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La Dirigenza Pubblica alla luce della Riforma Madia

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

La Dirigenza Pubblica alla luce della Riforma

Madia

Il Candidato Il Relatore Pietro Cima Prof. Alfredo Fioritto

(2)

2

INDICE

INTRODUZIONE pag.

1

.

Oggetto e obiettivi dell’analisi ...5

CAPITOLO I

ISTITUZIONE DELLA DIRIGENZA

PUBBLICA

1.Profili introduttivi ...7 1.1.Le origini del modello Italiano di Dirigenza Pubblica .8 1.2.Disposizioni Costituzionali sulla Pubblica

Amministrazione e ripercussioni sul rapporto tra Governo e Pubblica Amministrazione...12

2.La distinzione tra Politica e Amministrazione...17

CAPITOLO II

EVOLUZIONE NORMATIVA: DALLE

ORGINI AL TESTO UNICO SUL PUBBLICO

IMPIEGO

1.La Riforma del 72’(D.P.R. n.748/1972) ...23 2.Separazione tra Politica e Amministrazione ...28 3.Le c.d. “Leggi Bassanini” ...34 3.2. Il D.lgs. n.80 del 31 Marzo 1998, emanato in attuazione della Delega prevista nella c.d. seconda Legge Bassanini 37

(3)

3 4.Il D.Lgs n.165/2001 Testo Unico sul Pubblico Impiego e la

Legge n.145/2002 la c.d. “Controriforma” ...40

CAPITOLO III

LA DIRIGENZA PUBBLICA ALLA LUCE

DELLA C.D. RIFORMA BRUNETTA, D.LGS.

N.150/2009

1.Oggetto dell’intervento normativo ...49

2 .Il Sistema dei controlli interni ...52

3.Ciclo delle Performance e nuove Funzioni assegnate al Dirigente ...55

4.Conferimento e Revoca degli Incarichi Dirigenziali ...59

4.1. Gli incarichi esterni ...63

4.2. Incarichi Dirigenziali: Natura Giuridica ...65

5.La Responsabilità del Dirigente ...69

CAPITOLO IV

ACCESSO ALLA DIRIGENZA PUBBLICA

1.Profili introduttivi ...72

2.Sistema di scelta dei Dirigenti ...73

3.Accesso alla Dirigenza, dopo l’entrata in vigore della Riforma Brunetta ...78

3.1.Reclutamento dei Dirigenti in generale ...80

3.2. Accesso alla qualifica di Dirigente di seconda fascia ...81

3.3.Accesso alla qualifica di Dirigente della prima fascia ...91

(4)

4

CAPITOLO V

LA RESPONSABILITA’ DIRIGENZIALE

1Profili generali dell’Istituto ... 95

2 La Responsabilità Dirigenziale alla luce del Testo Unico sul Pubblico Impiego ...97

3.L’evoluzione o l’involuzione della Responsabilità Dirigenziale dopo la c.d. Riforma Brunetta ...103

4.Ultime novità normative, prima della Legge Delega n.124/2015, meglio conosciuta come Riforma Madia ..110

CAPITOLO VI

LA DIRIGENZA PUBBLICA COSI’ COME

RIDISEGNATA DALLA LEGGE DELEGA

N.124/2015 MEGLIO CONOSCIUTA COME

RIFORMA MADIA.

1.Considerazioni generali ...115

2.L’art. della Riforma Madia (Legge Delega n.124/2015) 2.1.Ruolo Unico ...118

2.2. L’Accesso alla Dirigenza ...120

2.3. Conferimento degli Incarichi ...132

(5)

5 3.Osservazioni Conclusive ...143

INTRODUZIONE

1 Oggetto e obiettivi dell’analisi.

Nella presente opera, si intende illustrare,seppur per sommi capi, l’evoluzione della figura del Dirigente Pubblico, oggi più che mai funzionale e nevralgica all’interno della

macchina Amministrativa Pubblica.

Vedremo come nel corso degli anni la Dirigenza Pubblica si sia progressivamente staccata dalla soggezione al potere politico e come essa si sia ritagliata una consistente autonomia sia in termini di potere decisionale, dunque sostanzialmente ottenendo più funzioni,sia in termini di una corrispondente responsabilità per l’attività svolta all’ interno della Pubblica Amministrazione.

Ovviamente non è stato possibile sviscerare ogni singola parte che connota l’istituto in questione, data l’ipertrofia normativa del nostro legislatore da un lato, nonché per esigenze espositive dall’altro.

L’opera in questione, dunque, si concentra, nei primi

capitoli, sull’istituto della Dirigenza Pubblica, partendo dalla sua travagliata storia, sia nel nostro Ordinamento che nelle esperienze estere da cui il legislatore ha di volta in volta

(6)

6 preso spunto, per poi soffermarsi sulle prime Leggi che disciplinavano la figura del Dirigente e di come tale figura sia mutata nel corso degli anni.

Una volta delineata poi, la struttura della Dirigenza Pubblica così come la conosciamo oggi, soprattutto grazie all’avvento della Costituzione del 48’, e le varie spinte in senso

manageriale degli anni 90’ del secolo scorso, vedremo come le recenti e recentissime riforme hanno rappresentato per certi versi un’innovazione e per altri un involuzione dell’istituto.

A partire dalla c.d. Riforma Brunetta, la quale ha apportato consistenti novità, soprattutto in tema di controlli, sia la recentissima Riforma Madia, la quale ha ridisegnato letteralmente il ruolo del Dirigente Pubblico, portando a compimento l’idea dello stesso quale Manager Pubblico a tutti gli effetti, aprendo un vero e proprio mercato ed un’effettiva rotazione del Dirigente(definito dall’attuale Ministro quale Dirigente della Repubblica), all’interno delle Amministrazioni Pubbliche .

Proprio in merito alla recente riforma è dedicato l’ultimo capitolo, che in prossimità dei Decreti Legislativi emanati nei mesi scorsi, tenta di fare una sorta di ricognizione dello stato dell’arte soprattutto,soffermando l’attenzione sul ritorno al ruolo unico, sulla nuova modalità di assegnazione degli incarichi, nonché le nuove forme di accesso alla

Dirigenza Pubblica ed infine delineando gli aspetti di novità in tema di responsabilità del Dirigente.

Questi ultimi due aspetti; accesso e responsabilità, sono stati approfonditi nel capitolo quarto e quinto, in quanto hanno costituito, agli occhi di chi scrive, gli aspetti più interessanti e che contraddistinguono meglio di altri, l’evoluzione della Dirigenza, soprattutto per chi la guarda dall’esterno, ovvero agli occhi dell’opinione pubblica e del cittadino, al quale

(7)

7 l’azione della Pubblica Amministrazione in genere, e del Dirigente in particolare, dovrebbe tendere quale obiettivo finale.

CAPITOLO I

ISTITUZIONE DELLA DIRIGENZA PUBBLICA

1.Profili introduttivi

La categoria dei dirigenti, nelle aziende private, comprende quei lavoratori subordinati che ricoprono nell’ente una posizione che implica un elevato grado di professionalità, autonomia e potere decisionale. Nelle Amministrazioni Pubbliche, la Dirigenza assume contorni peculiari, che contribuiscono a distinguerla da quella privata.

La Dirigenza Pubblica, infatti, nasce come diversa da quella privata, ma attraverso il graduale cambiamento della sua organizzazione, la differente gestione delle risorse umane e produttive, e in particolar modo la diffusione di una sempre più pregnante esigenza di managerialità, dovuta ai processi di decentramento e di istituzione di autonomie funzionali e operative, portano ad una revisione della figura e del ruolo del Dirigente in parallelo con il processo di

(8)

8 Con la managerializzazione della pubblica amministrazione si innesta un percorso di riforma, in merito al ruolo della Dirigenza Pubblica Italiana.

Quest’ultima, ha assunto ed assume, tuttora, alla luce anche delle recenti riforme, un ruolo strategico nel cambiamento della Pubblica Amministrazione, trattandosi, quasi, di una sorta di grimaldello attraverso cui accelerare il cambiamento della Pubblica Amministrazione stessa.

Infatti, dalla privatizzazione del pubblico impiego degli anni Novanta è discesa l’individuazione della Dirigenza quale organo predisposto alla gestione del personale.

Quest’ultimo aspetto sembra assumere contorni più marcati e decisi a seguito della c.d. Riforma Brunetta D.Lgs.

n.150/2009, la quale connota il Dirigente quale vero e proprio datore di lavoro pubblico1.

1.1Le origini del modello Italiano di Dirigenza

Pubblica

Per capire le ragioni dei mutamenti in corso, soprattutto alla luce delle recenti riforme, occorre fare un passo indietro e ripercorrere, seppur brevemente, le fasi storiche ed i processi normativi della Dirigenza Pubblica.

A partire dalla classificazione, per così dire, tradizionale delle funzioni Statali, risalente alla scuola di pensiero di Montesquieu sulla separazione dei poteri, l’amministrazione

1

F.Del Giudice, L.Delpino ,Diritto Amministrativo ,Simone Edizioni Giuridiche edizione XXXII pag.239.

(9)

9 si trovava priva di una propria ed autonoma identità, in

quanto faceva parte del potere esecutivo.

Ciò consisteva nel fatto che all’interno del potere esecutivo esistevano due diversi tipi di attività, quella amministrativa e quella politica e di governo2.

Successivamente, grazie all’introduzione del suffragio universale, si realizzò un nuovo equilibrio tra il potere

esecutivo e quello legislativo, con la diretta conseguenza che la legge finì per prevalere sul potere esecutivo e si affermò il principio di legalità, dal quale scaturirono due situazioni distinte e al tempo stesso connesse,ovvero la divisione tra Governo e Amministrazione e la sottoposizione

dell’Amministrazione al Parlamento.

Fin dai primi albori dello Stato Italiano, la Dirigenza rappresentò una sorta di collante tra politica e

amministrazione, nonché il punto di emersione delle contraddizioni insite in tale relazione.

Negli ordinamenti democratici moderni,poi, la Dirigenza, si caratterizzava e si caratterizza, per la contrapposizione di due valori ontologicamente confliggenti : il principio di sovranità popolare espressione della rappresentanza politica, e il principio di imparzialità, che ha come corollario

un’amministrazione al servizio dell’intera collettività , non soggiogata dal potere politico3.

Procedendo con ordine possiamo rilevare, come il modello originario venne delineato dalla c.d. Legge Cavour la n.1611 del 1853.

Con tale legge venne istituito un modello di tipo gerarchico -piramidale dell’Amministrazione, caratterizzato dalla

2

C.L. Montesquieu , De l’esprit des lois , Paris 1979 pag.113.

3

S.Battini, Il Personale, in S.Cassese ,Trattato di Diritto Amministrativo parte generale, Giuffrè Editore pag.260.

(10)

10 pressoché totale subordinazione dei funzionari direttivi agli organi politici.

Tale modello trovava la sua ratio nella necessità

dell’unificazione amministrativa dello Stato Monarchico. Detta legge, così congeniata, combinava il principio costituzionale di derivazione inglese della piena

responsabilità dei Ministri davanti al Parlamento per la direzione e l’esecuzione dell’attività amministrativa, con quello organizzativo di derivazione, stavolta, francese che si ispirava alla concezione napoleonica dello Stato accentrato4. Dal combinato disposto di questi due modelli, emergeva una burocrazia totalmente subordinata al Ministro , priva di effettivi ed autonomi poteri, potendo essa, agire soltanto, su delega o per conto dell’organo politico.

Pertanto, si delineava un sistema politico-organizzativo, in cui l’unica competenza con rilevanza esterna era quella del Ministro, che assommava in sé la duplice funzione di responsabile politico verso il Capo dello Stato o verso il Parlamento e di capo dell’ amministrazione, con titolarità del potere direttivo e dei poteri connessi con la sua posizione di superiore gerarchico5.

Il modello accentrato venne fortemente osteggiato e

criticato, sia dalla giurisprudenza sia dalla migliore dottrina . Infatti, si riteneva che suddetto modello, sul piano del

lavoro, determinasse il rafforzamento delle garanzie degli impiegati anche attraverso le leggi sullo stato giuridico, mentre sul piano organizzativo rimaneva intatto il modello

4

C. Colapietro , La Dirigenza Pubblica tra imparzialità e indirizzo politico ,Giappichelli Torino pag.262.

5

M. Nigro, L’azione dei pubblici poteri, lineamenti generali, in Manuale di Diritto Pubblico a cura di G.Amato e A.Barbera,Il Mulino Bologna pag.153.

(11)

11 gerarchico ritenuto intrinseco ed inscindibile al sistema burocratico.

Nel periodo fascista, poi , non si registrarono modifiche significative, nonostante vi fosse una corrente di pensiero che affermava la necessità di una complessiva

riorganizzazione dell’apparato Statale ,secondo logiche aziendalistiche e valorizzando le figure apicali.

Non si andò incontro, pertanto ,ad una fascistizzazione dell’amministrazione, e a questo contribuì anche un

atteggiamento piuttosto prudente per non dire dimesso nei confronti del regime,da parte dei dirigenti dell’epoca, entrati in carriera nell’era giolittiana.

Ragion per cui, la c.d. riforma De Stefani emanata del 1923 non si discostò dal modello previgente, lasciando la funzione della Dirigenza Pubblica all’ombra del Ministro , superiore gerarchico.

Questo modello accentrato, regolò per oltre un secolo la vita della Pubblica Amministrazione italiana, ed entrò in crisi nel momento in cui vennero meno le ragioni che giustificavano l’assorbimento di tutte le responsabilità in capo al Ministro. L’avvento della Costituzione Repubblicana, poi, fece il resto.

Introducendo, per la prima volta, nella nostra storia giuridica, il problema della separazione

dell’Amministrazione dall’Esecutivo e della tutela della stessa contro l’azione del Governo quale organo politico6.

6

(12)

12

1.2 Disposizioni Costituzionali sulla Pubblica

Amministrazione e ripercussioni sul rapporto tra

Governo e Pubblica Amministrazione

I modelli di amministrazione proposti, dalla Costituzione Repubblicana del 1948, non sono univoci e propongono un’amministrazione come apparato servente del Governo , quanto un’amministrazione autonoma nonché imparziale ed al servizio della collettività.

Volendo entrare nel merito delle norme Costituzionali, possiamo anzitutto dire che la nostra Carta fondamentale dedica due disposizioni, segnatamente gli artt. 97 e 98, della sezione seconda del titolo terzo alla Pubblica

Amministrazione.

L’art. 97 al comma primo enuncia, quelli che sono i principi di buon andamento ed imparzialità dell’azione

amministrativa.

Il concetto di buona andamento7 ,può essere definito nel senso di svolgimento dell’azione amministrativa non solo formalmente corretto, ma anche e soprattutto come

svolgimento efficiente ed efficace della stessa.

A conferma di ciò, possiamo menzionare il dettato dell’art.1 comma primo della legge n.241 del 1990 sul procedimento amministrativo, il quale prevede che l’azione amministrativa è retta da criteri di economicità ed efficacia.

Tali criteri, sostanziano il contenuto del principio del buon andamento rispettivamente nel rapporto tra risorse impiegate

7

M.Nigro, Studi sulla funzione organizzatrice della pubblica

(13)

13 e risultati raggiunti e tra obiettivi prefissati e risultati

raggiunti8.

Il concetto di Imparzialità invece, comporta che

l’amministrazione, nell’emanare i suoi atti, debba ponderare tutti gli interessi in gioco, ispirandosi ai principi nonché ai criteri direttivi dettati nelle disposizioni normative che di volta in volta vengono in considerazione.

Il secondo comma dell’art.97 , in adesione con lo spirito insito nell’art.5 9della Costituzione, apre al pluralismo istituzionale, volto alla distinzione tra politica e

amministrazione che “nell’ordinamento degli uffici siano determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari10”.

Passando poi al comma terzo, troviamo enunciato il principio secondo il quale l’accesso alla Pubblica

Amministrazione avviene tramite concorso, eccezion fatta per i casi espressamente previsti dalla legge.

Tale principio, assicura quanto espresso dal comma primo dell’art.97 stesso, in quanto attraverso tale modalità di accesso del personale alla Pubblica Amministrazione si rafforzano i principi di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione medesima.

Infatti il buon andamento si trova ad essere maggiormente garantito laddove il reclutamento del personale avvenga sulla base di un esame oggettivo e spersonalizzato delle capacità, mentre l’imparzialità trova un suo corollario

8

G.Pastori, commento art.1 legge n.241/1990 , Nuove Leggi civili commentate.

9

Art.5 della Costituzione: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampiodecentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.

10

D.Bolognino , La Dirigenza Pubblica Statale tra autonomia e

(14)

14 nell’esclusione di ogni forma di discriminazione nell’accesso al pubblico impiego, ovvero dall’effettivo rispetto delle condizioni di uguaglianza stabilite dall’art.51 della Carta fondamentale11.

Passando poi all’esame dell’art.98 della Costituzione,

possiamo constatare come lo stesso affermi al comma primo che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione.

Da questa disposizione, sono scaturite diverse scuole di pensiero in dottrina.

Secondo una prima corrente di pensiero, l’art.98 comma primo, non sarebbe altro che una specifica applicazione del principio di imparzialità di cui all’art.97, tutelando lo stesso, gli impiegati pubblici dalle ingerenze ministeriali per,

citando Mortati12 ,” un’amministrazione obiettiva della cosa pubblica e non un’amministrazione dei partiti” proponendo un modello di pubblica amministrazione imparziale ed efficiente distante da interessi partigiani, all’esclusivo servizio della collettività, trovando la sua legittimazione soltanto nella Legge.

Altra dottrina considera il dovere posto a carico del pubblico impiegato “di operare al servizio esclusivo della Nazione” come una specifica esplicitazione del più generale dovere di

11

Art.51 della Costituzione : “ Tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini. La legge può, per l’ammissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive, parificare ai cittadini gli italiani non appartenenti alla Repubblica. Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro”.

12

Parole pronunciate da Mortati durante una discussione sul punto, in sede di Assemblea Costituente. S.Lariccia ,Il principio di Imparzialità delle

Pubbliche Amministrazioni ,Origini storiche e fondamento costituzionale, In Queste Istituzioni 2003 pag.55.

(15)

15 fedeltà alla Repubblica, dovere che grava su tutti i cittadini come ci ricorda l’art.5413 della Costituzione.

Un ‘altra norma importante, sempre in tema di pubblica amministrazione, e sulla quale merita soffermarsi, è l’art.95 comma secondo della Carta fondamentale il quale afferma che “I Ministri sono responsabili collegialmente degli atti del consiglio dei ministri, ed individualmente degli atti dei loro dicasteri”.

Le ragioni ed i motivi di questa disposizione costituzionale vanno ricercate nella c.d. riforma Cavour del 1853, di cui abbiamo già dato conto, e che si connota per la

combinazione del sistema francese, nel quale il Ministro gestisce effettivamente gli affari amministrativi, e di quello inglese, dove il Ministro risponde davanti al Parlamento, del suo operato.

I costituenti,riprendendo le parole di Nigro,” sotto questo profilo hanno operato una sorta di restaurazione, in quanto essi partirono dalla scelta del Governo Parlamentare ed assegnarono all’Amministrazione la posizione che questa aveva in esso. Il tipo di Amministrazione fu una

conseguenza, un accessorio della scelta di certe istituzioni politiche assunte in blocco”.

Tornando a quanto detto all’inizio di questo paragrafo,

possiamo evidenziare, con il conforto sul punto di autorevole dottrina, come i modelli proposti dalla Costituzione non siano univoci, in quanto prevedono tanto

un’amministrazione quale apparato servente del Governo, e segnatamente questo sembra il modello proposto dall’art.95 comma secondo, quanto un’amministrazione autonoma ed

13

Art.54 della Costituzione : “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”.

(16)

16 imparziale al servizio della collettività. Come lasciano

intendere gli artt.97 e 98 della Costituzione14. La conclusione alla quale è approdata la dottrina

maggioritaria, è data dall’apparente antinomia del contrasto tra le norme in questione.

Ritenendo che vi sia una sorta di filo rosso che tenga unite politica e amministrazione .

Ciò comporta , pertanto, un’obiettiva difficoltà nel trovare chiari confini di demarcazione, tra la funzione di indirizzo e controllo, propria della sfera ministeriale e quella di

attuazione e gestione, propria di quella dirigenziale 15. A tale proposito giova citare il Rapporto Giannini del 197916, che aveva come oggetto i principali problemi dell’Amministrazione Statale.

In particolare il punto numero quattro del rapporto, avente ad oggetto il personale, nel prospettare nei confronti dei

dipendenti pubblici un’estensione delle regole privatistiche, che però non lambiva la sfera dirigenziale, ipotizzava in merito ai dirigenti e alla Dirigenza in generale, interventi volti, da un lato, alla riduzione quantitativa degli stessi, e dall’altro, l’attribuzione di poteri decisionali maggiori, specie con riferimento all’organizzazione degli uffici. Dal Rapporto sopra citato, si comprende anche come il tentativo di evidenziare i punti salienti della funzione dirigenziale non coinvolge, solamente, il conflitto tra modelli costituzionali, ma vede coinvolti una pluralità di

14

M.Nigro, La pubblica amministrazione fra Costituzione formale e

Costituzione materiale , Rivista trimestrale di Diritto Processuale Civile

1985.

15

C.D’Orta , Politica e Amministrazione, in la Riforma della Dirigenza

Pubblica, Padova 1994 pag.42.

16

Rapporto sui principali problemi dell’amministrazione dello Stato 16 Novembre del 1979 – Rivista trimestrale di Diritto Pubblico.

(17)

17 fattori,dove il rapporto tra politica ed amministrazione viene fortemente condizionato dal rapporto che vede coinvolti i soggetti istituzionali , nonché dall’influenza di fattori economici e sociali17.

Se però ci soffermiamo sulle innovazioni apportate dal sistema costituzionale a quello previgente ,sebbene la Carta fondamentale, non stabilisca espressamente il principio di separazione tra politica e amministrazione, l’idea di

amministrazione che né emerge, è pur sempre quella di un apparato autonomo dalla politica e dotato di funzioni e responsabilità proprie.

Pare pertanto convincente la conclusione per cui, al di là delle varie dispute dottrinali non ancora sopite, con la

Costituzione, e segnatamente le norme della stessa in tema di Pubblica Amministrazione, si registra la nascita di un

policentrismo, che consente di realizzare una struttura articolata degli stessi apparati centrali, configurabile attraverso il trasferimento ad organi burocratici, retti da dirigenti sufficientemente autonomi e responsabili18. Mentre ai Ministri, non più gerarchicamente

superiori,vengono riservati, si fa per dire, soltanto, compiti di indirizzo coordinamento e controllo.

La Costituzione ,poi, mette fine, una volta per tutte, alla c.d. burocrazia neutrale, ed attenua la responsabilità politica del Ministro nei confronti del Parlamento, in virtù della

controspinta nella responsabilità collegiale del Consiglio dei Ministri19.

17C.Pinelli, Politica ed amministrazione: una distinzione per l’ordine

costituzionale , Giur. Cost. 1990.

18 A.M. Sandulli , Governo e Amministrazione , Rivista Trimestrale di Diritto

Pubblico.

19

Art.95 comma 2 : “I Ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei Ministri, e individualmente degli atti dei loro dicasteri “.

(18)

18

2 La distinzione tra politica e amministrazione

A questo punto merita di essere esaminato un aspetto fondamentale inerente alle relazioni che intercorrono,

all’interno delle amministrazioni pubbliche, tra il Governo, o per meglio dire, tra i detentori del potere di dettare

l’indirizzo politico amministrativo e i Dirigenti, ovvero quei soggetti che sono preposti all’attuazione delle direttive politiche e all’assunzione di decisioni di natura

amministrativa e gestionale.

Anche attraverso il supporto della successiva evoluzione legislativa( in particolare quella dei primi anni novanta, del secolo scorso), che conferma come le vicende del rapporto tra Governo e Amministrazione siano connotate dal

progressivo riconoscimento, quantomeno da un punto di vista formale, dell’autonomia decisionale della Dirigenza Amministrativa, se non altro, nel tentativo di arrestare la politicizzazione dell’Amministrazione e di sviluppare, sulla base di una più chiara distinzione dei ruoli, fra organi di direzione politica e burocrazia, il principio di

differenziazione tra indirizzo politico e gestione

amministrativa, nell’ottica di una maggiore imparzialità del sistema nel suo complesso20.

Occorre quindi,innanzitutto, partire dalla distinzione fondamentale tra attività di indirizzo politico e attività di gestione amministrativa.

20

F.Merloni , Dirigenza Pubblica e Amministrazione imparziale, Il modello Italiano in Europa , Il Mulino pag.12

(19)

19 In particolare l’indirizzo politico, rappresenta l’attuale

principio unificatore dell’azione dei poteri pubblici ed esso si sostanzia nella individuazione , da parte degli organi di governo, delle scelte nonché dei programmi che verranno poi implementati mediante l’esplicazione dell’attività gestionale di spettanza della burocrazia21.

Pertanto, nella situazione odierna, non appare più quantomeno, opportuno parlare di separazione di competenze, bensì, di distinzione delle stesse.

Distinzione di competenze, in quanto, il nuovo modello opera all’interno di amministrazioni che non sono sottratte all’indirizzo, che resta riservato agli organi di direzione politica, ed agisce soltanto nel senso di stabilire una riserva di competenza in capo ad una peculiare categoria di

funzionari professionali, definiti Dirigenti.

Organi politici e burocrati coesistono, con competenze differenti, all’interno della stessa Amministrazione. Questa coesistenza si realizza grazie ad una disciplina

normativa, che consente una distribuzione delle competenze stabile e che al tempo stesso, istituisce un sistema di

relazioni tra organi; con definizione di quelli che sono i rispettivi poteri, diritti e procedure di raccordo che permettono l’esercizio delle rispettive competenze e la risoluzione di eventuali conflitti.

Tuttavia quanto precedentemente detto, non è applicabile a quel tipo di Amministrazioni che si caratterizzano per

un’organizzazione tendenzialmente separata, proprio perché le stesse sono, per così dire, svincolate dall’indirizzo politico e segnatamente si fa riferimento, tra le altre, alle autorità amministrative indipendenti.

21

(20)

20 Se questa è la situazione generale dei rapporti che si

instaurano tra il potere politico e la dirigenza pubblica, bisogna sottolineare come questo equilibrio, che trova conforto nelle norme, si riverberi chiaramente all’interno dell’assetto dell’organizzazione amministrativa centrale e periferica dello Stato, nonché, soprattutto sul continuo e costante processo di riforma che ha interessato, e che tuttora interessa, la disciplina della Dirigenza Pubblica.

Quest’ultimo aspetto, è dovuto alla continua ricerca, da parte del legislatore, di una parvenza di soluzione, all’oramai annoso problema costituito dal rapporto tra l’imparzialità amministrativa e la sua soggezione all’indirizzo politico, attraverso la formulazione di nuove regole.

Nell’intento di fare ciò, il legislatore deve partire da quanto disposto nell’art.97 della Costituzione, e in particolare, tenendo a mente la parte in cui enuncia che tra l’indirizzo politico e l’imparzialità dell’amministrazione si frappone la Legge.

La quale interviene per un verso, per consentire che il potere politico impartisca, nell’ambito della stessa, le direttive della gestione amministrativa, e dall’altro , per assicurare al

Dirigente il necessario margine di autonomia nei confronti del potere politico, così da tutelare la sua imparzialità. Infatti, in aderenza con quanto riportato, si è

progressivamente sviluppata la legislazione in merito alla Dirigenza Pubblica.

In particolar modo, la legislazione si è soffermata, proprio nell’ottica di rafforzare la distinzione tra politica ed

amministrazione, sulla disciplina in merito agli incarichi dirigenziali, imboccando la strada di derivazione

anglosassone dello spoils system, di cui daremo conto nel prosieguo di questo elaborato, la quale ha prodotto risultati

(21)

21 non sempre lusinghieri e non sempre coerenti con l’obiettivo che ne costituiva la premessa22.

Infine possiamo riscontrare come nella pratica, il rapporto che si istaura tra organi politici e dirigenti, sia spesso caratterizzato dal modo di pensare e di comportarsi dei protagonisti della vicenda.

Da un lato troviamo, i titolari del potere politico i quali ritengono o tendono a ritenere, che l’amministrazione sia al loro servizio, quasi fosse una sorta di strumento ed in quanto tale possa essere piegata al loro volere.

Certo bisogna distinguere la situazione a seconda dell’istituzione che si prende di volta in volta, in

considerazione, però rimane il dato di fatto che vi è una sostanziale tendenza, da parte della politica, ad entrare nella sfera della gestione amministrativa, in modo diffuso e

pressoché generalizzato.

Tale tendenza viene legittimata dalla logica del circuito democratico e dal rispetto del principio di responsabilità politica, quindi sembrerebbe, di regola, fisiologico il condizionamento della politica all’interno della gestione della pubblica amministrazione. Ma dalla fisiologia si passa con disinvoltura alla patologia, allorquando il potere politico pretenda di disporre liberamente e in maniera del tutto

indiscriminata della risorsa dirigenziale, attraverso nomine spostamenti e rimozioni ad notum.

Tanto più in un sistema come quello Italiano, caratterizzato dal principio, seppur implicito, della distinzione funzionale tra politica ed amministrazione.

22

C.Colapietro , Politica e Amministrazione: riflessioni a margine di un

rapporto controverso, Federalismi.it rivista di diritto pubblico italiano,

(22)

22 Dall’altro lato troviamo i Dirigenti, che se per un verso rivendicano spazi di autonomia e maggiori garanzie,

soprattutto nell’ambito dell’attività amministrativa alla quale sono preposti e nella gestione delle risorse, per altro verso esitano a rivendicare con forza, effettivi poteri decisionali, poteri che comporterebbero una piena assunzione di

responsabilità.

Anche qui, non bisogna cadere nella tentazione di fare di tutta l’erba un fascio, infatti questo comportamento non è attribuibile alla totalità dei dirigenti.

Ma quello che risulta evidente, nella prassi delle

amministrazioni, è la mancanza di uno spirito di corpo della Dirigenza Pubblica in generale, nonché di una reale

consapevolezza del ruolo da svolgere, dialettico e collaborativo al tempo stesso, rispetto all’interlocutore politico, che innesta l’assunzione di un atteggiamento difensivo e per certi versi recriminatorio.

Tali Dirigenti invocano protezioni normative, che li mettano al riparo dalle ingerenze della politica, e si limitano ad eseguire scrupolosamente la Legge, rischiando così facendo di vanificare la ratio delle riforme legislative intese a

valorizzare l’identità mageriale dei medesimi, e rinunciando ad un ruolo direzionale propriamente inteso.

Oltretutto bisogna sottolineare come nel comune sentire della Dirigenza Pubblica prevale un’opinione favorevole alla sostanziale inamovibilità , intesa quale valore e scudo teso a salvaguardare la distinzione tra politica e amministrazione. Questo atteggiamento però va contro lo spirito, anche delle recenti e recentissime riforme, che trovano nella

(23)

23 managerialità e nella vocazione generalista nonché nella mobilità del Dirigente Pubblico il loro motivo ispiratore23.

CAPITOLO II

EVOLUZIONE NORMATIVA: DALLE

ORIGINI AL TESTO UNICO SUL PUBBLICO

IMPIEGO

1 La Riforma del 72’ ( D.P.R. n.748/1972)

La figura del personale con incarico dirigenziale nelle Amministrazioni Statali si configurava, fino alla metà degli anni settanta, in termini di ruolo per così dire “cedevole”,

23

G .D’Alessio , La classe Dirigente Pubblica. Ruoli di Governo e capacità

(24)

24 derivante dall’accettazione della subalternità, in termini di collocazione, rispetto alla classe politica in cambio di una sostanziale sicurezza dal punto di vista occupazionale. La dirigenza nell’ambito del pubblico impiego è stata istituita con una regolamentazione organica mediante il D.P.R. n.748 /72(Disciplina delle funzioni dirigenziali nelle Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento

autonomo) considerabile, almeno negli obiettivi perseguiti, come la più importante riforma organizzativa post

costituzionale24, grazie al quale la carriera dirigenziale è stata scorporata da quella direttiva, in cui era fino a quel momento inglobata.

Questa riforma ha il chiaro intento di sottrarre l’alta

burocrazia alla precedente piena dipendenza gerarchica dal Ministro per farne invece un corpo di collaboratori del vertice politico dotato di competenze proprie ed autonome e di maggiori responsabilità.

Prima di questo momento, infatti, la carriera dirigenziale non era distinta da quella direttiva, e lo status di dirigenti, anzi, per meglio dire lo stutus degli impiegati direttivi del più alto grado, era disciplinato dallo Statuto degli impiegati civili dello Stato (approvato con D.P.R. n.3 /1957).

Con il Decreto del 1972, la carriera direttiva di governo viene ad essere separata e distinta da quella dirigenziale che riceve un’organica regolamentazione attraverso una

tripartizione delle figure dirigenziali, e segnatamente : primo dirigente, dirigente superiore e dirigente generale25.

24

F.P.Cerase , La nuova Dirigenza Pubblica, Carocci Editore pag.38. 25

G.Di Gaspare , Il percorso evolutivo della normativa sul personale con

qualifica dirigenziale negli Enti Locali, Amministrazione in Cammino rivista

elettronica di Diritto Pubblico di Diritto dell’economia e Scienza dell’amministrazione.

(25)

25 Stando poi alla ratio ispiratrice della suddetta riforma, che prevedeva che il Dirigente Statale avrebbe dovuto

avvicinarsi alla figura del manager operante nel settore privato , sono stati previsti, allo scopo di creare anche nelle pubbliche amministrazioni un personale dirigente con responsabilità proprie, sulla falsa riga di quanto avviene nelle aziende private, poteri di indirizzo, propulsione,

coordinamento , vigilanza e controllo, allo scopo di garantire la legalità, l’imparzialità, l’economicità, la speditezza e la rispondenza al pubblico interesse dell’attività dei dipendenti uffici, nonché , relativamente agli atti di loro esclusiva competenza, la rappresentanza verso terzi,

dell’amministrazione di appartenenza26.

Inoltre, il Decreto determina la competenza del Ministro nell’esercitare poteri di direttiva in via preventiva e poteri di rimozione in via successiva.

Altresì un ruolo importante è stato riconosciuto alle

procedure di accesso e infine veniva previsto un nuovo stato giuridico ed economico in rapporto alle ampie responsabilità che venivano a gravare sullo stesso.

In pratica, si cercò di realizzare per la prima volta la

separazione della politica dall’amministrazione, in quanto la funzione di indirizzo veniva affidata al Ministro, mentre la funzione di gestione al Dirigente.

Ma andiamo con ordine e cerchiamo, di soffermarci su alcuni aspetti di novità della riforma del 72.

Sul piano organizzativo, possiamo ribadire che il presente decreto ha il pregio di individuare tre qualifiche dirigenziali, di cui abbiamo già fatto cenno, ovvero il dirigente generale (art.4) al quale vengono conferite le funzioni di capo delle

26

C.Colapietro , voce Dirigenti Pubblici, In Digesto delle Discipline

(26)

26 direzioni generali o degli uffici centrali o periferici di livello pari o superiore, nonché quelle di consigliere ministeriale con compiti di studi e ricerca.

Il dirigente superiore (art.5) ovvero colui che esercita

funzioni di vicario del dirigente generale, nonché funzioni di capo di servizio centrale dipendente organicamente dal

Ministro o da altri uffici di pari livello previsti dalla legge, di consigliere ministeriale aggiunto con compiti di studi e di ricerca, di ispettore generale, di capo di ufficio periferico particolarmente importante con circoscrizione non inferiore a quella provinciale.

Il primo dirigente (art.6) preposto alla direzione di divisioni o di uffici equiparati27.

Nel contesto di una più complessiva tripartizione delle funzioni dirigenziali, suddivise in compiti di direzione, di studio e ricerca, e di ispezione, è da sottolineare come le attribuzioni particolari, assegnate, alle tre qualifiche

dirigenziali si sovrapponessero quasi integralmente fra loro, salvo poi diversificarsi sul piano del valore economico della prestazione svolta.

Per quanto concerne poi il profilo del ruolo della dirigenza pubblica che scaturisce da tale decreto, esso si sostanzia nell’affidamento della funzione di gestione, attraverso il conferimento, in via pressoché esclusiva nonché autonoma, di determinate materie nelle quali i suoi atti sono definitivi, ciò trova rispondenza nella nozione di responsabilità

dirigenziale (art.9) intesa come responsabilità di risultato, da ragguagliarsi sia alla legittimità dell’azione amministrativa, sia alle direttive intese come definizione di obiettivi di politica amministrativa fissati dal vertice del dicastero in

27

Per ulteriori approfondimenti si veda il testo di C.D’Orta ,Le Riforme del

(27)

27 altri termini dal Ministro, al quale, per legge, erano attribuite funzioni di indirizzo28.

Ma la Riforma del 72 ,malgrado gli elementi di novità sul piano normativo, per una serie di concause non riuscì a produrre i risultati sperati.

Né riuscì a forgiare un nuovo rapporto tra politica e amministrazione né tantomeno a creare una figura di dirigente pubblico sulla falsariga del manager privato, con poteri propri e in grado di assumere responsabilità sui profili degli atti di gestione e conseguentemente dei risultati29

Le ragioni di tale fallimento sono principalmente da ascriversi al tradimento, per così dire, dei principi che l’avevano ispirata, in quel diffuso clima di generale

compenetrazione , se non di vera e propria confusione, fra politica e amministrazione30

Oltre ad alcuni vizi di tipo genetico, tra i quali la persistenza di importanti indicazioni che sposavano il modello

gerarchico, assieme al mancato intervento in merito alla struttura organizzativa dei ministeri, per cui si è operata una riforma del personale prescindendo da quella

dell’organizzazione31, sono poi risultate fatali, ad una mancata implementazione della riforma, alcune circostanze di fatto tutt’altro che trascurabili.

Tra le quali,il proliferare di un numero di posizioni dirigenziali assolutamente sproporzionato in relazione al

28

G.D’Auria ,La tormentata riforma della Dirigenza Pubblica,in L.P.A. 2001pag.74.

29

C.Colapietro ,Il rapporto tra politica e amministrazione nella più recente

giurisprudenza costituzionale,Scuola Superiore dell’Amministrazione

dell’Interno. 30

S.Cassese, Maladmistration e rimedi , Foro.it.

31

(28)

28 personale da amministrare, con meccanismi di reclutamento e di promozione di dubbia trasparenza32.

Ma secondo alcuni commentatori la vera ragione, dell’insuccesso di tale Decreto si può riassumere

nell’espressione “scambio sicurezza-potere” che nasconde una sorta di patto tacito di non belligeranza che vede come sottoscrittori, la classe politica da una parte, e la classe dirigente dall’altra .

In sostanza i dirigenti hanno rinunciato a difendere la propria sfera di competenza dall’ingerenza del potere politico ed in contropartita i politici hanno sostanzialmente garantito di non interferire nella carriera dei dirigenti e sul loro stato giuridico ( carriera per anzianità, inamovibilità ecc.)33.

2 La Separazione tra politica ed amministrazione

ad opera del D.lgs. n.29/1993

Alla fine degli anni 80’ del secolo scorso, il dibattito

sul rapporto tra politica ed amministrazione riprese

vigore, e diede la spinta per un nuovo intervento

legislativo in tema di Dirigenza Pubblica.

Anche grazie, al mutato clima politico ed economico,

si verificò un radicale mutamento di indirizzo,

ovvero fu abbandonato lo schema tendenzialmente

32

F.P. Cerase ,opera citata pag.42.

33

V.Fanelli ,Il modello dirigenziale: dal D.P.R. n.748/72 al D.lgs. 29/1993 rivista n.16 ,Rivista on-line Lavoro e post Mercato.

(29)

29

gerarchico per abbracciare la separazione fra i

compiti di direzione politica e quelli di direzione

amministrativa.

Tutto questo portò ad una profonda rivisitazione

normativa a cominciare dalla legge n.142/1990

“Ordinamento delle Autonomie Locali” con la quale

ha avuto inizio il c.d. processo di aziendalizzazione

del ruolo dirigenziale che subì particolari

cambiamenti in termini di stutus e competenze.

Il cui principio ispiratore fu, di nuovo, quello della

separazione tra i compiti di direzione politica e quelli

di gestione amministrativa, che si tradusse nella

previsione di un Dirigente Locale il quale assumeva

un ruolo fondamentale per la trasformazione della

c.d. amministrazione per atti in una amministrazione

di risultato, ponendo come perno del suo

funzionamento il raggiungimento degli obiettivi

fissati dalla autorità politica

34

.

Bisogna tener presente che, durante gli anni 90’, del

secolo scorso sono state approvate importanti

riforme in ambito amministrativo,la più importante

delle quali è il Decreto Legislativo n.29/1993 ovvero

la c.d. riforma del rapporto di lavoro con le

pubbliche amministrazioni, grazie alla quale si è

attuata la prima privatizzazione del rapporto di

lavoro dei dirigenti pubblici.

34

R.Deganello ,La Dirigenza, in Nuovo rapporto di lavoro nelle pubbliche

(30)

30

In quegli anni, oltre ad interventi di riforma, si

riscontrò un vero e proprio rovesciamento di

prospettiva, in merito alla concezione della pubblica

amministrazione.

Pubblica Amministrazione che da allora in poi, verrà

concepita, non più come volta a produrre atti, ma

bensì come erogatrice di servizi.

Un’Amministrazione dove il cittadino è visto come

un utente, il quale deve poter partecipare alla cosa

pubblica, e che cerca nella combinazione

pubblico/privato la migliore allocazione tra risorse

pubbliche e private , coerentemente con il dettato

dell’art.97 della magna carta costituzionale.

Dove gli obiettivi individuati nella funzione di

indirizzo, si prestano ad essere raggiunti nell’attività

di gestione che si avvale anche di mezzi privatistici, i

quali risultano essere funzionali per il

raggiungimento di obiettivi di efficacia efficienza,

nonché di economicità.

In un tale contesto la disciplina del D.lgs. n.29/93,

riprendendo il principio fissato nella legge

n.142/1990, imponeva a tutte le pubbliche

amministrazioni l’adeguamento dei rispettivi

ordinamenti al principio della netta separazione tra

attività di indirizzo politico e attività di gestione, per

accrescere l’autonomia e i poteri gestionali di

(31)

31

Tale principio venne fissato nell’art.3 del d.lgs.

n.29/93, per altro successivamente modificato

dall’art.2 del d.lgs. n.470/93.

La bipartizione contenuta nella norma prevede, da

una parte gli organi di Governo , a cui viene

attribuito il compito di individuazione degli obiettivi

nonché dei programmi e di verifica dei risultati della

gestione amministrativa, dall’altra i dirigenti, cui

viene demandato il compito di svolgere l’attività di

gestione, finanziaria, tecnica ed amministrativa, oltre

all’adozione di atti che impegnino l’amministrazione

verso l’esterno.

Ed al fine di poter attuare un programma di gestione

si muniscono i dirigenti di autonomi poteri di spesa e

di organizzazione delle risorse umane.

In sostanza ,si evince da tale norma, che ai politici

spetterebbe la valutazione e l’individuazione degli

interessi meritevoli di tutela , nonché il loro

contemperamento con altri interessi ed infine la loro

sintesi politica, mentre ai dirigenti dovrebbe

competere la scelta degli strumenti tecnici per

realizzare gli obiettivi,l’esercizio dei poteri di

gestione e l’adozione di atti o provvedimenti

necessari per il miglior impiego delle risorse

organizzative a disposizione

35

.

Si passa, pertanto ,da una relazione tra potere politico

e dirigenza amministrativa improntata sul principio

35

L.Zoppoli ,Percorsi e insidie nel percorso riformatore,Lavoro Informazione pag.38.

(32)

32

gerarchico ad una improntata sulla direzione,

consentendo al dirigente un adattamento valutativo

rispetto agli indirizzi ricevuti dall’alto, in modo da

inserirsi nello spazio compreso tra la norma e la sua

attuazione, accentuando l’autonomia decisionale e la

discrezionalità del dirigente

36

.

L’unico barlume di impronta,chiaramente, gerarchica

è rappresentato dalla facoltà, riconosciuta ai Ministri,

di avocare atti di competenza dirigenziale, in casi di

necessità ed urgenza, giustificabile se vista, però,

nell’ottica di una sorta di clausola generale di

chiusura del sistema

37

.

La parte più significativa del suddetto Decreto, si

trova però,collocata nell’art.19, ove viene costituita

una vera e propria distinzione tra indirizzo politico e

gestione amministrativa.

In questo articolo, infatti, vengono previsti due

parametri per il conferimento di incarichi e di

funzioni dirigenziali.

Uno di carattere oggettivo, il quale attiene alla natura

e alle caratteristiche dei programmi da realizzare.

L’altro di carattere soggettivo, che prende in

considerazione le attitudini e le capacità professionali

del singolo dirigente.

36

C.Russo,il potere organizzativo del dirigente pubblico, Rivista Giuridica del Lavoro pag.24.

37

(33)

33

In questa norma, viene sancito inoltre, il principio

della rotazione degli incarichi, affermando così la

fungibilità delle funzioni dirigenziali.

Passando all’ambito organizzativo, viene adoperata

una riduzione delle qualifiche dirigenziali, sancendo

di fatto un’unica qualifica di Dirigente, nella quale

venivano ad accorparsi le qualifiche di primo

dirigente e dirigente superiore.

Si prevede poi che, laddove fosse disposto da

specifiche norme di legge a carattere nazionale, la

Dirigenza può articolarsi in Dirigente generale e

Dirigente.

Contestualmente viene stabilita una riduzione

complessiva del numero degli uffici dirigenziali e

delle corrispondenti dotazioni organiche del

personale dirigenziale in misura non inferiore del 10

per cento.

Passando alla Responsabilità del Dirigente, il

Decreto prevede un rafforzamento della stessa

attraverso la previsione di una verifica dei risultati,

sulla quale non può incidere l’effettivo

riconoscimento di un autonomo potere gestionale in

capo ai Dirigenti.

Questo ruolo di verifica dei risultati dei Dirigenti,

viene affidato a Servizi di Controllo Interno o Nuclei

di Valutazione, i quali sono chiamati a verificare,

mediante parametri valutativi ,soprattutto di tipo

comparativo, i costi i rendimenti nonché la corretta

(34)

34

gestione delle risorse pubbliche, oltre al

raggiungimento degli obiettivi prefissati.

Tali Uffici secondo quanto disposto dall’art.20

comma terzo “operano in posizione di autonomia e

rispondono esclusivamente agli organi di direzione

politica”.

La composizione di questo organo evidenzia come

può tranquillamente sussistere, una nemmeno troppo

velata, contrapposizione di interessi, dato che

all’interno dei nuclei di valutazione, vi rientrano

anche gli stessi Dirigenti Generali.

Bisogna oltretutto aggiungere,che le conseguenze

dovute all’inosservanza delle direttive impartite al

Dirigente non svolgono appieno la loro funzione

deterrente,in quanto le stesse consistono; nel

collocamento a disposizione per non più un anno,

ovvero, per i soli Dirigenti Generali, e solamente

nelle ipotesi di particolare gravità e reiterazione, il

collocamento a riposo per ragioni di servizio.

3 Le cosiddette “Leggi Bassanini”

Prima ancora che venisse completata la prima

privatizzazione, ovvero a distanza di qualche anno dal D.lgs. n.29/93 e dei sui Decreti correttivi ( D.lgs. n.470/93 , d.lgs. n.546/93) grazie ai quali è stata completata la riforma del rapporto di lavoro con i pubblici dipendenti, il legislatore decise di intervenire nuovamente sulla materia attraverso la Legge n.59 del 1997.

(35)

35 La ratio di un tale intervento si fondava sul tentativo di non mettere a repentaglio gli effetti del processo riformatore intrapreso, portando così a compimento la riforma. Tale intervento riformatore prende il nome dall’allora Ministro per la Funzione Pubblica , Franco Bassanini, e viene definita dagli studiosi della materia come la seconda privatizzazione del pubblico impiego.

Essa avviò un complessivo progetto di riordino

dell’Amministrazione Pubblica, poi implementato dalle Leggi n.127/97 e 191/98, teso ad effettuare una profonda trasformazione degli apparati ministeriali nonché a

decentrare le funzioni amministrative a vantaggio delle Regioni e delle autonomie locali.

Questo progetto aveva l’obiettivo di realizzare il c.d. Federalismo Amministrativo ed estendere a tutti i livelli di governo il principio di separazione tra attività di indirizzo politico e attività di gestione38.

Partiamo innanzitutto con l’analisi della prima di queste Leggi ovvero, la sopracitata legge n.59 del 15 Marzo del 1997.

Essa si propone di completare l’integrazione della disciplina del lavoro pubblico con quella del lavoro privato, delegando a tal fine il Governo ad effettuare un’opera di estensione del regime di diritto privato del rapporto di lavoro anche ai Dirigenti Generali ed equiparati.

Andando così a colmare una lacuna del precedente D.lgs. n.29/93 prestando così attenzione a quanto sostenuto da

38

M.D’Antona ,Lavoro Pubblico e Diritto del Lavoro: La seconda

privatizzazione del pubblico impiego nelle leggi Bassanini, Lavoro nelle

(36)

36 autorevoli studiosi tra cui Cassese39, in modo da poter

superare quella frammentazione della Dirigenza Pubblica in due tronconi, pericolosissima per le prospettive e l’incisività della riforma stessa40.

Viene poi sottolineato, come tra i principi e criteri direttivi ai quali il Governo deve attenersi in sede di redazione dei Decreti Legislativi, la separazione tra compiti e

responsabilità di direzione politica e responsabilità di direzione delle amministrazioni.

Si prevede inoltre l’istituzione per i Dirigenti di un ruolo unico interministeriale presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che verrà poi portata a compimento dal successivo D.Lgs n.80/1998, al fine di garantire la necessaria specificità tecnica, nonché allo scopo di disciplinare le funzioni e l’organizzazione della Presidenza per farne una sorta di cabina di regia della politica governativa.

Esaminando poi la seconda delle c.d. Leggi Bassanini ovvero la legge n.127 del 15 Maggio del 1997, vediamo da subito come essa mira ad elaborare un nuovo assetto

istituzionale degli Enti Locali, assetto che avrebbe avuto forti ripercussioni sul rapporto di lavoro, ed in particolare ,per quanto a noi qui interessa, sul ruolo della Dirigenza. Viene di fatti introdotto per la prima volta, nei Comuni e nelle Province con più di quindicimila abitanti , la figura del Direttore Generale .

Tale tipologia di Dirigente Pubblico viene assunto al di fuori della dotazione organica , attraverso una tipologia di

contratto a tempo determinato con una durata corrispondente a quella del mandato del Sindaco o del Presidente della Provincia.

39

S.Cassese ,Il sofisma della privatizzazione del pubblico impiego, Corriere Giuridico.

40

(37)

37 Esso inoltre si trova ad essere collocato in una posizione apicale e sovraordinata rispetto a tutti i dirigenti presenti nell’ente.

Al Direttore Generale vengono infatti, attribuite funzioni nevralgiche tra le quali : l’attuazione degli indirizzi e degli obiettivi prefissati dagli organi politici dell’Ente,la redazione del piano dettagliato degli obiettivi e la proposta del piano esecutivo di gestione41.

Sempre poi in relazione al ruolo della Dirigenza negli Enti Locali e nel solco di una prospettiva che mirava alla

realizzazione del Federalismo Amministrativo, vengono consolidati poteri e prerogative nel novero delle funzioni attribuite ai dirigenti, e segnatamente quelle inerenti agli atti di gestione finanziaria (compresi gli impegni di spesa) , e quelle relative agli atti di amministrazione nonché di gestione del personale.

Possiamo però concludere dicendo che la vera novità, che viene introdotta attraverso le Leggi brevemente esaminate, è rappresentata dall’introduzione, per la prima volta nel nostro ordinamento, di una sorta di meccanismo di vero e proprio

spoils system ( sulla falsa riga di quello anglosassone ) in

coincidenza con la formazione del nuovo Governo. Tale sistema riguarda direttamente, e soltanto, le figure apicali della Dirigenza Pubblica, ed è caratterizzato dalla temporaneità di tali incarichi.

41

M.Barbieri,Il lavoro pubblico nella seconda riforma Bassanini, Il Lavoro nella Giurisprudenza pag.54.

(38)

38

3.2 Il D.lgs. n.80 del 31 Marzo 1998, emanato in

attuazione della Delega prevista nella c.d. seconda

Legge Bassanini

Una spinta ulteriore al percorso di riforma, venne data dal D.lgs. n.80/1998 emanato in attuazione della delega

contenuta nell’art.11 comma quarto della Legge n.127/1997. Tale Decreto si prefiggeva di correggere e risistemare alcuni limiti evidenziati, in sede di applicazione, dal Decreto

n.29/1993.

In primo luogo viene rafforzata la distinzione tra politica e amministrazione.

Per far questo,si modifica l’art.3 del D.lgs. n.29/1993, attribuendo in maniera chiara e lineare, attraverso

un’elencazione tassativa, specifiche attribuzioni agli organi di indirizzo politico amministrativo, nonché la previsione che le attribuzioni assegnate ai Dirigenti non possano essere derogate, se non tramite l’intervento del legislatore.

Sempre nella medesima direzione, il suddetto Decreto, prevede una clausola di chiusura per meglio coordinare le due sfere, quella politica da una parte e quella

amministrativa dall’altra, che in situazioni particolari assegna poteri speciali di intervento al Ministro nell’area riservata alla Dirigenza.

Tali poteri , vengono utilizzati in situazioni diverse, in primo luogo, in caso di inerzia o in caso di ritardo del dirigente nell’adottare atti o provvedimenti oltre il termine perentorio prefissato dal Ministro .

In secondo luogo possono essere impiegati, nel caso in cui, vi sia, da parte del Dirigente una grave inosservanza di

(39)

39 direttive generali, che determinino un pregiudizio per

l’interesse pubblico.

Infine in caso di adozione di provvedimenti o atti illegittimi. Nel primo caso si può evincere come, l’intervento

Ministeriale sia limitato a dati oggettivi, ovvero l’inerzia o il ritardo, e non più rimesso ad una valutazione politica.

Inoltre, l’intervento del Ministro non si sostanzia più nella avocazione, bensì nella fissazione di un termine perentorio. Nel primo come nel secondo caso, il Ministro può

intervenire solo attraverso la nomina di un commissario ad

acta previa comunicazione al Presidente del Consiglio dei

Ministri.

Resta tuttavia fermo il potere di annullamento per motivi di legittimità42.

Quest’ultimo potere riservato al Ministro, desta più di un sospetto , in quanto attraverso quel particolare vizio di

legittimità, costituito dall’eccesso di potere, l’organo politico potrà verificare il corretto esercizio della discrezionalità amministrativa negli atti adottati dai Dirigenti.

Tutto questo può comportare, soprattutto con riferimento ad alcune figure sintomatiche di eccesso di potere, tra le quali disparità di trattamento, motivazione insufficiente illogicità ecc., il rischio di un ritorno, sotto mentite spoglie, al

precedente giudizio di merito da parte del Ministro nelle scelte del dirigente attinenti agli atti di amministrazione concreta43.

42

F.Merloni ,opera citata, pag. 58.

43

C.D’Orta ,La seconda fase di riforma della Dirigenza Pubblica: verso la

fine del guado, cercando di evitare gli scogli, Lavoro nelle Pubbliche

(40)

40 Viene poi sancita la soppressione del potere ministeriale di decisione sui ricorsi gerarchici contro gli atti e i

provvedimenti adottati dai dirigenti.

Questo Decreto ha inoltre il pregio di realizzare la

contrattualizzazione della Dirigenza Generale, demandando però la determinazione del relativo trattamento economico non alla contrattazione collettiva, come previsto per la

Dirigenza di base, bensì a quella individuale fra Dirigente ed Amministrazione di appartenenza.

Si procede poi ad una profonda riforma delle qualifiche e degli incarichi dirigenziali, ovvero viene modificato l’art.23 del D.lgs. n.29/1993 distinguendo i Dirigenti in due fasce che vengono ricondotte , per i Dirigenti delle

Amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento

autonomo, ad un unico ruolo istituito presso il la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Infine si sancisce il principio della necessaria temporaneità degli incarichi dirigenziali, i quali hanno una durata non inferiore a due anni e non superiore a sette con facoltà di rinnovo, evitando così la precedente coincidenza, fra la durata dell’incarico del Dirigente e il corrispondente periodo di durata della legislatura, dando così una minore linfa al legame fiduciario che intercorre tra la maggioranza politica e il Dirigente in questione.

4 Il D.lgs. n.165/2001 Testo Unico sul pubblico

impiego e la Legge n.145/2002 la c.d.

“Controriforma”

Tutti i provvedimenti legislativi che abbiamo cercato, seppur brevemente e per sommi capi, di sviscerare sin qui, sono frutto di quella stagione riformista, rappresentata dall’ultimo

(41)

41 decennio del novecento,che aveva come obiettivo quello di cambiare il sistema amministrativo italiano dislocando dal centro alla periferia gran parte delle funzioni amministrative, ristrutturando al tempo stesso gli apparati centrali.

Una volta finita quella stagione, nel 2001 si avverte l’esigenza di predisporre un Testo Unico in grado di raccogliere le norme che regolano i rapporti di lavoro

relativamente al personale contrattualizzato dipendente dalle amministrazioni pubbliche e che riporta gran parte della disciplina fin qui esaminata.

Tale intervento legislativo viene effettuato attraverso l’art.1 comma 8 della Legge n.340 del 24 Novembre 2000, a seguito del quale viene emanato il Decreto Legislativo

n.165/2001 dal titolo : “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle Amministrazioni Pubbliche” meglio conosciuto come Testo Unico sul Pubblico

Impiego44.

In questa nuova disciplina, per quanto a noi qui interessa, viene sancito e valorizzato il criterio privatistico di

managerialità ed efficienza in conseguenza del quale la Dirigenza assume il monopolio delle decisioni gestionali. A tal fine un ruolo strategico viene assunto dall’art.4 del presente Decreto, che riporta gran parte della precedente disciplina contenuta nell’art.3 del D.lgs. n.29/1993 nonché dall’art.14 , anch’esso corrispondente a gran parte di quanto già previsto nel corrispondente articolo presente nel

precedente Decreto che regolamentava la materia.

44

La denominazione Testo Unico, che pure compariva nello schema di decreto legislativo trasmesso alle Camere è successivamente scomparsa, in accoglimento di un esplicito invito a modificare il titolo delle competenti Commissioni della Camera. Al fine di non ingenerare equivoci, sia per difetto che per eccesso, dal momento che tale provvedimento conteneva anche norme attinenti ad altre materie e non conteneva, invece, disposizioni attinenti alla disciplina speciale inerente i dipendenti non contrattualizzati.

(42)

42 Essi contengono importanti indicazioni per razionalizzare il processo di formazione dell’indirizzo politico

amministrativo ritenuto lo strumento principe per il

Governo delle politiche pubbliche, delineando un processo a cascata che deve svolgersi a cadenze regolari, perlomeno ogni anno, entro dieci giorni dall’approvazione del bilancio. Si configura, dunque, una sorta di procedimentalizzazione a cadenze periodiche, di progressiva precisazione

dell’indirizzo, che ha inizio con la predisposizione della nota preliminare, la quale mette in evidenza la connessione tra gli stanziamenti e gli obiettivi perseguiti ed accompagna lo stato di previsione di ciascun Ministero.

Essa prosegue, dopo 10 giorni dall’approvazione del bilancio, con l’adozione di un atto di indirizzo per la

gestione amministrativa, il quale detta i criteri entro cui può effettivamente svolgersi l’autonomia gestionale ed operativa riconosciuta ai Dirigenti Pubblici.

Vengono poi effettuati, nel corso dell’esercizio finanziario, dei monitoraggi sullo stato di attuazione delle politiche pubbliche che possono dar luogo, laddove occorra, a processi di autocorrezione.

Alla fine dell’esercizio,poi, viene effettuata la verifica dei risultati conseguiti.

Essa costituisce , al tempo stesso, sia il momento di chiusura del primo ciclo di bilancio sia una base informativa

essenziale per l’attuazione del ciclo di bilancio successivo45. E’ evidente che di questo processo, per così dire a cascata, costituisce uno strumento pressoché fondamentale la

Direttiva Generale annuale sull’azione amministrativa e sulla gestione che ai sensi dell’art.14 comma 1 del .lgs.

45

(43)

43 n.165/2001 nonché dell’art.8 del D.lgs. n.286/1999 ogni Ministro deve adottare annualmente, a partire dal 2000, anche sulla base di una direttiva predisposta dal Presidente del Consiglio dei Ministri , e diretta ad omogeneizzare i contenuti e le caratteristiche essenziali di questo

imprescindibile atto di indirizzo politico-amministrativo. Al fine di conseguire quegli obiettivi di modernizzazione della macchina amministrativa che rappresentano il vero cuore della politica amministrativa del Governo.

Tuttavia, malgrado la previsione legislativa, nell’esperienza maturata durante la predisposizione delle note preliminari e delle Direttive Generali per l’azione amministrativa, questo modello resta per larga parte inattuato.

Ciò si verifica in quanto, spesso e volentieri i relativi atti della sequenza non vengono predisposti, oppure, laddove vi siano presentano i tratti di un adempimento generico e inutilmente formale il che contribuisce a dimidiare ed indebolire la portata nonché l’efficacia dell’intera riforma amministrativa46.

Nel quadro sin qui delineato, si assiste, con il superamento della vecchia impostazione, che si basava sul mero ossequio della norma, alla valorizzazione del controllo sui risultati e sulla gestione che rappresenta un momento nevralgico di valutazione fattiva della funzionalità complessiva del sistema nonché quale completamento del disegno

organizzativo di ridefinizione dei rapporti tra politica e amministrazione.

Il quale si legittima ulteriormente attraverso la capacità di misurare e verificare la gestione, momento che si presenta come necessario alla stessa stregua di quello di indirizzo.

46

C.D’Orta la nuova disciplina della dirigenza pubblica alla prova dei fatti:

(44)

44 In tale rovesciamento prospettico, dove come abbiamo visto i dirigenti divengono responsabili di fronte agli organi di direzione politica non più per i singoli atti, ma per il risultato complessivo delle proprie scelte e per il rispetto

dell’indirizzo politico amministrativo, la gestione operativa dei dirigenti è accompagnata dai c.d. controlli interni, ovvero controlli di gestione controlli strategici, sistemi di

valutazione dei dirigenti e controlli di regolarità amministrativa e contabile.

Controlli che sono svolti, come già detto, dai servizi di controllo interno e dai nuclei di valutazione .

Ai controlli interni si aggiungono poi i controlli c.d. esterni, svolti dalla Corte dei Conti e diretti a verificare tanto

l’efficienza, l’economicità e l’efficacia della gestione nell’ambito delle pubbliche amministrazioni, quanto il funzionamento dei vari controlli interni presenti nelle diverse amministrazioni.

Tuttavia, tanto i controlli interni quanto quelli esterni, assumono come punto di riferimento il programma e gli obiettivi che l’amministrazione si è posta e della cui realizzazione essa deve rispondere, per il tramite del Ministro, davanti all’organo legislativo ossia dinanzi al Parlamento.

Però, bisogna segnalare come, dal momento in cui questi elementi siano quasi del tutto mancanti, tanto basta a pregiudicare l’operatività effettiva di siffatti controlli. Bisogna ,pertanto, prendere atto del fatto che anche dopo l’entrata in vigore del D.lgs. n.165/2001 non esiste , in concreto, un coerente sistema nazionale sia per quanto attiene alla verifica dei risultati delle attività amministrative sia per quanto riguarda la valutazione dei Dirigenti Statali.

(45)

45 Circostanza, quest’ultima, che rende del tutto arbitrari i conferimenti e le revoche degli incarichi dirigenziali47. Sempre rimanendo nel solco dell’art.4 il successivo art.14 specifica nel dettaglio le attività del Ministro .

Ovvero: definizione di obiettivi, priorità, piani e programmi e conseguenti direttive generali nonché l’assegnazione delle risorse sulla base delle proposte dei Dirigenti degli uffici dirigenziali generali.

Viene poi prevista l’istituzione di uffici di diretta

collaborazione al fine di agevolare ed assicurare il miglior esercizio della funzione di elaborazione strategica48e di verifica dell’attuazione .

Dotando così l’attività di indirizzo politico di apposite strutture , distinte per funzioni e organizzazione dagli uffici c.d. di line deputati alla gestione, realizzando un miglior reperimento ed utilizzazione delle competenze e delle professionalità necessarie al fine di meglio determinare gli indirizzi e le priorità, monitorando al tempo stesso il

processo di attuazione, controllando finanche i risultati conseguiti, ed accumulando esperienze e conoscenze strumentali alla correzione e alla continua verifica delle scelte fatte.

A distanza di poco più di un anno, dall’emanazione del D.lgs. n.165/2001 “Disposizioni per il riordino della

Dirigenza Statale e per favorire lo scambio di esperienze e l’integrazione tra il pubblico e il privato” il legislatore interviene nuovamente sulla materia con la Legge n.145 del

47

F.Astone ,Prime note sul riordino della Dirigenza Statale, Funzione Pubblica.

48

Il c.d.policy making : quale traduzione delle politiche generali in obiettivi e programmi.

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