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Una delle maggiori novità rappresentate dal 2103 c.c. è data dalla possibilità, esplicitata a livello normativo, di stipulare modifiche consensuali in pejus nell’interesse del lavoratore con modifica delle mansioni, della categoria e anche della retribuzione. Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta. Tale previsione, contenuta al comma 6 prevede che: “nelle sedi di cui all'articolo 2113, quarto comma, o avanti alle commissioni di certificazione, possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, nell'interesse del lavoratore alla conservazione dell'occupazione, all'acquisizione di una diversa professionalità o al

- 134 - miglioramento delle condizioni di vita. Il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro”.

Tale comma, che risulta sotto certi aspetti particolarmente “invasivo”216, risponde nuovamente a quell’esigenza di

flessibilità introaziendale217 e di risparmio dei costi che

connatura ormai il tessuto industriale del nostro paese; allo stesso tempo deve bilanciarsi, tuttavia, con l’interesse del lavoratore che potrà sottoscrivere un accordo derogatorio al fine della salvaguardia del proprio posto di lavoro, per l’acquisizione di una diversa professionalità o per il miglioramento delle proprie condizioni di vita.

Già in passato gli approdi giurisprudenziali avevano consentito, in talune circostanze, senza contrastare con la previsione

216 U. Gargiulo, Lo jus variandi nel nuovo art. 2103 c.c., in Centre for the study

of European labour law Massimo D’Antona n. 268/2015

217 Cass. 22 maggio 2014 n. 11395 che pronunciandosi in materia di art. 2103

c.c., secondo la vecchia dizione ha affermato che il divieto di demansionamento espresso dall’art. 2103 c.c. deve essere interpretato “alla stregua del bilanciamento tra il diritto del datore di lavoro a perseguire un’organizzazione aziendale produttiva ed efficiente e quello del lavoratore al mantenimento del posto, con la conseguenza che, nei casi di sopravvenute e legittime scelte imprenditoriali, comportanti, tar le altre, ristrutturazioni aziendali, l’adibizione del lavoratore a mansioni diverse , ed anche inferiori, rispetto a quelle precedentemente svolte, restando immutato il livello retributivo, non si pone in contrasto con la previsione del codice civile.” Sulla stessa lunghezza d’onda anche Cass. 9 settembre 2008 n. 23109 secondo la quale “in tema di legittimità di una dequalificazione del lavoratore pacificamente intesa ad evitare la risoluzione del rapporto di lavoro per impossibilità sopravvenuta della prestazione prevista nel titolo costitutivo, ossia per inidoneità fisica, deve tenersi conto che di tale accertamento è parte integrante non solo la reale sussistenza di tale inidoneità ma anche l’inidoneità ad altre mansioni, compatibilmente con l’assetto aziendale, poiché,- vertendosi in materia lavoristica e non in quella di assistenza sociale- gli interessi del lavoratore vanno bilanciati con quelli del libero esercizio dell’iniziativa economica del lavoratore, ovvero con il principio del buon andamento , se trattasi di pubblica amministrazione”.

- 135 - dell’art. 2103 c.c., l’attribuzione al lavoratore di mansioni diverse, anche inferiori, a parità di livello retributivo tramite il cd. patto di demansionamento. Si trattava di casi particolari come ristrutturazioni aziendali, piuttosto che esternalizzazione o riduzione dei servizi dove il demansionamento rappresentava l’unica alternativa praticabile rispetto al licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Il suddetto patto avente finalità protettiva del lavoratore, mediante consenso, consentiva che il prestatore venisse assegnato a mansioni inferiori e conseguentemente che potesse derivarne una diminuzione della retribuzione rispetto alle mansioni di assunzione o a quelle successivamente acquisite.

In particolare, secondo l’impostazione prevalente, “il patto di dequalificazione come unico mezzo per conservare il rapporto di lavoro, costituisce non già una deroga all’art. 2103 c.c., bensì un adeguamento del contratto alla nuova situazione di fatto, sorretto dal consenso e dall’interesse del lavoratore; pertanto la validità del patto presuppone l’impossibilità sopravvenuta di assegnare mansioni equivalenti alle ultime esercitate e la manifestazione della disponibilità del lavoratore ad accettarle”218.

Oggi, tali accordi trovano disciplina diretta nel nuovo art. 2103 c.c.: la peculiarità consiste nella piena derogabilità della legge ad opera dell’autonomia collettiva. Tali accordi, pena la validità del patto stesso, devono essere stipulati “nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita”. Laddove, sul piano della finalità di tali

- 136 - accordi, mancassero questi requisiti, il patto potrebbe dichiararsi nullo, tali finalità peraltro non sono cumulative, bensì fra loro alternative visto anche l’impiego ad opera del legislatore della congiunzione “o”. Purtuttavia, tali requisiti ad un lettore attento appariranno cadere nel dubbio dell’indeterminatezza, tanto che si auspica che sarà l’interprete a riempirne i contenuti. “La conservazione dell’occupazione” configura una delle ipotesi più frequenti: la giurisprudenza passata, già da diverso tempo tendeva ad ammettere l’eventualità di una dequalificazione laddove questa fosse necessaria al mantenimento del posto, in alternativa ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in modo analogo a quanto avviene per i licenziamenti collettivi e la mediazione sindacale219.

Circa le modalità di stipulazione, tale accordo deve essere concluso nelle “sedi protette” di cui all’art. 2113 c.c. comma 4, ovvero davanti alle commissioni di certificazione istituite dal d. lgs. 276/2003: anche in questo caso è richiesta la forma scritta insieme alla causale giustificatrice del patto stesso, che in mancanza generano la nullità. Il fatto che si richieda la stipulazione entro una delle sedi protette funge da “campanello

219 Cass. 5 aprile 2007 n. 8596 afferma che ”la disposizione dell’art. 2103 c.c.

sulla regolamentazione delle mansioni del lavoratore e sul divieto del declassamento di dette mansioni va interpretata- stante le statuizioni di cui alla sentenza delle Sezioni Unite n. 25033 del 2006, ed in coerenza con la ratio sottesa ai numerosi interventi in materia del legislatore- alla stregua della regola del bilanciamento del diritto del datore di lavoro a perseguire un’organizzazione aziendale produttiva ed efficiente e quello del lavoratore al mantenimento del posto, con la conseguenza che nei casi di sopravvenute e legittime scelte imprenditoriali, comportanti l’esternalizzazione dei servizi o la loro riduzione a seguito di processi di riconversione o ristrutturazione aziendali, l’adibizione del lavoratore a mansioni diverse, ed anche inferiori, a quelle precedentemente svolte, restando immutato il livello retributivo, non si pone in contrasto con il dettato codicistico, se essa rappresenti l’unica alternativa praticabile in luogo del licenziamento per giustificato motivo oggettivo”.

- 137 - d’allarme” per il lavoratore che si appresti a stipulare un simile atto, volto a richiamarlo all’attenzione circa l’importanza del patto che questi si accinge a sottoscrivere. Il legislatore ha ritenuto che la stipulazione entro tali sedi miri a garantire la conclusione di accordi di tal fatta sottoscritti dal lavoratore per mere ragioni di debolezza o soggezione nei confronti del proprio datore di lavoro.

L’assistenza che deve essere fornita al prestatore di lavoro entro le sedi dell’art. 2113 c.c. deve essere effettiva: per questo motivo è solo eventuale la possibilità di un’assistenza legale piuttosto che di un sindacalista: essa è già garantita all’interno della sede. Secondo la giurisprudenza costante, pur essendo necessaria, non è sufficiente la mera sottoscrizione del patto da parte di uno dei soggetti propriamente deputati all’assistenza del lavoratore.220 La stipulazione di un accordo all’interno delle

suddette sedi, pur costituendo requisito di validità dello stesso, non impedisce la dichiarazione di nullità del patto quando siano assenti taluni requisiti necessari alla stipulazione dello stesso, quale quello dell’effettività dell’assistenza.

Inoltre, secondo l’impostazione sostenuta da C. Pisani, il patto di cui all’art. 2103 c.c. comma 6 non è coperto dalla protezione accordata dall’art. 2113 c.c. sulla non impugnabilità di rinunce o transazioni in quanto “non si tratta di diritti già maturati, bensì di modificazioni del rapporto per il futuro”.221 Una delle

differenze maggiormente rilevanti rispetto ai patti consentiti sotto il vigore del vecchio art. 13 St. Lav. consiste proprio nel

220 Cass. 22 ottobre 1991 n. 11167;

221 Pisani, la nuova disciplina del mutamento delle mansioni, Giappichelli editore,

- 138 - fatto che prima la stipulazione dell’atto non era garantita dalla sede protetta, ma era assolutamente libera.

Uno dei dubbi sorti sul punto riguarda l’opportunità di comprendere se debbano o meno persistere nel tempo, come requisito implicito della validità del patto, gli estremi del giustificato motivo oggettivo di licenziamento come requisito necessario per la validità dell’atto o se sia sufficiente la loro sussistenza al momento della stipulazione del patto. A mio avviso è sufficiente che tali requisiti sussistano al momento dell’accordo in sede protetta, in contrasto con quanto sostenuto da alcuni222 che hanno ritenuto che laddove dovesse verificarsi

la vacanza di un posto caratterizzato da una posizione simile a quella ricoperta dal prestatore prima della stipulazione dell’accordo “verrebbe meno il presupposto della validità del patto”, pur ammettendo comunque un elevato grado di incertezza ricadente sul datore che potrebbe condurre ad una mancata applicazione degli accordi in deroga dell’art. 2103 c.c.: potrebbe, infatti, non risultare più così vantaggioso per il datore vedersi esposto a continui mutamenti, con la conseguenza che opterebbe per il licenziamento del lavoratore e quindi sfocerebbe in una conseguenza molto più svantaggiosa del demansionamento.

Mancano infine da analizzare gli altri due interessi del lavoratore di cui fa menzione il comma 6. Si tratta dell’acquisizione di una diversa professionalità e del miglioramento delle condizioni di vita del lavoratore. Questi requisiti di per sé non richiedono che vi siano modifiche

222 C.Pisani, la nuova disciplina del mutamento delle mansioni, Giappichelli

- 139 - dell’organizzazione dell’azienda, tuttavia se, come altre volte nel corso di questo lavoro, ci rimettiamo alla legge delega al fine di comprendere meglio la ratio della norma, potremmo pensare di legare tali due requisiti ai “processi di riorganizzazione, ristrutturazione e conversione aziendali” di cui all’art. 1 comma 7 lett. e) della legge delega con la conseguenza che finiremmo per svuotarli di significato e renderli insensibili alla caratura innovativa che il Legislatore ha, secondo me, voluto conferirgli. Interpretandoli in via autonoma rispetto al requisito della modifica organizzativa, potremmo esemplificarli nella possibilità che il lavoratore richieda, ad esempio, di ricoprire una posizione inferiore, dove però le possibilità di progressione di carriera siano maggiori rispetto a quella attualmente ricoperta. Parimenti potranno stipularsi queste tipologie di accordi in casi in cui il lavoratore ritenga di non essere più in grado a livello fisico di ricoprire talune posizioni che appaiono, a suo avviso, troppo faticose, con la richiesta di accordo in deroga all’art. 2103 c.c. e con la conseguente produzione di un demansionamento, ma con l’assegnazione di mansioni che gli consentano di svolgere compiti che richiedano un apporto e sforzo fisico minore. Del resto non possiamo ritenere che il lavoratore debba restare “ingabbiato” nella posizione più alta raggiunta per sempre, è anche un suo “diritto”, certo non costituzionalizzato, ma forse “diritto” è possibile definirlo, quello di avere la possibilità di coprire posizioni che non siano solo idonee al suo stato fisico, cosa già riconosciuta a livello normativo e dall’art. 32 Cost., ma che gli consentano di essere “tranquillo” e “sereno” nello svolgimento in modo corretto dei propri compiti. Per questa ratio, ritengo che il legislatore abbia

- 140 - riconosciuto la validità di questi accordi anche in via autonoma rispetto alle modifiche organizzative.