Procedure di accertamento dei redditi determinati in base a scritture contabili, cit., pag. 191; Trimeloni, Gli orientamenti giurisprudenziali in tema di presunzioni tributarie, in Aa.Vv, Le presunzioni fiscali in materia tributaria. Atti del Convegno di Rimini, cit., pag. 188; Marcheselli, Le presunzioni nel diritto tributario: dalle stime agli studi di settore, Cedam, Padova, 2008, pag. 167. Per l’orientamento giurisprudenziale si rinvia Cass. 9 maggio 1956, n. 1518, in Giust. civ. Mass., 1956, pag. 512; Cass. 28 ottobre 1967, n. 2666, in Rep. Giust. civ., 1967; Cass. 10 febbraio 1971, n. 345, in Giust. civ. Mass. 1971, 189; Cass., 30 novembre 1989, in Riv. pen., 1991, pag. 326; Comm. trib. centr., 26 ottobre 1983, n. 2436, in Comm. trib. centr., 1983, I, pag. 841.

sussistenza del fatto noto in quanto, nel caso in cui si riuscisse a provare che l’accadimento posto alla base della presunzione non costituisce fatto «noto», cadrebbe la fondatezza della tesi erariale.

Secondo la giurisprudenza, «non occorre che tra il fatto noto e il fatto ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità»116.

Con altre sentenze (meno recenti), è stato sostenuto che il nesso intercorrente tra fatto noto e ignoto deve essere inteso in senso esclusivo, nel senso che, sia pure con il metro della probabilità, dal fatto noto sia possibile inferire solo quello ignoto117.

Le presunzioni semplici costituiscono piena prova solo in quanto gravi, precise e concordanti, intendendosi: per gravità, il grado di convincimento che la presunzione può produrre essendo a tal fine sufficiente che l’esistenza del fatto ignoto sia desunta con ragionevole certezza, anche probabilistica; per precisione, che il fatto noto, da cui muove il ragionamento presuntivo, non sia vago ma ben determinato nella sua realtà storica; per concordanza, che la prova sia fondata su una pluralità di fatti noti convergenti nella dimostrazione del fatto ignoto118.

La presunzione legale relativa riconnette per legge a un fatto noto l’esistenza di un altro fatto.

Altre volte ciò che è presunto non è un fatto in senso stretto, quanto piuttosto un diritto, una volontà o altro.

L’esistenza delle presunzioni legali relative – e, quindi, della

116 Cass. 10 gennaio 2006 n. 154 e Cass. 25 ottobre 2006 n. 22874. 117 Cass. 28 novembre 1998 n. 12088.

inversione dell’onere della prova introdotto tramite esse – è dimostrazione evidente della naturale e «ordinaria» incombenza dell’onere della prova in capo all’Amministrazione finanziaria. Se così non fosse, invero, non avrebbe senso prevedere, a favore della stessa, una simile semplificazione e inversione degli oneri probatori.

Il ventaglio dei casi che pone il legislatore tributario è piuttosto diversificato.

La disposizione recata dall’art. 73 comma 5-bis t.u.i.r. recita «Salvo prova contraria, si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione di società ed enti».

Quindi, prescindendo dalla definizione del fatto noto (che, come si sa, è molto articolata), la conseguenza di questa norma, ovvero il fatto ignorato, è l’esistenza nel territorio dello stato della sede dell’amministrazione.

Affatto diversa è, ma, la disciplina posta dal successivo comma 5-quater, secondo la cui formula: «Salvo prova contraria, si considerano residenti nel territorio dello Stato» i fondi immobiliari per i quali si verificano alcune circostanze di fatto. Qui l’effetto della norma istitutiva della presunzione non è la localizzazione della sede, però la residenza119.

119 Si potrà anche discutere se la residenza, in sé e per sé considerata, sia un fatto o un effetto e, in linea di principio, non sembra da escludersi la possibilità di ricomprendere la residenza nella categoria delle qualificazioni giuridiche. Dal punto di vista del giudice, quindi, la residenza non appartiene alla questio

facti però alla questio iuris, cosicché una sentenza che ritenesse residente in

Italia un soggetto pacificamente privo di uno qualunque dei tre elementi rilevanti ai fini della determinazione della residenza, sarebbe certamente censurabile in sede di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., ossia per violazione di legge. E, allora, si può di conseguenza dire che, delle due presunzioni osservate, la prima fa dipendere dall’esistenza di un determinato fatto un elemento della fattispecie dell’art. 73, comma 3; la seconda fa dipendere dalla esistenza del fatto direttamente l’effetto disciplinato dall’art. 73, comma 3.

L’esempio fatto sembrerebbe attestare, innanzi tutto, che, accanto alle presunzioni legali relative – in cui l’effetto della norma «presuntiva» è un «fatto», ossia ciò che assume il ruolo di fattispecie rispetto ad altra norma – vi sono altre presunzioni che ricollegano al fatto noto un effetto (sia pure nel senso ampio prima indicato, ossia ciò che, rispetto ad altra norma, assume il ruolo di conseguenza del verificarsi della fattispecie ivi disciplinata).

La prima domanda che occorre porsi, al riguardo, è se le presunzioni osservate da ultimo sono vere presunzioni o si tratta di un’ipotesi totalmente diversa120.

Ad ogni modo, l’esistenza di una più ampia categoria di presunzioni si trae delle stesse norme: l’art. 2728, comma 2, c.c., nel momento in cui, come si è già rilevato, stabilisce che, salvo diversa disposizione di legge, hanno carattere assoluto le presunzioni «sul fondamento delle quali la legge dichiara nulli certi atti o non ammette l’azione in giudizio» riconosce anche che, appunto, nel genus delle presunzioni legali sono ricomprese anche alcune species il cui contenuto è diverso dalla mera deduzione di un fatto da altro fatto121.

120 Il fenomeno considerato è tutt’altro che singolare. Nel codice civile troviamo, infatti, accanto alla presunzione di commorienza – dove il fatto ignoto è la morte e, quindi, certamente la componente di fatto di altre norme – la presunzione di comproprietà del muro posto al confine di due fondi, dove il fatto ignoto è, invece, il diritto di proprietà (che può considerarsi altrettanto pacificamente come un effetto). D’altra parte, ed in secondo luogo, già ai primi del ‘900, l’autorevolissima dottrina del Gabba distingueva fra presunzioni del fatto e presunzioni del diritto. Invero, si potrebbe dire che, logicamente, la presunzione dell’effetto costituisce una sintesi verbale per indicare riassuntivamente tutti i possibili fatti che sono astrattamente idonei a produrlo. In altri termini, il legislatore avrebbe presunto la comproprietà del muro o la residenza fiscale, per indicare, sinteticamente, la presunzione, nell’un caso, di tutti i possibili titoli costitutivi del diritto e, nel secondo caso, della esistenza nel territorio dello Stato della sede legale, o della sede dell’amministrazione o dell’oggetto.

121 Peraltro, questa maggiore ampiezza della categoria delle presunzioni legali è anche coerente con la funzione tipicamente assegnata alle presunzioni stesse. Se le presunzioni legali sono previste per rendere più semplice nel giudizio la

A tanto possono aggiungersi le cd. «presunzioni di volontà», quali, per esempio, l’art. 1709 c.c. che stabilisce la presunzione di onerosità del mandato. In altri termini, questa dottrina supponeva che simili disposizioni contenessero la presunzione che le parti, nel concludere il contratto di mandato, avessero «voluto» l’onerosità122.

Il fenomeno non è comunque circoscritto al diritto civile. Anche nel diritto tributario esistono disposizioni del genere. Si pensi, ad esempio, alla regola contenuta nell’art. 24 del testo unico dell’imposta di registro, secondo cui le accessioni e le pertinenze si «presumono» cedute insieme al bene principale. Sembra lecito ritenere che, poiché il trasferimento delle accessioni e delle pertinenze unitamente al bene principale costituisce il regime legale ordinario, la norma fiscale non presume che le parti abbiano «voluto» tale trasferimento, però si limita a trarre le conseguenze proprie del regime ordinario123.

Nel diritto tributario poi possono farsi rientrare delle presunzioni legali con effetti minori, come il caso dall’art. 1, comma 14-bis, l. 27 dicembre 2006, n. 296 introdotto dall’art. 15, comma 3-bis, d.l. 2 luglio 2007, n. 81 ai sensi del quale «gli indicatori di normalità

posizione di una delle parti (quella che si può giovare della presunzione), allora è evidente come sia ben possibile che il legislatore possa diversamente graduare questo intervento agevolativo: a volte limitandosi a dispensare la parte che si intende avvantaggiare solo dall’onere di provare un elemento della fattispecie, altre volte giungendo fino al punto di garantire una situazione di vantaggio sicuramente più forte.

122 Per vincere la presunzione di onerosità, non è sufficiente dimostrare di non aver voluto che il contratto fosse oneroso, bensì occorre che si dia la prova di aver pattuito la sua gratuità. In altre parole, è necessario provare di aver derogato al regime, altrimenti normale, della onerosità. Si comprende bene, pertanto, come tutte le disposizioni di questo genere siano, in realtà, norme suppletive« le quali completano e integrano la disciplina contrattuale, salvo diversa, ed espressa, disposizione contraria.

123 Il fenomeno in esame è comunque significativo perché attesta l’esattezza dell’affermazione, peraltro risalente, secondo cui l’impiego del termine presunzione da parte del legislatore non è univocamente indicativo della reale funzione ed efficacia delle norma.

economica124 di cui al comma 14, approvati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, hanno natura sperimentale e i maggiori ricavi, compensi o corrispettivi da essi desumibili costituiscono presunzioni semplici».