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Accesso alla qualifica di Dirigente della prima fascia

L’art.28 bis del Decreto Legislativo n.165 del 2001 costituisce una novità di rilievo,introdotta dal Decreto

Legislativo n.150 del 2009in merito all’accesso alla qualifica di Dirigente della prima fascia86.

Esso prevede che l’accesso alla qualifica di Dirigente di prima fascia nelle Amministrazioni Statali, anche ad

Ordinamento autonomo, e negli Enti Pubblici non economici avviene, per il cinquanta per cento dei posti, calcolati con riferimento a quelli che si rendono disponibili ogni anno per la cessazione dal servizio dei soggetti incaricati, tramite concorso pubblico per titoli e per esami indetto dalle singole amministrazioni, sulla base dei criteri generali stabiliti con Decreto del Presente del Consiglio dei Ministri una volta sentito il parere della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione.

Nei casi in cui lo svolgimento dei relativi incarichi richieda una specifica nonché comprovata esperienza, oltre ad una

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Prima del D.lgs. n.150/2009 la L. n.15/2009 già prevedeva un’espressa delega al Governo, contenuta nell’art.6 comma secondo lettera f), in materia di accesso alla prima fascia dirigenziale attraverso l’adozione di procedure selettive pubbliche di tipo concorsuale per una percentuale prefissata di posti,previo un preliminare raccordo tra il nuovo sistema di accesso e il regime previgente.

93 peculiare professionalità, alla copertura di singoli posti e comunque di una quota non superiore alla metà di quelli da mettere a concorso si può provvedere, attraverso contratti di diritto privato a tempo determinato , per il tramite di un concorso pubblico aperto ai soggetti in possesso dei requisiti professionali e delle attitudini manageriali corrispondenti al posto di funzione da coprire.

Tali requisiti, sostanzialmente corrispondono a quelli previsti per il concorso pubblico a tempo indeterminato, ovvero delle qualifiche professionali ricoperte per non meno di cinque anni, del possesso delle attitudini manageriali in corrispondenza con le funzioni da espletare, oltre ad un elevato livello di competenze culturali.

Tali contratti possono essere stipulati, per un periodo non superiore a tre anni.

Al concorso per titoli ed esami possono essere ammessi i dirigenti di ruolo delle pubbliche amministrazioni, che abbiano maturato almeno cinque anni di servizio nei ruoli dirigenziali ,ovviamente muniti di laurea magistrale oppure quella ad essa equiparata nel precedente ordinamento, e gli altri soggetti in possesso di titoli di studio e professionali individuati nei bandi di concorso, con riferimento alle specifiche esigenze dell’amministrazione e sulla base di criteri generali di equivalenza stabiliti, ancora una volta, con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri sempre previo parere della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, sentito il Ministro dell’Istruzione Università e ricerca .

A tal fine, le Amministrazioni che bandiscono il concorso tengono in particolare conto del personale di ruolo che ha esercitato per un periodo complessivo pari a cinque anni funzioni di livello dirigenziale generale all’interno delle stesse ovvero del personale appartenente all’organico

94 dell’Unione Europea, ovviamente in virtù di un previo

concorso indetto dalle sopra menzionate istituzioni. Per ciò che attiene allo svolgimento della selezione, possiamo verificare come il concorso pubblico a tempo indeterminato per titoli ed esami consta di due prove scritte ed una orale.

La valutazione di ciascuna prova qua, è espressa in trentesimi .

Il regolamento, per quanto attiene all’individuazione dei titoli nonché quella delle materie oggetto delle prove, rinvia al bando di gara, ed afferma inoltre che la suddetta selezione è volta ad accertare l’attitudine dei candidati87.

I vincitori del concorso sono assunti dall’amministrazione, e prima del conferimento dell’incarico, sono obbligati ad effettuare un periodo di formazione presso gli uffici amministrativi di uno Stato dell’Unione Europea o di un organismo europeo internazionale.

Tale periodo di formazione corrisponde ad una durata di sei mesi, anche non continuativi, che si svolge presso i citati uffici, sulla base di una scelta effettuata dal vincitore tra quelli indicati dall’Amministrazione.

Una volta terminato il periodo di formazione, è prevista una valutazione del livello di professionalità acquisito che

87

Questa attitudine si declina nel dimostrare di essere in grado di curare l’attuazione dei piani, programmi e direttive generali, nonché nell’adottare atti di organizzazione e nel saper esercitare poteri di spesa corretti sotto il profilo della legittimità, dell’opportunità, dell’efficacia ed economicità organizzativa, nell’elaborare progetti strategici in un quadro di pari opportunità di diritti e doveri e di trasparenza delle amministrazioni pubbliche.

95 equivale al superamento del periodo di prova necessario per l’immissione in ruolo88.

CAPITOLO V

LA RESPONSABILITA’ DIRIGENZIALE

1.Profili generali dell’istituto

88

Per un ulteriore approfondimento si veda: L.Busico e V.Tenore, La

96 Negli ultimi decenni, il legislatore Italiano ha più volte

messo mano alla normativa che concerne la responsabilità del Dirigente che opera all’interno della Pubblica

Amministrazione.

A seguito dei molteplici interventi, questo istituto ha visto ampliare in maniera consistente l’ambito oggettivo della sua applicazione.

Tuttavia, prima di illustrare i vari interventi normativi che hanno dapprima definito, e poi ampliato l’istituto in

questione, appare quantomeno doveroso inquadrare l’istituto da un punto di vista sistematico.

Cominciamo pertanto, con il dire che la responsabilità

dirigenziale costituisce una species della più ampia categoria delle responsabilità pubbliche89, essa si caratterizza per essere una responsabilità di risultato, in quanto la stessa nasce con il preciso intento di migliorare l’efficienza dell’azione amministrativa, nonché di ottimizzare

l’organizzazione della pubblica amministrazione e delle sue performance.

Per questo motivo, la normativa attribuisce al Dirigente Pubblico poteri da manager, dai quali scaturisce una

responsabilità, legata a doppio filo con la valutazione delle performance.

Questo tipo di responsabilità ,quindi, si discosta dalle responsabilità tradizionali, le quali colpiscono un

comportamento illegittimo riconducibile al soggetto tramite elementi di rimproverabilità quali il dolo o la colpa, ma tende piuttosto a colpire una condotta complessiva ritenuta non soddisfacente per il raggiungimento degli obiettivi

89

Insieme alla responsabilità civile, penale, amministrativa di cui all’art.28 della Costituzione, intese come misura di garanzia nonché di valutazione e di controllo delle attività delle pubbliche amministrazioni.

97 programmati tesi a soddisfare bisogni, ritenuti come

socialmente rilevanti90.

Dunque la caratteristica che più connota la responsabilità dirigenziale è quella di fornire, non tanto uno strumento punitivo o para-sanzionatorio , bensì un meccanismo di correzione dell’organizzazione pubblica volta ad una migliore allocazione delle risorse, garantendo così una performance di qualità.

Fatta questa breve premessa, cerchiamo adesso di specificare e sviscerare meglio il concetto di responsabilità dirigenziale, attraverso un raffronto con la disciplina normativa, sulla quale, come abbiamo già fatto notare, il legislatore è più volte intervenuto.

2 La Responsabilità Dirigenziale alla luce del

Testo Unico sul Pubblico Impiego.

Accanto alle classiche forme di responsabilità, previste non solo per i Dirigenti ma anche per i Funzionari e per i

Dipendenti Pubblici in genere, ovvero la responsabilità civile, penale, amministrativo-contabile e disciplinare 91,il Decreto Legislativo n.165 del 2001, più volte citato, e meglio conosciuto come Testo Unico sul Pubblico Impiego,

90

V.Tenore., LPalamara., B.Marzocchi Buratti , Le cinque responsabilità del

funzionario pubblico: civile, penale, amministrativo, disciplinare e dirigenziale, Milano, II ed, Giuffrè, 2013, pag. 481.

91

Per un approfondimento in merito si consiglia di consultare il volume di V.Tenore., LPalamara., B.Marzocchi Buratti ,opera citata,pag.492.

98 ha previsto espressamente, per la categoria dei Dirigenti Pubblici, una particolare forma di responsabilità, che si aggiunge alle altre anzidette, quella definita come

responsabilità dirigenziale, la quale è rivolta, come del resto lascia intendere la sua dizione, a quei soggetti titolari di funzioni dirigenziali ed ha come oggetto la loro attività di gestione ed organizzazione.

La Responsabilità Dirigenziale compare per la prima volta nell’art.19 del D.P.R. n.748 del 1972, successivamente è stata prevista nel Decreto Legislativo n.29 del 1993, ed infine nell’art.21 del Decreto Legislativo n.165 del 2001. Questo istituto, del tutto peculiare, nasce fondamentalmente da un’esigenza, quella di controllo dei dirigenti che

nell’ambito della distinzione delle loro competenze hanno acquisito, nel corso degli anni, un ampio nonché autonomo potere di gestione.

Essa nasce, per meglio dire, dall’esigenza di garantire l’effettività dell’indirizzo politico e l’autonomia della funzione Dirigenziale, mediante il rimprovero di una sanzione, nei confronti del Dirigente che si discosta, attraverso la sua condotta, dagli obiettivi da raggiungere. Dunque, notiamo come essa sia funzionale ad accertare la corrispondenza tra gli obiettivi e gli indirizzi impartiti dall’organo politico e risultati ottenuti attraverso il potere di organizzazione riconosciuto a tale scopo, al Dirigente. Capiamo, pertanto, come la Responsabilità Dirigenziale sia legata, in maniera vincolante, al rapporto che intercorre tra l’organo politico e l’organo di gestione, e come essa sia attivabile solo all’interno di questo rapporto92.

92

99 Ed è proprio quando , si verifica il contatto diretto tra il Dirigente e l’organo politico che trova la sua definizione la responsabilità dirigenziale, segnatamente nel momento in cui viene assegnato l’incarico al Dirigente.

Fino a quando non è affidato al Dirigente un incarico, oppure fino a quando egli non eserciti una funzione

manageriale in senso proprio, non potrà essere imputabile per responsabilità di tipo dirigenziale.

In merito all’imputabilità è lo stesso articolo 21 del Testo Unico sul Pubblico impiego, a prevedere due fattispecie principali da cui può scaturire la responsabilità, prevedendo anche le eventuali conseguenze, qualora la stessa sussista. La prima ipotesi prevista dalla norma, concerne “il mancato raggiungimento degli obiettivi”.

Essa rientra all’interno di un ampio processo di

cambiamento che ha coinvolto la Pubblica Amministrazione a partire dai primi anni novanta, il quale ha prodotto un nuovo parametro dell’azione amministrativa.

Questo parametro presuppone il rispetto del principio di legalità, ma intende anche perseguire i bisogni nonché raggiungere i risultati prefissati, attraverso un metodo che garantisca l’efficienza93.

In questo contesto assume particolare importanza la responsabilità dirigenziale per il mancato raggiungimento degli obiettivi, quale strumento di garanzia per

un’amministrazione che deve rispondere ai canoni di efficienza ed efficacia e quindi tendere verso un’azione amministrativa di qualità94.

93

S.Cassese, cosa vuol dire amministrazione di risultati ? ,in Giornale di Diritto Amministrativo 2004 pag.941.

94

D. David , Le nuove fattispecie di responsabilità dirigenziale, ovvero come

100 La seconda ipotesi concerne, invece, “l’inosservanza delle direttive”quale previsione della possibilità che il Dirigente si discosti, di fatto non rispettando l’indirizzo politico stabilito dall’organo a tal fine preposto, ovvero si allontani in maniera significativa dagli obiettivi e dalle direttive dallo stesso impartitegli.

La ragion d’essere di questa previsione risiede nel rapporto di funzionalità, che lega inesorabilmente il Dirigente

Pubblico all’Organo politico.

Nel quadro sin qui delineato,non possiamo fare a meno di evidenziare quanto previsto all’art.4 dello stesso Testo Unico95,in merito ai compiti che spettano rispettivamente ai Dirigenti da un lato e all’Organo politico dall’altro,

sottolineando per quanto qui interessa la responsabilità del dirigente, in merito ai risultati raggiunti o non raggiunti “essi” ci dice il secondo comma dell’art.4 all’ultimo periodo “sono responsabili in via esclusiva dell’attività

amministrativa , della gestione e dei relativi risultati”. Pertanto tale responsabilità, che deriva al Dirigente in virtù degli ampi poteri che l’ordinamento gli riconosce , tende a vincolare lo stesso ai doveri previsti dalla legge, nonché agli obiettivi di risultato che l’Organo politico gli impone di perseguire.

Tuttavia , bisogna precisare che il legislatore con il termine “inosservanza” posto all’interno dell’art.21 del Testo Unico sul Pubblico impiego, alla luce del rapporto che connota l’organo di governo e il dirigente, il quale non si basa in maniera ortodossa sulla distinzione dei ruoli, quanto

piuttosto sulla loro integrazione, tanto è vero che all’interno della stessa normativa sono previste forme fisiologiche di ,Amministrazione in Cammino rivista elettronica di diritto pubblico, diritto dell’economia e di scienza dell’amministrazione pag.4.

95

101 collaborazione, va interpretato in ragione della capacità dimostrata dal Dirigente, nel caso in cui decidesse di discostarsi, di aver tenuto in debito conto delle ragioni dell’organizzazione cui è preposto, nonché dei risultati da conseguire.

Altrimenti, verrebbe meno il modello del rapporto di direzione tra organo politico e Dirigente, qualora l’art.21 venisse interpretato alla lettera e con una vincolatività di tipo assoluto.

Con ciò non si deve intendere che l’inosservanza delle direttive e i risultati negativi, ovvero i due elementi

sanzionabili a norma dell’art.21,siano dei sinonimi, quanto piuttosto che la sanzionabilità dell’inosservanza delle direttive sia condizionata fortemente dai risultati negativi ottenuti.

Per quanto riguarda invece, il fatto che l’art.21 si riferisca espressamente alla responsabilità dirigenziale , per il mancato raggiungimento degli obiettivi o l’inosservanza delle direttive imputabili al Dirigente,e non alla

responsabilità disciplinare, ciò viene ricavato dall’esplicito riferimento contenuto nello stesso articolo, laddove

considera cumulabili i due tipi di responsabilità. Quanto alle conseguenze negative, che derivano

dall’inosservanza, di quanto abbiamo fino ad ora esposto, ci limitiamo ad osservare come esse operano in modo distinto sull’incarico o sul rapporto di lavoro.

La prima ed immediata conseguenza attiene all’impossibilità del rinnovo dell’incarico stesso, e lungo la gradazione di gravità, la revoca dell’incarico con conseguente collocazione a disposizione dei ruoli, il recesso dal rapporto di lavoro in ossequio alle disposizioni contenute nel contratto collettivo.

102 Il rifermento al contratto collettivo, è importante perché ci permette di inquadrare l’ipotesi del licenziamento, come un’ ipotesi tout court disciplinare,riconducibile alle più gravi fattispecie di inadempimento contrattuale.

In altre parole, nel caso di responsabilità meno gravi, la dimensione della responsabilità dirigenziale resta distinta dalla eventuale responsabilità disciplinare; mentre nelle ipotesi di gravità estrema , le due fattispecie si intersecano creando di fatto una sola fattispecie fortemente connotata in senso disciplinare, determinando la risoluzione definitiva dell’incarico e del rapporto.

Per quanto attiene poi, ad altre ipotesi non direttamente riconducibili alla responsabilità disciplinare, l’art.22 del Testo Unico predispone un meccanismo di tutela,nel quale si prevede che i provvedimenti siano adottati previo parere conforme rilasciato da un Comitato di Garanti.

In ogni caso, si tratta di competenza dirigenziale che, anche nelle ipotesi di funzioni dirigenziali di livello generale è svolta da un Dirigente sovraordinato di diretta emanazione politica96.

Nonostante sulla carta sia prevista un’importante funzione di codecisione del Comitato dei Garanti, finalizzata ad

impedire gli arbitri dei vertici politici , non mancano anche in questo caso aspetti problematici: innanzitutto non è chiaro che tipo di rapporto si instaura tra la responsabilità dirigenziale e quella disciplinare né tantomeno convince in termini di opportunità l’implicita esclusione della legge in oggetto, a totale favore della contrattazione collettiva. Visto e considerato che una tematica così complessa e rilevante, così strettamente legata all’autonomia nel circolo vizioso autonomia/responsabilità, richiederebbe piuttosto una puntuale e trasparente disciplina legislativa, magari

96

103 anche con una delega limitata e chiaramente specificata alla fonte collettiva.

Inoltre una revoca eventuale, per mancato conseguimento dei risultati presuppone che l’organo politico abbia

effettivamente e puntualmente specificato al dirigente nel momento del conferimento dell’incarico, gli obiettivi da conseguire, circostanza che spesso in concreto non ricorre. Infine difettano una disciplina, sia pure solo di massima, relativa alle modalità e ai criteri da seguire per la valutazione del risultato nonché di personale appositamente formato per questo compito,ciò consente un potenziale ampio margine di azione, da parte delle Amministrazioni ,per giudizi negativi di tipo politico97.

Tornando all’art.21, possiamo notare come, nonostante le due fattispecie riportate, rappresentino lo zoccolo duro della responsabilità dirigenziale , negli ultimi anni si è assistito , da parte del legislatore, alla formulazione di nuove

fattispecie che si discostano dalla definizione, per così dire, classica di responsabilità dirigenziale quale meccanismo che tende al rafforzamento dell’Amministrazione di risultato98. Alla luce di quanto brevemente, sin qui, esposto, si rileva come il dato che emerge, con maggiore evidenza, sia quello di aver disegnato la responsabilità dirigenziale a misura dell’incarico che viene conferito al Dirigente mediante un provvedimento di tipo unilaterale , nel quale vengono individuati l’oggetto dell’incarico e gli obiettivi da

perseguire, mettendo per certi versi in pericolo l’autonomia di gestione, che da sempre caratterizza l’attività del

Dirigente.

97

A.Gaspari , Incarichi dirigenziali e responsabilità del dirigente: alla

ricerca di un equilibrio nell’ambito dei rapporti tra organi di indirizzo politico e dirigenza ,In Diritto & Diritti.it.

98

104

3 L’evoluzione o involuzione della Responsabilità

Dirigenziale dopo la c.d. “Riforma Brunetta”.

Il legislatore attraverso la Legge Delega n.15 del 2009 , nell’indicare gli obiettivi della riforma, in merito ai rapporti tra politica e amministrazione, ha stabilito principi nonché criteri volti ad attribuire una maggiore autonomia e in egual misura una maggiore responsabilità al Dirigente Pubblico, segnatamente per ciò che attiene alla gestione delle risorse umane, in quanto concepito come datore di lavoro pubblico. Infatti la norma, da un lato, ha affidato al Dirigente, tramite l’art.6 comma secondo lettera a) numero 1 della predetta legge, l’individuazione dei profili professionali necessari per lo svolgimento dei compiti istituzionali dell’ufficio al quale è preposto, dall’altro,sempre l’art. 6 alla lettera b) della Legge Delega, ha previsto una specifica sanzione,ovvero quella riguardante la mancata corresponsione del

trattamento accessorio, con riferimento alla Responsabilità del Dirigente nel caso di omessa vigilanza sulla effettiva produttività delle risorse umane assegnate, nonché

dell’efficienza della struttura nel suo complesso99.

Con il Decreto Legislativo n.150 del 2009 poi, il legislatore interviene sul quadro normativo in tema di Responsabilità del Dirigente, integrando l’art.21 del Testo Unico e

inserendo al contempo alcune specifiche ipotesi di

responsabilità disciplinare dei dirigenti con l’aggiunta di altre disposizioni sparse, che configurano altri tipi di responsabilità del dirigente, spesso di non facile qualificazione.

99

105 Partendo dalle modifiche apportate all’art.21, possiamo notare come le novità introdotte nel comma primo, si limitino a collegare la responsabilità per il mancato raggiungimento degli obiettivi, alle risultanze degli accertamenti effettuati, secondo il nuovo sistema di valutazione, previsto dalla Riforma stessa100, e nel

subordinare, in conformità con quanto indicato dalla Corte Costituzionale, l’irrogazione delle sanzioni a garanzie di tipo procedurale attraverso la previa contestazione per

l’impossibilità del rinnovo dell’incarico, nonché

l’instaurazione del contraddittorio per la revoca dello stesso. Per quanto concerne l’art.22 invece, si prevede

un’attenuazione ,che si presenta come una vera e propria perdita di rilevanza, della protezione apportata dal Comitato dei Garanti il cui parere diviene meramente consultivo. Viene poi, confermato il requisito dell’imputabilità, quale argomento a supporto del connotato soggettivo della responsabilità, il quale viene rafforzato se si considera complessivamente la disciplina contenuta nell’art.21 dopo l’inserimento di un nuovo comma, il comma 1 bis, il quale nel parlare di: “colpevole violazione del dovere di vigilanza sul rispetto, da parte del personale assegnato ai propri uffici, degli standard quantitativi e qualitativi fissati

dall’amministrazione” comporta per il Dirigente “previa contestazione e nel rispetto del principio del contraddittorio secondo le procedure previste dalla legge e dai contratti collettivi” la decurtazione della retribuzione di risultato, in relazione alla gravità della violazione, di una quota fino all’ ottanta per cento.

100

In merito alle novità della Riforma nel suo complesso si rinvia a quanto detto nel capitolo terzo.

106 Tuttavia, questo nuovo addebito solleva alcune perplessità, in merito alla sua compatibilità con la responsabilità

dirigenziale.

Sembra infatti che le modifiche e le novità introdotte dal Decreto Legislativo n.150 del 2009, se da un lato accentuano i profili soggettivi della responsabilità dirigenziale, dall’altro configurano in termini di responsabilità disciplinare

omissioni e inadempienze rispetto a compiti, che sono tipici dell’attività dirigenziale101.

Soffermandoci sulla fattispecie di responsabilità che si

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